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Dall’immagine alla melanconia: aspetti ideali e artistici del tema melanconico in età moderna

7 Lug 17

Di robertolombardivalentina.psi

Il paziente melanconico soffre per le immagini. Nelle teorie del medico Marsilio Ficino, è l'immaginazione che la facoltà che è posta in sofferenza dalla malinconia. Ficino distingue accuratamente dalle altre facoltà dell'anima. In realtà Ficino distingue due tipi di immaginazione: l'immaginazione discreta, che è la potenza inferiore della parte superiore dell'anima, e che segue la ragione e che concepisce le sostanze particolari; e l'immaginazione confusa, una potenza superiore dell'anima inferiore, potenza che viene condotta dall'istinto naturale e che percepisce i soli accidenti anziché le sostanze. L'immaginazione discreta produce opinione o scienza; l'immaginazione confusa produce solo singole percezioni. A dire il vero, nessuna delle due si identifica con la ragione: vi è infatti una distinzione di fondo tra immaginazione e facoltà razionale dell'anima, laddove la prima attinge al solo possesso immaginario degli oggetti, che afferra solo in modo immaginario, mentre la ragione afferra le cose in modo sostanziale, afferra la vera sostanza degli oggetti anche se ancora nelle immagini che ne dà la fantasia. La struttura della ragione discorsiva si fonda dunque sulla dinamica dell'immaginazione; è l'intelletto, vera e propria facoltà celeste, che invece conosce immediatamente le cose in base a una struttura intellettuale che gli è innata. L'intelletto è immediatamente dato e non ha bisogno di alcuno strumento corporeo, ma concepisce le specie delle cose indipendentemente dalla materia e dall'individualità, e quindi è indipendente anche dalle immagini delle cose, mentre la ragione discorsiva si basa invece sulle immagini sensibili degli oggetti che l'immaginazione fornisce.

E' questa compagine della ragione discorsiva che la melanconia mette a rischio, mentre l'intelletto vero e proprio è intangibile dalla malattia melanconica. La melanconia opera infatti quando il meccanismo fisiologico dei vapori provenienti dalla bile nera. La parte inferiore dell'anima infatti presiede ai processi fisiologici: fa scorrere il sangue, governa la bile e così via. La sovrapproduzione di bile nera interrompe questo circuito fisiologico; la parte inferiore dell'anima si riempie di false immagini e viene rovesciato il rapporto gerarchico nel quale le facoltà superiori dovevano governare quelle inferiori all'interno dell'anima. Quando le immagini provocate dalla bile nera prendono il sopravvento sulla ragione discorsiva, si assiste al rovesciamento della compagine dell'anima, che si esplica sia nel meccanismo di produzione delle immagini a partire dai vapori umorali, sia nel meccanismo di fascinazione della ragione verso queste immagini così prodotte. E' questa la follia: il paziente soffre per le immagini che esso stesso produce e che non hanno alcun corrispettivo in un oggetto esterno. Si tratta di vere e proprie allucinazioni; il paziente soffre per i propri sogni.

La melanconia è una malattia dell'immagine. Ora, per noi è difficile come un umore possa provocare un disturbo nell'immaginazione, un liquido corporeo possa indurre un'immagine immateriale. Per spiegarlo, la medicina ricorreva alla nozione di vapore e al concetto di pneuma o spirito; secondo la tradizione artistotelica il pneuma è un vapore caldo che permea il corpo e assicura la continuità delle funzioni fisiologiche. Nella tradizione medica moderna, il pneuma diventa l'organo con cui l'anima governa il corpo tramite la capacità di sentire; nel testo di Alessandro Benedetti Historia corporis humani sive anatomice (1502) il pneuma è la parte più pura del sangue, che si raccoglie al centro del cuore e che viene portato dalle arterie fino al cervello e in particolari nei ventricoli che si trovano alla base del cervello; qui viene elaborato e diventa spirito animale, capace di vedere e di sentire. E' inviando nel corpo lo spirito animale che la psiche anima le singole parti corporee. Questo pnuema o spirito animale è tuttavia una sorta di soffio, un elemento che è al limite tra anima immateriale e corpo materiale e che perciò funziona da mediatore, da cerniera tra anima e corpo; proprio questa sua caratteristica lo rende attaccabile dai famosi vapori della bile nera. Allo stesso modo, insisteranno in seguito Pietro Pomponazzi nel De incantacionibus (1556) e J.B. van Helmont in Ortus medicinae(1648), un'immagine può invadere il corpo; la milza ad esempi, in cui van Helmont colloca la facoltà immaginativa, può produrre concetti e immagini che van Helmont dichiara alieni e costringere il paziente a fissarsi su di essi.

Il tema non si limitava rimanere sul piano medico ma diventava morale; come osservava Melantone nel suo Commentarius de anima (1540), gli spiriti animali sono capaci di turbare l'equilibrio anima-corpo e di spingere l'individuo a passioni smodate. Se all'azione degli spiriti animali non si aggiunge l'azione dello spirito santo, il comportamento umano non è guidato più che dai meri impulsi naturali e si riduce alla ferinità. Se dunque l'uomo non si apre all'azione della grazia, si condanna da solo al piano caotico delle passioni e alla follia melanconica. Come osserverà Robert Burton nella sua celebre Anatomia della melanconia (1621), la malattia dipende dalla corruzione della nostra natura, che ha diviso profondamente ciò che nella nostra natura è divino, come l'intelletto, da ciò che è materiale, così che la materialità è ribelle alla parte divina. Dopo tale corruzione, ciò che era in origine buono è ora volto al male; i cieli ci minacciano con le comete; la terra ci opprime con spaventosi terremoti, il fuoco divora le nostre città. In questo senso la melanconia non è una condizione patologica eccezionale, ma la naturale condizione degli esseri umani nell'universo dopo il peccato originale.

Dalla melanconia come malattia dell'immagine all'immagine della melanconia il passo è breve. La costruzione dell'immagine del melanconico non soltanto riprende idee e temi (ad esempio nellaMelancolia I di Dürer si nota nell'angolo in alti a sinistra una cometa e un arcobaleno, simbolo di grandi piogge) da questo dibattito medico, ma obbedisce a un paradosso: un'immagine artistica deve rappresentare la caoticità delle immagini. Nella tradizione iconografica della melanconia compaiono dunque tutte gli elementi delle forze che minacciano la salute e l'unità della compagine psico-fisica umana: la forza delle passioni, come l'avidità o lo sfrenato desiderio sessuale del melanconico, l'accecamento etico e morale del melanconico che, in preda al proprio delirio immaginativo, non sa più distinguere il bene dal male. Talora c'è una certa sfiducia nella capacità della medicina di curare la melanconia; se la radice nel male sta nella corruzione ontologica che si è prodotta negli uomini dopo la caduta di Adamo, l'unica speranza di cura sta nell'azione della grazia divina e non nel presunto medicamento umano che, in quanto presume di poter curare ciò che è incurabile non è che un'altra forma di follia (è il tema che emerge, ad esempio, in certe raffigurazioni di Bosch, come nella Cura della follia). Al di là dei vari temi che si compongono e si intersecano nella raffigurazione del melanconico, tuttavia, ciò che conta è la funzione dell'immagine; paradossalmente, mettendo in scena la confusione dell'immaginazione e la caoticità delle passioni, la raffigurazione produce un'immagine che è ordinata e coesa. Allo spettatore, la raffigurazione insegna a decifrare i vari temi associati alla melanconia (spesso annuncianti da oggetti sovrabbondanti nella o intorno alla figura del melanconico), a coglierne i segni e a spiarne i mezzi di possibile guarigione. In questo modo, così fortificato, lo spettatore non solo è edotto a riconoscere i sintomi non solo medici ma morali della melanconia, e non solo negli altri ma in se stesso. Da questo punto di vista, mettere in scena la melanconia è porre di fronte agli occhi dello spettatore lo specchio della follia, specchio dal quale partire per iniziare il percorso di ricostituzione morale. Nel mondo rinascimentale la figura infatti ha il senso sia di un'espressione del pensiero sia di un mandare alla memoria. Come scrive Jean Lange nella lettera prefatoria del 1522 della sua edizione dei Geroglifici di Horapollo, <Secondo Lucano e Tacito gli egiziani furono i primi a impiegare una molteplice figura di svariati animali e piante, di fiumi e alberi per esprimere ciò che pensavano e pronunciare quelli che erano i loro concetti mentali>. Dal canto suo l'artista della memoria Pietro Tomai, autore del famoso trattato Phoenix seu artificiosa memoria (1492) scrive che la sua prodigiosa memoria artificiale si basa sull'associazione dei concetti da ricordare a immagini assai vivide, di solito quelle di fanciulle bellissime. Dunque i rinascimentali non guardavano alle immagini come noi, frettolosi scrutatori di dipinti museali, ma li esaminavano come veri e propri trattati in cui una concezione si coagulava in una rappresentazione sensibile, una figura, destinata non solo a ricapitolare un intero modo di pensiero, ma anche a memorizzarlo rapidamente definitivamente. Tale era l'importanza dell'immagine nella cultura rinascimentale; se non se ne tiene conto, non si capisce l'accanimento con i quali i maestri della Riforma (primo tra tutti Carlostadio, autore del 1522 di un pamphletSull'abolizione delle immagini) tornarono sul tema dell'iconoclastia in contrapposizione ai cattolici. In fondo, l'iconoclastia riformata aveva un senso proprio perché insisteva sul carattere sensibile della raffigurazione pittorica o scultorea. Quest'ultima ci conduce dunque alla materia, alla carne, laddove invece all'immagine va sostituita la Parola, che ci conduce direttamente allo spirito. Da questo punto di vista, dopo la Riforma, si assiste a uno spostamento di prospettiva nei pittori che si occupano del tema della melanconia. In pittori come Dürer o Bruegel lo scopo della pittura diventa condurre lo spettatore a quella verità evangelica che è la sola regola morale sana che ci toglie dalla malattia delle passioni in cui il mondo è precipitato. Dunque la melanconia non sarà più raffigurata come riflesso di un tipo, di un temperamento dovuto agli umori o all'influsso astrologico, come avaro o come bilioso posseduto dalla stella che domina sui movimenti della bile, Saturno; ma piuttosto nel tentativo di rendere in termini figurativi la moralità dell'uomo attraverso il suo carattere esteriore. A questo momento dello sviluppo del tema figurativo della melanconia diventa una delle cifre che permetteva di dischiudere l'interiorità dell'uomo, secondo il giudizio che nel 1605 il pittore spagnolo Siguença dette dell'opera di Pieter Bruegel: <La differenza tra i lavori di quest'uomo e quelli degli altri consiste… nel fatto che gli altri cercano di dipingere gli uomini così come appaiono di fuori, mentre lui ha il coraggio di dipingerli quali sono: all'interno>.

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