Noi riteniamo
che vivendo senza memoria
vacilla l’identità,
friabile
appare il terreno
sotto i piedi
della propria esistenza.
Arnaldo Nesti
che vivendo senza memoria
vacilla l’identità,
friabile
appare il terreno
sotto i piedi
della propria esistenza.
Arnaldo Nesti
Introduzione.
Ogni tanto, navigando nella rete, e dai miei “scatoloni” pieni di cose passate, affiorano documenti che inverano fatti accaduti realmente un quarto di secolo fa. Fatti d’impegno civile che oggi sembrerebbero impossibili. Un occhio gettato fugacemente nel presente ci rivela un aridissimo clima economico e socio-politico, di litigiosità accanita, protervia sfacciata, egoismo ignorante e cattivo. Ci segnala soprattutto una iniqua distribuzione mondiale della ricchezza. Povertà diffusa da un lato, molto vasto. Smodata concentrazione di capitali, dall’altro, molto ristretto, in pochissime mani rapaci. In più stiamo vigorosamente segando il ramo su cui stiamo seduti. Abbiamo i polmoni bruciati perchè siamo attaccati al tubo di scappamento delle nostre automobili, con tutto il CO2 che respiriamo. Brucia l’Artico dalla Siberia all’Alaska. Brucia L’Amazzonia deforestata da un piano criminale. Resteranno in pochi a godersi la bellezza del pianeta terra e sotto la tenda a ossigeno. “Non esiste un pianeta B” urlano nelle piazze i giovanissimi di tutto il mondo. Noi che flottiamo nella senectus, aggrappati alla nostra memoria nostalgica imprecisa e dismorfica temiamo seriamente di aver perso il futuro. La denatalità ingravescente è un segnale cupo, ma non si può dar torto a chi teme il futuro perchè il passato, ancorché bruttissimo, è molto lontano. Mancano finanziamenti per la scuola in ogni ordine e grado di studio. Le cosiddette “riforme scolastiche” sono state le più inutili e le più incredibili, spesso ad opera di ministri pigri, svogliati o somari. Come dice un vecchio adagio gli “ultimi nella scuola”, sono risultati “primi nella vita”, per lasciare il segno del loro ignorare, appunto! I servizi socio-educativi per l’infanzia sono di competenza degli Enti Locali, almeno fino alla scuola dell’obbligo. Ma se Atene piange, Sparta non ride. Se perfino la “Materna”, ha ricevuto una decurtazione delle magre risorse, allineandosi alla stolida politica generale per la scuola e per la sanità, non è che l’ultimo degli oltraggi subiti dai cittadini. L’università di recente ha visto i Carabinieri intervenire col bisturi per incidere un antico bubbone che dura da almeno mezzo secolo. Si legge sempre più spesso nella cronaca corrente, di ragazzini di età compresa tra 14-16 anni associarsi in babygang per sprigionare un sadismo crudele e violento senza ragione alcuna. Soltanto per il piacere di scagliarsi ferocemente verso persone deboli o inferme o vecchie. Per riprendere le loro gesta con lo smartfone e postarle sulla rete. Per “vincere la noia”, è stato anche ipotizzato da chi ha avuto modo d’interrogarli. No! A mio avviso non è la “Noia” di Moravia. L’ennui non c’entra niente, ma è la totale latitanza di un minimo di valori di riferimento, di un tentativo di dialogo. Chi ci ha mai parlato con loro? Non ci sono i genitori, non c’è la politica, non c’è la cultura elementare. Probabilmente nessuno controlla che seguano almeno la scuola dell’obbligo.
Il contesto storico. Il fluire eracliteo.
Ci fu un tempo abbastanza lontano, 26 anni fa, in cui il Comune di Pontedera, in provincia di Pisa, organizzò un Convegno – ho sotto gli occhi la locandina ingiallita – su un tema sociale ben mirato: “L’immigrazione e il lavoro in Italia”. Gli furono dedicate due giornate: il 12 e il 13 novembre 1993. La persona coraggiosa, alla quale dobbiamo l’iniziativa, era Arnaldo Nesti, un pistoiese di Agliana, sociologo e storico delle religioni, di chiara fama, un tenace “cattolico del dissenso” [01]. Il dissenso degli anni Cinquanta era una questione impegnativa e molto ideologica, bisognava schierarsi, "être engagé", sinistra/destra, di qua o di là. Era sempre stato così. Ricordo mio padre, un cattolico sturziano, quelli della “dottrina sociale della chiesa”, impegnarsi totalmente contro il latifondo in Sicilia nell’immediato secondo dopoguerra [02]. Il libro di Nesti la scomunica. Cattolici e comunisti in Italia. EDB, Bologna, 2018, recensito dall’amico Renato Risaliti [03], richiama oggi la polemica antica. Ma fu allora proprio il suo pensiero, la sua parola, i suoi scritti, che gli attirarono la scomunica di Pio XII. Arnaldo Nesti ne è una testimonianza. Infatti, analizza da oppositore, la politica di Papa Pacelli che il 1 luglio 1949 prende posizione ufficiale nei confronti del comunismo e sancisce la scomunica per tutti i fedeli che “professano questa dottrina”. È una guerra, senza esclusione di colpi. A livello internazionale c’è la “guerra fredda”. Al Patto Atlantico si contrappone il Patto di Varsavia. Vengono costruite due fortissime ideologie opposte e contrarie. Quella cattolica intransigente verso il sesso. Ai tempi di Pacelli, io e Silvia, che sarebbe divenuta mia moglie, da fidanzatini, fummo scovati abbracciati a Villa Borghese da una pattuglia e portati al commissariato, sotto la minaccia di telefonare ai genitori. Quella comunista altrettanto ostile e punitiva verso la Chiesa e la libertà. La primavera praghese e quelle successive nel “Blocco comunista”, nell’”Impero sovietico” erano ancora di là da venire. Ma intanto, qui in Italia, ci sono le prime elezioni dopo “il ventennio”. «Quante divisioni ha il papa?» Chiedeva, irridente, una fazione.
L’altra, capitanata dai “Comitati Civici” di Luigi Gedda rispondeva «Elettore. Nell’urna Dio ti vede, Stalin no!». “Se non metti la tua croce sullo scudo crociato della libertà, i Comunisti manderanno i Cosacchi ad abbeverare i loro cavalli alle fontane di San Pietro!”. “I Comunisti mangiano i bambini!”. La cosa strana è che questo tipo di slogan ignoranti e beceri non hanno mai smesso di funzionare, ciclicamente. Anche dopo la morte delle ideologie. Anche se si dice in giro che la destra e la sinistra sono concetti obsoleti, anzi spariti. “Basta fare le cose giuste che non sono nè di destra nè di sinistra”, dice una vulgata troppo semplificatòria. Certamente, ma bisognerebbe evitare di rubare, e fare comparaggio, tanto per cominciare, restando nel campo della salute. Solo il denaro non passa mai di moda.
Basterebbe alzare l’occhio e porgere l’orecchio a quel che sembra emerge dalla Val d’Enza, dove il raccapricciante “mercato” delle cosiddette “psicoterapie nelle adozioni” per i bambini strappati alle famiglie legittime, non aveva nulla da invidiare alla "Big Board", la celeberrima NYSE (New York Stock Exchange). Tutto, della “seduta terapeutica” (?), parrebbe essere stato negoziabile. Tutto poteva cambiare, mutare, ma il core business no. Indiscrezioni trapelate, adombrano che la “seduta” stessa (?), avrebbe avuto un prezzo, che poteva salire o scendere, che i componenti del team, potessero essere diversi, il minutaggio mutare, il giorno cambiare, ma quello che non doveva assolutamente interferire, nè profanare l’ambito sacrale della cura, era la cifra pattuita fra gli impostori. Per quel dettaglio del pagamento, c’erano appositi funzionari all’uopo delegati dall’Ente Locale. Vogliamo sperare non sia vero ma a quanto par di capire in questa oscura e terribile vicenda, tutti tacciono, tranne i Carabinieri. Provare vergogna, noo?
Il luogo dell’incontro e i partecipanti.
Pontedera era famosa per la “Piaggio”, la fabbrica di motoveicoli di proprietà del ramo Agnelli e per aver dato i natali a Giovanni Gronchi, Presidente della Repubblica Italiana con un passato da sindacalista. Il Comune di Pontedera, e questo è già un titolo di merito, indisse un Convegno sul tema “Immigrazione e Lavoro in Italia”, dedicandogli due giornate: il 12 e il 13 novembre 1993. Le strutture comunali erano state apparecchiate per ospitare il convegno e i convegnisti. Ci vennero a prendere con un “porter vetrato” della Piaggio. Pioveva che Dio la mandava. Fummo ospitati e autotrasportati. C’era da dormire e da mangiare, per ridurre al minimo le pause e mettere a frutto tutto il tempo dell’incontro per lavorare: discutere, informarsi, conoscersi, sapere le cose da coloro che avevano vissuto o vivevano l’esperienza, direttamente sul campo.
Il numero, la qualità e la competenza degli studiosi invitati era elevato e polivalente. Riguardava aree specifiche come il lavoro, il sindacalismo, il volontariato, la tutela dei diritti, della salute, di quella mentale in particolare, l’istruzione di base, il riconoscimento etnico, l’espressione religiosa e le tematizzazioni connesse all’incontro fra “popolazioni diverse”. Il fine era orientato verso una politica di integrazione. Per quanto riguardava specificamente la “Chiesa”, tra gli invitati, c’era chi nella “Chiesa” ci stava ancora, pur criticandola, chi c’era stato e ne era stato allontanato tramite la scomunica e chi non ne aveva mai fatto parte. Riteniamo sia utile fornire una breve scheda biografica dei partecipanti, anche per collocarli opportunamente nel contesto storico in cui si svolse l’iniziativa.
C’era il presbitero gaetano, Luigi Di Liegro (1928-1997), Fondatore della Caritas diocesana di Roma della quale fu direttore fin dal 1980, oltre che Delegato Regionale Caritas per il Lazio. Già la sua opera di assistenza agli “ultimi”, era ferocemente criticata dai perbenisti di ogni tipo, ma un episodio clamoroso, fra i tanti, ossia la decisione di concedere alloggio ai malati di AIDS, in una scuola abbandonata alla sommità di Villa Glori, ai Parioli. gli attirò rimostranze di ogni genere e – vicenda che tornò tutta a suo onore rendendogli merito – una rivolta dei pariolini!
C’era l’anconetano di Chiaravalle Vittorio Lanternari (1918-2010), titolare della cattedra romana di storia delle religioni. Allievo di Raffaele Pettazzoni, “alleato” di Ernesto de Martino, apprezzato cultore dei fenomeni religiosi, aveva introdotto nella tradizione storico-religiosa italiana un orizzonte più vasto, adattandolo alle prospettive storico-antropologiche contemporanee. Ciò che per lui appariva strategico nella ricerca dei fenomeni socio-religiosi, era la contestualizzazione storica. Da questa operazione risultò la possibilità di una lettura delle datità osservate, in stretto collegamento con le conflittualità politiche, sociali, economiche, etniche e ideologiche.
Del pistoiese di Agliana, Arnaldo Nesti, (1932), mio coetaneo, anima solerte del Convegno, s’è già detto. Si può aggiungere che era stato fra i primi a rilevare che «La gerarchia lanciava una sfida al mondo in senso lato, mentre avrebbe dovuto combattere non tanto contro il comunismo ateo perché questo in definitiva salvava la “fede” in un mondo migliore (ma che non era più ultraterreno), mentre il consumismo come avevano già dimostrato gli esempi di tanti paesi, distruggeva silenziosamente i principi basilari del cristianesimo così come erano stati elaborati nei secoli» (Recensione di Renato Risaliti, si veda nota 03).
C’era l’irrequieto ferrarese di Tresigallo Flavio Luigi Frighi (1922-2004), fondatore e titolare della cattedra di Igiene Mentale transculturale alla “Sapienza” di Roma. Fondatore della Società Italiana di “Medicina dell'Emigrazione”. Spirito generoso e uomo di vastissima cultura, autore di centinaia di pubblicazioni, aveva fatto parte di quello straordinario trittico romano di psicopatologi ad indirizzo fenomenologico formato da Bruno Callieri e Romolo Priori (traduttore di Jaspers), più volte in collaborazione tra loro, per affrontare i temi fondamentali dell’esistenza nella patologia mentale. Frighi, aveva girato mezzo mondo per completare la sua formazione. Era stato negli USA per il suo perfezionamento psichiatrico, in Inghilterra per quello psicoanalitico, in Africa per quello etnopsichiatrico.
C’era Il padovano Tullio Seppilli (1928-2017), emigrato in Brasile a seguito delle leggi razziali antiebraiche (1938), titolare della cattedra di Antropologia culturale all'Università di Perugia. Creatore, nel capoluogo umbro, dell'Istituto di Etnologia e Antropologia Culturale (1956). Con Giulio Angioni (Università di Cagliari) e Pier Giorgio Solinas (Università di Siena), consorziati a tre con l'Università di Perugia, aveva organizzato il primo dottorato italiano di “Metodologie della Ricerca etno-antropologica”. Presidente della Società Italiana di Antropologia medica (S.I.A.M.) e della “Fondazione Angelo Celli” (igienista marchigiano) per la cultura della salute. Erede e interprete dell'antropologia marxista, orientava i propri interessi di ricerca nella relazione complessa tra il biologico e il sociale; nella riflessione teorica della ricerca empirica e applicata; sulle tradizioni popolari e sulle medicine tradizionali.
C’era il sociologo Claudio Calvaruso (1939), nato a Mateur in Tunisia, diplomato a Ginevra in Scienze Sociali, con un curriculum imponente nell’area del terzo settore. Fin dal 1997 portavoce del “Forum terzo settore” per un confronto serio e serrato sul welfare coi vari parlamenti e i governi che si sono succeduti nel tempo. [04].
C’era Corrado Corghi (1920-2017) storico e politico cattolico, nativo Reggio Emilia, personaggio notissimo, celebre soprattutto per le sue iniziative di pace [05].
C’era Riccardo Colasanti, allora giovane collaboratore medico di Mons. Luigi Di Liegro, inventore del presidio di assistenza medica per immigrati di via Marsala, schivo di pubblicità, come sempre, attualmente Direttore “Health and Poverty Lab” del “Rielo Institute for Integral Development” [06].
C’era l’etnopsichiatra del SSN e antropologo Giorgio Villa [07] con la moglie che praticava il massaggio shiatzu e ci parlò a lungo di questa tecnica orientale appresa in Nepal. Con me c’era Silvia, mia moglie. L’organizzazione fu impeccabile.
La discussione
Quando presi la parola per il mio intervento feci una premessa osservando che, laddove era stato fatto qualcosa per accogliere, ascoltare, assistere gli immigrati, massimamente per ciò che riguardava la salute, e quella mentale in particolare, era stato messo a dimora un seme prezioso da cui era lecito attendersi un ritorno. Quanto meno, ci si era posti il problema, s’erano gettate le basi per un lavoro socio-sanitario col popolo dei migranti, chiunque essi fossero. Dunque sarebbe stato legittimo aspettarsi di poter riavviare un dialogo. Diversamente, laddove fosse stata fomentata la paura del diverso, dell’estraneo, dell’intruso, del ladro di lavoro, si era messa a dimora zizzania.
Poi ho cercato di inquadrare il cambiamento dei vari flussi migratori italiani negli ultimi trent’anni (1963-1993), rappresentando che la questione dei migranti, da noi, era una piaga antica, dove si mescolavano le esperienze dei nostri migranti con quelle degli altri. Ancorché il quadro tragico di abbandono costrittivo della madrepatria fosse simile, per quanto riguardava la nostra storia nazionale, bisognava cercare di spiegare, come e perchè, da terra d’esportazione di soggetti emigranti – prima e dopo l’unità d’Italia (1870) – ci eravamo trasformati in luogo appetibile di interessi immigrativi. Tra l’altro il nostro ruolo di potenza coloniale e colonizzatrice, tra le nazioni europee, era stato minimo e storicamente circoscritto, volendo sintetizzare, ai fatti di “Adua” [08], a quelli di “Sciara Sciatt” [09] e di Mai Ceu [10]. Se il ruolo coloniale fu esiguo non si può certo dire che sia stato esente da talune crudeltà, citate nei libri di storia [11]. Questo mi fa venire in mente che mio padre Ernesto Mellina, era coscritto del Negus Neghesti, come diceva mia madre per via della “classe si leva” (1892) e noi abbiamo avuto anche un “Ministero delle colonie”. La sede dell’edificio rossastro, così almeno lo ricordo, stava dentro Villa Borghese. Confinava con lo Zoo e tutte le volte che ci accompagnavo i figli (i primi due Luca Ernesto e Chiara) dimostravano più interesse per la nostra storia coloniale che per le scimmie e le bestie feroci.
La nuova immigrazione in Italia di popolazioni straniere prevalentemente di origina africana, all’epoca del convegno di Pontedera, vedeva protagonisti genti in fuga dai loro territori, evidentemente depredati da una secolare politica coloniale di spoliazione, e ancor oggi questa tristissima litania continua nella totale indifferenza europea.
In buona sostanza volevo sottolineare che se c’erano state zone e luoghi, dove s’era seminato qualcosa circa la salute mentale e l’assistenza ai migranti stranieri nell’arco dei trent’anni precedenti la riunione di Pontedera, essi si potevano rinvenire a Roma, Milano, Torino, Napoli, per quanto io ne sapessi, e dunque ci si poteva attendere una più facile collaborazione o un sostegno.
Testo inedito del mio intervento.
Il titolo era: Sergio Mellina. Le culture della salute in una società multiculturale. Di tutta la relazione, la lunga discussione e gli appunti presi nelle due giornate di lavoro, mi son rimasti questi pochi frammenti che trascrivo qui di seguito.
«Prima di tutto devo ringraziare gli organizzatori di questo Convegno – in particolare il Prof. Arnaldo Nesti – non tanto per avermi invitato, il che sarebbe pura cortesia, ma per aver promosso questa iniziativa.
Pensate, da un recente catalogo risulta che in Italia si pubblicano più di 50 Riviste che trattano di immigrati. Ma i contributi dei cultori (o tutori) della salute e di quella mentale, in particolare, sono esigui.
L’argomento specifico del Convegno di oggi, quello dei diritti – curiosamente latitante nei molti Convegni passati e negli ancor più numerosi che si tengono oggigiorno sulla migrazione – è “merce rara”, o meglio, occasione preziosa se non addirittura eccezionale, com’è stampato sulla locandina di presentazione. Se non vado errato, negli ultimi trent’anni in Italia ve ne sono stati tre, più un pezzetto di un quarto e una giornata di un quinto, tenuto proprio l’anno scorso dall’Istituto di Studi Sociali e sanitari presso l’Aula delle teleconferenze del Rettorato dell’Università La Sapienza di Roma. Il che significa uno ogni sei anni. Da contarsi sulle dita delle mani, come si suol dire. Questo di Pontedera sarebbe dunque quello che completa le dita di una mano, diciamo la destra o inizia quelle dell’altra, la sinistra, fate un po’ voi!
Tanto per orientarsi, dal dopoguerra ad oggi, i capisaldi, in materia di “Migrazione – Lavoro – Salute Mentale”, restano questi di cui, qui di seguito, se ne accenna una elenco, con accanto i protagonisti del settore di competenza, che per l’occasione presentarono studi, lavori o relazioni ad hoc.
– Milano 1963 “Il viaggio della speranza” – Dal sud al nord del paese e dall’Est all’Ovest, con la deflagrazione del boom economico nazionale. Contributi di Dario De Martis, Tullio Seppilli.
– Varese 1974 “Le prime avvisaglie dei rientri, in conseguenza della grande recessione mondiale per la stenosi convulsa e improvvisa dei rubinetti del petrolio arabo”. Contributi di Dario De Martis, Fausto Petrella, Sergio Mellina, Antonino Lo Cascio.
– Roma 1988 “Medicina e Migrazioni”. Atto primo, messo in scena da Flavio Luigi Frighi meritoriamente.
– Roma 1989 “Per una società multiculturale”. Una kermesse di circa sei giorni, sotto la regia di una profetica Maria Immacolata Macioti, in cui solo un settimo del tempo fu dedicato alla patologia psichiatrica dell’immigrazione, si badi bene immigrazione e questo conferma i segnali di una svolta nel panorama migratorio italiano.
– Roma 1990 Flavio Luigi Frighi. “Medicina e Migrazioni”. Atto secondo.
– Infine eccoci qui a Pontedera 1993. Ebbene, questo convegno buon ultimo, secondo me, ha il pregio e la peculiarità di coniugare con la salute quello della cultura, anzi delle culture e dei diritti, per dirla in inglese del welfare.
Mi pare superfluo precisare che nessuno dei congressi particolari fin qui citati, si sia occupato del raffreddore o della dissenteria dei migranti (afflizioni peraltro dignitosissime, ancorché fastidiose), bensì della salute in generale e ritengo che anche oggi si persegua il medesimo obiettivo. Salute è ben altro che non avere malattie, al pari delle culture che la sottendono, diritti e dignità di lavoro.
Com’è ormai ampiamente noto e sancito anche dall’OMS/WHO la salute non è solo assenza di malattia ma soprattutto benessere psicofisico dell’individuo, derivante dal pieno godimento delle libertà e dell’osservanza dei doveri e dei diritti umani vigenti nel suo contesto o meglio consentanei ai valori della comunità-etnia di cui egli è espressione. Per quanto riguarda noi europei (od Occidentali che dir si voglia) dove la comunità-etnia è chiamata “società civile”, al concetto di salute bisogna ancora aggiungere qualità della vita, ossia casa, lavoro, cibo, rispetto e una complessa rete di servizi atti a promuovere prevenzione sanitaria, istruzione, assistenza e sicurezza sociale. Questo principio – almeno in teoria – se vale per noi popoli “progrediti” dovrebbe valere anche per gli immigrati provenienti dai paesi in via di sviluppo che vi vengono a lavorare come ospiti (Gastarbeiter si diceva 20 anni fa in Germania, ora si dice Asylanten), che sarebbero i “terroni” dei Tedeschi patinati e facoltosi dell’Ispettore Derrick».
A parte il fatto che qualche anno fa l’OMS/WHO ha enunciato il seguente aforisma «No health without mental health», e recentissimamente ha denunciato un “lucro ingiustificato” nell’industria del farmaco, allora fu di estrema importanza, a mio avviso, l’iniziativa di redigere una Carta dei diritti sociali degli immigrati economici in Italia, di cui si fece carico Arnaldo Nesti [12]. Successivamente il testo comparve su “Religioni e Società”. Sarebbe interessante rintracciare il documento e ripubblicarlo su Pol.It
Note
01. Arnaldo Nesti, studioso e saggista, ha insegnato Sociologia e Sociologia della religione all'Università di Firenze e al Pontificio Ateneo Marianum. A lui si devono importanti pubblicazioni, frutto di appassionati studi e di rigorose indagini critiche sulla società italiana analizzata nel contesto storico-sociale, politico e religioso. Scrive di lui l’amico Renato Risaliti, recensendo il suo libro La scomunica. Cattolici e comunisti in Italia. EDB, Bologna, 2018, «Arnaldo era allora vice assistente delle Acli ed aveva un incarico di insegnamento sociologico in una università pontificia a Roma. Cominciammo a frequentarci, conoscerci e stimarci. Poi maturò in lui la clamorosa rottura con la gerarchia della Chiesa a causa del suo saggio “L’altra Chiesa in Italia”. Ciò comportò la scomunica. Fu così che Arnaldo divenne una delle voci principali del “dissenso” cattolico e direttore di “Idoc internazionale” che aveva nel suo programma la bandiera del dialogo ecumenico».
02. Lo ricordo tredicenne con mia madre, al Teatro Politeama di Palermo, tutto esaurito, nel 1947 in una conferenza infuocata, scagliarsi contro i latifondisti e denunciare le loro proprietà. Noi eravamo “scesi” da Bologna, perchè lo avevano chiamato i suoi antichi giovani amici “popolari”, quelli della “dottrina sociale della chiesa”, di prima delle dimissioni di Luigi Sturzo da segretario del PPI (novembre 1923), ostile a Benito Mussolini e poi costretto all’ “Aventino” antifascista. Ho rintracciato i suoi appunti battuti a macchina su una logora carta velina e corretti più volte con lapis nero e biro, l’ordine delle pagine cambiato con i numeri cancellati al centro e sostituiti in alto a destra. Ho avuto un tuffo al cuore. Il titolo era Panorama verghiano del latifondo, sovrascritto a mano sul sottostante titolo a macchina: Risolvere la questione siciliana. Ne cito un breve passo. «… “Punctum pruriens” della questione siciliana fu il latifondo. Per chi non lo sapesse, il latifondo in antico fu un derivato storico delle usurpazioni dell’ager publicus che diventò concentrazione di proprietà provenienti da successioni testamentarie gentilizie oppure il risultato dell’espropriazione di piccoli e medi fondi di possessori insolventi. Esso caratterizzava pertanto la sopravvivenza di un’eredità feudale che sfruttava a proprio vantaggio il lavoro altrui col sistema dell’affittanza del terreno lasciato a prato o coltivato in parte, ossia per quel tanto che bastasse per trarne un reddito per vivere senza pensieri…».
03. Renato Risaliti. Recensione al volume "La scomunica. Cattolici e comunisti in Italia" «Arnaldo Nesti cerca di ricostruire il complesso panorama del mondo cattolico italiano dopo la vittoria sul nazifascismo… delineando tutti i contrasti … documentati: dalla Civiltà Cattolica di Monsignor Ronca all’apporto di padre Antonio Messineo, Luigi Gedda e padre Riccardo Lombardi, il “microfono di Dio” che alla fine cade in crisi identitaria perché la Chiesa con il Concilio Vaticano II va verso altri orizzonti rispetto a quelli che lui predicava… Nesti delinea … l’iter di tre cardinali: Siri a Genova, Lercaro a Bologna e Ruffini a Palermo con la crisi della GIAC… Nella seconda parte indaga sui processi che avvengono in Toscana e poi a livello nazionale con la “indicazione degasperiana”. Pagine interessanti sono dedicate agli aspetti coscienziali e alle reazioni nel PSI.
L’ultima parte è dedicata all’esame dei comunisti in parrocchia, soprattutto in diverse province e zone toscane (empolese, Mugello, pratese, Valdichiana, Livorno ecc.) per concludere la ricerca con la svolta della Pacem in terris e i grandiosi funerali di Togliatti. ASFER (Associazione per lo studio del fenomeno religioso) Giovedì, 04 Aprile 2019.
04. Il “Forum del Terzo Settore” prese le mosse dalla manifestazione “La solidarietà non è un lusso” svolta il 28 ottobre 1994 a Roma che vide la partecipazione di svariate migliaia di partecipanti. Circa 4 anni dopo, il 02 gennaio 1998, all’insegna della manifestazione di protesta del volontariato che reclamava un’azione di supporto e non di tappabuchi, si prendevano in esame numerose questioni come quella della nuova legge sulle Onlus, la riforma dello Stato sociale e dell’obiezione di coscienza, il rapporto con le imprese non profit e la cultura della gratuità. Calvaruso proveniva dal patronato ACLI e dal Centro studi delle ACLI in Svizzera a Ginevra, di cui era stato direttore svolgendovi attività di assistenza e di tutela degli immigrati italiani, di ricerca e approfondimenti sulle condizioni di vita e sui problemi dei lavoratori italiani in Svizzera e in Europa, di rappresentanza presso gli organismi internazionali dei diritti degli immigrati nei paesi d’arrivo. Responsabile della sezione italiana della Caritas di Ginevra per l’assistenza ai migranti, l’inserimento sociale, l’integrazione e la rappresentanza dei migranti nelle politiche sociali locali e nel Consiglio d'Europa.
05. Corrado Corghi emiliano di Reggio, intellettuale, cattolico dissidente di primissimo piano, ex-partigiano combattente, voce contraria della sinistra DC e poi anche della sinistra della Direzione DC, un precursore di Aldo Moro, fino ad uscirne clamorosamente per protestare verso la politica di acritica adesione agli Usa, senza avvertire la faglia che si andava aprendo nel blocco comunista. Lelio Basso, del PSIUP, nato nel 1964 su una costola del PSI, andava dicendo in Parlamento che «la DC poteva fare a meno di nominare il Ministro degli Esteri, poteva benissimo ovviare con quello degli Esteri, più che sufficiente per prendere gli ordini dall’America!». Per quei momenti di tensioni acute ci volevano personaggi “acuti” ed eccezionali, e il nostro Corghi, anche accademico, docente di storia contemporanea, lo è stato. Era andato direttamente a Cuba a trovare Fidel Castro per aprire un canale diplomatico politico/cattolico, com’era negli auspici della gerarchia vaticana. Era l’epoca in cui si celiava sui “catto-comunisti”. Anteponeva a tutto il dialogo, la parola, la pace. Aveva perfino trattato senza successo con Alberto Franceschini, compaesano delle BR, nei 55 giorni terribili della detenzione di Moro. Il Vaticano secondo II (1962-1965) di Giovanni XXIII doveva ancora germogliare ed anche la “180” fiorita il 13 maggio di quei funerei 55 giorni del 1978, doveva dare i suoi frutti. Corghi è morto a 97 anni nel 2017.
06. Scrivevano su MTM Alessandra Malito e Nicoletta Alborino della Caritas romana, in “Risposte all’emarginazione sanitaria” di cui erano curatrici: «Circa 20 anni fa il dr. Riccardo Colasanti, giovane medico romano, attraversando la stazione Termini ed incontrando un sempre più elevato numero di immigrati a volte ammalati percepì quanto fosse necessario offrire assistenza anche a quelle persone cui la legge negava, di fatto, l’accesso al servizio sanitario nazionale. Cominciò così, nel 1983, grazie soprattutto alla volontà di mons. Luigi Di Liegro, l’attività della CARITAS di Roma dedicata all’assistenza e alla promozione della salute dei cittadini immigrati, che ancora oggi attraverso un servizio di medicina di base, si propone di rispondere al bisogno di salute di una popolazione culturalmente e socialmente disomogenea, stimolare l’autorità sanitaria a prendersi carico di tali persone, sensibilizzare la comunità ad una maggiore solidarietà ed apertura». Medical Team Magazine – Anno 1 – Numero 2 – nov/dic 2002. Scrivevano il 25 luglio 2013 Daniela Pezzi e Salvatore Geraci, dell’area sanitaria Caritas di via Marsala in una e-mail di ringraziamento per la medaglia d’oro conferita alla struttura dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano «… Penso a Riccardo Colasanti “il fondatore” (lui non ama essere chiamato così, anzi non vorrebbe nemmeno essere ricordato …) che oltre 30 anni fa ha attivato un piccolo centro medico a Ostia trasferito poi dai salesiani a Roma Termini: adesso è impegnato tra New York e l’Ecuador a “fondare” altri progetti tra sogni e realtà; a don Luigi Di Liegro che ha creduto in questo impegno fin dall’inizio …»
07. Attualmente Giorgio Villa vive e lavora a Roma dove dirige le Comunità Terapeutiche di via Montesanto e di via Germanico. Ha partecipato con Romano Mastromattei a ricerche sul campo su La condizione estatica nello sciamanismo siberiano e centroasiatico con spedizioni in Nepal e in Macedonia (sul sacrificio neo-greco e il culto degli Anastenarides). Ha insegnato “Antropologia culturale” presso l’Università di Urbino (1986-1989).
08. La Battaglia di Adua, momento culminante e decisivo della guerra di Abissinia, si combatté il 1º marzo 1896 nei dintorni della città etiope di Adua tra le forze italiane comandate dal tenente generale Oreste Baratieri e l'esercito abissino del negus Menelik II. Gli italiani subirono una pesante sconfitta, che arrestò per molti anni le ambizioni coloniali sul corno d'Africa.
09. Quello che la vecchia canzoncina … Tripoli, bel suol d'amore / ti giunga dolce questa mia canzon! … inneggiante alla cosiddetta conquista della Libia, è una campagna bellica iniziata il 29 settembre 1911, quando l’Italietta di Giovanni Giolitti, dichiarava guerra all’Impero Ottomano, in difficoltà. I Turchi di allora detenevano il protettorato sui territori della Cirenaica e della Tripolitania. L’Italia “colonialista” e credulona di allora (e si sa benissimo chi erano, sempre duri a morire, come oggi del resto, più o meno gli stessi) voleva avere anch’essa “un posto al sole”, sbarcando in armi sull’altra sponda del Mediterraneo. Dietro, c’era un campagna politica nazionalista (Francesco Crispi e Giovanni Giolitti) sospinta, tanto per divagare, dall’onda lunga dello “scandalo della Banca Romana” (1892-94) di torbidi gruppi bancari bancarottieri, di gruppi industriali guerrafondai che fabbricavano armi, altri conniventi gruppi editoriali che soffiavano sulla propaganda, sulla “missione civilizzatrice della razza bianca” verso i popoli extraeuropei. Personalmente ebbi il fratello maggiore di mio padre Salvatore Mellina (lo Zio Totò) coinvolto nell’impresa tripolina, che tornò gravemente sinistrato. Si vuol qui solo citare la parte più crudele dell’impresa, in parte sottaciuta, che viene ricordata come la “Battaglia delle oasi”, quella di Sciara sciatt, di Mensci e di Henni, che vide il massacro dei fanti e dei bersaglieri italiani (21 ufficiali e 482 uomini di truppa) e le successive spietate rappresaglie italiane con impiccagioni esemplari di arabo-turchi e altre esecuzioni per un totale di 4000 morti, anche fra la popolazione.
10. Anche la campagna per la conquista di Addis Abeba – anacronistica e fuori del tempo – vide la partecipazione di Giuseppe Mellina (lo Zio Peppino), il terzo, dopo mio padre. Allora succedeva spesso, come quasi sempre, del resto, la disoccupazione di personale laureato o diplomato, indirizzasse alla carriera militare, anche i caratteri più pacifici. Zio Peppino era stato comandante di “Ascari”, le truppe coloniali. Lo rammento vividamente per le sue descrizioni fiammeggianti di orrore. «Ernesto – rivolto a mio padre – ti dico … un màssacro!». L’accento era sbagliato per l’emozione e mi faceva un certo effetto tanto che mi restò scolpito nella mente. Anche qui un altro fratello di mio padre, era andato in guerra, guerra coloniale perchè dopo tutto poteva essere un modo di trovare un lavoro. La battaglia di Mai Ceu fu l'ultimo grande teatro della Guerra d'Etiopia, col successivo inseguimento del lago Ascianghi. Combattuta presso il Tigré fu cruenta e vide l’impiego di gas asfissianti lanciati dagli aerei per ordine di Pietro Badoglio, ma le perdite furono pesanti da ambo le parti. Gli Àscari eritrei subirono la maggior parte degli attacchi e contribuirono in modo decisivo alla vittoria italiana. Poi Benito Mussolini da Roma dai microfoni dell’EIAR «… Il Generale Badoglio télégrafa …».
11. Haile Selassie (1892-1975), di rito cristiano ortodosso copto, è stato Negus Neghesti (re dei re) e ultimo imperatore d'Etiopia (1930-1936 e 1941-1974). Discendente dalla dinastia Salomonide, che secondo la tradizione avrebbe origine dal re Salomone e dalla regina di Saba. Fu detronizzato con le armi nel periodo fascista dai generali Ruggiero Santini e Pietro Badoglio, anche con il lancio di agenti chimici.
12. Nesti Arnaldo. La Carta di Pontedera su cultura e salute nel fenomeno migratorio. In: “Le culture della salute: terapeutica e religioni”. Religioni e Società (Rivista di Scienze Sociali della Religione), Anno IX, n. 19 (maggio-agosto 1994), pp. 58-61, Rosemberg & Sellier, Torino, 1994.
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