Dopo il mio breve annuncio nella "mailing list psic-ita" della scomparsa di Danilo Cargnello, avvenuta il 29 novembre 1998, i tratti essenziali della Sua figura di psichiatra e della Sua straordinaria produzione scientifica sono già stati ricordati degnamente da Sergio Piro con l'intervista esclusiva a POL.IT e da Romolo Rossi con il suo ricordo personale. Voglio ora portare la mia testimonianza, cogliendo anche l'occasione, come dirò, per rinnovare un impegno al quale Egli mi aveva chiamato alcuni anni fa.
Giustamente Sergio ha ricordato Cargnello sullo sfondo dell' "isolamento in ospedali psichiatrici di provincia" -tra gli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta – di personalità scomode rispetto all'assetto del potere accademico e alla conseguente egemonia culturale di un più o meno rozzo neurologismo. E altrettanto giustamente ha evocato "la valanga culturale" che si innescò proprio a partire dai "manicomi di provincia". Troppo ottimistica, però, mi pare la sua conclusione, che quella valanga avrebbe "travolto la psichiatria accademica italiana dell'epoca". La storia ci ha dimostrato invece che l'accademia psichiatrica, superato forse qualche brivido iniziale, seppe mantenere un'olimpica indifferenza al nuovo, e grazie al suo tradizionale eclettismo ecumenico riuscì anche ad assorbire nel suo seno capace voci contradditorie e orientamenti divergenti. La cultura di cui Cargnello era portatore, quella che molto genericamente chiamerei psicopatologia declinata in termini di fenomenologia antropologica, o psicopatologia antropologica tout court, sicuramente non si è trasmessa ai più giovani per "li rami accademici": tutti gli psichiatri "antropologistici" citati da Piro nella sua intervista – come Cargnello e come lui stesso, del resto – sono rimasti fuori dai recinti universitari; hanno proseguito l'elaborazione scientifica e hanno "fatto scuola" o in solitudine o nella dimensione dei servizi psichiatrici pubblici. Furono questi ultimi, in realtà, ad essere travolti dalla "valanga culturale" quando l'antropologia fenomenologica si arricchì con altri strumenti di lettura – tra cui quelli fecondissimi di matrice marxiana – della condizione dell'uomo nelle istituzioni psichiatriche, e più oltre, di disvelamento della psichiatria stessa come istituzione storicamente determinata nelle sue basi teoriche e nella sua "forma" manicomiale. Solo allora fu possibile, come e con diverse sfaccettature accadde con Franco Basaglia, Sergio Piro, il gruppo di Perugia, Edoardo Balduzzi e così via, realizzare concretamente, nella pratica, le "conseguenze politiche" che erano in nuce nelle caratteristiche di Cargnello così incisivamente ricordate da Piro: "professionalità altissima, continua tensione al futuro, passione profonda per il mutamento".
E' noto che uno dei meriti più grandi di Danilo Cargnello è stato quello di aver fatto conoscere in Italia, approfonditamente, il pensiero di Ludwig Binswanger, proponendolo sin dai primi anni del dopoguerra in modo rigoroso, e con una splendida resa linguistica (vedi i lavori, ricordati da Piro, pubblicati nel 1947-48 nella "Rivista di psicologia") a una psichiatria italiana in quel momento tanto affaccendata nella dimensione somatologico-neurologica da potersi dire che come "psichiatria" propriamente detta era di fatto inesistente. Meno che mai era sfiorata dal sospetto che essa potesse (o dovesse) essere una disciplina "antropologicamente fondata". Il giovane Cargnello pagò anche lui il suo tributo alle speculazioni del momento, con una ricerca su Le variazioni della calcemia nello shock cardiazolico ("Rassegnadi studi psichiatrici", vol. XXVIII, 1939) ma dimostrava già ben altri interessi, ad esempio pubblicando un anno dopo lo Schema sintetico dell'organizzazione psicologica del nevrosico secondo le concezioni di AlfredoAdler e seguaci (‘Individualpsychologie')(Ibidem, vol.XXIX, 1940). Negli anni successivi si succederanno i lavori più noti, in gran parte elencati nell'intervista di Sergio Piro, che collocheranno definitivamente Cargnello nella prospettiva "antropo-fenomenologica", identificandolo soprattutto come "interprete" di Ludwig Binswanger. E in effetti Cargnello è stato interprete rigoroso, devoto, sempre pronto a richiamare alla fedeltà alla lezione binswangeriana, fino a dedicare al maestro di Kreutzlingen le intensissime riflessioni confluite nel volume di saggi Alterità e alienità, (si veda in particolare la seconda edizione Feltrinelli, del 1977) e quelle che lo hanno occupato nei suoi ultimi anni, cioè i sei lavori su Ludwig Binswanger e il problema della schizofrenia pubblicati nella "Rivista sperimentale di freniatria" tra il 1981 e il 1987 – meglio, anziché di "lavori" è il caso di parlare di una monografia in "sei parti", che tutti desidereremmo vedere pubblicata in volume – e Il concetto di autismo nell'opera di Ludwig Binwanger ("Psichiatria generale e dell'età evolutiva", vol. 31, 1993). Ritengo però che oltre ai suoi contributi più direttamente connessi a Binswanger, ne vadano ricordati altri che sono ancora punti di riferimento indispensabili per ogni riflessione in tema di psicopatologia fenomenologica: Sul problema psicopatologico della "distanza" ("Archivio di psicologia neurologia e psichiatria", vol. XIV, 1953); Della morte e del morire, in psichiatria ("Sistema nervoso", vol. VIII, fasc. 2, 1956); Fenomenologia del corpo("Annali di freniatria e scienze affini, vol. 77, n. 4, 1964); Il problema della corporeità, Rel. al XXX Congresso della S. I. P., Milano1968; e si rileggerà ancora, come esempio di magistero critico-metodologico, La psicopatologia è davvero in crisi? (in coll. con B. Callieri e A. Bovi, "Arch.psicol. neurol. psichiatr.", vol. XXVI, 1965, fasc. VI) amichevole ma certo non indulgente risposta polemica al lungo articolo di G. E. Morselli e E. Borgna, La crisi della psicopatologia, (comparso nel fasc. III della stessa rivista). Ricordo la presentazione di Logoterapia e analisi esistenziale di Viktor E. Frankl, (ed. Morcelliana, Brescia, 1952) e, infine, la splendida, penetrante analisi del problema della paranoia in Il caso Ernst Wagner (ed. Feltrinelli, 1984).
Verso la metà degli anni Sessanta Danilo Cargnello fu l'animatore e il leader di progetti che non ebbero però il successo sperato, forse perché i tempi stavano cambiando, e altre urgenze incalzavano gli psichiatri più "impegnati". Ricordo l'iniziativa di una Rubrica: Antropo-analisi e psicopatologia, nella "Rivista dipsichiatria" che avrebbe dovuto ospitare periodici contributi sugli "indirizzi antropofenomenologici nell'ambito della psicopatologia e, più generalmente, delle discipline psichiatriche". Il "programma" che apriva il discorso era firmato, oltre che da Cargnello, da Edoardo Balduzzi, Franco Basaglia, Adolfo Bovi, Bruno Callieri, Antonio Castellani, Luigi Frighi, Ferruccio Giacanelli, Aldo Semerari (v. "Rivista di psichiatria", vol. II, n.1 1967). Purtroppo non si andò al di là di un primo contributo, Biologia e psicopatologia, di Cargnello, Callieri, Frighi e Semerari, breve ma ancora oggi degno di riflessione sul piano metodologico. Ricordo anche un altro progetto ambizioso, l'edizione italiana dellaPsychiatrie der Gegenwart, (ed. originale Springer, Berlin – Heidelberg – Göttingen,1961), monumentale summa in cinque volumi in 8° della psichiatriadi lingua tedesca, cui avevano collaborato illustri studiosi europei e statunitensi. L'edizione italiana avrebbe avuto il titolo di Psichiatria del presente ed era prevista in otto o forse più volumi. Il progetto si arenò dopo l'uscita dei primi due, probabilmente per errori di politica editoriale: la veste dei volumi, concepiti a fogli mobili in vista di futuri aggiornamenti, ci parve in effetti eccessivamente lussuosa in confronto agli austeri, classici tomi di Springer, e nel frattempo l'editore aveva trasferito la sua ragione sociale a Vaduz, nel Liechtenstein, da dove non si ebbero più notizie dell'impresa. La partecipazione al team dei traduttori radunati da Cargnello fu per me l'avvio di una collaborazione che poi si sarebbe maturata con la pubblicazione de Il caso Ellen West e altri saggi (prefaz. di Danilo Cargnello e Ferruccio Giacanelli, ed. Bompiani, 1973): in quell'occasione conobbi da vicino – e potei cercare di farne tesoro – la Sua lezione di rigore metodologico, di scrupolo filologico e bibliografico nella penetrazione del testo, di resa linguistica asciutta ma sempre espressiva ed estremamente elegante.
E qui vorrei mantenere l'impegno al quale mi sento ancora legato con Danilo Cargnello. Un impegno che oggi, nel momento del rimpianto, sento come una sorta di "mandato". Al culmine della sua riflessione fenomenologica, egli aveva deciso di abbandonare la dizione "antropoanalisi", ben nota agli psichiatri italiani e che aveva scelto inizialmente per rendere il termine Daseinsanalyse di Ludwig Binswanger, adottando invece quella di "analisi della presenza". In una delle sue ultime pubblicazioni, Analisi della presenza come locuzione italiana equivalente al termine composto tedesco Daseinsanalyse ("Psichiatria Gen. Età Evol.", vol. 30, 1992), Egli spiega le ragioni di questo cambiamento: dopo un attento lavoro filologico, fondato su una ricca serie di citazioni dello stesso Binswanger e di studiosi della fenomenologia binswangeriana, conclude che pur essendo "il ripudiato termine" di più agevole impiego, la nuova locuzione "è di gran lunga meno generica" e "più vicina e fedele al pensiero di Binswanger" (p. 384). In una breve lettera del gennaio 1983, con la quale accompagnava l'invio dell'estratto del lavoro che ho appena citato, mi scriveva: "Ti prego di far particolare attenzione al fatto che – ormai da qualche lustro! – parlo di ANALISI DELLA PRESENZA(avendo ripudiato il termine di "antropoanalisi")". Successivamente, in occasione di (rare, purtroppo) conversazioni telefoniche, Danilo mi sollecitava a tenere sempre presente questa sua scelta e mi chiedeva di farmene portavoce in quelle circostanze pubbliche (convegni, seminari e così via) a cui ormai da tempo non partecipava. Temo di non aver avuto molte occasioni, in passato, di adempiere a questo Suo desiderio. Sono lieto di farlo qui, dialogando con i numerosi Colleghi di POL.IT. Sappiamo tutti come la cifra linguistica "antropoanalisi", con le sue varie e facili declinazioni in avverbio e in aggettivo, sia ormai entrata nell'uso e sia di spontanea evocazione. Ma d'ora in poi, quando ci capita di leggerla o di pronunciarla, soffermiamoci un istante e proviamo a tornare alla formula di analisi della presenza: ne riscopriremo tutto lo spessore di senso e sarà anche questo un modo di rispettare, anzi di non lasciar cadere la lezione di Danilo Cargnello.
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