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LA RICERCA SUI DISTURBI PSICHIATRICI NEI PAZIENTI TOSSICODIPENDENTI ED ALCOOLISTI

1 Dic 12

Di FRANCESCO BOLLORINO

Riassunto

In questi ultimi decenni, il disagio che inevitabilmente accompagna i soggetti con comportamento di abuso e dipendenza da sostanze ha assunto varie forme e modalità di espressione, caratterizzandosi come un complesso di alterazioni, tra loro associate: esse comprendono problematiche del comportamento sociale, dei meccanismi di funzionamento psichico e del quadro neuroendocrino. La ricerca in relazione a questi aspetti può fornire un fondamentale contributo alla realizzazione di iniziative di carattere preventivo o terapeutico più incisive.Nel presente lavoro si affrontano i più recenti contributi della ricerca sui tossicodipendenti, in particolare in relazione alle problematiche psichiatriche e al vasto campo dei fattori di rischio. Vengono difatti affrontate le tematiche inerenti le relazioni di attaccamento, le problematiche connesse alla fase adolescenziale, la crisi dell’autorevolezza delle figure adulte, la precarietà dei percorsi educativi oltre, naturalmente, ai conflitti emozionali, ai disturbi di personalità e ai quadri psichiatrici conclamati.

 

 

In questi ultimi decenni, il malessere individuale che inevitabilmente si accompagna alle persone con comportamento di abuso e dipendenza di sostanze ha assunto varie forme e modalità di espressione. In particolare, in questi ultimi anni che conducono verso la fine del secondo millennio esso si é sempre più caratterizzato come un complesso sempre meno omogeneo di alterazioni, indissolubilmente tra loro associate, del comportamento sociale, dei meccanismi di funzionamento psichico e spesso, anche, del funzionamento neuroendocrino.

In tal modo, i preesistenti disturbi "isterici" e "nevrotici" sono stati riassorbiti nella nosografia psichiatrica all’ interno di nuove e più ampie categorie; sempre più si è parlato di stati o condizioni "di confine" ("borderline") tra le classiche categorie nevrotiche e psicotiche: e, soprattutto, in misura sempre maggiore il disagio psichico individuale si é accompagnato a comportamenti di abuso di alcool e di altre sostanze psicoattive.

La ricerca, in relazione a questi fenomeni, si rivela pertanto come la sola possibile strada per interpretarli senza bloccarsi in sterili considerazioni teoriche o ancor peggio ideologiche, di fatto prive di qualunque capacità di comprensione reale e quindi anche, conseguentemente, di intervento terapeutico efficace: essa può inoltre fornire un fondamentale contributo al sorgere di nuove e più incisive iniziative di carattere preventivo. Molti, peraltro, sono i contributi che essa ha già potuto al riguardo fornire: ed é proprio partendo dalla loro analisi che vorremmo quindi ipotizzare le successive direzioni che a nostro avviso sarà possibile esplorare a breve termine, al fine di acquisire proficue indicazioni da utilizzare sul piano operativo, ad esempio, per consentire un maggiore controllo sul matching paziente-trattamento, per mettere a punto ed affinare nuove strategie terapeutiche sui pazienti e sul loro ambiente familiare, per contenere ed evitare il più possibile il burn-out degli operatori, per consentire in modo sempre più adeguato la valutazione e l’accreditamento dei Servizi pubblici e privati chiamati ad intervenire in questi ambiti di problematicità, che si sviluppano soprattutto, in modo manifesto, intorno a quel delicatissimo periodo dello sviluppo individuale che viene generalmente indicato con il termine di "adolescenza".

Molte problematiche adolescenziali, in particolare riguardo alla identità, alle relazioni e alla sessualità, sembrano peraltro radicarsi specificatamente nell'insicurezza dell'attaccamento con la madre (10, 11). Nelle storie che hanno preceduto l'esordio della tossicodipendenza, e dei disturbi di personalità che con essa sono associati, non e' infatti difficile ravvisare condizioni di alterato accudimento materno: l'accudimento mancato, l'accudimento soltanto mimato, o un accudimento intrusivo, possessivo e carico di frustrazioni che trasforma una profonda relazione interpersonale in un rapporto strumentale.

E ancora l'assetto della vita familiare, in cui uno spazio sempre più ridotto viene riservato alle relazioni interpersonali, l'intrusione dei media nel tempo libero della famiglia, insieme con un malinteso senso dell'autonomia e della responsabilizzazione del bambino, conducono ad uno scarso coinvolgimento dei genitori nella vita dei figli: la convivenza e il dialogo si limitano agli aspetti di superficie, alla organizzazione del quotidiano e alle risposte ai bisogni concreti espressi dai bambini. A questo proposito i dati del Center of Addiction and Substance Abuse (CASA – Columbia University -New York) sottolineano il fatto che gli adolescenti non disponibili alla cannabis e all'abuso di alcool hanno genitori profondamente coinvolti nella loro esistenza e nei loro progetti.

Anche l'assenza del padre, che spesso delega completamente alla partner l'educazione e l'accudimento dei figli, in particolare nell'infanzia prescolare, sembra aprire la strada ad una condizione di insicurezza che influenzerà le competenze sociali dell'adolescente; nostri studi su adolescenti che avevano sofferto della completa assenza del padre a partire dalla prima infanzia hanno mostrato significative alterazioni neuroormonali in risposta allo stress (12), non dissimili da quelle verificate negli adolescenti con ansia e frustrazione (13).

La cristallizzazione delle relazioni familiari, caratterizzate dal prevedibile, dal banale e dallo "scontato" (" … da lui che cosa ci si può' aspettare!"), insieme ad un notevole impoverimento della comunicazione emozionale e della percezione del trascendente, anche in senso laico, riducono progressivamente lo spazio degli adolescenti per acquisire considerazione di se', rispondere ai quesiti di senso e immaginare un proprio futuro.

Una intensa crisi dell'autorevolezza, e con essa dell’autorità, affligge genitori e insegnanti: gli adulti abdicano al loro ruolo e sono disillusi rispetto alla necessita' di trasmettere convinzioni ed elementi valoriali: gli adulti "si accontentano" di ridotte aspettative nei confronti dei bambini e degli adolescenti; le aspettative "forti" non vengono comunicate e condivise; oppure si assumono aspettative che proiettano frustrazioni e progetti degli adulti, senza che ci si metta in ascolto delle esigenze e dei sogni che ogni adolescente porta con se'.

Tutti i processi di relazione che consentivano, anche attraverso il conflitto, una solida identificazione e una conseguentemente sicura separazione, con l'elaborazione di una progettualità' autonoma e matura, sono disattivati da questa "latitanza" degli adulti.

La relazione adulto-ragazzo spesso si limita ad un "contratto" che consente di barattare profitto scolastico e osservanza di regole comportamentali in cambio di denaro: l'immagine della famiglia, prima di tutto, e non il benessere interiore dei suoi membri, e la centralità del denaro, con le sue capacità taumaturgiche, dominano già la scena che chi opera con i tossicodipendenti ben conosce: lo stesso denaro servirà a comprare una sostanza capace di indurre una immagine esterna di se' non corrispondente alle difficoltà interne, e di garantire un formale rispetto delle regole dell'integrazione sociale.

I percorsi educativi che non includono la formazione ad affrontare la fatica e lo sforzo, la capacita' di ottenere risultati con impegni coerenti e quotidiani, la capacita' di dilazionare la fruizione delle gratificazioni, e che non si articolano all'interno di una forte relazione tra adulto e bambino sembrano condurre, nel nostro tempo, alla definizione di una alterata soglia della gratificazione in un grande numero di individui: le situazioni del quotidiano appaiono a un crescente numero di adolescenti noiose, grigie, prive di senso e attrattiva; soltanto le condizioni "estreme", a forte impatto emozionale, paiono mantenere la loro capacita' di "rinforzo".

La stessa scuola sottovaluta la possibilità di trarre dai curricula e dagli elementi disciplinari le aree tematiche che possano fungere da sorgenti valoriali: il percorso educativo nella scuola dunque rischia di non offrire quei riferimenti che possono colmare il vuoto culturale in cui molti adolescenti stanno crescendo: anche le attività di prevenzione sono spesso attuate in un clima di vuoto culturale e considerate come attività aggiuntive rispetto al ruolo istituzionale della scuola.

In relazione a questi atteggiamenti, un notevole incremento di disturbi in cui si ravvisano le caratteristiche del comportamento "novelty seeking" o "sensation seeking" viene registrato recentemente tra gli adolescenti, e questo in associazione con l'incremento del disturbo di iperattività con deficit di attenzione.

Tra i cambiamenti consistenti del percorso di crescita degli adolescenti, capaci di originare nuove forme di disagio, non va dimenticata la progressiva anticipazione della pubertà, con notevole riduzione dell’età del menarca, che espone gli individui alla burrasca psico-biologica, caratteristica del periodo puberale, in una fase in cui capacita' cognitive, mondo relazionale e percezione della propria identità sono ancora quelle dell'infanzia: questa anticipazione, associata ad un sempre maggior ritardo dell'autonomia economica dei giovani, prolunga in modo abnorme il periodo dell'adolescenza, con conseguenze oggi ancora difficilmente misurabili.

Anche nell'ambito della assunzione dell’ identità sessuale e dell'accettazione del proprio corpo si vanno strutturando nuove disfunzioni e disturbi, non facilmente inquadrabili tra le forme psicopatologiche classiche, che spesso si incontrano nella storia che ha preceduto e accompagnato l'impiego delle sostanze e la dipendenza: il vuoto lasciato dalla scomparsa dei modelli di sessualità connessa con i ruoli sociali non e' stato colmato da una nuova e stabile concezione riguardo alla virilità e alla femminilità; in un ambito sempre più esteso la sessualità e la genitalità sono percepite ed agite senza connessione con aspetti affettivo-emotivi e progettuali.

Violenza e sessualita' sono spesso proposte come binomio dai media e dalla realta' sociale, aggiungendo altri pesanti cofattori alle difficolta' di strutturazione interiore degli adolescenti. Di fronte a questa realta' molti giovani stentano ad abbandonare la rassicurante visione del mondo tipica dell'infanzia, egocentrica e priva di confronto con l' "alterità", rimandando il confronto con l'accettazione degli altri e di se', in quanto entita' distinte, e della dimensione etero-sessuale.

Ci troviamo dunque di fronte ad adolescenti soli, perduti in un deserto emozionale, e spesso privi della percezione di un futuro possibile, costruito in modo unitario, seguendo riferimenti valoriali e coordinate impegnative. E questo in modo paradossale mentre gli stessi standard sociali impongono l'esigenza di essere "smart", intelligente, brillante, profondo, sensibile, socievole e comunicativo: una realta' molto lontana e che, non e' difficile cogliere la connessione, si puo' immaginare di avvicinare attraverso "scorciatoie farmacologiche" oggi sempre piu' specifiche e variegate.

Un quesito con il quale la recente ricerca si é ripetutamente misurata é il seguente: "E possibile individuare elementi predittivi dell'alcoolismo e dell'abuso di sostanze psico-attive?" Alcuni autori assegnano un peso essenziale alla precoce comparsa del comportamento antisociale e alle difficolta' della condotta scolastica: si tratta di forme gia' sintomatiche all'inizio della scuola materna che, nei follow up piu' prolungati, si sono rivelate le piu' stabili e persistenti (14-16). Tali caratteristiche della personalita' non sembrano comunque esaurire tutti gli elementi rilevabili nella storia comportamentale, relazionale e psicologica degli alcoolisti e dei tossicodipendenti.

Gli elementi del carattere che, negli studi prospettici a partire dall'infanzia prescolare, sembrano precedere l'esordio dell'abuso di alcool in eta' precoce comprendono la mancanza di adattamento alle convenzioni, uno scarso auto-controllo, un sostanziale anticonformismo, l'atteggiamento "novelty-sensation seeking", un elevato livello di impulsivita' e di aggressivita', una ridotta propensione all'evitamento del pericolo, un maggior senso di autonomia e l'incapacita' a dilazionare le gratificazioni (17).

Zuckerman sintetizza la sua immagine di condizione "a rischio" nella descrizione di una tipologia segnata dalla ricerca delle sensazioni forti, da una scarsa socializzazione ed una elevata impulsivita' (18). Altri parlano piu' genericamente di deficit nel controllo comportamentale, sempre riferendosi al quadro descritto in precedenza (19, 20).

Stacy pone in associazione, nel definire la condizione a rischio per l'alcoolismo, una particolare disposizione alla solitudine, l'atteggiamento di ricerca delle emozioni e delle novita' e l'esistenza di motivazioni cognitive per l'impiego della sostanza: tali fattori sarebbero positivamente correlati con le conseguenze avverse del bere, una volta che la storia di dipendenza o di abuso siano iniziate (21).

Lo studio dei fattori di rischio per le tossicodipendenze, considerato da alcuni non proficuo in relazione alle difficoltà di individuazioni e alla eccessiva variabilità, può guidare la ricostruzione delle storie dei tossicodipendenti.

Nel campo così vasto dei fattori di rischio sembrano emergere in percentuali elevate condizioni problematiche precocissime quali le gravidanze a rischio, le difficoltà del parto, l'incidenza dei parti pretermine, i traumi del parto e le varie patologie peripartum.

Un crescente numero di valutazioni retrospettive e di studi prospettici suggeriscono che la comparsa dei sintomi della personalità antisociale (ASP) o della iperattività con deficit di attenzione (ADHD) avvenga in età antecedente all'inizio dell'impiego di sostanze (22, 23).

Anche i disturbi affettivi nell'adolescente potrebbero essere, in riferimento ad un altra tipologia diagnostica di pazienti, preesistenti allo sviluppo dei disturbi additivi (22, 24): tale relazione cronologica è più difficile da cogliere se si pensa che ridotta autostima, frustrazione e atteggiamenti depressivi sono spesso inespressi negli adolescenti e "coperti" da comportamenti reattivi.

Interazioni povere o poco intense nella prima e nella seconda infanzia sono ritenute predittori stabili ed attendibili di molte forme di rischio psicologico e sociale che si manifestano con l'aggressività nell'età adolescenziale ed adulta (25). Un complesso insieme di fattori (aspetti sociali, comportamentali ed abilità interpersonali) determinerebbe un processo "a catena" nel quale il deficit nel processamento delle informazioni sociali induce a sua volta difficoltà a comportarsi competentemente: i bambini aggressivi divengono presto "impopolari" nella percezione del gruppo di pari e tale percezione viene inconsciamente assunta dagli insegnanti (26).

I bambini impopolari sono meno accurati nell'interpretare gli stimoli esterni e nel decodificare correttamente le intenzioni dell'altro; tendono a ritenere i fallimenti originati da cause interne; di fronte a situazioni nuove propongono soluzioni quantitativamente e qualitativamente insufficienti; ritengono la modalità aggressiva l'unica via alla relazione (27). Rapidamente si instaura un circolo vizioso tra rifiuti da parte del gruppo e ostacolo alla acquisizione di competenza sociale.

La condizione di impopolarità si accompagna inoltre alla iperattività, alla tendenza ad una caduta della stima di sé, alla depressione-isolamento e alle condotte immature e dipendenti (28). Altri studi evidenziano l'incapacità dei bambini rifiutati ad anticipare le conseguenze dei propri comportamenti, non utilizzando essi il modello antecedente-conseguente che permette di prevedere i risultati di una azione nell'interpretazione della realtà (29).

I bambini dai 3 ai 6 anni ci offrono informazioni attendibili sulla propria percezione e sulla propria disposizione affettiva nei confronti dei pari: l'aggressività e l'irrequietezza possono già costituire condotte problematiche che producono da parte dei coetanei "scelte" o "rifiuti" che si stabilizzano nel tempo (30). La "stabilizzazione" del comportamento aggressivo sembra confermata da ricerche prospettiche che hanno seguito i bambini sino all'età di 30 anni (31): occorre sottolineare, comunque, che con il passare degli anni l'aggressività é sempre più sostenuta da caratteri relazionali e interattivi che non da valenze individuali (32).

D'altro canto, anche il collegamento tra difficoltà nella relazione parentale, disturbi nell'attaccamento e sviluppo e stabilizzazione della depressione sembra essere stato documentato (33).

I bambini iperattivi, aggressivi e con difficoltà comportamentale presenterebbero una remissione spontanea dei disturbi in un numero esiguo di casi (4%) (34): verifiche attuate diversi anni dopo la scuola materna, nel tempo dell'adolescenza, continuerebbero a mostrare una elevata percentuale di disturbi nei soggetti problematici (35). Discordanti i dati sinora ottenuti riguardo al peso che le condizioni sociali della famiglia avrebbero nel determinare l'evoluzione dei disturbi del bambino (34).

Altri disturbi o condizioni problematiche si presentano in elevata frequenza nella storia dei tossicodipendenti: le difficoltà della identificazione sessuale e della evoluzione del rapporto con il genitore di sesso opposto; l'assenza della relazione con uno dei genitori; un difficile sviluppo del rapporto con il gruppo di pari (passaggio da monosessuato a eterosessuato); la caduta del tono motivazionale rispetto allo studio e allo sport; i disturbi dell'alimentazione; diverse di queste condizioni, espressione di disagio adolescenziale, sono di comune riscontro nel periodo che ha preceduto l'esordio dell'abuso di sostanze, e si possono significativamente correlare con il successivo sviluppo di ancor più gravi e conclamate patologie d’ interesse non più solo tossicomanico ma anche esplicitamente psichiatrico. Ad esempio, In uno studio quadriennale condotto in Israele dal 1989 al 1992 compresi su n. 53.379 soggetti ricoverati all’interno di comunità e ospedali psichiatrici si é trovata una comorbidità con l’ uso di alcool e di sostanze stupefacenti del 13,2 % per i maschi e del 3,6 % per le femmine. (115)

Uno studio della Prof. Vukov (116) ha evidenziato che il 41-43% dei tossicodipendenti soffre di Disturbi della Personalità. Fra i consumatori di eroina il 32% presenta Distimia mentre il 59% soffre di Disturbi Antisociali.

In un altro studio, condotto su un campione di 716 soggetti (117), si é rilevata comorbidità psichiatrica nel 47% dei pazienti (per la precisione nel 47% delle femmine e nel 48% dei maschi): le diagnosi più frequenti sono state il disturbo di personalità antisociale nel 25,1 % dei casi, e la depressione maggiore nel 15,8%. Le sostanze più frequentemente utilizzate erano la cocaina e l’eroina.

Conclusione del questa ricerca é che connessa all’ uso di queste sostanze vi é spesso una comorbidità psichiatrica, che si manifesta specialmente attraverso disordini del tono dell’ umore (mood disorders) e Disturbo di Personalità Antisociale.

Molti altri studi confermano e consentono di approfondire questi dati.

I risultati degli studi del gruppo di Rounsaville e Kosten (119, 120) mostrano come l'87% dei cosumatori d'eroina soddisfi i criteri per diversi disordini mentali.

Craig (121, 122), in base ai risultati del Minnesota Multiphasic Personality Inventory (MMPI), ha suddiviso i soggetti eroinomani in due classi: nella prima é evidente un incremento nelle scale D, Sc e Pd; nella seconda vi è un incremento nella scala Pd. La Depressione e la Sociopatia rivestono, secondo questa ricerca, un ruolo molto importante nella dipendenza da oppiacei.

Smyth e Washousky (124) hanno condotto uno studio che ha indagato gli stimoli al bere e gli stili di vita di soggetti alcolisti con doppia diagnosi in Asse II, presentanti cioé, in particolare, Disturbi della Personalità. 48 pazienti soggetti a trattamento ambulatoriale per abuso di alcool (75 % maschi) sono stati valutati con un’ intervista strutturata per diagnosticare i Disturbi di Personalità e sono stati conseguentemente suddivisi in due gruppi: 29 di questi presentavano una o più diagnosi di Disturbo di Personalità, soddisfacendone i relativi criteri, mentre i 19 rimanenti non presentavano nessuno di tali Disturbi. Questi ultimi soggetti, inoltre, manifestavano una minore gravità nell’ alcoolismo; i soggetti con Disturbo di Personalità, inoltre, mostravano maggiore incidenza di ulteriori diagnosi psichiatriche, in particolare sull’ Asse I. Utilizzando l’ analisi della varianza (ANCOVAs), i gruppi furono altresì confrontati rispetto ai rispettivi fattori in grado di innescare ricadute di pesante consumo e rispetto alle specifiche modalità di adattamento: nel gruppo di soggetti con Disturbi di Personalità si evidenziarono con maggiore incidenza la presenza di emozioni negative, conflitti interpersonali e verifica del proprio autocontrollo personale, che funzionavano come stimoli in grado di innescare le ricadute. Non furono peraltro rilevate differenze tra i due gruppi né nello svolgimento di specifici compiti né nelle strategie messe in atto per evitarli.

Un’interessante ricerca sull’ associazione tra Disturbo di Personalità Antisociale (D.A.P.) e utilizzo di marijuana é stato condotto tra il 1992 e il 1996 negli Stati Uniti (124). Questo studio esamina l’ associazione dei sintomi del D.A.P. con l’ abuso o la dipendenza di marijuana all’ interno di coppie di gemelli omozigoti maschi veterani del Vietnam. Nel 1992, 1874 coppie di gemelli omozigoti risposero ad un’ intervista psichiatrica strutturata tesa ad ottenere dati sulla loro storia di uso di questa droga e sulla presenza di sintomi di D.A.P. Tra individui selezionati in modo casuale da ogni coppia di gemelli, 8 su 10 sintomi del Disturbo Antisociale di Personalità erano significativamente più presenti negli individui con una storia di abuso o dipendenza di marijuana nei confronti di quelli che non avevano mai abusato di nessuna sostanza. Tra 99 coppie di gemelli "discordanti" (cioé nelle quali uno dei gemelli aveva fatto uso di marijuana e l’ altro no), comunque, solo due dei sintomi del D.A.P. ("incapacità di conformarsi alle norme sociali" e "inosservanza spericolata della sicurezza propria e degli altri") erano significativamente maggiori nei gemelli con abuso o dipendenza di marijuana rispetto ai loro propri fratelli gemelli che non avevano mai manifestato dipendenza o abuso di tale sostanza. Tuttavia, dopo l’ inserimento di ulteriori variabili oltre all’ abuso o alla dipendenza da marijuana (e cioé la presenza nell’ anamnesi di disordini della condotta, di abuso o dipendenza da alcool e di esposizione ai combattimenti nel Vietnam) soltanto uno dei criteri diagnostici per il D.A.P., vale a dire la "incapacità di conformarsi alle norme sociali", rimaneva significativamente maggiore nei gemelli con abuso o dipendenza da marijuana.

Dati significativi tra la comorbidità psichiatrica con presenza di Disturbo di Personalità Borderline e consumo di sostanze si ricavano soprattutto da una ricerca del 1996 di Busto et al. (125). Questi Autori hanno specificatamente analizzato la comorbidità psichiatrica all’ interno di un Ospedale nel quale si effettuavano disintossicazioni di pazienti con abuso di benzodiazepine. In questa ricerca sono state utilizzate le interviste semi-strutturate SCID 1 e SCID 2: i disturbi più frequentemente rilevati sono stati la Depressione Maggiore (33 %) e i Disturbi da Attacco di Panico (30%) per quanto riguarda l’ Asse I del DSM-III-R, mentre per l’Asse II sono stati rilevati soprattutto i Disturbi di Personalità Antisociale (42%), Paranoide (25 %) e Borderline (17%). Questi Autori sottolineano che i soggetti disintossicati dalle benzodiazepine erano anche al 77% eroinomani ed al 53% alcoolisti.

Un’ altra ricerca, di Araujo et al. 1996 (126), ha evidenziato che esiste una significativa correlazione tra pazienti che interrompono la terapia di disassuefazione e comorbidità dei disturbi di Ansia e di Depressione.

Milby et al. 1996 (127) hanno condotto un’ indagine sui pazienti a mantenimento con metadone a lungo termine, ed hanno verificato che il 55% presenta disturbi di ansia e il 58% disordini affettivi secondo le classificazioni del D.S.M.-III-R. Coesistenza di ambedue questi tipi di disordini fu rilevata nel 36% dei casi.

Marshall (128) ha studiato specificatamente i motivi della relazione tra abuso di sostanze e d alcool e disturbi di attacco di panico, da tempo noti ma non ancora ben chiari. Varie teorie sono infatti state sino ad ora proposte per tentare di spiegare la sempre più frequente comorbidità di questi due disordini: le due più diffuse sostengono, rispettivamente, che i soggetti con questa doppia diagnosi possono utilizzare le sostanze come auto-medicazione per i propri sintomi di ansia, oppure che si tratta di pazienti geneticamente predisposti per tale concomitanza di problemi. A giudizio di Marshall, qualunque si a la causa reale di ciò, i pazienti con disturbo di attacchi di panico che abusano di alcool o di altre sostanze richiedono una particolare attenzione da parte dei loro terapeuti: per poter effettivamente questo tipo di pazienti, infatti, sia la condizione di "addiction" sia i disturbi di attacchi di panico devono essere tenute in debita considerazione sin dal momento in cui viene formulato uno specifico piano di trattamento.

Hambrecht e Hafner (129) hanno invece approfondito le relazioni tra abuso di sostanze e prodromi della schizofrenia. Secondo questi Autori, infatti, fino al 60 % dei pazienti schizofrenici cronici sono segnalati per abusi di alcool o di droghe: questa comorbidità solleva il problema se uno dei due disturbi sia conseguenza dell’ altro. Attraverso l’ utilizzo dell’ intervista strutturata "IRAOS", l’ approssimarsi ed il decorrere della schizofrenia e dell’ abuso di sostanze sono stati retrospettivamente valutati in un campione di 232 pazienti schizofrenici con esordi caratteristici e particolarmente significativi. L’ abuso di alcool precedente alla prima manifestazione di schizofrenia é stato rilevato nel 24% dei casi studiati, il consumo di droghe nel 14%: questi valori sono all’ incirca il doppio delle percentuali relative alla popolazione in generale. L’ abuso di alcool seguiva, più frequentemente rispetto al precedere, il primo sintomo di schizofrenia. L’ abuso di droghe precedeva il primo sintomo della psicosi nel 27,5% dei casi, lo seguiva nel 37,9% dei casi ed emergeva durante il medesimo mese nel 34,6% dei casi. Questa ricerca dimostra una significativa associazione tra il primo episodio di schizofrenia e l’ abuso di sostanze, tuttavia non é sufficiente per sostenere né una causalità unidirezionale tra i due disturbi considerati (sia in un senso che nell’ altro) né l’ esistenza di uno specifico disordine psicotico nei casi di comorbidità.

Particolarmente interessante, in questo ambito relativo ai disturbi sull’ Asse I, anche lo studio di Lambert et al. (130) che ha esaminato le caratteristiche, associate con l’ abuso di sostanze, dei pazienti temporaneamente ricoverati nel reparto di Psichiatria dell’ Ospedale per Veterani di Dallas. Un totale di 452 riassunti di casi relativi a soggetti consecutivamente dimessi durante un periodo di sei mesi venne esaminato in relazione alla presenza o meno di una diagnosi documentata di abuso o dipendenza da sostanze psicoattive, e come prova di effetti negativi sul piano della salute o a livello sociale derivanti dall’ uso di droghe o alcool entro un mese dalla data di ingresso. Tali riassunti vennero divisi in tre gruppi, rispettivamente relativi a casi senza utilizzo di sostanze, con attiva dipendenza di alcool e con due o più dipendenze attive da sostanze. Furono quindi comparate le caratteristiche relative agli esiti demografici, diagnostici e di trattamento dei dati relativi ai tre gruppi. Il 58 % dei riassunti inclusi nella ricerca evidenziò in questi soggetti la presenza di dipendenza da almeno una sostanza. I tre gruppi studiati differivano per età, genere, composizione razziale e comorbidità psichiatrica. Il gruppo senza alcun attivo abuso di sostanze presentava una più elevata età media, includeva una maggiore proporzione di donne e mostrava una più elevata proporzione di pazienti con Disturbo Bipolare e Maniacale, Depressione Unipolare e Demenza. Il gruppo con dipendenza da due o più sostanze presentava un’ età media più giovane, una più elevata percentuale di Afro-Americani, ed una più alta proporzione di pazienti con Disturbi di Personalità di gruppo B e Schizofrenia. Il gruppo con la sola dipendenza da alcool si trovava a metà tra i due altri gruppi per quanto riguarda l’ età media e presentava una composizione razziale simile a quella del gruppo che non mostrava alcun abuso di sostanze. In conclusione, un’ alta proporzione di reduci che ricercavano cure relative alla salute mentale presentavano dipendenza da sostanze. I profili relativamente differenti dei pazienti che mostravano il solo abuso di alcool rispetto a quelli che abusavano di più di una sostanza evidenzia la necessità di programmi specificatamente progettati per ognuno di questi due gruppi.

Nell’ ambito delle ricerche sulla comorbidità tra disturbi psichiatrici ed utilizzo di sostanze, una vasta parte di studi sono stati dedicati al Disturbo di Deficit di Attenzione con Iperattività (DDAI o ADHD: 131- 132-133-134) e dei Disturbi della Condotta. Da queste ricerche emergono elementi psicobiologici che caratterizzerebbero, in particolare, la sottopopolazione di quei soggetti eroinomani con una significativa presenza in anamnesi di tali patologie.

Per quanto riguarda infine il Disturbo Depressivo Maggiore (MDD), risulta di particolare interesse lo studio di Fava et al. su un campione di 396 pazienti depressi con diagnosi in Asse I (135): oltre alla comorbidità con l’ utilizzo di alcool o altre sostanze, vennero in questa ricerca prese in esame anche altre variabili, in particolare il sesso dei pazienti, la loro età al momento dell’ insorgenza di MDD e la presenza di altre patologie psichiche. Risultò che le donne rientravano in misura significativamente maggiore rispetto agli uomini all’ interno dei criteri per la comorbidità con la bulimia nervosa e la fobia semplice, mentre gli uomini erano significativamente più coinvolti delle donne all’ interno dei criteri per la diagnosi di abuso o dipendenza da alcool o da sostanze durante il corso della loro vita. Nessun’ altra significativa differenza tra i generi venne osservata all’ interno di questa ricerca sulla comorbidità con i disturbi su Asse I. In conclusione, questo studio evidenziò pertanto una forte comorbidità tra il Disturbo Depressivo Maggiore e l’ abuso o la dipendenza da alcool e da sostanze tra i soggetti di sesso maschile, e tra MDD e disturbi dell’ alimentazione tra i soggetti di sesso femminile.

Sulla base di queste e delle altre numerosissime ricerche sin qui condotte, risulta quindi ormai accertato che il comportamento additivo può con significativa frequenza presentarsi insieme alle seguenti entità nosografiche codificate sugli Assi I e II del D.S.M.-IV (23,79,104-110):

– disturbo di personalità di tipo antisociale;

– disturbo di personalità di tipo borderline;

– depressione maggiore o depressione atipica;

– disturbo di personalità di tipo narcisistico-istrionico;

– disturbo di personalità di tipo ansioso;

– disturbi d'ansia e/o attacchi di panico;

– deficit di attenzione con iperattività;

– disordini dell' alimentazione;

– disturbi dell'identità e della relazione sessuale;

– disturbi psicotici.

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