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Intervista al dott. Giuseppe Comparone, ed ai suoi collaboratori di Francescca Sartore

7 Gen 13

Di Francesca-Sartore

Nell’ambito di un progetto di ricerca inerente l’area della Psichiatria Penitenziaria abbiamo realizzato un’intervista al direttore del carcere femminile di Genova Pontedecimo, dott. Giuseppe Comparone, ed ai suoi collaboratori. All’intervista hanno partecipato, oltre al direttore, i due educatori (Massimo Palumbo e Angela Armetta), una psicologa (Laura Ottonello) ed il comandante della Polizia Penitenziaria (Efisio Seghi).

È stato un momento di scambio molto intenso e partecipato ed auspichiamo che possa essere il primo di una serie di contatti per approfondire il problema della patologia psichiatrica in carcere.

 

Domanda: Qual’è il ruolo del direttore del carcere?

Educatore (Massimo Palumbo): Il direttore è il capo dell’Istituto Penitenziario e corrisponde al dirigente di qualsiasi ufficio statale, come il Tesoro, le Poste, etc. La cosa è più complicata, naturalmente, perché il carcere è un posto un po’ particolare e risulta composto da alcune aree: l’area della ragioneria, come in tutti gli uffici; l’area cui appartengono le persone che si occupano della sicurezza dei detenuti (un tempo note come agenti di custodia, attualmente si parla di Polizia Penitenziaria); l’area dell’osservazione e del trattamento, che in carcere risulta formata essenzialmente dagli educatori. A quest’area appartengono anche gli psicologi, che lavorano a contratto, e gli assistenti sociali, sempre dipendenti dal Ministero della Giustizia, ma che non lavorano qui (il loro ufficio è fuori). Infine vi sono i volontari. Oltre a queste aree vi è poi anche quella sanitaria. Il direttore è colui che dirige tutte le aree e si preoccupa sia di ciò di cui si occupano tutti i capi (il controllo, la verifica dello svolgimento delle mansioni di ciascuno, l’assunzione di responsabilità), sia di una cosa molto particolare, che è quella di fare in modo che le esigenze legate alla sicurezza dei detenuti, alla loro custodia (fare in modo che non evadano, fare in modo che non spacchino tutto) — l’area "penale" — non contrastino con le esigenze che sono state volute dalla legge che tutela l’area del trattamento. In quest’area facciamo le scuole, facciamo le attività, curiamo che si svolgano i colloqui, facciamo degli spettacoli. Noi educatori con i detenuti essenzialmente facciamo dei colloqui, colloqui che sono anche mirati ad osservare per "cercare di capire cosa passa nella testa di queste persone" e poi riferire ai magistrati un quadro il più possibile completo per consentire di capire se concedere o meno ai detenuti quelle che si chiamano misure alternative alla detenzione. Il direttore è quello che cerca — come un ago della bilancia, un punto di equilibrio – di fare in modo che queste "anime", come vengono chiamate, convivano tra loro.

 

Domanda: Come vive il ruolo di direttore? Aveva delle aspettative?

Direttore (Giuseppe Comparone): Il carcere lo conoscevo già perché sono figlio di un dipendente di carcere e quindi conoscevo l’ambiente. Quando mi sono trovato ad affrontare il lavoro mi sono ricreduto di tutte le mie aspettative, che erano forti. Mi sono trovato ad affrontare la realtà quotidiana, i problemi e le responsabilità, soprattutto responsabilità amministrative: sei sempre in mezzo alle carte e ai documenti contabili con la preoccupazione della carenza di personale. Il problema grosso è soprattutto il personale di polizia penitenziaria che manca. Se manca il personale di polizia penitenziaria non si possono fare neppure le attività trattamentali, perché se ad esempio vengono i professori per l’insegnamento io non posso dire loro "andate e state insieme alle detenute", non posso, è una mia responsabilità. E a quel punto ecco che l’attività non viene svolta perché c’è la carenza di personale di custodia. Questo è il problema vero. Non è che non si vogliano fare attività all’interno. Molte volte è preferibile gestire un grosso istituto che uno piccolo perché nel piccolo istituto se mancano due persone è un dramma, mentre nel grosso istituto se mancano dieci unità non è un dramma. Torino: 1500 agenti, mancano dieci agenti, non succede niente. Se mancano dieci agenti a Pontedecimo è un dramma.

Quindi di tutte quelle tue aspettative (chissà che cosa che immaginavi … che stavi lì e dirigevi come un pianista un bell’organo) rimane solo che devi sgobbare dalla mattina alla sera "per un pugno di dollari" … ecco, è questa la verità! Immagini un lavoro gratificante e alla fine ti devi ridimensionare e devi pensare al quotidiano, preoccuparti se è arrivato il pane per i detenuti, perché la mensa non apre se sono già le otto e mezza, che fine ha fatto la cuoca, perché non si è presentata. Questi sono i problemi reali che ti affliggono e che ti impegnano giornalmente e alla fine l’attività vera e propria si riduce ad essere marginale. La parte più importante diventa la gestione del personale, che incide per il 70% circa. La parte amministrativo-contabile impegna per il 20% e quindi l’impegno con i detenuti è proprio marginale, il 10%, diventa un optional, sembra strano ma è così. Dei detenuti ci si comincia a preoccupare nel momento in cui c’è un’emergenza e allora devi tralasciare tutto per dedicarti solo ed esclusivamente a quella.

 

Domanda: Quindi non ha praticamente mai il tempo di poter parlare con un detenuto…

Direttore: Il tempo lo devi trovare. Ieri sera dopo cena sono sceso giù sino alle 21 per sentire le loro problematiche. Stamattina ho chiamato i collaboratori e ho diviso i compiti per cercare di sistemare alcuni aspetti che sono molto importanti anche per il fenomeno dell’amplificazione: se un problema è piccolo per noi che abbiamo la libertà di muoverci, per loro il problema piccolo diventa un "problemone", ed è anche giusto perché non hanno libertà di agire, di movimenti, dipendono da te e dipendere dagli altri è un po’ sempre un problema.

 

Domanda: Ha lavorato anche in altre carceri?

Direttore: Sì, a Napoli (Poggioreale), a Locri e a Marassi. Attualmente mi occupo anche della gestione di Chiavari e di La Spezia e qualche volte sono in missione a Sanremo, a Imperia e a Savona. Ovunque ho trovato le stesse problematiche: carenza di personale, anche amministrativo (qui non abbiamo neanche un ragioniere). I problemi ci sono, sono risaputi. Il personale viene assunto, però dopo neanche un mese o viene distaccato al Sud, o usufruisce della legge 104 (legge per i familiari handicappati) o di malattia o … Il Nord rimane sempre un paese a sé, da Roma in su diventa sempre problematico. Allora si dovrebbero fare i concorsi regionali, dove tu sei assunto nella regione Liguria, vivi in maniera "vita natural durante" nella regione Liguria, punto e basta. Quella è l’unica salvezza per gli istituti del Nord, ma non soltanto dal punto di vista del carcere, tutte le amministrazioni, anche i postali …

 

Domanda: Come vivete il vostro ruolo di educatori all’interno del carcere?

Educatore: Il nostro lavoro vive sempre attraverso due fasi, una iniziale ed una successiva. Quella iniziale è caratterizzata da una serie di aspettative e di slanci positivi, o almeno a me è successo così. Ho vinto il concorso da educatore, faccio l’educatore, vado da queste persone e dico loro quanto fanno male a rubare e a usare sostanze stupefacenti e quanto invece è bello e giusto e previsto dalla legge essere inseriti nella società civile. Faccio il mio lavoro sorretto da una istituzione che mi vuole, che mi aiuta, che mi supporta e che mi offre strumenti molto tecnici, molto professionali per il mio lavoro e riconosce la valenza del mio lavoro, un lavoro non semplice né facile né comodo né trascurabile all’interno di questa amministrazione. Ma esiste il "burn-out" dell’operatore sociale, cioè ad un cero punto ti accorgi che la risposta dei tuoi utenti non è per nulla soddisfacente perché sembra che loro pensino che non è così bello vivere nella società civile e che non è poi del tutto entusiasmante smettere quello che fanno per andare a fare l’impiegato a un milione e mezzo al mese, tutto sommato è meglio continuare a fare quello che fanno perché … per tanti motivi, non ultimo che quello che io guadagno in un mese loro lo fanno in un giorno. E poi viene un po’ anche a crollare il sostegno da parte di chi credevi di avere alle spalle. Ti accorgi che l’amministrazione non ti vuole poi tanto e che le condizioni indispensabili per poter fare il tuo lavoro non ci sono più: il rapporto tra noi e loro è spaventosamente basso e siamo pochissimi (gli educatori in servizio nel carcere di Pontedecimo sono attualmente due e vi si trovano recluse circa 80 detenute), manca del tutto la formazione, quella che ci servirebbe, mentre ne viene fatta un’altra tutta teorica, non c’è nessuna forma di riconoscimento …

Dopo un certo numero di anni avviene questa specie di delusione, di disillusione, di crollo. Noi in questo ufficio eravamo quattro, poi siamo scesi a tre, poi a due, e quindi ad uno (per un periodo di circa un anno e mezzo), poi fortunatamente a gennaio io sono rientrato all’ovile e siamo ritornati due.

 

Educatrice (Angela Armetta): La legge prevede la rieducazione dei detenuti,ma c’è un grosso problema per quel che concerne il personale. Abbiamo gli strumenti, ma siamo troppo pochi. Il numero del personale addetto all’area specifica dell’osservazione e del trattamento dovrebbe essere aumentato. A Pontedecimo viviamo una realtà diversa, per questo aspetto anche più fortunata rispetto ad altri istituti che hanno grossi problemi di sovraffollamento (Marassi, Milano, Firenze) perché è piccolo ed è l’unico interamente femminile in tutta la Liguria.

Educatore: Aggiungo che qui siamo una realtà buona: nel carcere di Sanremo c’è un educatore con 350 detenuti da tre anni.

Educatrice: E a Marassi ci sono 800 detenuti con tre educatori fissi.

Educatore: Ma è finito anche il tempo delle promesse e anche sulla stampa il problema carcere è un problema di detenuti e di polizia, non di educatori e di interventi di trattamento.

Comandante della Polizia Penitenziaria (Efisio Seghi): Il direttore ha detto che manca anche il personale di polizia. C’è una grave carenza di personale, è vero, però il lavoro che fanno gli educatori è grandissimo, è grazie a loro che all’interno si riescono a risolvere i problemi, che a volte non sono neanche problemi di loro competenza.

 

Domanda: Quanti sono gli psicologi a contratto?

Educatrice: Due, una psicologa per l’area di osservazione e trattamento ed una per il servizio tossicodipendenze. Le psicologhe sono assunte a convenzione e hanno un monte-ore. La psicologa dell’osservazione-trattamento ha avuto una drastica riduzione dell’orario, da 64 a 15 ore. e la metà delle detenute è definitiva.

 

Domanda: Con che frequenza fate i colloqui?

Educatrice: Quasi quotidianamente. Il nostro lavoro comprende la parte di colloqui le detenute definitive, che sono circa quaranta, e la parte burocratica che consiste nella stesura delle relazioni per la magistratura di sorveglianza (relazioni comportamentali) e nella cura delle attività trattamentali: contatti con i SerT, con le comunità, organizzazione delle attività ricreative, culturali e lavorative.

 

Domanda: Abbiamo visto lo spettacolo teatrale all’Albatros. Oltre al laboratorio teatrale vengono svolte altre attività ricreative?

Educatrice: ci sono altri due laboratori, uno di découpage e l’altro dove si svolgono piccoli lavori di artigianato. Ci sono anche le scuole dell’obbligo e due scuole superiori, una ad indirizzo odontotecnico (del Gaslini) e l’altra ad indirizzo economico-aziendale (del Ruffini). E poi c’è il lavoro, che naturalmente è molto limitato.

Educatore: E dipende dal budget che viene assegnato: vengono fatte delle graduatorie e l’assegnazione del lavoro viene fatta in base a fondi che vengono messi a disposizione da parte del Ministero.

 

Domanda: Questo lavoro si svolge all’interno del carcere o all’esterno?

Comandante: All’esterno lavorano le detenute in regime di semi-libertà, beneficio che viene concesso dal Tribunale di Sorveglianza, ma non si tratta di attività lavorative organizzate dell’Amministrazione. All’interno dell’istituto ci sono le attività di cucina e di lavanderia, le lavoranti che passano il vitto, quelle addette alle pulizia, la parrucchiera e infine la "spesina", colei che passa in giro per chiedere se ci sono acquisti da fare perché le detenute hanno dei soldi e possono fare piccole spese. Hanno un conto corrente (la legge dice che non è consentito il passaggio di soldi tra i detenuti), ogni giorno acquistano e noi attraverso l’ufficio addetto scarichiamo entrate e uscite. Non c’è passaggio di denaro perché potrebbe benissimo esserci la corruzione all’interno. Ma i passaggi ci sono lo stesso, anche se non in denaro.

 

Domanda: Quali sono le caratteristiche della popolazione carceraria del carcere di Pontedecimo?

Comandante: La maggioranza delle carcerate sono detenute per violazione della legge sugli stupefacenti (detenzione, spaccio, importazione); pochissime per furto o ricettazione, per sfruttamento della prostituzione (reato un tempo al vertice, attualmente in netta diminuzione con l’ascesa dei reati connessi alla legge sulla droga) o per reati contro la persona.

A parte una trentina-quarantina di detenute definitive, le restanti hanno un tempo medio di permanenza in carcere di circa 2-3 anni. Marassi è una realtà diversa anche perché è sede di Corte d’Appello, e come in tutti i casi in cui il carcere è sede di Corte d’Appello (Marassi, San Vittore, Vallette) si devono affrontare problemi di sovraffollamento, perché oltre agli ingressi di quelli che vengono dalla libertà hanno anche gli ingressi di quelli che vengono per giustizia che, nonostante siano "in transito" creano problemi di custodia.

Gli educatori lavorano solo sui definitivi, anche se sugli altri c’è comunque da fare un lavoro burocratico che è quello che porta via il tempo: la magistratura di sorveglianza può fissare delle udienze e chiedere delle relazioni comportamentali anche per detenuti non definitivi. E il lavoro non finisce mai.

 

Domanda: E riguardo alla nazionalità delle detenute?

Comandante: Gli stranieri sono il 50% circa rispetto al totale. Negli anni passati gli stranieri erano per la maggioranza algerini, tunisini e marocchini mentre oggi si tratta prevalentemente di sudamericani. Tra le lingue parlate lo spagnolo è a livelli dell’inglese e fra un po’ lo supererà (come diceva un’insegnante del corso di spagnolo che abbiamo seguito quest’anno).

 

Domanda: Ci sono episodi di violenza? Come sono i rapporti tra le detenute?

Comandante: È difficile fare convivere tante persone di nazionalità diverse. Abbiamo avuto per un periodo uno slavo ed un albanese quando era proprio il periodo della guerra e vivevano la stessa realtà che c’è all’esterno. Noi trattiamo tutti come se fossero italiani, ma è tra di loro che sono presenti questi rancori che vengono portati dentro il carcere. A volte non riescono a convivere tra di loro. È difficile gestire queste situazioni quando ci sono tante persone: albanesi, kossovari, ceceni, etc. All’interno dell’istituto troviamo il mondo. Se noi vediamo una persona abbiamo il mondo, perché poi comunque la persona è legata la mondo. E la stessa cosa è all’interno del carcere.

 

Domanda: Come si svolge la vita in carcere?

Comandante: La mattina presto per prime vengono aperte le celle delle lavoranti della cucina per preparare la colazione, in modo tale che alle 8 le addette al vitto possano svolgere la loro mansione. Poi si alzano le lavoranti delle pulizie. Verso le 9 c’è l’apertura delle celle ("aria") con la possibilità anche di farsi la doccia. Dalle 9 alle 11 c’è l’aria e le attività ricreative descritte prima (scuola e laboratori). La scuola continua sino alle 12 e 15 circa, poi c’è la distribuzione del pranzo. Dalle 13 alle 15.30 riaprono le celle e le detenute interessate ritornano a scuola. Dalle 16.30 alle 17 c’è una mezzora "straordinaria" d’aria che si è inventato qualcuno in Liguria perché non risulta dal Regolamento, in cui è previsto l’orario di aria almeno due volte al giorno.

 

Domanda: All’interno del carcere ci sono detenute con bambini piccoli o ciò si è comunque mai verificato nel passato?

Educatrice: Le detenute possono tenere in carcere i bambini sino a tre anni. C’è un apposito reparto, il reparto-nido. Esiste da molti anni una convenzione con il Comune di Genova per permettere ai bambini di frequentare il nido comunale di Pontedecìmo. Quindi nel momento in cui arriva una donna con un bambino inviamo la comunicazione ufficiale agli operatori del nido che provvederanno al caso, studiando un apposito piano educativo per il bimbo.

 

Domanda: Com’è organizzata l’area sanitaria?

Comandante: Non molto bene, per la verità. Il medico (un dirigente sanitario e dei medici che si alternano per coprire l’orario) c’è solo dalle 7 alle 13 e dalle 16 alle 23. Ci sono poi alcune infermiere che distribuiscono la terapia alla mattina e alla sera e che fanno il turno di notte. Il problema è che l’infermiera in turno da sola di notte non può somministrare farmaci, e allora si fa come accade fuori dal carcere: si chiama la Guardia Medica. Se un medico, una Guardia Medica, può gestire un quartiere, una città, perché non può gestire anche il carcere? Forse andrà meglio con la prossima apertura del centro clinico, che sorgerà dove si trovava la sezione del maschile. Allora il medico dovrà essere presente 24 ore su 24.

A proposito della necessità di trasferire un detenuto in ospedale per accertamenti e cure, all’articolo 17 del Regolamento si legge che su proposta del sanitario il direttore dispone l’eventuale ricovero presso l’ospedale. Il sanitario può solo proporre, chi decide è il direttore.

 

Domanda: Come specializzandi in Psichiatria ci interessa anche l’aspetto della patologia psichica nell’istituzione carcere. Qual è la vostra esperienza?

Psicologa (Laura Ottonello): Io ho sempre lavorato nell’ambito delle tossicodipendenze. In linea generale una situazione di questo genere può slatentizzare e fare emergere patologie oppure rinforzare patologie già presenti, ma questa condizione potrebbe anche essere di aiuto perché più contenitiva. La funzione di contenimento che ha il carcere è una funzione di accudimento e che fa bene e quindi il discorso si può anche ribaltare.

Educatrice: A mio modo di vedere il carcere sicuramente fa emergere delle patologie latenti. La persona che invece ha già manifestato questo tipo di problemi nel momento in cui si trova in carcere aumenta la sua patologia. Qualche volta l’effetto è contrario, ma più per un effetto di contenimento fisico, nelle situazioni più socialmente "sfasciate". Così una persona può apparire più lucida rispetto a quando è arrivata, più curata nell’aspetto e cominciare ad avere un’alimentazione più regolare.

Educatore: Credo che la cosa su cui si dovrebbe puntare più l’attenzione è quella relativa alla massa, al gruppo nel suo insieme. Ci sono delle persone su cui viene puntato il riflettore perché sono le persone che hanno già disturbi psichiatrici (e allora o il carcere li acuisce o dall’altro lato li assiste) e queste sono un settore per fortuna marginale. C’è poi

la massa di gente che riceve una "devastazione" dalla detenzione senza che ciò sfoci in una patologia psichica vera e propria.

Il carcere consiste in una pena superficiale ed in una pena molto profonda, una tortura psicologica. Teniamo conto che in carcere, come mi diceva un detenuto, "non c’è mai silenzio". Provate ad immaginare voi a stare 24 ore su 24 per 3 mesi, 6 mesi o un anno senza mai silenzio. Il carcere non è solo o semplicemente non uscire mai. Il carcere è anche qualcosa di molto più sottile: il carcere è non poter mai stare da solo. Tu non puoi mai stare da solo, tu subisci sempre una coabitazione forzata, una intrusione continua. Ci sono sempre voci, schiamazzi, urla, di notte, di giorno …

Psicologa: I farmaci non li prendono solo le persone con le diagnosi ben precise o i tossicodipendenti.

Educatore: E queste persone non sono quelle che hanno una patologia conclamata, però sono persone che soffrono terribilmente. La vera tortura forse è questa. Il carcere non è la semplice reclusione "dentro". Ma magari mi chiudessero un po’ dentro da solo e mi lasciassero un po’ in pace. L’essenza della carcerazione è questa tortura, è entrare dentro te stesso, non lasciarti mai davvero in pace. E poi viene anche l’educatore per parlarti, poi c’è la psicologa, la maestra, il direttore, il comandante, il medico, l’avvocato…

Perciò la terapia non la prendono mica solo quelli che hanno una diagnosi psichiatrica, ci sarà l’1% di quelli che la prendono che hanno una diagnosi.

 

Domanda: Vi sono casi di detenute affette da malattie psichiatriche, al momento?

Educatrice: Un caso lo ricordo, ma ora non è più detenuta. Naturalmente viene valutata la possibilità di un ricovero in OPG, se giudicato più opportuno rispetto alla carcerazione.

 

Domanda: Per i detenuti tossicodipendenti esiste un Servizio di distribuzione del metadone?

Comandante: Sì, esiste un servizio di metadone per i tossicodipendenti, ma non è così in tutte le carceri. Personalmente sono molto scettico perché non accetto il SerT in carcere e credo che ci dovrebbe essere più uniformità nelle scelte.

La realtà del carcere è diversa rispetto al quella delle comunità per tossicodipendenti;

in certe comunità non ti danno niente, aspettano che ti passi la tua fase di astinenza e basta. Molti detenuti non vogliono andare in comunità perché nelle comunità ci sono regole di vita completamente diverse rispetto a quelle che esistono in carcere. Qui bene o male fanno quello che vogliono: se si vogliono alzare la mattina si alzano, se vogliono dormire dormono. In comunità ci sono delle regole e tu comunque devi rispettarle perché hai un progetto.

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