Sullo sfondo del dilagare dell’antipolitica e del disprezzo nei confronti della “casta” si stacca nettamente per la qualità, lo spessore e la complessità dell’approccio l’elaborazione della Commissione Marino intorno al tema degli ospedali psichiatrici giudiziari. Nel corso di quest’anno un ramo del Parlamento, il Senato della Repubblica, si è occupato due volte in specifiche sedute della questione degli ospedali psichiatrici giudiziari: la prima il 30 Luglio nelle sede della Commissione di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del servizio sanitario nazionale presieduta da Ignazio Marino per discutere della Relazione sulle condizioni di vita e di cura all’interno degli ospedali psichiatrici giudiziari, (relatori Michele Saccomanno e Daniele Bosone); la seconda il 27 settembre in Aula, sulle Comunicazioni del Ministro della Giustizia sul sistema carcerario e sui problemi della giustizia- proposte di risoluzione. Nelle due occasioni sono stati votati documenti votati a larga maggioranza o all’unanimità, come nel caso della relazione Saccomanno-Bosone. Mi pare sia la prima volta, da quando c’è il Parlamento repubblicano che si discute formalmente di ospedali psichiatrici giudiziari. E solo questo, al di là del merito del problema, costituirebbe motivo di riconoscimento e onore per il lavoro condotto dalla commissione Marino che ha squarciato il velo su un dramma nazionale a lungo rimasto nascosto. Ma anche i testi votati meritano una valutazione attenta.
La Relazione sulle condizioni di vita e di cura all’interno degli ospedali psichiatrici giudiziari ha denunciato:
– gravi e inaccettabili carenze strutturali e igienico-sanitarie in tutti gli opg, salvo quello di Castiglione delle Stiviere e, in parte, quello di Napoli;
– un assetto strutturale in tutti “totalmente diverso da quello riscontrabile nei servizi psichiatrici italiani”;
– una disponibilità di competenze mediche specialistiche “globalmente insufficienti in tutti gli opg rispetto ai numeri dei pazienti in carico”;
– la pratica delle contenzioni fisiche e ambientali che “lasciano intravedere pratiche cliniche inadeguate e, in alcuni casi, lesive della dignità della persona”, nonché “la mancanza di puntuale documentazione degli atti contenitivi”;
proposto:
– l’introduzione di una organizzazione dell’assistenza sanitaria “conforme ai Piani sanitari regionali della salute mentale delle regioni sede di opg” e che faccia riferimento “alla legislazione nazionale e alle linee guida nazionali in materia di cura e riabilitazione della patologia mentale”;
– sia data piena attuazione al DPCM 1° aprile 2008, in particolare l’allestimento “di reparti specifici di osservazione psichiatrica e per minorati psichici […] nell’ambito degli istituti penitenziari ordinari”;
– “un più stretto raccordo tra magistratura e servizi psichiatrici territoriali” per dare seguito alla giurisprudenza della Corte Costituzionale”. A tale riguardo si annota che “in una psichiatria coerente con le proprie finalità istituzionali non dovrebbero ricercarsi recinzioni più forti nei luoghi di cura e di recupero psicosociale”;
– l’adozione dei poteri sostitutivi di cui all’art. 120 della Costituzione per le Regioni inadempienti.
La Relazione Saccomanno-Bosone si è soffermata, dedicandovi un intero paragrafo, sulla pratica delle contenzioni che riguarda tutti gli opg, escluso quello di Aversa, per giudicarla comunque evitabile, né legittima né giustificata in sede di applicazione della misura di sicurezza, comunque antiterapeutica. Successivamente ha affrontato le “Linee per una riforma legislativa della psichiatria giudiziaria” proponendo un “ripensamento complessivo dell’istituto della non imputabilità e di tutti i suoi perniciosi corollari”:
– Gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione dei pazienti autori di reato dovrebbero essere attuati dai Centri di salute mentale; (nota critica p. 8 e 9)
– L’infermità mentale accertata non comporta la presunzione di pericolosità sociale;
– La pronuncia del proscioglimento penale per infermità psichica comporti la nomina di un amministratore di sostegno “con specifico incarico di provvedere alle necessità di cura del paziente”.
Il 27 settembre scorso il dibattito in Aula sulle Comunicazioni del Ministro della Giustizia sul sistema carcerario e sui problemi della giustizia- proposte di risoluzione si è concluso con la votazione, a larghissima maggioranza di alcune risoluzioni di cui segnalo le parti approvate che riguardano la condizione degli ospedali psichiatrici giudiziari:
a. La risoluzione Centaro e altri ha impegnato il Governo ad attuare la “predisposizione di un sistema permanente di controllo sui servizi di assistenza sanitaria erogati ai detenuti, al fine di monitorarne l’andamento e di verificarne l’impatto in termini assistenziali e finanziari sulle strutture sanitarie territoriali di riferimento, ivi inclusi gli ospedali psichiatrici giudiziari, nonche´ adeguamento, mediante una conseguente iniziativa d’intesa con le Regioni, degli standard della sanita` carceraria a quella ordinaria, adottando le misure previste dall’ordinamento nei confronti della Regione siciliana per il mancato recepimento della normativa in materia;
b. La risoluzione Bruno e altri per la parte che sollecita a “valutare l’istituzione di un Garante nazionale per i diritti delle persone detenute” e, aggiungerei “internate;
c. La risoluzione Saccomanno, e altri che “nelle more del completo superamento dell’istituto dell’OPG, che resta l’obiettivo da perseguire quale scelta definitiva a regime”, ha impegnato il Governo a recepire le indicazioni della Commissione Marino compreso l’obbligo giuridico dei Dipartimenti di salute mentale di prendere in carico gli internati per i quali risulti cessata la condizione di pericolosita` sociale; e a considerare, nella prospettiva ormai non piu` procrastinabile di una complessiva revisione del codice penale, la possibilita` di abolire l’istituto della non imputabilita` per infermita` mentale e dei suoi corollari giuridici, quale e` la misura del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, che verrebbe sostituita dall’applicazione della pena, anche detentiva, prevista dalla legge.
Note
Prima di qualsiasi altra considerazione va dato riconoscimento al coraggio e alla radicalità con cui la Commissione Marino ha posto su nuovi binari l’insieme della complessa questione che mai in precedenza era stata affrontata con determinazione: si pensi solo a come è trattato il tema della imputabilità, tema che era stato di fatti eluso dalle commissioni che nelle legislature precedenti si erano occupate della riforma del Codice Penale. Se si aggiunge che le conclusioni sono state adottate a larga maggioranza dai Senatori, si può apprezzare l’efficacia del lavoro svolto anche in termini promozione e allargamento del consenso, aspetto non secondario in democrazia.
Invece, punti di incertezza e affanno si colgono nelle proposte sul da farsi “nelle more del completo superamento dell’istituto dell’OPG, che resta l’obiettivo da perseguire quale scelta definitiva a regime”. In termini generali va riconosciuto che molte delle difficoltà della Commissione nascono dalla scarsità di esperienze del “fare a meno dell’opg”, dal mancato recepimento della giurisprudenza della Corte Costiuzionale da parte del Parlamento, ma anche da parte della Magistratura per non parlare dei Dipartimenti di salute mentale. La relazione sembra proporre da una parte un modello che rimanda all’opg di Castiglione delle Stiviere (una sorta di opg senza la g) e dall’altra all’allestimento di strutture residenziali pubbliche di ricovero alternative all’internamento in Opg, di non più di 15 posti letto ciascuna “divise per distinti gradi di pericolosità sociale, cui corrispondono evidentemente diversi livelli di intensità assistenziale” “per l’esecuzione dei piani di trattamento sanitario redatti dai periti curati dagli amministratori di sostegno per tutta la durata dell’incarico”. Un ospedale psichiatrico (senza la g di giudiziario) dedicato e gestito dal servizio sanitario regionale è in contraddizione con le pratiche assistenziali dei servizi di salute mentale né può essere giustificato dalla considerazione che gran parte dei “rei folli” è nota ai servizi territoriali che sarebbero quindi incapaci di gestire persone “pericolose” e per questo meno “bravi” degli operatori della psichiatria penitenziaria o giudiziaria, come taluno pensa in Lombardia. Qui si ripropone la stessa discussione aperta circa il legare i pazienti, o meglio intorno alla sforzo di aprire una discussione su tale pratica da parte degli “Spdc porte aperte” (che sono minoranza) con gli Spdc che legano, continuano a legare, non si propongono di fare a meno di legare e anzi arrivano a teorizzare che legare le persone è un “atto terapeutico”, come affermato di recente da un folto gruppo di primari psichiatri lombardi. Gli “Spdc porte aperte” non selezionano i loro utenti; accolgono e trattano anche pazienti con comportamenti aggressivi, violenti; ma il comportamento degli stessi non è declinato come “pericoloso”, aggettivo che non appartiene al lessico della psichiatria, non come problema di ordine pubblico, ma gestito come segnale di sofferenza psicologica. Le culture professionali ispirate alla “salute mentale” consentono infatti di sviluppare pratiche capaci di ridurre le esasperazioni, abbattere le tensioni. Ma molti operatori, in specie psichiatri, continuano a sfuggire da tali approcci perché si sentono più garantiti dagli assunti della psichiatria lombrosiana che ha generato gli opg e innervato quella manicomiale, anche assumendo l’obbligo della custodia. Con i risultati che, come abbiamo sperimentato nei manicomi, il lavoro di custodia, che sia condotto da personale della polizia penitenziaria o da personale sanitario non conta, ha finito col prendere sopravvento su quello di cura tanto che, come vediamo negli opg, non si hanno tracce di dati, studi, report sugli esiti dei trattamenti. Fare salute mentale nei servizi di sanità pubblica vuol dire occuparsi della qualità della vita quotidiana dei pazienti, contrattare e implementare percorsi condivisi che restituiscano e valorizzino le risorse delle persone e dei contesti (empowerment), avere attenzione ai fattori di guarigione extraclinici (recovery). Di questo non c’era traccia negli ospedali psichiatrici e men che meno negli opg che lavorano rinserrati nei vincoli della “misura di sicurezza”, un parametro che appartiene ai temi della “difesa sociale”, non a quelli della promozione della salute.
Per questo non convince nemmeno la proposta di reti di strutture residenziali a intensità assistenziale proporzionata ai gradi di pericolosità sociale gestiti dai Dipartimenti di salute mentale: perché ripropone l’attivazione di circuiti regolati dal principio della pericolosità sociale manipolato da psichiatri non si sa bene sulla base di quali saperi e su quali basi. Colpisce nel ragionamento un non detto che però condiziona tutti i pensieri e le scelte: che i pazienti autori di reato debbano essere custoditi “a vita”, anche dopo l’uscita dall’opg. Ma possibile che per nessuno si preveda una guarigione, un miglioramento tale da consentire una buona o almeno accettabile reintegrazione nella società? Ma una Commissione parlamentare, per quanto illuminata, non può sciogliere i nodi e le contraddizioni delle corporazione degli psichiatri, compresi quelli forensi. Per il complesso delle questioni in gioco, molte delle quali delicatissime, credo sia saggio che il governo del progetto “fare a meno dell’opg”, specie per la parte dell’assistenza ai pazienti autori di reato, non sia delegato alle Regioni, ma sia saldamente tenuto nelle mani di una istanza da attivare presso la Conferenza delle Regioni e delle Province autonomie con la presenza del Ministero della salute e del Ministero della Giustizia, una presenza indispensabile se si tiene conto che parliamo di servizi di una sanità penitenziaria entrata a far parte a pieno titolo del servizio sanitario nazionale. Intanto, da subito, si potrebbe procedere alla chiusura della sezione femminile di Castiglione delle Stiviere, l’unica operante in Italia, impegnando i Dipartimenti di salute mentale di riferimento delle poche decine di donne ricoverate a provvedere a un’accoglienza alternativa all’internamento manicomiale.
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