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Eugenio Borgna 1930-2024 – Ascoltò la follia come sorella sfortunata della poesia.

15 Dic 24

Di Sergio Mellina

È il 4 dicembre 2024, fa freddo. Il telegiornale della sera diffonde la notizia, ineluttabile, che non avrei mai voluto ascoltare. Si è spento a Borgomanero, in provincia di Novara, il prof. Eugenio Borgna, “psichiatra gentile”, di fama internazionale, dove era nato nel 1930. Aveva 94 anni. Sono tempi feroci, d’accordo. Proprio a Borgomanero rifiutano l’opera gratuita di medici pensionati cui non consentono di firmare le ricette rosse del SSN, distrutto in questi ultimi anni, da governi corrotti e dissennati, ma in tempi lontani, con Eugenio Borgna, ci eravamo incontrati, conosciuti, ascoltati, letti e stimati reciprocamente. Ci eravamo rincorsi fin dal 1995 sulla rivista telematica genovese “POL.it Psychiatry on line ITALIA”, del collega Francesco Bollorino, prima che diventasse il nuovo ”Editor WORDPRESS” – impresa mastodontica – con “Il paziente della rosa di Morselli (Scrivere a Eugenio Borgna per parlare con lui)“ di S. Mellina del 2 luglio 2018 e poi con Le necessità dell’anima e le ragioni del cuore in Eugenio Borgna di S. Mellina del 12 agosto, 2018.

Dirò di più, “eravamo stati nell’amicizia” come scrive Ludwig Binswanger, ovvero nella fecondità della condivisione e della partecipazione. Didatta straordinario, ha navigato da sempre lungo le rotte tempestose delle emozioni. Non ho mai saputo decidermi se attribuirgli l’elogio maggiore di psicopatologo fenomenologico dell’indicibile silenzio, quello di conferenziere alato di vicende tragicamente bipolari, oppure se considerarlo scrittore allegorico della sofferenza mentale. Forse ha esercitato le tre virtù insieme! Soleva pensare – e ci aveva indotti a pensare – che la follia fosse «la sorella sfortunata della poesia». Certamente aveva letto, forse anche conosciuto Alda Merini, ma non ha mai fatto mistero di aver seguito con interesse, personalità femminili complesse come Emily Dickinson, Virginia Woolf, Simone Weil, Etty Hillesum, ventinovenne vittima dell’Olocausto. Con Eugenio Borgna, io perdo un amico, la psichiatria un luminare gentile, la rivoluzione basagliana dei manicomi perde un bardo sublime.

Personaggio discreto temperamento mite, ha sempre ascoltato tutti e parlato con tutti, forse perché si è sempre messo nei panni dell’interlocutore. Non è mai stato contro chiunque, meno ancora contro la psichiatria. L’«antipsichiatria» è stato un modo di dire abbastanza approssimativo e forse anche sbagliato, per giustificare un clima e una tendenza importante che intendevano abolire le istituzioni manicomiali come luogo di “custodia e cura” per emendare la follia. Nessuno di quelli che hanno chiuso i manicomi, a partire da Borgna e Basaglia in poi, ha mai fatto dell’antipsichiatria. Un malinteso teoretico a cui sono stati attribuiti molti padri che, tra l’altro, ne hanno disconosciuto la paternità. In particolare, nel Regno Unito, dove Ronald Laing, psichiatra scozzese e da David Cooper, psichiatra “afrikaaner”, ritenuti i capiscuola di questa corrente, hanno sempre cercato di fare della buona psichiatria contestando radicalmente il vecchio insegnamento psichiatrico, la famiglia perbenista che nascondeva e reprimeva i comportamenti non ortodossi e conformisti dei loro membri senza domandarsene la ragione e, infine la critica ragionata di tutte la altre istituzioni totali.

Ci eravamo conosciuti quando io m’interessato alla salute delle persone migranti che, cambiando contesto di esistenza, si trovavano a vivere in luoghi sconosciuti, di cui non conoscevano nulla, nè il linguaggio, nè la tradizione, né la motorica significante, né il cibo. Si sentivano percepiti come ostili, come persone inferiori, talvolta trattati perfino come schiavi. Si era talmente incuriosito del mio lavoro, quando dirigevo il manicomio sardo di Dolianova e vedevo il fallimento migratorio di ritorno dall’Europa, che mi recensì un testo di riflessione dell’epoca intitolato “Psicopatologia dei migranti” Lombardo – 1992. Voleva sapere in particolare come il migrante pensasse di essere visto dai nativi e cosa opponesse alla negatività di cui era eventualmente circondato. Si portava dietro la propria tradizione culturale e la piantava nel nuovo domicilio, quale che fosse, come un altarino totemico da cui trarre conforto. Per studiare le vecchie tradizioni delle popolazioni italiane era meglio osservare quelle trapiantate all’epoca dell’espatrio: si erano mantenute intatte, mentre in patria si erano evolute.

Scrivevo di Borgna in “Ricordanze-01”1 «Un antico signore che è una icona parlante della psichiatria italiana dell’ultimo mezzo secolo e codesto mezzo secolo vede e racconta, in retrospettiva, con la lucidità, la presa magnetica sull’ascoltatore, di un’opera cinematografica, un libro, un dramma pirandelliano» e oltre «Come non correre col pensiero al Teatro d’Arte di Mosca. A Vladimir Ivanovič Nemirovič-Dančenko e, particolarmene a Konstantin Sergeevič Stanislavskij. Al suo celebre “metodo” di recitazione, al “sottotesto” oltre che al testo, al “Cerchio d’Attenzione”. Un magico cerchio rosso dove avviene la rappresentazione dei sentimenti, le tavole del palcoscenico. Quel campo magnetico che promana dal corpo, dalla voce, dalla motorica, dalle prassie e dalla presenza scenica di colui che racconta, cattura l’attenzione dello spettatore inchiodandolo alla poltroncina. La differenza, non di poco conto è che Stanislavskij e Dančenko erano attori/registi che insegnavano “psicotecnica” ai più alti livelli». Eugenio Borgna racconta, invece, con passione, ciò che ha visto, come ha interagito e perché è diventato “medico dei matti”. Testualmente « … Ho capito che il mio destino sarebbe stato forse quello di rimettermi in una colloquialità permanente con le sorgenti della sofferenza, dell’angoscia, della disperazione, delle speranze infrante, del bisogno soprattutto, anche e soprattutto, di ascolto, che non solo dava un senso a quello che noi psichiatri tendiamo a fare…»2

La sua ultima fatica “L’ora che non ha più sorelle”, è uscita per Einaudi il 12 novembre 2024 una brossura di 120 pagine. Egli parla, senza interrompere il suo linguaggio autentico, fenomenologico, le parole, delicate, leggere, naturali, che ne hanno sempre disegnato la cifra, delle vicende che si succedono nell’esistenza umana, quand’anche fosse l’incontro con la morte, tema del testo, appunto. Sembra di leggere una sorta di testamento spirituale. L’ora che non ha più sorelle, non è orfana, ma è quella che cessa, non continua nel mondo, ma lascia cose preziose, se si è vissuti pienamente come Eugenio Borgna, donando, ascoltando, condividendo, partecipando, interagendo con l’alterità umana, l’altro, gli altri, i diversi … La religiosità? La fede in Dio? Doni preziosi per molti. Lui, uomo di scienza, non poteva non credere almeno negli esseri umani. Ma c’è anche chi crede nell’imponderabile, ragiona per altre vie, matura altri convincimenti, percorre altri sentieri. Per esempio, ne “Il caso e la necessità” – come fulgidamente scrisse nel 1970 Jacques Monod nel suo – “Saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea”, dopo che Nirenberg nel 1961, aveva decifrato un codice genetico universale valido per tutti gli organismi viventi indipendentemente dal loro grado di complessità. Da quel momento riprese più vigoroso che mai il dibattito sulla “spiegazione all’enigma della vita” dopo che si era appena sopito quello sulla “teoria darwinista della evoluzione della specie”, attizzato nel 1858. Ma mentre il futuro della biologia, resta ancora lontano dall’essere scritto, riprendono più feroci le “guerre di religione”, per stabilire chi sia il padreterno più grande, l’uomo più ricco del mondo, la democrazia più esportabile, vendere armi sempre più sofisticate.

Carissimo Collega e Maestro, Eugenio Borgna, hai voluto scrivere anche l’ora del morire, non certo la tua, perché resta serena ed eterna, ma ricordare fenomenologicamente quella di persone disperate come Paul Celan il fragile poeta yiddish dell’olocausto, perseguitato dai comunisti e dai nazisti, autore del terribile canto di morte “Todesfuge” e suicida nella Senna. E ancora sul suicidio femminile, su emozioni nobili e altere, ferite, su decisioni maturate lentamente, in circostanze disperate, nascoste nei segreti del cuore, nell’indifferenza di contesti ambientali freddi, che destano – come tu scrivi – più facilmente, dolorose risonanze interiori, e lasciano cicatrici insanabili. Ti rammenteremo per sempre, rileggendo le tue parole, il tuo sentire il dolore altrui, certamente lievitato nella purezza della tua Borgomanero 310 m. s. m, , perla delle colline novaresi, con sotto il fiume Agogna e sullo sfondo panorami suggestivi come, il Monte Barone, il Bianco, le Alpi Graie. Borgomanero, splendido crocicchio dove s’incontrano due strade, la via per il Lago d’ Orta e quella per il Lago Maggiore. Pensa che la tua provenienza mi era familiare perché appassionato di ciclismo conoscevo “il Lino” ovvero Pasqualino Fornara di Borgomanero, uno dei corridori più rappresentativi del ciclismo italiano degli anni Cinquanta, dapprima gregario di Fausto Coppi, poi protagonista dei giri di Svizzera, della Vuelta, del Tour. Le affinità nascono dai piccoli ricordi, che sono anche i più insignificanti. Mi piace ricordarti riposare in pace accanto “al Lino”!

Note.

1. Pubblicato da Bollorino su Pol.it, il 9 agosto 2018.

2. Eugenio Borgna. Diventare medico dei matti. Canale Tematico Youtube di Psychiatry on line Italia. 2020.

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Autore

2 Commenti

  1. Nome *Carmelo Conforto

    Siamo stati in colloquio per anni e credo che fossimo giunti a comprendere ( o forse mi ha aiutato a comprendere) che puoi essere “fenomenologo- o “psicoanalista•restando uomo meravigliato e curiosamente vicino al mondo stupefatto del nostro interlocutore: siamo uomini perché siamo un colloquio
    Carmelo Conforto

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