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I camion di Bergamo e gli Istituti per dementi da “Spagnola”. Anniversari e centenari di pandemie virali rimosse

19 Mar 21

Di Sergio-Mellina
«La guerre est un massacre

de gens qui ne se connaissent pas

au profit de gens qui se connaissent bien mais….

ne se massacrent pas».

Paul Valéry, poeta mezzo genovese,

mutato dalla «crisi» di Genova

nella notte tra il 4 e 5 ottobre 1892.

 

Con una apposita legge promulgata a tempo di record, il parlamento italiano ha stabilito che Il 18 marzo di ciascun anno, come stabilito dalla Legge [01], sarà celebrata la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’epidemia di coronavirus e su tutti gli edifici pubblici le bandiere saranno esposte a mezz'asta. Giusto un anno fa, il 18 marzo 2020, una dolorosa processione di camion militari con bare di vittime del Covid-19, viaggiavano in fila indiana verso i forni crematori disponibili. Cominciavano il pietoso incenerimento della strage pandemica della bergamasca.

 

Anche per via del gran parlare, del porre l’accento sulle ripetute raccomandazioni a mantenere la distanza interpersonale, ad indossare delle mascherine, ad aereare gli ambienti per disperdere le goccioline (dropless), si vanno manifestando pericolosi e diffusi segni di stanchezza. Anche per la gran paura che la “terapia intensiva” degeneri fino alla tracheotomia, per evitare l’insufficienza polmonare acuta della “polmonite interstiziale”, ciascuno – nel suo piccolo – ha pensato di essere divenuto un esperto competente. Dapprima di virologia, poi d’infettivologia, e infine di vaccinologia. Niente di più pericoloso, ma è ovvio che vanno date le informazioni esatte e attendibili. D’accordo che la sciagura dura da oltre un anno, ma ci mancherebbe che a tutto il resto, la pandemia si portasse appresso anche il «burn out» (un fuori-di-testa per combustione da stress), come pare avvertire da molti sintomi collaterali che dovrebbero interessare piuttosto la psicopatologia che la virologia.

 

Molti hanno pensato che la pandemia da Covid-19 fosse una questione di contagio polmonare, come lo fu per la TBC, il grande flagello del X1X e del XX secolo. Roba passata, con corredo di sputacchiere, caverne polmonari, pneumotorace. Sanatori con frenesie amorose e letterarie tipo “La montagna incantata” (1924) di Thomas Mann.. Anticaglie da melodrammi lacrimevoli di “Traviate” parigine. Malattie di antenati, facilmente curabili con un po’ di streptomicina. Ma non è così assolutamente, perchè il bacillo di Kock, al contrario del virus privo di corpo cellulare, è troppo pesante per saltare con l’asta, ossia praticare lo «spill-over», quel “salto di specie” su cui torneremo. Passatismo da antenati? Più vecchi dei trisavoli, quelli che stanno facendo la loro brava fila, allineati e coperti, negli appositi centri del “cambiamento di passo” e perfino disposti a tornare un’altra volta. Quando li richiameranno. Perchè l'AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) e l’EMA (Agenzia europea per i medicinali) avranno finito tutti i controlli sui vaccini giusti, efficaci e privi di effetti avversi. Quei presidi vaccinali, insomma, che dovrebbero portarti – «per aspera ad astra» – ossia all’immunità anticorpale, tua propria, senza aspettare quella cosiddetta “di gregge”. Quando sarà, e semmai arriverà, driblando almeno i “furbetti del vaccino” tutti i “si-vax”, ma prima degli altri, «perch-io-c’ho diritto e a-me-me-spetta». E senza neppure rubare il “siero” degli altri, come da un bel po’ s’è visto fare ai prepotenti più ricchi, perché la “siero-profilassi” è altra cosa dalla “vaccino-profilassi”. Tanto per chiarire e fare un po’ d’ordine.

 

Le cose non stanno propriamente così come si pensa. E non soltanto per la stupida protervia dei “no-vax” – quelli del «keccedentro» – che pretenderebbero oltretutto di lavorare in ospedale! E magari dopo avervi creato un “cluster” esigerebbero pure l’infortunio sul lavoro, quando per “gli ospedalieri”, la vaccinazione dovrebbe essere una precondizione tassativa. Le malattie virali, invece, il loro zoccolo duro, sono una tragica e ricorrente calamità per gli esseri umani. Una insidia gravissima, generale, ricorrente, in grado di colpire organi, apparati e tessuti. Con predilezione di punti, zone, aree, strategiche, di cui i bipedi pensanti, filosofanti e creativizzanti, vanno orgogliosi. Veri e propri “front-office”, come ormai vanno dicendo in giro quelli che hanno smesso di dire “metter-ci-la-faccia”, che rammentiamo appena di sfuggita, per non perdere il filo del discorso coi fratelli di pandemia. Anticaglie, si diceva, ma non tanto, nè poco. Per il ripetersi dei cicli storici, che induce almeno a spolverare la memoria presente e a tirar giù dagli scaffali i testi di microbiologia. Intanto perché l’agente patogeno della tubercolosi è un bacillo patogeno chiamato Mycobacterium tuberculosis, o bacillo di Koch, una categoria di microrganismi generalmente unicellulari, dotati di vita propria, tanto per sintetizzare. Al contrario dei virus che – come s’è già sopra accennatp – sono microrganismi più piccoli, filtrabili, invisibili senza microscopio elettronico, ma profondamente differenti perché, pur avendo materiale genetico, riproducendosi ed evolvendosi per selezione naturale, mancano di struttura cellulare e di metabolismo. Il che significa che per campare, tanto per farla breve, sanno eclissarsi, sulle prime, per passare inosservati dall’ospite (inconsapevole). Usano disinvoltamente il commensalismo, tanto che rubano il cibo dalla tavola altrui ed usano tante altre astuzie. Attenzione però! Sono viventi intelligentissimi, hanno una vita sociale, strategie di attacco collettivo (solo se minacciati) e, al contrario degli uomini, sono totalmente privi di stupidi. Esiste un disciplina biologica specilizzata a studiarne il comportamento che si chiama “Sociovirologia”. A quanto se ne sa, non sono infallibili, ma nessun individuo della popolazione dei virus, pare si sia mai sognato di segare il ramo su cui sta seduto (ossia quello di cui è ospite), neppure di suicidarsi, nè abbia rivelato aggressività intraspecifica, tipo femminicidi, tanto per restare nell’attualità. Inoltre parrebbero altruisti, cooperanti, disinteressati, privi di forme narcisistiche. Non imputabili di smaltimento di “rifiuti tossici” cancerogeni, malformativi e mortali, «tipo Terra-dei-fuochi».

 

Forse va premesso che, un po’ tutti gli specialisti dell’area medica hanno comunicato disturbi specifici legati alla pandemia in corso. Il presidente dell’AIOLP [02], per esempio, ha fatto sapere che «Non solo disturbi dell'olfatto e del gusto, ma anche acufeni, gengivite, raucedine, perdita improvvisa dell'udito e paralisi del nervo facciale di Bell, possono essere associati all'infezione da SARS-CoV-2. Durante la pandemia, oltre ad un potenziale aggravamento dei disturbi dell'udito per chi ne era gia' affetto, come documentano diversi studi scientifici e' aumentata l'incidenza anche di altri disturbi otorinolaringoiatrici (ORL)». Non è da meno l'apparato visivo: occhio, estroflessione del diencefalo, palpebre, sclere, congiuntiva, cornea, iride, cristallino, retina, coni, bastoncelli, campo visivo, sella, lobo occipitale, temporale, vascolarizzazione interna esterna, ed innervanione degli annessi. Tutti possono essere bersaglio di Covid (blefariti, congiuntiviti, ptosi, amaurosi, ecc.). L'apparato tegumentario, si proprio il "rivestimento" del corpo, come la pelle, l’epidermide, il derma, sottocute, con relativi annessi, ovvero peli, unghie, capelli, ghiandole mammarie, ghiandole sudoripare e sebacee (dermatiti, eczemi, ulcerazioni, adeniti, alopecia, ecc.).

L’apparato cardio-vascolare e il tessuto ematico (trombosi, embolia, piastrinopenia, emorragia, dell’encefalo, in particolare, l’eptagono del Willis, ma anche patologie endoteliali ed endolinfatiche). Il sistema extrapiramidale, è fra i prediletti dai virus (la malattia di parkinson). Quello piramidale, centrale e periferico, non meno (la polineuropatia di Guillain-Barré, forma autoimmune di para- o tetra-paresi progressiva acuta, con dissociazione albumino-citologica del liquor, risolvibile gradualmente in 3-4 settimane). Il rinencefalo con la parte più antica del cervello, la paleocorteccia, compresa l'amigdala, l'area prepiriforme, l’area frontotemporale, il cingolo, il bulbo-tratto-nucleo olfattivo, che si esprime nel più importante dei 5 sensi. L’olfatto – meno sviluppato nell’uomo – espletato dal primo paio di nevi cranici (la cui perdita induce la sgradevolissima “anosmia” che rende i cibi inodori, insapori, ingustabili e i “sommellier” una categoria inutile). le abilità motorie tipo stazione eretta, coordinazione eumetria deambulazione, le crisi vagali e si potrebbe continure a lungo con siffatti danni collaterali che le pandemie virali provocano, senza contare la morìa diretta, mentre i vaccini non si macchiano di così turpi nefandezze. Non è difficile immaginare la qualità di vita di umani così bastonati dalle pandemie virali, ammenochè non si tratti di coloro che si muovono con l’aereo personale, che saltino la fila dei vaccinandi con l’abilità dei saltatori di specie, gli «spill-over», di cui s’è detto, che saltano tra pipistrelli sozzi, non quelli principeschi di Dracula…

 

In ogni caso, il reliquato peggiore che potrebbe lasciarci la presente pandemia virale, potrebbe essere sul tipo di quella “Demenza extrapiramidale post-encefalitica” che conoscemmo tragicamente col virus della “Spagnola”, giusto un secolo fa. ll caso ha voluto che, dal famoso “scatolone” di chi scrive, saltasse fuori un documento storico, prezioso, datato e di straordinaria attualità. Un po’ come quello, reperito da Francesco Bollorino e Gilberto Di Petta tra le cartelle abbandonate del manicomio di Quarto. Ma era una storia individuale, la loro, molto più testimoniante, concerneva Gerolamo Rizzo, l’assassino matto, a sua volta assassinato de un matto assassino [03]. Inutile aggiungere che la strada maestra indicataci dalla ricerca dei due autori citati, proprio frugando tra le polverose storie manicomiali, «vuoti non a rendere senza valore», come mi diceva quel “malatino” che mi dattilografava, resta una preziosa rotta per il futuro. Ci conforta anche sapere del più ampio progetto nazionale “Carte da legare” sui manicomi d’Italia, di cui fa parte anche Simonetta Ottani con un suo contributo sugli OPP genovesi [04].

 

Ebbene, quella costruzione attigua al Manicomio Provinciale di Roma, ma assolutamente differenziata, incomunicante e affidata ad un Direttore assolutamente ed esclusivamente “Neurologo” per sovrintendere una patologia certamente “neurologica” era una consorella! Oggi sappiamo che l’etiopatogenesi era virale ma di neurologico c’era ben poco, mentre prevaleva la sintomatologia psichiatrica, tal quale, quella dei “vicini di rete”, il Manicomio, dove – sempre chi scrive – rammenta di averne visto qualcuno molti anni addietro. Quel fabbricato che, pur avendo tutte le caratteristiche architetoniche degli altri 32 padiglioni dell’Ospedale Psichiatrico Provinciale Santa Maria della Pietà, ed appartenendo alla medesima amministrazuone provinciale, si è chiamato per molti anni (fino alla chiusura per decesso dell’ultimo degente) «Istituto Neurologico Provinciale di Roma» a Monte Mario in Campagna, intitolato a «S. M. Regina Elena» ideatrice e fondatrice della istituzione benefica. Non tanto e non solo per “captatio benevolentiae” e fare da “pendentif” al Policlinico romano di «S.M. Umberto I», a 18 anni dalla “breccia di Porta Pia”.

 

Questa che riportiamo per i lettori di Psychiatry on line – la rivista telematica di Francesco Bollorino per il ventiseiesimo dalla fondazione – è la ritrascrizione amanuense e pedissequa, sempre dello scrivente, del documento originale. Esso Si trova in un Archivio del Pad. XXIV dell’OPP romano Santa Maria della Pietà. Basterà soltanto rammentare in prenmessa che la tristemente famosa pandemia denominata “Spagnola” del 1919, non solo causò 50 milioni di morti, subito dopo la fine della prima guerra mondiale – “la Grande Guerra” – che ne fece 3, ma lasciò un tragico strascico, di terribili patologie neuropsichiatriche totali e croniche. Nell’arco temporale del funzionamento dell’Istituto di Cura delle Demenze post-encefalitiche conseguenti alla pandemia di “Spagnola” vi furono due Direttori/Primari il Prof Dott Giuseppe Panegrossi e il Prof dott. Ivo Ruggieri che gli successe essendone stato lungamente l’unico “Aiuto”.

 

Nota storica e archivistica [05]

Il problema dell'assistenza e della cura per coloro che erano affetti da encefalite epidemica cronica a forma parkinsoniana (Parkinson encefalitico) suscitò l'interessamento da parte della regina Elena tanto che su sua iniziativa il 4 maggio 1934 fu creato presso il Policlinico Umberto I un reparto per la cura di questa malattia e Giuseppe Panegrossi, primario del Policlinico e direttore del nuovo reparto, fu incaricato di sperimentare una nuova terapia denominata "cura bulgara", dall'erborista bulgaro, Ivan Raeff. La terapia si basava sulla somministrazione dell'estratto idro-alcoolico di radici di belladonna. L'importanza dell'interessamento da parte della regina Elena nei confronti di questa malattia emerge anche dalle numerose richieste di ricovero che le venivano inviate da singoli pazienti, dalla sua corrispondenza con Giuseppe Panegrossi riguardo i risultati della terapia sui pazienti, dal suo recarsi periodicamente in visita presso il reparto del Policlinico (e successivamente presso la sede di Monteverde), dalla sua partecipazione a convegni sull'encefalite e dall'apertura di altri centri di cura anche all'estero, come la Clinica Regina Elena di Kassel in Germania. Successivamente alla creazione del Reparto Regina Elena presso il Policlinico Umberto I, sorsero altri centri di studio e di cura in varie regioni d'Italia ma l'attività scientifica del reparto del Policlinico era fondamentale poiché solo presso il proprio laboratorio chimico avveniva la preparazione dell'estratto di radice di belladonna che veniva poi distribuito, ad opera della ditta Molteni, agli altri ospedali italiani ed anche ad alcuni ospedali esteri. La terapia con estratto di radici di bella donna per essere efficace doveva essere integrata da una dieta vegetariana, dal massaggio fisioterapico, dalla ginnastica, dalla correzione degli atteggiamenti viziosi eventualmente assunti dai pazienti a causa della malattia e dalla psicoterapia. In breve tempo il numero degli encefaliti che facevano richiesta di ricovero presso il reparto regina Elena aumentò tanto che fu necessario un trasferimento di sede: il 20 aprile 1937 il Rettorato provinciale deliberava la creazione dell'Istituto provinciale per encefalitici "Regina Elena" presso la nuova sede di Monteverde, in via di Villa Pamphili n. 88, che avrebbe potuto accogliere 160 pazienti.

L'11 novembre 1937 fu inaugurato il nuovo Istituto e immediatamente furono trasferiti dal Reparto Regina Elena 81 pazienti. Giuseppe Panegrossi continuò ad essere il direttore e fu affiancato da un aiuto direttore, Ivo Ruggeri, da quattro assistenti e da un gruppo di infermiere diplomate. L'Istituto era stato corredato di una biblioteca, di un gabinetto fisiopatologico, di un gabinetto antropometrico e radiologico, di un laboratorio di chimica clinica e istopatologia, di un laboratorio fotografico e cinematografico con lo scopo, questi ultimi due, di poter registrare e documentare per ciascun degente gli effetti delle cure dal giorno del loro ingresso in Istituto fino alla dimissione. Poiché la cura bulgara, per raggiungere risultati efficaci, necessitava di essere integrata da un particolare tipo di dieta, dalla ginnastica e dalla rieducazione dei movimenti, tali mansioni furono affidate a degli esperti. Inoltre venne dato un notevole impulso all'ergoterapia attraverso vari laboratori (lavori in vimini, pantofoleria, scatolificio, cucito) e lavori agricoli e di giardinaggio in un terreno attiguo all'Istituto.

Il 21 gennaio 1939, con un decreto del Ministero dell'interno, all'Istituto fu riconosciuto carattere scientifico. Alla fine del 1939, a causa dello scoppio della guerra, la vita scientifica dell'Istituto subì un rallentamento ma nonostante questo fu caratterizzata da un'intensa attività documentata da numerose pubblicazioni, partecipazioni a congressi internazionali e relazioni culturali con numerose istituzioni scientifiche italiane e straniere. Inoltre nel 1939 Giuseppe Panegrossi ricevette il premio internazionale dell'Università di Berna per gli studi sull'encefalite. Tra [Nota storica e archivistica p. 5] il 1941 e 1942 alcuni dei degenti dell'Istituto, dichiarati cronici, vennero trasferiti presso il cronicario di Ceccano e invece presso l'Istituto stesso diminuirono i ricoveri.

Nel 1946, a seguito della deliberazione del 14 dicembre 1945 della Deputazione provinciale di Roma, si decise di trasferire l'Istituto, che comunque avrebbe mantenuto il suo carattere autonomo e scientifico, presso uno dei padiglioni dell'Ospedale Santa Maria della Pietà mentre la sede di Villa Pamphili sarebbe stata destinata al brefotrofio. Il trasferimento avvenne il 24 giugno 1946 e si decise di destinare agli encefalitici il II padiglione dell'Ospedale Santa Maria della Pietà prevedendo un ingresso separato e una recinzione che isolasse l'Istituto dal resto del manicomio. Fu nominato direttore Francesco Bonfiglio (che ricopriva già tale carica per l'Ospedale Santa Maria della"Pietà) mentre Ivo Ruggeri fu confermato aiuto-direttore. Presso la nuova sede l'Istituto continuò la sua attività e infatti nel 1953 ne venne arricchita la dotazione scientifica e bibliografica e fu dato inizio a nuove ricerche in campo istologico allo scopo di chiarire i meccanismi patologici della malattia.

Nel corso degli anni sessanta e settanta i ricoveri presso l'Istituto diminuiscono notevolmente anche perché in altre regioni italiane erano stati aperti numerosi centri di cura per l'encefalite.

Con la deliberazione del 18 gennaio 1985 n. 55, l'Unità sanitaria locale RM/19 decise di chiudere l'Istituto e di trasferire gli ultimi sei pazienti ricoverati nel padiglione XXI (area geriatrica) dell'Ospedale Santa Maria della Pietà.

Il 30 marzo 1993, a seguito del decesso dell'ultimo degente, l'Istituto cessa la propria attività».

 

Si potrebbe tentare di concludere provvisoriamente che i danni neurologici e mentali di qualunque pandemia virale precedente siano stati di gran lunga maggiori di quelli fisici. Teniamone conto per il presente e per il futuro. Soprattutto a non perdere tempo in operazioni inurtili con discussioni inerti. Agli eccessivi “stop and go” nella campagna vaccinatoria presente è stata romproverata troppa prudenza. Si potrebbe perdere. Vite umane. Troppo «delfinamento», con questa andatura, avrebbe osservato Ruggero Tita (suo il copiwrigt), olimpionico di vela, proprio come ha iniziato a fare Luna Rossa in America's Cup, da “race” 7 fino alla fine, contro i kiwi nel Golfo di Hauraki. Gli appassionati sanno com’è andarta a finire. La perdita non ha comportato vittime. In campo sanitario, però andrà meglio, si vincerà presto. Siamo ottimisti. Ce lo aguriamo con le stesse parole di Draghi alla cerimonia commemorativa bergamasca del 18 marzo 2021: «Il governo è impegnato a fare il maggior numero di vaccinazioni nel più breve tempo possibile. Questa è la nostra priorità. […] La sospensione del vaccino […] è stata una decisione temporanea e precauzionale […] oggi, l'Agenzia Europea dei Medicinali darà il suo parere definitivo […] Qualunque sia la sua decisione, la campagna vaccinale proseguirà con la stessa intensità, con gli stessi obiettivi».

 

Note.

01. La commissione per gli Affari costituzionali di Palazzo Madama, in sede deliberante, e all’unanimità, ha dato il via libera al d.d.l. che istituisce la Giornata nazionale in memoria delle vittime del Covid 19.

02. Associazione Italiana Otorinolaringoiatri Libero Professionisti (AIOLP), Carmelo Zappone, DIRE – Notiziario settimanale Sanità Roma, 10 marzo 2021.

03. Francesco Bollorino e Gilberto Di Petta. La doppia morte di Gerolamo Rizzo. Diario «clinico» di una follia vissuta. Alpes, Roma, 2020.

04. L’archivio dell’Ospedale psichiatrico provinciale di Genova a Cogoleto e dei fondi aggregati (metà sec. XIX – fine sec. XX) inventario sommario a cura di Simonetta Ottani. Ottobre 2014. L’intervento di riordino ed inventariazione è stato svolto su incarico della Soprintendenza archivistica per la Liguria nell’ambito del progetto ministeriale “Carte da legare”, finalizzato al censimento, al riordino e alla valorizzazione degli archivi degli ex istituti psichiatrici.

05. Per completezza si rimanda alla nota storico-istituzionale del fondo Policlinico Umberto I di Roma. Reparto regina Elena e all’inventario dell’Ospedale psichiatrico Santa Maria della Pietà di Roma. L'archivio, a seguito di numerosi trasferimenti di sede, si è conservato in maniera disordinata e risulta lacunoso; sulle carte non sono presenti segnature originarie, molti dei fascicoli hanno una formazione miscellanea. Nonostante l'assenza di vincolo e di un sistema di classificazione si è cercato di ricostruire l'ordine originario. Sono stati sottoposti a selezione e scarto i seguenti documenti: – Direzione, Bollettari delle richieste di visite specialistiche e di esami diagnostici, 1975 e 1987, bollettari 6. – Economato, Bollettari di richieste di specialità medicinali e di materiale sanitario alla farmacia, date: 1980 e 1987; bollettari 25. – Economato, Bollettari di: occorrenze di servizio, richieste di piccole manutenzioni, piccole forniture, 1947 e 1948, 1975 e 1986; bollettari 14. Elementi identificativi del fondo: denominazione Istituto Neurologico Provinciale di Roma, estremi cronologici 1937 B 1993, con docc. dal 1926 e fino al 2002. Consistenza in unità 155 registri, 1780 fascicoli, 2 schedari. Consistenza in contenitori 117 buste. Consistenza lineare 10 metri. Soggetto conservatore Centro studi e ricerche della ASL Roma E., luogo di conservazione: Padiglione XXVI del complesso di Santa Maria della Pietà, Piazza Santa Maria della Pietà 5, Roma. Il lavoro, svolto nel 2011, è stato reso agevole dalla disponibilità del personale del Centro studi e ricerche diretto dal dott. Pompeo Martelli, che ringraziamo.

 

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