Non è facile richiamare, oggi, l'atmosfera della psichiatria in Italia, accademica e non, tra la fine degli anni 50 e la metà dei 60.
Su tutto incombeva da noi un'aria greve, la dimensione biologica trattata in modo naif ed irrisorio, gli aspetti psicoanalitici quanto lontani! in un'atmosfera irreale di onnipotenza e idealizzazione, senza tempo e senza realtà clinica, i versanti natropo-fenomelogici nascosti in antri oscuri ove si parlava una lingua iniziatica, il tedesco, e dove ci si muoveva nei misteri orfici di una filosofia anch'essa idealizzata e che, quindi, aveva perduto i sostegni della razionalità.
Cosa doveva fare un giovane, allora, appasionato di psichiatria?
Ero, per fortuna a Genova, ove Cornelio Fazio, tanto neurologo e poco psichiatra, aveva tuttavia la caratteristica degli uomini di rilievo: sapeva scegliere, sapeva delegare e capiva le persone.
Per questo aveva iniziato la consuetudine di quelle giornate scientifiche, che noi chiamavamo i Lunedì, a cui venivano, per esporre i loro punti di vista, personaggi disparati.
Qui nel 1961 venne Danilo Cargnello: avrebbe parlato di antropo-fenomenologia, di cui era allora il maggiore interprete italiano. E ci aspettavamo oscuri discorsi filosofici, impenetrabili argomentazioni, abissi di incomprensibilità.
Invece, forse per la prima volta, ebbi la sensazione della chiarezza, della precisione, imparai che le parole hanno un senso, che nella malattia psichica si poteva capire di più.
Alla fine, toccava a me, giovane adepto della psichiatria, quasi per obbligo, fare un'osservazione.
Cercai una critica, per non sbottare in un inutile elogio, la trovai: "……..scusi, Professore, ma il suo modo di procedere mi pare un po'……… come dire?………tautologico"
E tremai: chissà, pensavo, quale fiume di disprezzo mi verrà dal grande uomo, chissà come risulterà chiaro, dal suo tono di sufficienza, che non ho capito nulla……….
"Ecco – mi sentii dire – mi fa piacere che abbia capito: proprio così, è una taotologia" e mi spiegò, amorevolmente, che "dire le stesse cose in un altro modo significa capirle".
Io non l'ho mai più dimenticato.
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