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tra nostalgia e cambiamento

19 Gen 13

Di

Antonio Maria Ferro, Giacinto Buscaglia

Questo intervento è il frutto di un lavoro fatto con il Dr. Ferro, che purtroppo oggi non è potuto essere presente, a riguardo di cosa sia un dipartimento di psichiatria, quali siano le sue caratteristiche peculiari.

E’ una riflessione che non può prescindere da ciò che sta succedendo attualmente nella psichiatria italiana. Mi riferisco a due eventi che hanno una loro rilevanza:

  1. ci sono sul tappeto una serie di proposte di legge di modifica della Legge 180
  2. a maggio ricorrerà il 25esimo anniversario della legge e sono previste in tutta Italia una serie di manifestazioni

Per quanto riguarda le proposte di legge, quella che ha avuto più eco è a proposta di legge "Burani, Procaccini". Credo che molti di voi avranno avuto occasione di leggerla. Personalmente ritengo che alcni aspetti di questa proposta rischino di di far fare alla nostra disciplina un salto indietro di anni.

Raccogliendo l’invito del Prof. Piero Scapicchio, desideriamo intervenire nel dibattito che "Psichiatri Oggi" ha inaugurato con l’articolo di Luigi Ferrannini sui D.S.M., riprendendo in parte un lavoro presentato all’ultimo Congresso della S.I.P.C. e qui pubblicato nel 2001.

Partiamo dalla storia dei Servizi, per giungere ad analizzare alcuni aspetti attuali dell’assistenza psichiatrica organizzata nei DSM.E’ particolarmente significativo sottolineare un punto, citato nel Documento approvato all’unanimità dal Consiglio Direttivo della SIP nella seduta del 9/11/2002:

''E’ antistorico riproporre una categoria astratta, " malattie mentali ", scientificamente superata e tecnicamente infondata, come se, in analogia, tutta la restante parte della medicina scientifica si riorganizzasse intorno ad una categoria astratta di " malattie somatiche" e non su aree tecnico-specialistiche fortemente differenziate per metodologia diagnostica e per strumenti clinico-terapeutici.

E' davvero necessaria per una buona cura una " legge speciale" per i disturbi mentali, come se fossero riconducibili ad una matrice comune ed unitarietà di base ?

Concentrarsi prevalentemente sulla potenziale pericolosità che riguarda poche e specifiche condizioni patologiche e situazioni – per le quali si richiedono interventi di particolare complessità tecnica e di tutela per il paziente ed il contesto — significa trasformare le persone affette da disturbi mentali in persone delle quali diffidare, da temere e da controllare.

Crediamo che spingere la psichiatria, e con essa pazienti ed operatori, ai margini della medicina scientifica e della sua organizzazione – come è stato per tanti anni proprio fino alla riforma sanitaria – determini la perdita dell’ integrazione culturale, scientifica, tecnica e pratica della psichiatria con le altre discipline mediche".

Mi sento di condividere queste considerazioni e cercherò di proporre delle riflessioni

LA STORIA con l’obiettivo di fornire il senso specifico che ha l’assistenza psichiatrica come l’intendiamo.

Il problema centrale sembra essere quello di conciliare le nuove esigenze di programmazione e nuovi modelli organizzativi con un modello di dipartimento che si è costruito nel corso di anni di lavoro e che ha la sua specificità e il suo significato.

All’inizio della loro storia, dopo il 1978, i servizi psichiatrici erano luoghi in cui si curavano pazienti psicotici, luoghi che erano sì calati nel territorio, ma i cui legami con il contesto sociale e sanitario andavano costruiti "dal nulla". Si curavano persone malate o si eseguiva un mandato di controllo sociale?

Si trattava di un lavoro per certi versi ingrato, non redditizio agli occhi dell’opinione pubblica, poco adatto a costruire un’immagine accattivante. In fondo i servizi psichiatrici costavano tanto e producevano poco, nel senso che davano risultati modesti e fornivano trattamenti interminabili, spesso "a vita".

Eppure, almeno dove le cose hanno funzionato, quelle sale d’aspetto piene di persone bislacche, che inseguivano i loro fantasmi e spesso dimenticavano l’uso del sapone e le regole del buon galateo, cominciavano a popolarsi di altre fette d’umanità, magari altrettanto sofferente, ma non così aliena al mondo variegato della normalità.

E’ uno sStrano connubio, per certi versi rivoluzionario, quello tra Gianni "mille lire", che bofonchia parole incomprensibili e fischietta perennemente chiedendoti i soldi per un caffè e la signora Luisa, madre di due bambini e impiegata di grande efficienza, che vuole risolvere il suo problema di non riuscire a guidare da sola fuori dai confini della sua città.

Come si è arrivati ad tale miracolo di convivenza civile, crocevia di diversità così differenti tra loro da apparire apparentemente incompatibili?

E’ successo perché improvvisamente non si era più Fort Apache, avamposto eroico, che aveva spinto Cancrini a definire gli operatori psichiatrici come "temerari sulle macchine volanti"., avamposto eroico, ma Cci stavamo trasformando in un luogo aperto nel territorio, che ormai tutti conoscevano, se non direttamente, almeno per vie traverse, intra o extrafamilari. La battuta "sei da CIM" si era trasformata in "prova a chiedere al CIM, ti potrebbero aiutare".

Un’infermiera di uno dei Centri di Salute Mentale del nostro Dipartimento ha costruito nel corso degli anni (ormai sono 22 anni), con pazienza e precisione, un elenco lunghissimo di nomi, che periodicamente viene stampato e ci serve per sapere rapidamente se una persona si era già rivolta a noi in passato. E’ qualcosa che è ancora molto più antico del nostro sistema informativo computerizzato, che in fondo, nella sua versione attuale, ha solo 76 anni di vita. Si tratta di poco meno di 6000 persone, in un territorio di 5560.000 abitanti. Alcuni hanno lasciato una traccia impalpabile, impercettibile, altri hanno intrecciato così radicalmente la loro vita con quella della struttura da aver creato legami quasi imbarazzanti nella loro intensità.

E’ stato il risultato di un lungo e faticoso lavoro di collegamento e collaborazione con i medici di famiglia, con l’ospedale, con le altre agenzie sanitarie e sociali del nostro territorio.

Essere Fort Apache implicava anche muoversi in un’ottica emergenziale, da avamposto, in cui alcuni dogmi, mutuati da diversi contesti teorici, servivano a cementare un terreno friabile, di cui non conoscevamo e non potevamo conoscere la consistenza. Se ne possono citare alcuni:.




– era assolutamente imprescindibile presentarsi al paziente in modo chiaro, senza mai dissimulare il proprio ruolo, a costo di andare knock out al primo minuto del primo round, come era successo ad un collega che si era qualificato come psichiatra ad un paziente che non conosceva, durante una visita domiciliare

– i farmaci non andavano dati di nascosto, a qualsiasi costo e in qualunque circostanza

– il paziente, secondo la filosofia pseudopsicoanalitica del "qui gatta ci cova", diceva una cosa per intenderne un’altra

– i familiari avevano una grave responsabilità nella patologia del paziente e andavano distanziati o colpevolizzati

Bisognava allora dare del lei al paziente, sempre e comunque, oppure era considerato obbligatorio, in ogni circostanza, essere chiari con il paziente, dichiarando in modo esplicito la propria qualifica e il motivo dell’intervento che si stava facendo. Ricordiamo il caso di uno psichiatra che ad una persona vista a domicilio la prima volta e che gli aveva aperto la porta, si era qualificato con il nome e la professione, buscandosi un diretto sul mento, che lo aveva mandato knock out al primo secondo del match.

I farmaci non dovevano essere somministrati di nascosto, a costo di qualsiasi conseguenza, e sicuramente se il paziente faceva una richiesta, in realtà voleva la cosa oppostasecondo la filosofia pseudopsicoanalitica del "qui gatta ci cova". La relazione terapeutica con il paziente spesso passava attraverso il distanziamento o la colpevolizzazione della famiglia, ritenuta responsabile della patologia del malato.

Questi ed altri dogmi erano necessari, perché sSi trattava di "inventarsi" una prassi terapeutica, senza avere l’aiuto solido e rassicurante della "psichiatria accademica", che, salvo lodevoli eccezioni, si occupava di costruire eleganti edifici, ricchi di scienza e di costrutti teorici, in cui però le persone in carne ed ossa e il loro rutilante e variegato mondo non erano poco contemplate.

La parola magica sembrava essere "continuità terapeutica", che derivava non solo dai bisogni oggettivamente prolungati e profondi dei pazienti psicotici, ma anche dal mandato di controllo a cui eravamo delegati, in un deserto di legami, che dovevamo faticosamente costruire per non soffocare.

Il matrimonio con il paziente, con questi presupposti, diventava indissolubile, era life-time e ciò non sembrava tutto sommato una buona cosa né per noi, né per i pazienti.

Ci chiediamoCi chiediamo se l’eccessivo uso di neurolettici, che indubbiamente è stato fatto nei servizi psichiatrici, non dipendesse in fondo anche dal predominare delle esigenze di controllo sociale, che portavano gli operatori a privilegiare la gestione dei comportamenti disturbanti e a preoccuparsi soprattutto della "normalizzazione" del paziente. Il neurolettico talvolta ha la funzione di sedare non solo l’angoscia psicotica, ma anche l’angoscia dell’operatore, investito da responsabilità e deleghe superiori alla sua capacità di gestione. Questo, per altro, è un buon esempio di come la cultura dei servizi si sia avvalsa dei contributi più significativi di altriun approcci, in questo caso quello biologico,o biologico, vistoconsiderato spesso con un certo sospetto da chi si muove in un contesto istituzionale e che invece ci ha insegnato ad utilizzare in modo più opportuno stabilizzanti dell’umore e antidepressivi.

Uno degli aspetti più interessanti e in fin dei conti poco esplorati del lavoro dei servizi psichiatrici territoriali è stato il continuo sforzo di modifica e di adattamento alla realtà istituzionale di contributi psichiatrici derivati dai modelli teorici più disparati.

I Servizi hanno finito per costruire un modello d’intervento che aveva presupposti abbastanza omogenei nelle diverse realtà locali, sulla base di una sorta di "selezione naturale", più empirica che teorica, risultato della collisione, spesso dirompente, tra istituzione e realtà ambientale, non mitigata dall’estrema permeabilità al contesto, caratteristica specifica dei servizi psichiatrici territorialidi questi servizi.

MODELLI DI FUNZIONAMENTO DEI DSM E ASSUNTI DI BASE

Uno dei rischi, come evidenziato da una ricerca epidemiologica sui diversi pattern d’intervento, era quello di applicare in modo acritico l’approccio elaborato per il paziente psicotico ad altre patologie, che nel corso del tempo sono comparse sulla scena dei nostri servizi, modificandone radicalmente le caratteristiche.

Anni fa, si era tentato di identificare alcuni modelli di Dipartimento:

DOMANDA (UTENZA)

RISPOSTA PSICHIATRICA (SERVIZIO)

SERVIZI DEBOLI QUANTITATIVAMENTE AD ORGANIZZAZIONE FRAGILE

sono servizi in cui facilmente si verificano problemi di burn-out, dove la trasformazione, prodotta dall’arrivo della domanda, ha effetti prevalentemente disorganizzativi

SERVIZI FORTI QUANTITATIVAMENTE, POVERI TECNICAMENTE E AD ORGANIZZAZIONE RIGIDA

in questi servizi l’investimento nella decodificazione della domanda è molto basso e prevale uno stile di lavoro che tende a garantire prevalentemente l’omeostasi dello staff

SERVIZI A FORTE ORGANIZZAZIONE CON UNA PREVALENZA DI SCELTE TECNICHE ED OPERATIVE UNIVOCHE

non di rado sono servizi a forte ideologica che si muovono in modo difensivo rispetto alla domanda, cercando di trasformarla per confermare la loro ideologia scientifico-culturale e/o politico-sanitaria: non sono in realtà interessati alla conoscenza, all’ascolto dell’altro quanto alla conferma di se stessi attraverso le loro pratiche operative

SERVIZI FORTI QUANTITATIVAMENTE CON PATRIMONIO TECNICO DIVERSIFICATO, AD ORGANIZZAZIONE FLESSIBILE

in questo caso il processo di accoglimento e di trasformazione avviene con modalità di reciproco scambio tra la domanda e la risposta; questo tipo di servizio consente l’accoglimento di domande differenziate, anche di quelle espresse in un linguaggio che non è ancora quello del sintomo psichiatrico; non si determina qui una gerarchia di valori e di importanza tra cura in S.P.D.C., in ambulatorio, a domicilio, nelle strutture intermedie tra cure farmacologiche, psicoterapiche, interventi assistenziali: ciò consente agli operatori di utilizzare strumenti, momenti e spazi istituzionali di cura in stretta relazione con le richieste che la sofferenza psichica pone nei diversi momenti della sua espressività, entrando così nella "storia" che il trattamento di ogni paziente costituisce.

 

Il modo più costruttivo di utilizzare questa proposta è quello di rimanere consapevoli che i modelli vanno letti soprattutto come espressione di mentalità di gruppo che, in modo più o meno inconsapevole, pervadono e continuamente interagiscono con i progetti razionali e le operatività del gruppo di lavoro.

Questi modelli in realtà possono essere anche di più e possono essere letti come "assunti di base" del possibile funzionamento del Servizio Psichiatrico reale, che dovrebbe tendere al IV Modello, ma non di rado può essere attraversato dai primi tre modelli certamente meno edificanti.

LA NOSTRA ESPERIENZA

Il nostro Dipartimento si è caratterizzato fin dall'inizio per aver cercato e sviluppato un rapporto stretto con la Medicina di Base e l’Ospedale Civile da un lato e con il tessuto sociale dall’altro, proponendo così la nostra psichiatria come disciplina di confine tra luoghi d’intervento e saperi diversi.

COMPOSIZIONE DEL D.S.M. DI SAVONA

  • Bacino d’utenza: 270.000
  • Pazienti in trattamento nel 2002: 3631
  • 4 Ambiti: Albenga, Finale Ligure, Savona, Carcare
  • 4 Servizi di Salute Mentale
  • 4 Centri Diurni
  • Strutture riabilitative sulle 24 ore: 5 appartamenti protetti, 1 comunità alloggio
  • 2 Centri per la Terapia della Patologia Psichica finalizzati a interventi intensivi di terapia e riabilitazione, dotati complessivamente di 15 letti, con una degenza media che non supera i 30 giorni
  • 2 SPDC di 20 e 8 letti, dotati di day hospital
  • 4 ambulatori esterni di consulenza per i medici di famiglia per patologie di tipo nevrotico
  • 1 Centro, a valenza regionale, per i Disturbi dell’Alimentazione e dell’Adolescenza, dotato di 8 letti di degenza e di day hospital

 

Le "parole chiave" che in qualche modo definiscono le basi concettuali della nostra esperienza e ne costituiscono il massimo comun denominatore, sono:

  • La bottega della psichiatria
  • Il concetto di rete

Il termine "bottega della psichiatria", aperta sulla piazza, utilizzato non a caso come titolo di una serie di incontri su temi psichiatrici organizzati dal nostro dipartimento, richiama ad una dimensione artigianale, al "bottegaio" ricco di iniziativa e di fantasia, che vuol far conoscere e valorizzare i propri prodotti.

Il concetto di "rete" si presta bene a definire questa apertura nei confronti dell’esterno.

La rete offre infatti una convincente metafora che consente di rappresentare la pluralità delle relazioni che intercorrono tra le persone che chiedono aiuto e i soggetti e le agenzie impiegate nell’assistenza e nella cura. Il DSM in quest’ottica è pensato come un nodo della rete, un nodo vitale, ricco di stimoli e di cultura, ma pur sempre un nodo inserito in un sistema più complesso.

Il concetto di rete rompe poi con la cultura manicomiale, a patto che vi siano più attori di pari dignità a pre-vedere con curiosità ed amore trame ed orditi del nostro operare. Gli operatori psichiatrici in questa dimensione devono imparare a tollerare il proprio limite e a non proporre strumenti troppo tenaci e vincolanti, come avveniva nella grande ma angusta cornice del manicomio.

Se ci si pensa bene il termine "rete" ha una valenza ambigua. Una rete serve per connettersi ad altre realtà, tenerle insieme, unirle, ma una rete può anche ingabbiare, bloccare e separare. Immaginiamo allora la nostra rete come un "macramè" tessuto insieme con i pazienti, i loro familiari, altre persone significative per i pazienti stessi, nonché con gli enti locali, le associazioni, ovvero la realtà e la cultura del territorio in cui operiamo (i nuovi committenti).

Pensando al primo periodo, si trattava di una "bottega" che aveva una clientela ben identificabile, fedele, in un regime di monopolio, in cui non c’era concorrenza. La sfida era quella di costruirsi una buona immagine non solo nei confronti dei "clienti", ma anche delle altre agenzie con le quali avevamo a che fare (enti sanitari sociali e più in generale la società stessa). Diventava quindi molto importante, come detto in precedenza, il rapporto con la Medicina di Base e l’Ospedale Civile da un lato e con il tessuto sociale dall’altro.

La psichiatria, in questa accezione, diventa nella nostra intenzione una disciplina di confine tra molteplici saperi ed esperienze, specialista tuttavia nella relazione con "l’altro": paziente, istituzione, discipline medico-biologiche, psicologiche, fisiologiche e sociologiche.

Il suo corpo può essere così leggero senza essere fragile, bizzarro, inconcludente.

Oggi i prodotti della nostra "bottega" non vanno, nelle nostre intenzioni, tessuti soltanto dagli specialisti "psico", ma si avvalgono anche di interventi psichiatrici "non specialistici", ma ugualmente ben strutturati, professionali, dove i protagonisti portino codici di lettura e d’intervento non strettamente clinici, ma in senso lato antropologici.

Non pensiamo quindi ad un Servizio psichiatrico che in modo prevalentemente operativo cerchi di rispondere a tutto per non rispondere in realtà quasi a nulla, come era ed è tipico dei modelli (neo)manicomiali, dove la funzione oblativa, quella di separazione dal contesto e di controllo resta(va)no fondanti l’operare. Pensiamo invece che si debba recuperare quella "debolezza", o meglio quella "leggerezza" che è sempre stata la nostra sofferenza (essere i "deboli" della medicina come i nostri pazienti, essere i "deboli" rispetto ai saperi biologici, psicoanalitici, filosofici, etc.), ma anche la originalità e la bellezza del nostro lavoro che ci porta sempre inevitabilmente a ricercare, a metterci in rete con tanti "altri da noi", ad imparare cose nuove.

In realtà, se realizzeremo questo, potremo parlare più che di "debolezza", di leggerezza, che paradossalmente costituisca la nostra forza creativa, la nostra spinta curiosa al conoscere nella relazione con l’altro. Intendiamo la leggerezza così come è stata espressa da Wu Ming: non il leggero, inteso come superficialità bensì la leggerezza di cui parlava Calvino nelle lezioni americane, quella che serve a sfuggire l’inerzia e l’opacità del mondo e si associa "con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono al caso".

Quando pensiamo ad un Dipartimento di Salute Mentale, quindi, pensiamo ad una struttura organizzativa sufficientemente forte sul piano qualitativo e quantitativo, fornita di quello che H. Arendt definisce un "sensus communis" , un massimo comune denominatore capace di creare un linguaggio comunicativo, un vero ponte di scambi tra Reparti, Territorio ed altri Servizi, orientato verso una psichiatria di collegamento che tenga conto delle diverse culture che interagiscono in questo operare.

Non è facile definire questo massimo comune denominatore, ma ormai è evidente come lo si possa assimilare ad una "griffe" del Servizio, sintesi di cultura, conoscenze consapevoli, ma anche di "miti" in gran parte invisibili sulle proprie origini personali ed istituzionali.

La continuità terapeutica può oggi essere intesa come continuità di un progetto nel tempo e nei mezzi (strumenti e spazi) a disposizione, strumenti che devono essere almeno quelli previsti dall’ultimo progetto obiettivo "Tutela della Salute Mentale".

Nel corso del tempo le dimensioni e i confini di questa nostra bottega si sono ampliati e la connotazione artigianale progressivamente è divenuta un po’ angusta, in uno scenario in cui emergevano nuove richieste da parte dell’esterno, i clienti si differenziavano (non solo i pazienti psicotici, ma anche la patologia nevrotica) e all’orizzonte compariva la concorrenza (il privato), che spezzava il regime di monopolio.

IL DIPARTIMENTO DI SALUTE MENTALE OGGI

Nuovi problemi si facevano via via più pressanti e prendevano campo i moderni strumenti di valutazione e di verifica del nostro operare:

  • i sistemi di valutazione della qualità dell’organizzazione
  • l’utilizzo di sistemi informativi nel controllo di gestione
  • i modelli di progettazione, anche i più raffinati
  • i suggerimenti provenienti dalla Medicina basata sull’evidenza
  • le proposte per l’accreditamento dei D.S.M.

Ci si è trovati di fronte a una vera e propria crisi di identità, in cui si sentiva in modo palpabile il pericolo di snaturare la propria peculiarità, appiattendosi in una dimensione impersonale, che poteva produrre smarrimento o efficientismi di facciata freddi, difensivi, copiati da modelli che mal si adattano all’operare psichiatrico.

Il rischio opposto, altrettanto pericoloso, poteva essere l’arroccamento in un’anacronistica posizione di rifiuto per il nuovo, considerato in toto negativo e inaccettabile. Ci viene in mente a questo proposito l’intervento di un noto psicoanalista in un convegno a Venezia sulla validazione in psicoanalisi, che aveva gelato l’uditorio dicendo semplicemente che ciò che accadeva all’interno della stanza dell’analisi riguardava esclusivamente il paziente e il terapeuta e nessuno aveva il diritto di interferire o di valutarne i risultati.

Tornando alla metafora della bottega rinascimentale, siamo coscienti che nella logica moderna risulti vincente, nel mondo del commercio, la grande distribuzione, che rende possibile coniugare efficienza, funzionalità dei prodotti e contenimento dei prezzi. Se però si riflette con maggiore attenzione, si può osservare che le esperienze all’avanguardia provengano dalle aziende che sanno conciliare senza compromessi l’efficienza con la creatività, creando prodotti di qualità, innovativi e non banali.

E’ d’attualità la grave crisi in cui versano certi gruppi industriali, che sono criticati per non essere stati in grado da una parte di creare modelli di pregio, appetibili dalla clientela e dall’altra di aver fallito nell’imporre un’immagine forte, capace di colpire la fantasia e l’immaginario dei clienti.

Ci pare, in sintesi, che una componente artigianale, creativa e originale, sia indispensabile anche in un contesto nuovo, particolarmente attento all’efficacia e all’efficienza e che si ispiri a modelli organizzativi di derivazione aziendale.

L’aprirsi all’intervento di rete e alla psichiatria di collegamento, soprattutto per le nuove problematiche afferenti ai Servizi, può permettere di rinforzare il potere contrattuale dello stesso DSM. L’ipotesi è che gli interventi a più alto costo diretto possano essere in qualche modo finanziati dalle altre attività del servizio nell’interazione con i nuovi committenti.

Si tratta di un progetto che a nostro avviso ha valore sia tattico che�strategico, allargando sempre più il campo della psichiatria di collegamento, dove il DSM si pone come un Servizio di II livello, che sempre meno risponde direttamente ma utilizza le stesse energie dei committenti nella elaborazione di risposte integrate.

La rete delle attività si tesse così, non solo per le nuove domande e le nuove patologie (nuove per i servizi), ma per nuove committenze istituzionali come le Scuole, altri Reparti dell’Ospedale, i medici di famiglia, gruppi sociali variegati ed in infine gli stessi Mass Media. Se il Servizio resta aperto sulla piazza, deve necessariamente confrontarsi con nuove domande, quali il trattamento delle patologie dell’anziano e le problematiche dell’adolescenza.

Peraltro queste nuove attività non vanno viste come separate dalle pratiche già esistenti, ad esempio la cura delle patologie gravi, ma come da esse derivanti naturalmente perché il Massimo Comune Denominatore e i mattoni con i quali lavorare restano inevitabilmente i nostri.

Queste attività vanno considerate come fonte di produttività redditizia, come creazione di valore "aggiunto", possibile e duraturo tuttavia nelle imprese già ben impostate e collaudate.

L’istituzione poi potrà chiedere all’ambiente deleghe e risorse, se esplicita le priorità e le metodologie per realizzarle, se rende trasparenti i percorsi formativi, se offre essa stessa strumenti di verifica e controllo del proprio operare. (Berti Ceroni).

E’ necessario porsi alcuni interrogativi, la cui risposta risulta vitale per la costruzione di un dipartimento che sia realmente moderno ed efficiente. 

  • Come conservare un'identita' che non significhi l'arroccamento in una posizione di rifiuto per il nuovo?
  • Come prendere dai nuovi strumenti gli aspetti realmente innovativi?
  • Come possono essere conservati l’attenzione, la cura, la raffinatezza che l’artigiano mette nel suo prodotto il una dimensione più moderna e attenta ai costi e all’efficienza?

Nel cercare di rispondere, da un lato pensiamo che sia necessario un dipartimento con una storia, una struttura organizzativa e un massimo comun denominatore "forti", dove sono riconoscibili i mattoni, il collante, i tessuti fondanti; dall’altro dobbiamo ricordare, come afferma Correale, che l’istituzione nel suo insieme è un’organizzazione vivente, un organismo transindividuale al quale ogni soggetto concorre con il suo personale assetto di emozioni, affetti, fantasie e motivazioni, anche nel co-determinare le progressive trasformazioni dell’istituzione stessa.

Su queste basi, pensiamo si possa arrivare a riconoscere ed esplicitare l’identità precisa di un DSM.

Abbiamo pensato quindi che identità e progetti necessitassero comunque di un sistema informativo, che evitasse il rischio dell’autoreferenzialità e fosse strettamente collegato alla clinica.

CONCETTO DI RETE

Se ci si pensa bene ha una valenza ambigua. Una rete serve per connettersi ad altre realtà, tenerle insieme, unirle… ma una rete può anche ingabbiare, bloccare e separare.

Lo abbiamo pensato come uno strumento multifunzionale (avevamo utilizzato in altri contesti il concetto del coltellino svizzero), in grado di essere utile in diversi ambiti, pur mantenendo doti di maneggevolezza e semplicità.

Ciò che ha reso possibile l’allestimento del sistema informativo nel nostro territorio è stata sostanzialmente l’organizzazione del Dipartimento, che prevede, al di là dell’attività clinica, la creazione di settori di intervento che hanno un responsabile e operano in modo trasversale (non separato per singole sedi), sul principio della continuità terapeutica.

Questo tipo di organizzazione si è rivelata estremamente funzionale nel campo dell’informatizzazione, favorendo la condivisione, da parte delle varie e articolate strutture psichiatriche, di un progetto comune.

Suggeriamo ancora alcuni aspetti che ci sembrano importanti nel lavoro di rete di un D.S.M.e che riprendono il lavoro del 2001:

 

  1. BUONA CAPACITÀ NEL MUOVERSI TRA "LE COSTELLAZIONI DEI GRUPPI"
    Occorre una buona capacità nel muoversi tra "le costellazioni dei gruppi" agevolando la possibilità che il pensiero di gruppo offra una sorta di "supporto spaziale" ai pensieri del singolo operatore, che si potrà così sentire motivato protagonista nella realizzazione degli obiettivi stessi. Ciò eviterà il frequente rischio dello strutturarsi di una dimensione contrapposta tra il pensiero-progetto, negoziato tra azienda e gruppo dirigente del DSM, il pensiero e l’operare del gruppo di lavoro allargato e la visione che i pazienti, i loro famigliari e il contesto sociale in cui vivono, hanno della cura stessa.
  2. SAPER SVOLGERE UN "LAVORO DI RETE", CON OSPEDALE, MEDICI DI FAMIGLIA, ISTANZE POLITICHE, SOCIALI E CULTURALI PRESENTI NEL TERRITORIO IN CUI IL DSM È COLLOCATO
    Il lavoro di rete — con ospedale, medici di famiglia, istanze politiche, sociali e culturali presenti nel territorio in cui il DSM è collocato — è strategia del DSM, ma anche il valore tattico perché facilita maggiore attenzione e disponibilità economica proprio per la cura e assistenza dei pazienti più gravi che rappresentano l’area di alto costo nell’organizzazione di un DSM. Creare questo ordito per la trama del nostro DSM è compito di un responsabile
  3. IMPEGNARSI IN UN IMPEGNATIVO LAVORO "DIPLOMATICO" E DI RESTYLING
    E’ necessario un impegnativo lavoro "diplomatico" e di restyling che a nostro avviso è fondamentale per negoziare budget significativi. Oltre che fare una buona assistenza psichiatrica, si tratta di "venderla" nel migliore dei modi. Risulta quindi importante il lavoro di pubbliche relazioni con le molteplici agenzie che interagiscono con noi, riducendo così gradualmente la diffidenza e la chiusura verso i nostri prodotti. In altre parole, anche così si possono ridurre i fenomeni di stigma nei confronti dei pazienti psichiatrici ma anche verso gli operatori che li curano e le molte incomprensioni ancora presenti rispetto al nostro operare.

Un’altra operazione di estrema importanza è l’identificazione di strumenti che siano in grado di misurare il grado con cui il Dipartimento assolve alla sua "mission".

Va osservato e analizzato ciò che avviene ai confini del setting terapeutico, indicatore preciso delle condizioni di salute dell’organizzazione, considerata come un organismo vivente, dotato di dinamiche psicologiche.

La cura con cui vengono tenuti i locali, la qualità delle interazioni di base con familiari e pazienti, il rispetto dei diritti fondamentali delle persone, l’accoglienza delle sale d’aspetto, lo stato d’animo degli operatori e i loro vissuti costituiscono fini cartine di tornasole, che forniscono il polso di quanto sia "sana" e funzionale l’istituzione stessa.

A proposito del lavoro di rete e del contatto con le agenzie sociosanitarie del territorio, un buon indice dello stato di salute del Dipartimento è il rapporto espresso in percentuale che c’è tra il lavoro impiegato per i pazienti e quello impiegato con i committenti.

CONCLUSIONI

L’oggetto della psichiatria è diventato un oggetto estremamente complesso, lontano da modelli riduttivi ed in fondo arretrati, che emergono dalle proposte di legge presentate negli ultimi anni, dove l’operare psichiatrico è visto solamente rivolto a pazienti schizofrenici cronici con problemi di pericolosità.

Ci preme inoltre sottolineare un altro concetto che ci pare di estrema importanza.

E’ vero che l’esperienza italiana, laboratorio privilegiato, come riconosciuto anche all’estero, non ha saputo produrre, se non in limitate ed apprezzabili eccezioni, rilevanze scientifiche "forti", all’altezza del suo operare, spesso "generoso" e altamente professionale.

Va però detto che il metodo scientifico e l’evidence based non sono stati ancora in grado di sviluppare strumenti efficaci di valutazione di interventi complessi e articolati come sono quelli psichiatrici. Un conto è rilevare l’efficacia di una determinata terapia, somministrata in un setting ben codificato, un conto è valutare gli esiti di un approccio multidisciplinare al paziente, che si prolunga nel tempo e soprattutto è calato nel suo reale contesto di vita.

Parafrasando il titolo di una relazione da noi proposta anni fa in un convegno sulla riabilitazione, ci si potrebbe chiedere:

"Se il paziente migliora e la scala di valutazione non lo rileva, siamo sicuri che non valga?"

Freud era stato molto colpito da una frase pronunciata da Charcot, tanto da riportarla più volte nelle sue opere, fino all'Autobiografia del 1924 (una volta, significativamente, è ricordata anche nel Frammento di un'analisi d'isteria). "Provenendo dalla scuola fisiologica tedesca, ci opponevamo alle sue novità cliniche … "Ma non è possibile – obiettò ad un certo punto uno di noi (lo stesso Freud) – ciò contrasta con la teoria di Young-Helmholtz". Charcot … disse una cosa che ci fece una grande impressione: La theorie, c'est bon, mais ça n'empèche pas d'exister".

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