Riassunto
Vent’anni fa venne decretata la morte dell’alcolismo, affermazione che ora appare alquanto esagerata. In questo saggio si vuole dapprima tracciare la storia del concetto di alcolismo dalle sue origini nel 19° secolo fino ai giorni nostri toccandone le problematiche principali. Verranno successivamente illustrate le più importanti prospettive sulla dipendenza da alcol nonché le cosiddette nuove forme di alcolismo come la Sindrome da Dipendenza Alcolica la quale, in fondo, non è altro che l’alcolismo stesso mistificato sotto un altro aspetto. Si sottolineerà che la concreta alternativa all’alcolismo è un’azione sanitaria pubblica sui problemi dell’alcol che consideri la dipendenza da tale sostanza come progressiva tra la popolazione di bevitori abituali e che valuti tutti i problemi connessi a tale malattia. Il saggio si concluderà con una analisi delle implicazioni connesse a questo punto di vista nell’ambito, pratico e teorico, dei problemi dell’alcolismo.
Abstract
Twenty years ago, "alcoholism" was pronouced deat but reports of its deaths seem to have been greatly exaggerated. This paper will firstly trace the history of the alcoholism concept from its origins in the 19th Century to the present day and will briefly describe its main disadvantages for explaiting, treating and preventing alcohol – related problems. The paper will then describe perspectives on alcohol dependence that can be seen as alternatives to alcoholism, including the Alcohol Dependence Syndrome which, it will be argued, merely replicates the alcoholism concept in disguised form. It will then be suggested that the true alternative to alcoholism is the public health perspective on alcohol problems in which alcohol dependence is seen as continuous in degree throughout the population of regular drinkers and alcohol — related problems are disaggregated. The paper will conclude with a review of the implications of this view for the field of alcohol problems theory and practice.
Introduzione
Nel corso di una importante conferenza tenuta presso l’Istituto di Psichiatria di Londra nel 1979 (si veda Edwards & Grant, 1980), un relatore annunciò che l’alcolismo era morto. Avendo sviluppato il mio interesse in materia pochi anni prima, trovai questa affermazione piuttosto incoraggiante. Mi sembrò allora che ci trovassimo ad un punto di svolta, verso un approccio maggiormente scientifico all’interpretazione e al trattamento dei problemi dell’alcolismo. Ero certo che per la fine del secolo, il concetto di alcolismo sarebbe divenuto una mera curiosità storica.
La fine del secolo è ormai prossima, ma il concetto di alcolismo sembra essere più vivo che mai. Per parafrasare Mark Twain, le notizie sulla sua morte sembrano essere state piuttosto esagerate. Con ciò non voglio dire che l’alcolismo rimanga un concetto onnipresente tra l’opinione pubblica e nell’interpretazione comune dei problemi dovuti all’alcol. Risulta comunque diffuso nelle nazioni di lingua inglese, in cui generalmente opero, e con molte probabilità anche in altre nazioni. Nei circoli scientifici e professionali il concetto di "alcolismo" viene spesso usato, senza una vera e propria qualificazione e con modalità date per scontate, per riferirsi ad una problematica verso la quale sono diretti sforzi preventivi e trattamenti alcol-terapeutici. Ufficialmente l’Associazione Psichiatrica Americana (1994) e l’Organizzazione della Sanità Mondiale (1992), ha sostituito l’alcolismo con la diagnosi di "sindrome da alcol dipendenza", ma non posso che definire tale sindrome funzionalmente equivalente al concetto di alcolismo, verso il quale si credeva di aver compiuto passi rilevanti.
In questo saggio dapprima traccerò brevemente le origini e gli sviluppi del concetto di alcolismo per poi descrivere i suoi principali inconvenienti nella lotta alla riduzione delle problematiche ad esso connesse, presenti nella nostra società. Affronterò poi la questione del perché, considerati tutti gli inconvenienti connessi, il concetto di alcolismo rimane così diffuso per passare a delineare la sua principale alternativa — la nozione di sindrome da alcol dipendenza — in modo da determinare in quali modi, se ve ne sono, essa rappresenti un concreto miglioramento al concetto tradizionale. Infine, definirò le linee principali di ciò che io considero una valida e necessaria alternativa all’alcolismo – la prospettiva del problema del bere strettamente connessa con il modello della sanità e del benessere pubblico sulle problematiche dell’alcol — e tratteggerò le principali implicazioni pratiche e teoriche.
Origini e sviluppo del concetto di alcolismo.
Magnus Huss e" l’alcolismo cronico".
E’ risaputo che il termine di alcolismo, o più precisamente di " alcolismo cronico", venne coniato dal fisico svedese Magnus Huss verso la metà del 19° secolo. E’ meno risaputo che l’intenzione principale di Huss nella stesura del suo studio era di fornire una descrizione clinica accurata e sistematica delle conseguenze negative, principalmente di quelle fisiche, che occorrevano ai forti bevitori cronici (si veda Bynum, 1968). Successivamente il termine è stato utilizzato anche per indicare, a differenza delle intenzioni di Huss, un latente processo patologico che deriva da un forte uso di alcol.
L’approccio della Temperanza nella dipendenza da alcol.
Bisogna ricordare in questa sede un altro approccio al problema dell’alcolismo proprio del 19° secolo. Si è spesso ritenuto che la visione temperante del problema dell’alcol fosse semplicisticamente quella di una disapprovazione morale. Al contrario, i sostenitori del Movimento della Temperanza, fondato da Benjamin Rush, erano ben consci delle proprietà additive dell’alcol etilico, ed erano protesi, almeno nelle prime fasi del Movimento, ad assolvere da ogni responsabilità i bevitori cronici addebitandola al destino. L’obbrobrio morale era riservato principalmente ai bevitori moderati e a coloro che incoraggiavano o foraggiavano l’uso di sostanze giudicate velenose e additive (Levine, 1978). Il punto di svolta nell’interpretazione propria di tale movimento, e che ha aperto la strada verso la concezione attuale di alcolismo, fu quando ci si rese conto che chiunque facesse uso di alcol poteva divenire un alcolista e non solo chi ne era geneticamente o per destino predisposto. Il problema, veniva allora visto come connesso, per usare la terminologia tradizionale, "alla bottiglia" e non "all’uomo".
Il movimento Alcolista.
Grazie ai positivi risultati ottenuti dal movimento della Temperanza nell’introdurre proibizioni, prima a livello locale poi a livello dell’intera nazione degli Stati Uniti, e grazie ad una netta diminuzione nel consumo di alcol a causa di vari fattori come quello economico, l’interesse della medicina e degli studi scientifici in materia aumentarono considerevolmente nel corso del 20° secolo. Il Movimento Alcolista nasce da un alleanza tra l’Associazione dell’Anonima Alcolisti, tra il Dipartimento Nazionale sull’Alcolismo e tra il Centro Studi sull’Alcol di Yale. Importante è stata la sua azione nel promuovere negli anni ’40 e ’50 in America e in molte altre nazioni, il concetto di alcolismo quale malattia a tutti gli effetti. Come ricordano coloro che furono direttamente coinvolti (es. Strauss, 1976), gli obiettivi del movimento erano estremamente pratici: combattere gli stigmatismi e i pregiudizi, incoraggiare gli alcolisti e i loro famigliari a cercare aiuto, migliorare l’immagine degli alcolisti tra i gruppi e le associazioni d’aiuto; scarso era ancora l’interesse verso i risultati derivanti da studi medici e scientifici (si veda anche Room, 1972).
Per raggiungere questi obiettivi era necessaria una nuova interpretazione del concetto di alcolismo. A seguito del Proibizionismo Nazionale nel 1933, il pubblico americano era ormai stanco della continua disputa tra gli "asciutti" e i "bagnati" che aveva caratterizzato il dibattito della Temperanza e non avrebbe più tollerato nessun altro messaggio promozionale che smuovesse un sentimento "anti — alcolista" (Room, 1972). Come conseguenza, la nuova amministrazione Roosvelt evitò accuratamente ogni minimo coinvolgimento nel problema alcolismo, che divenne sempre più pregante non appena terminò il Proibizionismo, e lasciò il compito di trovarvi soluzioni alle associazioni private. A ciò si deve aggiungere il grande cambiamento culturale e sociale in atto in quegli anni al punto che essere astemio veniva visto come eccentrico e fuori moda: i valori propri del 19° secolo quali la frugalità, l’autocontrollo e lavorare sodo furono sostituiti dal consumismo, la ricerca del divertimento e del piacere. Bere alcolici divenne uno dei principali simboli di questa nuova "libertà".
Chiaramente, era essenziale che la nuova interpretazione di alcolismo come malattia dovesse evitare di criticare l’alcol. Si arrivò perciò a far risiedere le cause originarie di tale malattia nelle persone stesse che, per una predisposizione costituzionale o per una altra forma di pre — esistente anormalità fisica, non potevano assolutamente fare uso di alcol , nemmeno in minime dosi. In altre parole, per evitare di criticare l’alcol nell’ambito dell’alcolismo, la natura del problema venne collocata "nell’uomo" piuttosto che "nella bottiglia". Inoltre, si sottolineò che tale predisposizione, di qualsiasi natura fosse, era una condizione molto rara e che solo una minima percentuale di persone era a rischio, mentre la maggior parte ne era completamente esente. Anche in questo caso si era compreso che nessuna definizione del problema dell’alcolismo avrebbe potuto avere successo senza la concessione che milioni di persone "normali" potessero bere senza problemi. E’ per questa ragione che l’Anonima Alcolisti per molto tempo sottolineò di occuparsi solo di problemi alcolici che ad essa si rifacevano.
Viene spesso evidenziato che tale concetto di alcolismo venne ereditato dal 19° secolo ,dall’ideologia del Movimento della Temperanza attraverso la continuità storica tra l’Anonima Alcolista e le precedenti società di mutuo soccorso ( es. Harrison, 1970). Punti di contatto si ritrovano infatti nel concetto di dipendenza alcolica e nelle connesse definizioni di "desiderio ardente" e di "perdita di controllo" (Levine,1978). La profonda differenza tra l’ideologia di dipendenza alcolica propria del 19° secolo e quella più recente, risiede nel fatto che la prima si applicava a tutti coloro che bevevano alcol, mentre quest’ultima si applica solo ai pochi che ne sono predisposti.
Bisogna infine notare che la nuova interpretazione di alcolismo quale malattia, andava a grande vantaggio dell’industria di alcolici, la quale poteva affermare che i propri prodotti non provocavano nessun danno alla maggioranza delle persone e che solo pochi, con problemi personali, potevano trovare danno nel far uso di alcol. I problemi della minoranza non vennero tenuti in conto per giustificare una forte limitazione del bere che avrebbe coinvolto anche la maggioranza, estranea al problema. Quando negli anni '40 in America il Movimento Alcolista cominciò ad avere una larga diffusione, il settore industriale commissionò due studi privati concernenti le implicazioni per la prosperità futura ( Rubin, 1979). Entrambi i rapporti sottolineavano che non vi era nulla da temere poiché l’ideologia del Movimento Alcolista si adattava molto bene agli interessi industriali.
Jellinek e l’alcolismo.
Il testo di Jellinek The Disease Concept of Alcoholism (1960) segna i l punto di svolta per una interpretazione scientifica del concetto di alcolismo. Negli anni ’50 i pochi medici interessati nel trattamento del problema dell’alcolismo potevano contare su pochissimi studi e approfondimenti scientifici in materia ed erano perciò obbligati a basarsi, in tutto o in parte, sull’interpretazione di alcolismo come malattia data dall’Anonima Alcolisti. Il testo di Jellinek fornì a questo concetto appena abbozzato la solidità di un carattere scientifico. Tuttavia, come è successo per altri aspetti del lavoro di Jellinek, la sua interpretazione è stata spesso mal interpretata. Jellinek (1960) definì alcolismo "ogni consumo di bevande alcoliche che causa un qualsiasi danno all’individuo , alla società o ad entrambi" (l’italico non compare nel testo dell’autore). E’ interessante notare che questa definizione molto ampia è simile a quella proposta dal sociologo Cahalan (1970): …ripetuto consumo di bevande alcoliche che causa danni fisici, psicologici o sociali sia ai consumatori che a coloro che li circondano". Jellinek andò oltre e propose una distinzione tra "alcolismo" definito in questo modo molto ampio e "alcolisti": questi ultimi non erano solo coloro che soffrivano del problema dell’alcolismo, nella definizione riportata, ma erano propriamente coloro che soffrivano dei sintomi di tale problema, sintomi che potevano essere interpretati come malattie vere e proprie ( le specie gamma, delta e generalmente anche la ipsilon). Coloro che soffrivano dell’alcolismo alfa, che comportava il bisogno di alleviare il dolore emozionale, venivano descritti come "bevitori problematici". L’alcolismo gamma era il più diffuso negli Stati Uniti e nelle culture affini, ma Jellinek riteneva che le preoccupazioni normalmente connesse a questo tipo di alcolismo potevano condurre ad una visione miope del danno generale causato dall’alcol, come dimostra questa sua famosa dichiarazione: "Assumendo strettamente le nostre idee americane sull’"alcolismo" e sugli "alcolisti" (create dalla AA) e restringendo tali termini a queste idee, continuiamo a sottovalutare molti altri problemi sull’alcol che invece richiedono un’urgente attenzione". Con riferimento all’argomento trattato in questo saggio, il commento di Jellinek appare premonitore.
Dai tempi del lavoro di Jellinek, il termine di alcolismo ha continuato ad essere usato letteralmente in un modo alquanto nebuloso e mal — definito; il termine spesso è stato utilizzato quale sinonimo di "dipendenza alcolica". In tempi più recenti, questa mancanza di precisione nelle definizioni può essere scusata dall’avvento della sindrome di dipendenza da alcol (Edwards & Gross, 1976; Edwards e alt. , 1977) e dal suo formale inserimento nelle versioni successive dei sistemi di classificazione diagnostica del DSM e del ICD, ove ne sono state date definizioni abbastanza precise. Allo stesso tempo, è stata rivolta una certa attenzione anche alla delineazione dei sottotipi di alcolismo, tra i quali i più conosciuti sono il Tipo I e il Tipo II di Cloninger (Cloninger e alt., 1981) e il Tipo A e Tipo B di Babor (Babor e alt., 1992). Bisogna infine sottolineare che è praticamente impossibile realizzare pubblicazioni interessanti e istruttive in ambito di alcolismo e di dipendenza senza imbattersi in un uso dell’ "alcolismo" che Jellinek definisce come troppo semplicistico e non meritevole di ulteriori commenti.
Svantaggi del Concetto di Alcolismo
L’interpretazione della ubriachezza patologica presenta diversi svantaggi per un efficace trattamento, per la prevenzione del problema e per le prospettive di progressi scientifici in questo ambito. Non tratterò però in questa sede di tale argomento e rimando eventuali interessati al testo di Heather & Robertson, 1998). Mi limiterò a discutere su tre rilevanti aspetti negativi del concetto di alcolismo per poter fornire una adeguata risposta al problema connesso all'alcol.
L’ambito ristretto dell’ "alcolismo".
Un palese aspetto negativo, evidenziato anche da Jellinek (1960), è che il concetto di alcolismo limita l’attenzione dei vari interventi di prevenzione e di trattamento solo ai casi che presentano alti livelli di dipendenza e gravi e durature forme di danni connesse all’alcol, ignorando tutta quella gamma di manifestazioni e di effetti minori comunque dovuti al consumo di alcol e fortemente presenti nella nostra società. Questo punto di vista piuttosto miope è, come sottolineato anche precedentemente, una diretta conseguenza dell’esperienza americana del proibizionismo e della interpretazione da patologia dell’alcolismo che deriva proprio da tale esperienza (Moore & Gerstein, 1981).
La limitatezza della prospettiva sull’alcolismo si manifesta chiaramente sotto due aspetti. Il primo si riferisce al numero di persone che sono coinvolte in un qualche modo dal proprio o dall’altrui consumo di sostanze alcoliche. Per esempio, dall’ultimo sondaggio nazionale effettuato in Gran Bretagna nel 1996 ( Ufficio Nazionale di Statistica, 1997) si evince che non meno del 27% degli adulti maschi e del 14% degli adulti femmine bevono oltre i limiti raccomandati dal Collegio Reale dei Medici (1994). Sarebbe assurdo definire tutte queste persone degli alcolisti e chi ne fosse coinvolto se ne risentirebbe giustamente; alcuni di loro saranno stati dei "bevitori a rischio" con problemi alcolici non ancora evidenti; altri potranno aver avuto alcuni problemi dovuti all’alcol non particolarmente gravi. Dato però il loro elevato numero le problematiche complessive sono superiori a quelle dei forti bevitori (Kreitman, 1986). A questi ultimi devono essere aggiunti coloro che pur non essendo seri bevitori risentono negativamente degli effetti del consumo altrui di alcol.
Si noti che l’attenzione riservata a questo largo numero di bevitori che eccedono non risponde solamente ad un fatto di "primo intervento", che sarebbe perfettamente legittimato, per esempio, nell’ambito dei primi interventi di cure sanitarie. Piuttosto, questo largo gruppo costituisce un obiettivo di intervento di per se stesso sentito come prioritario e che risponde ad una ampia richiesta nell’ambito di problemi con l’alcol (Heather, 1989). Tale slittamento di attenzione verso un ambito più ampio non deve però comportare un minor interesse verso coloro che sono seriamente affetti dal problema dell’alcol, lasciandoli alle sole cure specialistiche loro necessarie per un efficace recupero. Non è richiesto un cambiamento di direzione, ma un ampliamento del focus di attenzione.
Il secondo aspetto in cui si può riscontrare la limitatezza dell’interpretazione della patologia si riscontra nella tipologia di problematiche connesse al consumo di alcol. Alcuni anni fa, Thorley (1980) formulò la schematizzazione di tre tipologie di problemi: quelli dovuti alla dipendenza da alcol; quelli dovuti ad un regolare consumo eccessivo di alcol e quelli dovuti alla intossicazione. Pur riconoscendo che le problematiche di una tipologia spesso sconfinano in un’altra e che è possibile che in uno stesso individuo si manifestino sintomi anche di due o di tutte e tre le tipologie, bisogna però ricordare che si tratta di tre ambiti concettualmente e praticamente distinti. L’argomentazione di Thorley punta sostanzialmente all’idea che il concetto di alcolismo abbia limitato l’attenzione ai soli problemi derivanti dalla dipendenza da alcol, trascurando gli altri due aspetti, le cui problematiche sono altrettanto presenti e dannose per la società quanto quelle dovute alla dipendenza. Il "paradosso della prevenzione" si applica in particolare all’ambito dei problemi connessi all’intossicazione: incidenti, violenze, assenteismo dal lavoro, perdite nella produttività industriale sono problematiche principalmente connesse con coloro che hanno un consumo moderato di sostanze alcoliche e che presentano bassi livelli di dipendenza (Kreitman, 1986).
Negli ultimi anni sono stati compiuti notevoli progressi nell’ampliare il centro d’attenzione. Negli Stati Uniti la pubblicazione del rapporto dell’Istituto di Medicina (1990) intitolato Broadening the Base of Treatment for Alcohol Problems (Per un ampliamento nel trattamento dei problemi dovuti al consumo di alcol) ha contribuito enormemente alla diffusione di questa più ampia prospettiva. La proliferazione di interventi brevi tra soggetti forti bevitori ma non sottoposti a trattamenti specifici è un chiaro esempio di tale ampliamento di interesse (Heather, 1995). Allo stesso modo, viene prestata molta più attenzione alle varie problematiche per uso di alcol che comportano incidenti e violenze, di quanto non si facesse in passato (Heather, 1994). In ambito professionale e scientifico, questo particolare aspetto negativo non viene più considerato come un semplice aspetto marginale.
Al contrario, la situazione al di fuori del mondo degli specialisti sull’alcolismo è ancora estremamente diversa. Tra il pubblico comune e nel linguaggio dei mezzi di comunicazione, predomina ancora una visione molto ristretta e limitata di tale problematica. Su questo versante risultano molto difficoltosi i tentativi per rendere l’opinione pubblica più sensibile e attenta a tutti gli effetti negativi del consumo di alcol. La situazione non può essere definita positiva neppure tra i professionisti; per esempio coloro che sono interessati ad ampliare la pratica degli interventi brevi a livello di prime cure sanitarie affermano che spesso i loro sforzi sono vanificati dalla difficoltà nel riuscire a smuovere i medici generici o in generale lo staff dei primi centri di cura dalla conclamata pratica di gestire e porre la propria attenzione solo ai più ovvi e visibili casi di dipendenza alcolica (Kaner e alt., in stampa). Ritengo che questa situazione possa essere migliorata solo se verrà attuato uno sforzo sistematico e ben strutturato per presentare ai professionisti ed anche al pubblico comune, un nuovo paradigma sui problemi dell’alcol.
Il carattere "tutto o niente" dell’alcolismo.
Un altro aspetto negativo del concetto di alcolismo consiste in una sua interpretazione manicheista del fenomeno: o tutto o niente; per l’alcolismo, infatti, il mondo si divide in due parti: coloro che hanno problemi con l’alcol e coloro che non ne hanno. Una conseguenza di questo aspetto è la limitazione di attenzione al problema alcolismo di cui abbiamo parlato nel paragrafo precedente, ma ve ne è un’altra ancora più dannosa. Grazie al grande successo dell’Anonima Alcolista, si è diffusa la loro immagine di alcolismo per cui il pubblico tende a pensare ai problemi per alcol in termini di manifestazioni molto drammatiche e di gravi disordini — delirium tremens, tremore mattutini, " i weekend persi" ecc — che necessariamente devono comportare la completa disintegrazione della famiglia, la perdita del lavoro e la rovina della propria salute. Questo stereotipo è avvallato dai film di Hollywood e da altre immagini create dai mass media.
Non si vuole sostenere che tali ritratti di alcolisti e di alcolismo siano necessariamente impropri o esagerati, ma è altrettanto vero che questi casi altamente drammatici sono piuttosto rari e che la maggior parte degli alcolisti non sono riconoscibili in questi stereotipi. Il fatto che si continui a proporli non fa che avvalorare l’idea che solo a questi livelli l’alcolismo diventi un vero problema e porta le persone a negare di avere dei problemi con l’alcol e a sostenere:" Io non sono un alcolista, il mio modo di bere è perfettamente normale". Questa tendenza comporta un’altra caratteristica propria del concetto di alcolismo con la quale il pubblico ha molta famigliarità, l’idea che la totale e duratura astinenza sia l’unico modo per riuscire a debellare il problema alcolismo. Ciò agisce come ulteriore deterrente al riconoscimento che bere possa causare dei problemi. Non viene affatto suggerito che l’astinenza totale non è sempre necessaria e che anzi nei casi di bassa o moderata dipendenza non è proprio richiesta (Heather & Robertson, 1983). Ancora una volta, non si tratta di una questione di primo intervento, anche se riconoscere il danno quando ancora è a bassi livelli di dipendenza associata ad una diffusa disponibilità a raggiungere traguardi più moderati sarebbero di notevole aiuto sia per interventi preventivi che di trattamenti successivi.
L’individualizzazione dei problemi con l’alcol.
L’aspetto più negativo del concetto di alcolismo e il più difficile da contrastare consiste nell’implicazione che il problema sia da imputare al singolo individuo e non alle sue relazione con gli altri, all’ambiente in cui è inserito o alla natura stessa dell’alcol, in breve ad una interpretazione "psicopatologica". Si è visto nei paragrafi precedenti che questa interpretazione è figlia delle politiche sull’alcol degli anni ’30 e ‘40, quando si sviluppò il concetto moderno di alcolismo, ma è importante notare che essa ha avuto una diffusione anche più ampia nei decenni successivi.
L’effetto diretto di tale concezione di individualizzazione del problema è la minore attenzione che viene riservata alle caratteristiche additive dell’alcol etilico. E’ interessante a questo proposito compiere un confronto tra l’alcol e altre droghe che creano dipendenza. Pur ammettendo che vi sono soggetti maggiormente predisposti ad avvicinarsi al consumo di droghe e che per taluni la propensione a sviluppare dipendenza da tali sostanze è più veloce che per altri, nessuno arriverebbe a sostenere che solo una certa parte predestinata della popolazione può cadere nel tunnel della droga. E’ unanimamente riconosciuto che l’eroina è una sostanza additiva che può creare dipendenza a chiunque ne faccia consumo. Abbiamo già visto come questo fosse il punto di vista dei promotori della Temperanza nel 19° secolo. Al contrario, l’interpretazione di alcolismo come malattia, nella forma promossa dell’Anonima Alcolisti successivamente accettata dalla maggioranza dei medici professionisti, supporta l’idea opposta: solo i pochi soggetti predisposti possono sviluppare dipendenza da alcol. Questi "doppi standard" vengono applicati sia alle droghe legali che a quelle illegali.
Altri effetti negativi di questa visione individualizzante si ritrovano nella sottovalutazione degli aspetti connessi con l’ambiente naturale e sociale. E’ infatti l’ambiente che crea e supporta l’interpretazione e la visione del problema alcol nell’immaginario collettivo, basti pensare a tutti quegli aspetti sociali e di costume che supportano il bere e coloro che ne fanno largo uso. Questa situazione costituisce per i governi e per l’industria di sostanze alcoliche un porto franco che li esenta da ogni responsabilità nei confronti di quei problemi connessi all’alcol che si manifestano nella società e che sono dovuti proprio a fattori inerenti all’ambiente stesso. Allo stesso modo, anche i normali cittadini possono serenamente continuare i loro affari affatto sfiorati dall’idea che i problemi di alcol possano essere una questione di responsabilità collettiva; al contrario, il compito di trovare soluzioni viene lasciato ai medici specialisti nella convinzione che gli alcolisti e l’alcolismo abbiano bisogno esclusivamente delle attenzioni di esperti.
In un clima siffatto, sicuramente le persone comuni non possono riuscire ad acquisire una efficace coscienza sul proprio rapporto con il bere.
L’aspetto della genetica nell’alcolismo
E’ appropriato a questo punto della relazione esporre gli esiti delle ricerche condotte per dimostrare che la predisposizione a sviluppare problemi con l’alcolismo ha basi genetiche. E’ innegabile che alcuni aspetti del metabolismo dell’alcol, che i problemi biliari o altre conseguenze fisiche dovute ad un eccessivo consumo di alcol, nonché i suoi diversi livelli di tolleranza, siano fortemente connesse con le caratteristiche genetiche di una persona. Tuttavia, la ricerca del gene dell’alcolismo si è dimostrata ora, e lo era anche in passato, una ricerca inutile e infruttuosa; molti professionisti accettano l’idea che l’ereditarietà sia poligenica (si veda Ball & Murray, 1994). Ne deriva che tutti coloro che bevono possono esserne geneticamente predisposti e non solo un piccolo gruppo di "alcolisti". Anche le differenziazioni nelle modalità e abitudini al bere tra i vari individui, i gruppi sociali o le varie nazioni, dipendono maggiormente da fattori socioculturali piuttosto che da fattori genetici. Alla luce di queste osservazioni, non è proprio più possibile richiamare l’aspetto genetico per validare il concetto di alcolismo.
Perché il concetto di alcolismo è così diffuso?
La risposta a questa domanda è implicita alla discussione che stiamo portando avanti. Come già sottolineato, il concetto di alcolismo risulta utile per l’industria di alcolici che si vede così sollevata da ogni responsabilità. Allo stesso modo ne traggono vantaggi le politiche governative di molte nazioni del mondo. Può sembrare paradossale che sia proprio la politica nazionale di un Paese ad accettare l’idea che bere sia una pura responsabilità personale, come dichiarava il documento politico del precedente Governo dei Conservatori della Gran Bretagna intitolato Drinking Sensibility (Ministero della Salute e della Previdenza Sociale, 1981). Anche l’attuale indirizzo politico "pro-affari" del nuovo governo laburista manifesta un atteggiamento di favore, se non addirittura di laisser — faire, nei confronti della produzione e della vendita di prodotti alcolici. L’atteggiamento governativo sembra sostenere che la responsabilità del problema dell’alcolismo è meramente personale e non è riconducibile all’azione di governo.
La politica sulla regolamentazione dell’alcol costituisce un tasto molto delicato e le proposte a favore di un incremento della tassazione degli alcolici o di una forte limitazione nella loro vendita e consumo per motivi di salute pubblica, risulterebbero controproducenti e impopolari in fase di campagna elettorale. Con ciò non si vuole auspicare che si arrivi alla situazione opposta, con un governo che possa ingerire completamente nel libero arbitrio dei cittadini imponendo dove, come e quando bere, ma un suo intervento risulta ormai indispensabile vista la comprovata evidenza che l’attitudine all’alcolismo è fortemente influenzata dal contesto ambientale e culturale (Edwards e alt., 1994). Concludendo, bere è sicuramente frutto di una scelta individuale, ma è comunque un affare di responsabilità collettiva , ed è proprio la collettività che si deve impegnare a favorire e creare un ambiente in grado di minimizzare i danni potenziali dell’alcol. Il concetto di alcolismo non fa che oscurare questo aspetto.
Né l’industria di prodotti alcolici né i vari governi avrebbero potuto sostenere il concetto di alcolismo senza il supporto della categoria dei medici, la quale ha senz’altro contribuito fortemente all’attuale stato delle cose. Ovviamente la presenza di una discreto numero di diagnosi di alcolismo legittima la preponderanza dell’attenzione dei medici in ambito di problemi alcolici e agisce come barriera nei confronti di altre professioni che affermano di possedere importanti conoscenze a riguardo, senza voler, con questa affermazione, insinuare una responsabile cospirazione da parte dei medici professionisti. Piuttosto, la tradizione e la pratica medica hanno forgiato l’idea che la dipendenza da alcolici e i problemi connessi siano di competenza della pratica medica. In una era nella quale, soprattutto in Gran Bretagna, la maggior parte degli interventi volti a risolvere le problematiche da alcol vengono condotti da personale non – medico, il concetto di alcolismo rappresenta una forte barriera ad una efficace comunicazione inter — disciplinare e ad una chiara politica di trattamento. Così in un’epoca in cui molti passi avanti in ambito di problemi con l’alcol sono stati compiuti proprio dagli esperti comportamentali e dai sociologi, la continua, ma ormai superata, rilevanza che viene riservata al concetto di alcolismo non fa che ritardare possibili progressi.
In conclusione non si può dimenticare un’altra importante ragione della popolarità del concetto di alcolismo: la imponete e mondiale influenza degli Stati Uniti d’America in ambito di dipendenza. Risulta paradossale, ma è proprio la nazione che ha ricoperto un ruolo fondamentale nella diffusione di precise politiche riguardo ai problemi dell’alcol e della droga, la nazione che annovera i più insigni teorici e le più significative ricerche in materia che ora influenza negativamente ulteriori progressi. La posizione americana risulta estremamente conservatrice e, in particolare, supporta una prospettiva medica su tali problemi che fa del concetto di alcolismo la sua pietra miliare. Ciò è in parte dovuto alla forte posizione assunta dalla Anonima Alcolisti e dai trattamenti basati sul modello americano dei Dodici — gradini, ma questa non è l’unica spiegazione. Determinante è senz’altro la forte influenza conservatrice data sistema di classificazione DSM su cui mi dilungherò in seguito.
La sindrome da alcol dipendenza.
La sindrome da alcol dipendenza venne introdotta per la prima volta da Edwards e Gross nel 1976. Nonostante la descrizione fatta dai due autori venne definita come "provvisoria", la sindrome ebbe subito una diffusione mondiale e venne incorporata come parte integrante della 9° revisione dell’International Classification of Diseases nel 1978 (Organizzazione della Sanità Mondiale, 1978). Non è questa la sede per dilungarsi nell’illustrazione dettagliata degli elementi costitutivi di questa sindrome, perciò si presuppone che chi legge abbia una certa famigliarità con le sue caratteristiche peculiari. L’aspetto che voglio trattare è se e come tale sindrome costituisca un progresso rispetto al concetto di alcolismo.
Prime descrizioni della sindrome.
Il principale progresso fornito dall’idea di sindrome era il fatto che la dipendenza non veniva più interpretata come o completamente presente o completamente assente, ma come un continuum (Edward & Gross, 1976). Si trattava sicuramente di un grande passo avanti rispetto alla precedente concezione e permetteva di compiere delle distinzioni tra i differenti gradi di dipendenza — basso, moderato o grave — con le correlate implicazioni a livello di terapia e di prevenzione — per esempio, se il soggetto in cura dovesse essere sottoposto a astinenza o a un trattamento più moderato; se gli si dovessero offrire terapie a breve o a lungo termine (Sanchez — Craig, 1986). Strettamente connesso è lo sviluppo di strumenti di misurazione dei diversi gradi di dipendenza, ormai riconosciuti come essenziali nella ricerca come nella pratica (Stockwell e alt. 1979; Skinner & Allen, 1882; Raistrick e alt. , 1983).
Il punto cruciale è che la dipendenza viene vista come continuativa solo all’interno della sindrome e non al suo esterno. La soluzione potrebbe essere l’idea che la dipendenza è continuativa in tutti i soggetti che sono regolari bevitori, inclusi coloro che non verrebbero qualificati come soggetti da sindrome. E’ sicuramente vero che pressoché tutti coloro che fanno un forte uso di alcolici risultano positivi alle strumentazioni di misurazione, più per effetto di elementi psicologici (es. alcune preoccupazioni legate al bere) o comportamentali (es. trascurare gli hobbies e altre attività ricreative) piuttosto che per effetto di elementi psicobiologici. In altre parole, anche la sindrome stessa appare come una visione o tutto o niente della dipendenza.
Nei suoi ultimi scritti Edwards sembra aver notato la caratteristica dicotomica della sindrome e i suoi punti di contato con la più antica nozione di alcolismo. Per esempio Edwards (1982) afferma che la sindrome: "..is an idea that is roughly coterminous with what many people would call the "disease of alcoholism" or with the Alcoholics Anonymous notion of what counts as alcoholism". Nel 1980, scrisse:
"We may guess that somewhere within the range of behaviours that go by the name of alcoholism, there lies a condition which is not to be understood simly in terms of variation but rather in terms of state. We try today to catch its image descriptively in terms of the dependence syndrome while others before us have certainly been trying to perceive its outline in terms of "alcoholism as disease". We are guessing though the somewhere in that landscape there is a real beast to be described rather than an arbitrary cut on a continuum, a label, an abominable and mythical medicalization" (Edwards, 1980).
La tendenza, propria anche all’interpretazione di sindrome, ad un ritorno ad una visione dicotomica è avvalorata da molti articoli che compaiono nelle riviste specialistiche dove le esemplificazioni dei casi riportati vengono divise nei due gruppi dei "dipendenti" e "non — dipendenti". Anche se gli autori di questi articoli tendono a fornire consultazioni e riferimenti alla sindrome da dipendenza alcolica all’inizio dei loro scritti, la modalità di trattamento non risulta molto diversa da quella precedentemente usata per l’alcolismo. Questa tendenza si è ancora più diffusa con l’inclusione della sindrome nelle classificazioni del DSM e del ICD.
Prima di passare ad altro argomento è interessante notare altri aspetti propri delle prime formulazioni riguardanti la sindrome da dipendenza alcolica. Tra questi si ricorda la netta separazione delineata tra dipendenza alcolica e problemi connessi all’alcol, aspetti senz’altro correlati tra loro ma interpretati come due ambiti concettualmente e empiricamente separati ( si veda Edwards e alt., 1997). Si è discusso molto su questo punto, ma non si è giunti alla formulazione di una accettabile definizione di sindrome. Ciò è probabilmente connesso al fatto che la sindrome sintetizzi elementi propri delle scienze sociali e comportamentali con elementi propri dell’ambiente medico. Come notò per primo Shaw (1979) l’idea della sindrome si basa essenzialmente su fondamenti psicobiologici — aumento della tolleranza, sintomi da astinenza, annullamento dell’astinenza e reinserimento di questi fenomeni dopo l’astinenza. Se si aggiunge che il sintomo principale della sindrome è un indebolito controllo sul bere (Edwards .,1977), notiamo che non c’è molta differenza con la classificazione di Jellinek dell’alcolismo gamma e delta. Ulteriori critiche di Shaw del concetto di sindrome, riguardanti l’ambivalenza, l’incosistenza logica e tautologica, non hanno mai avuto risposte soddisfacenti. La validità scientifica della sindrome è giustamente riconosciuta, ma sono ancora forti i dubbi sull’aiuto che essa possa fornire nel trattamento pratico di coloro che presentano problemi con l’alcol, specialmente se sottoposti a terapie proprie di ambiti diversi (Thorley, 1985).
Dopo aver preso in considerazione le varie argomentazioni pro e contro alla concezione di sindrome da dipendenza alcolica, rimane da affrontare la questione del perché si è ritenuto necessario parlare di "sindrome". Molti studiosi, tra i quali rientra anche la mia posizione, riconoscono la validità dell’idea di sindrome da dipendenza alcolica e la ritengono molto utile, sia in ambito di ricerca che di applicazione pratica, ma non comprendono la validità nell’etichettarla come una "sindrome". Nella mia interpretazione medica, il termine sindrome indica la concomitanza di sintomi apparentemente di diversa natura la cui coincidenza non trova una spiegazione accettabile. Nel caso della sindrome da dipendenza alcolica la situazione che si presenta è fortemente diversa: tutti i sintomi che concorrono sono una diretta conseguenza della latente condizione di neuro — adattamento all’alcol, risulta perciò estremamente logico che essi appaiano in concomitanza. Considerazioni come questa spinsero Shaw a sostenere che:
".. the syndrome idea was not simply an attempt to find a substitute for the concept of alcoholism; rather it was an attempt to create a particular kind of substitute concept — one which copied with all the critiques of the disease theory of alcoholism, yet which retained all its major assumptions and implications. The dependance syndrome concept would be a rationale for those persons involved in dealing with drinkers, who were perhaps embarrassed by the scientific untenability of the strict disease theory but who still felt nevertheless that people with drinking were ill, that their essential trait was an inability to control alcohol intake and thererfore that the basic treatment goal of abstinence should be retained in most cases".
Le classificazioni del DSM e del ICD.
E’ stato spesso affermato che i sistemi di classificazione diagnostica del DSM e del ICD hanno comportato una maggiore affidabilità e una standardizzazione dei metodi per la definizione dei disturbi correlati al consumo di alcol, con conseguenze positive anche nella ricerca e nella pratica terapeutica. L’altra faccia della medaglia consiste nel pericolo che si aderisca troppo strettamente a questi sistemi di classificazione soffocando così validi dibattiti sulla vera natura dei problemi alcolici, inclusa la sostenuta validità di una malattia a se stante, conosciuta come sindrome da dipendenza.
Se vi era ancora qualche dubbio riguardo la caratteristica del "tutto o niente" della sindrome da dipendenza, come formulata da Edwards e colleghi, ogni dubbio viene dissipato nelle versioni del DSM — IV ( Associazione Americana Psichiatrica, 1994) e del ICD — 10 ( Organizzazione Mondiale Sanitaria, 1992). In entrambi i sistemi la "dipendenza alcolica" viene nettamente distinta dall’ "abuso di alcol". Le prescrizioni sanciscono che se la dipendenza da alcol è abituale (ICD — 10) o sempre presente (DSM — IV), non è possibile formulare la diagnosi di abuso di alcol. Uno dei aspetti maggiormente sconcertanti sia del DSM — IV che del ICD —10 è l’assenza di individuazione dei sintomi fondamentali che permettano una diagnosi efficace. In entrambi i sistemi, la diagnosi di dipendenza viene formulata se sono presenti almeno tre sintomi in una lista di nove. Ciò comporta 99 possibili combinazioni di sintomi ed sono individuabili 175 coppie di gruppi di sintomi associati che però non presentano niente in comune. In queste formulazioni sembra essere andata persa qualsiasi elemento di coerenza che era presente nelle prime versioni.
Il problema del bere: una prospettiva alternativa.
Qual è quindi la possibile alternativa al concetto di alcolismo? Consiste semplicemente nell’idea che il focus dell’attenzione nella terapia e nella prevenzione dovrebbe essere incentrato sui problemi stessi che derivano dal consumo di alcol, di qualsiasi tipo o a qualsiasi livello di gravità essi si manifestino. In termini più formali, una definizione del problema del bere può essere tratta dalla definizione di alcolismo di Jellinek (1960) riportata nel primo paragrafo: qualsiasi consumo di bevande alcoliche che causi qualche danno all’individuo, alla società o ad entrambi. Sorge però la difficoltà che se si vuole adottare la definizione di Jellinek si utilizzerebbe anche il termine alcolismo per descrivere l’insieme dei problemi che si manifestano e ciò potrebbe causare qualche fraintendimento. E’ consigliabile perciò utilizzare un termine molto più concreto quale "problema del bere". Come detto precedentemente, questo spostamento di prospettiva era già stato anticipato 30 anni fa da Don Cahalan (1970).
Non mi addentrerò in questo saggio nella descrizione dettagliata di questa prospettiva alternativa, rimandando gli eventuali lettori interessati al testo di Heather e Robertson (1998), ma mi limiterò a tracciarne le linee principali.
- Il problema del bere non viene interpretato come una entità a se stante e non esiste una netta linea di demarcazione tra bevitori con problemi e bevitori senza problemi. Ci si riferisce agli stessi procedimenti per spiegare l’attitudine al bere sia di coloro che presentano abituali problemi alcolici sia di coloro che non ne manifestano.
- Il problema del bere non è interpretato come un fenomeno uniforme; vi sono differenti tipi di problemi con l’alcol, che non necessariamente si manifestano contemporaneamente e che possono avere un’unica soluzione. Si tratta di un modello "disaggregato" di problemi del bere di cui è affetta una larga parte della popolazione.
- I problemi del bere non necessariamente peggiorano con il passare del tempo; gli individui che fanno uso di alcolici possono presentare o liberarsi dei problemi alcolici svariate volte nel corso della loro vita.
- L’attenzione primaria nelle terapie di trattamento e di prevenzione viene rivolta ai problemi connessi al bere, ma anche la dipendenza da alcolici viene riconosciuta quale variabile che gioca un ruolo fondamentale sia nella definizione del problema che nell’individuazione della terapia e degli altri interventi da attuare. Il fattore dipendenza viene interpretato come continuativo tra la popolazione di coloro che hanno un consumo regolare di alcolici e non come fattore riconducibile solo a quella fetta di popolazione che ne fa un uso eccessivo.
- La dipendenza alcolica è interpretata in termini di comportamento del bevitore e non come una caratteristica biologica.
- I problemi con l’alcol e la sua dipendenza non sono solo il frutto di una particolare condizione biologica e psicologica, ma dipendono molto anche dal particolare contesto socioculturale. Quest’ultimo deve quindi essere tenuto in grande considerazione al momento della definizione degli interventi terapeutici e preventivi.
I punti appena illustrati sono solo un breve cenno sulla nuova prospettiva in atto, ma si può già comprendere come essa sia priva degli aspetti negativi individuabili nel concetto di alcolismo e discussi nel corso di questo saggio. E’ necessario sottolineare che affinché l’auspicato mutamento nella modalità di interpretazione dei problemi con l’alcol porti a esiti positivi e fecondi, è necessario che ne partecipino tutti i vari gruppi di specialisti e non solo gli specialisti nei problemi con l’alcol. Proprio perché i problemi con l’alcol investono l’intera società, e non sono quindi una preoccupazione dei soli medici o di una sola altra categoria di professionisti, risulta necessario che venga incoraggiato un nuovo modo di interpretare tali problemi, che si diffonda a tutti i livelli della nostra società. Questa è l’unica strada percorribile per giungere ad una razionale ed efficace soluzione delle varie problematiche connesse al consumo di alcol.
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