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La scuola di partito diretta da Massimo Recalcati Il Sapere Psicanalitico come Sapere Fondativo del Soggetto Etico

25 Nov 17

Di maimonide@iol.it
Ieri sera, 24 novembre, alla trasmissione 8 e ½, condotta in modo esemplare dalla Gruber, è andata in onda una puntata che dovremmo tutti rivedere per riflettere e per maturare e consolidare un nuovo senso di speranza per il futuro, non solo politico del nostro Paese.
Le argomentazioni di Massimo Recalcati, tra gli espliciti e gli impliciti, ci hanno fatto capire come le cose possano cambiare nella politica italiana, purchè se ne abbia volontà e si attivino pratiche virtuose.
Una di queste è l’Istituzione della Scuola di Partito, che, fra  i tanti saperi, declina anche il sapere  psicanalitico, che io ritengo  condizione necessaria per una ripresa e un riscatto della nostra Storia e di noi, delusi cittadini.
Spero che il senso di speranza che ho provato io, sia stato un sentimento provato anche dagli  altri telespettatori, una speranza legata a quella altrettanto forte di vedere sempre più diffondersi una cultura psicanalitica, perché: il sapere psicanalitico, è un sapere che tende,  e qui entra in gioco Recalcati


 

  1. “alla liberazione del Soggetto umano da quello statuto  ontologico di  un essere chiuso sostanzialisticamente su se stesso[1],
  2. a sottrarlo al narcisismo della retorica umanistica, ma anche alle sirene dell'edonismo naturalistico che lo ridurrebbe a uno stadio istintuale dello sviluppo evolutivo, sconfessando, come sostiene Lacan, il primato di una struttura anonima ("processo senza soggetto", per usare la celebre definizione althusseriana della storia), che finirebbe per concepire il soggetto come un mero effetto determinato dall'azione dell'Altro[2]. (Sulla qual cosa si fonda il fatalismo, spesso assunto come alibi per non agire o agire in modo antisociale, “perché la realtà è questa e non la si può cambiare”)
Il sapere psicanalitico, quindi, come un sapere che ribadisca la natura eminentemente intersoggettiva della soggettività umana e che permetta di vivere “il fare politica” come opportunità per fare un dono all’Altro e/o per pagare il “debito all’Altro” e di riflesso a se stesso, soddisfacendo un nobile narcisismo, sublimato dal constatare come la propria azione si riverberi in un maggiore benessere sociale.

Recalcati ha parlato anche della necessità di un nuovo modo di guardare al tempo: un tempo che sia quello del desiderio e non quello del bisogno e del godimento immediato: un tempo che imponga un ripromettersi (e qui utilizzo strumentalmente, al di là del senso che ne dà Lacan,  il concetto di futuro anteriore, molto anteriore), di agire oggi, perché quello che avrò fatto di buono oggi, avrà i suoi riflessi un domani, che potrà essere anche lontano: riflessi da attendere non con l’ansia di un immediato o un proprio tornaconto.
Un tempo, politicamente parlando, che non sia quello di scelte populistiche per essere rieletti, ma un tempo necessario per risollevare le condizioni morali, economiche e sociali del Paese Italia.
Riflessi da considerare comunque certi, anche se di essi non se ne dovesse avere direttamente godimento (potrebbe essere questa una versione del plus godere? Quella cioè di sapere che altri godranno di una mia azione e non io?).
Un futuro anteriore legato alla fiducia, alla speranza, al desiderio, che venga coniugato al posto del presente della compulsione e della coazione mortifera; un futuro anteriore che venga coniugato dal Soggetto Umano, invece del congiuntivo imperfetto del rimpianto, del Senso di Colpa, dell’”Ah, avessi fatto ciò, ora non starei qui a patire per avere ceduto sul mio Desiderio!”

 
 
 



[1] M. Recalcati – Desiderio, Godimento, Soggettivazione.
[2] Ibidem

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6 Commenti

  1. info_1

    Ne ho scritto qua, e su
    Ne ho scritto qua, e su Micromega.

    Loro, là fuori, lo odiano’. Ecco il sunto del pensiero Massimo Recalcati il quale, ancora una volta, cerca appassionatamente di spiegarci come esista un cupo mondo popolato da individui colmi di odio che, affetto da turbe addirittura paranoiche, ce l’avrebbe irragionevolmente a morte con l’ex premier. Già il suddetto si era pronunciato con epiteti clinicamente orientati alla Leopolda, laddove i contrari al valoroso Telemaco erano additati come ‘mummie intrise di godimento masochista’, o appartenenti a fazioni politiche strutturate su natura incestuosa. Non è bastata la legnata della notte del 4 dicembre, nemmeno gli ultimi tonfi amministrativi nei quali il Pd a trazione renziana ha perso città, voti e iscritti a instillare il dubbio che il romanzo epico del rottamatore solo e accerchiato fosse una narrazione giunta al termine. No: ci risiamo.

    La storiella dei malevoli che premono alla porta degli eletti virtuosi intenti a prodigarsi per il bene di una comunità di irriconoscenti è a ben vedere uno degli elementi portanti dello storytelling renzista: ‘Là fuori c’è solo l’odio’ è infatti il mantra ricorrente che ha fatto da sottotitolo alle due convention renziane, la Leopolda e il Lingotto. ‘Loro ci odiano, noi siamo l’amore’. ‘Noi siamo il bene e loro il male’. Echi di berlusconiana memoria, frutto di una clinica artatamente utilizzata all’uso del principe, proiezione sull’altro dell’incapacità di risolvere le proprie magagne e i propri fallimenti che anche un neolaureato può scorgere avendo dato una breve scorsa a qualsiasi trattato di psicopatologia tascabile. Ammantarsi dell’abito del portatore di luce candido e colmo di amore, intento a condurre la solitaria battaglia contro le forze del male, è storia tipica dei concentrati di potere che fanno a meno del contraddittorio. Il renzismo incarna un piccolo mondo ben protetto, costruito sulla personalità del leader: nessuna voce dissenziente, nessuna parola contraria. Applausi da plebiscito, ovazioni. ‘Forza, bellezza, mamma e futuro’ le vuote parole d’ordine prive di qualsiasi contenuto politico. Un universo narcisistico elevato a sistema, spacciato per assemblea dibattimentale. I ‘nemici’ della voce unica sono stati epurati, banditi, messi alla porta con le accuse proiettive di essere portatori di odio, untori del malanimo. ‘Scissionisti’, come ho avuto modo di scrivere in questo sito.

    Già, ma quelli fuori? L’Italia non si esaurisce in quel milione di elettori che hanno rimesso Reanzi alla guida del Pd. C’è altro. C’è un mondo che parla un altro linguaggio. E in altro modo utilizza termini quali psicoanalisi, sinistra, Pasolini. Termini che poco c’entrano col renzismo.

    Partiamo dal primo. L’accusa mossa da più parti a Recalcati non è di aver preso parte alle assise del Pd in quanto partito politico, quanto l’avere offerto e piegato il linguaggio analitico alla causa del renzismo. E’ quella di aver corroborato con termini indebitamente attinti dal linguaggio analitico la modalità censoria e discriminate che il renzismo è uso operare nei confronti di qualsiasi cosa possa portare dissenso. Come uomini possiamo andare ovunque. Entrare in qualsiasi consesso liberamente. Come analisti sappiamo tuttavia che esistono stanze che ci impongo di lasciare il soprabito fuori dalla porta. La questione dell’opacità dell’analista, vale a dire la capacità di non lasciare trasparire che poco o nulla dei propri vissuti interiori, è un articolo cardine della costituzione analitica. L’analista, affinché il dispositivo funzioni e non si tramuti in qualcosa d’altro, deve saper mantenere questa posizione il più possibile decolorata, quel posto che Lacan definisce dello ‘scarto’. In seduta, certo. Ma non solo. Viceversa, il mostrare pubblicamente le proprie pulsioni, passioni, idee, vestendole del lessico clinico, può sfociare in qualcosa che assomiglia a un ‘giudizio diagnostico’ extra moenia. Patologizzare il dissenso, rivolgendosi così a chi avversa Renzi (la maggioranza degli italiani) è qualcosa che può turbare, scuotere, colpire, pasticciare il lavoro in corso di tanti che si sono sentiti chiamati in causa, trovandosi al contempo sul lettino come pazienti avversi all’ex premier e davanti alla televisione mentre la Leopolda andava in scena. Grave sarebbe la reazione dei miei pazienti, del Pd, di sinistra, o di destra, se mi vedessero non già schierato, quanto ‘arruolato’ imbracciando la doppietta del dsm in uno dei palchi politici ai quali ho partecipato, apostrofando parte di loro come un ‘corpo unico’ posseduto da intenti ‘incestuosi’, definendoli in base a questa o quella affezione dalla quale sarebbero interessati.

    Con questa micidiale prospettiva renzo-analitica, il dissenso diventa ipso facto paranoico perché attenta alla verità del capo. Leggendo l’ultimo libro di Renzi ci si immerge infatti in un mondo popolato da contrari rematori, nemici insidiosi che ne avrebbero impedito il cammino di indomito innovatore. L’Europa, Gianni Letta, D’Alema, la comunicazione, Berlusconi, il Gundam. Queste le cause esterne di un percorso politico che, in realtà, non ha mai trovato sufficiente forza elettorale sulle proprie gambe per reggersi in piedi. Nemici alle porte verso i quali sovente viene agitata l’arma legale, organo aggiuntivo necessario per irretire tanti di quelli che portano critiche dal mondo là fuori agli insonorizzati salotti della Leopolda. La Boschi minaccia querele, Farinetti minaccia querele. Perché? Perché il potere, e Pasolini lo sapeva bene, alla fine, è sempre uguale a sé stesso, per sua stessa natura, è paranoico, e non tollera le voci dissenzienti. La sua fragilità programmatica è direttamente proporzionale alla forza muscolare che mette in campo per zittire le voci dissonanti. Libero di fare quel che vuole dentro a regole rigide impartite agli altri. Già, Pasolini.

    Recalcati ha inaugurato la scuola politica del Pd titolata a Pier Paolo Pasolini. Le ovvie critiche a questa operazione a dir poco spericolata, sono state avversate in rete dai fan più accalorati additando i critici dell’operazione ‘Scuola Politica PPP’ come animati da un prosaico invidioso livore in quanto incapaci di perdonare ‘il successo’ del suddetto analista. Insomma, anche in quel caso, si tratterebbe solo di odio che cola. Divisioni nette, facili, ben spendibili, che volutamente scelgono di non tenere in conto il libero pensiero critico di tanti che, intuendo il tentativo di stravolgimento operato sulle idee del poeta e subodorandone un inquadramento forzato a un progetto politico ritenuto abissalmente lontano dal sentire dell’autore degli Scritti Corsari, hanno scelto di esprimersi in maniera contraria. ‘Il fine del potere, è il potere’, è forse questo l’adagio orwelliano che più di Pasolini dà la cifra del renzismo, come dimostra l’ossessiva ed estenuante ricerca di trovare un varco legislativo o temporale nel quale incunearsi per fare cadere, come lo scorpione di Esopo, l’ennesimo governo, pur di riprendersi lo scranno del quale si è sentito orbato ingiustamente, quando, la notte del 4 dicembre, il popolo si è precipitato in massa a inoculare nelle fessure delle mura fiorentine un assaggio di principio di realtà. Il renzismo dunque crea, delimita e blinda un campo a-dialettico nel quale non solo la psicoanalisi può sentirsi davvero a casa, ma anche PPP appare come un corpo estraneo. Come integrarli in un mondo nel quale il dissenso è ignorato, isolato ed espulso? Impossibile. La psicoanalisi deve avversare il potere, non lisciarlo. Può essa essere messa al servizio di un potere che si blinda, che cambia i direttori dei telegiornali in corso d’opera per garantirsi una miglior audience? Che manganella i dissenzienti fuori le mura come accaduto nei giorni della Leopolda? No, non può. Come non può prestarsi a un uso di diagnosi massificata di ‘odio’ verso l’ex premier, stratagemma che serve a proteggere gli eletti dall’avanzare scomposto del nemico, che avrà le sembianze vieppiù del persecutore, del perturbante, della mummia, del cattivo partigiano, passerella linguistica degli orrori a significare che nell’altro qualcosa non funziona, mentre dentro alla piramide c’è la salute e la tranquillità.

    In ultimo, Renzi avrebbe messo ‘la sinistra’ di fronte all’evidenza del proprio cadavere. Ma di quale sinistra parliamo, quando parliamo del renzismo? Nel vocabolario di questo partito manca l’idea di sinistra. Un termine abusato da qualsiasi oratore leopoldino che abbia avuto i suoi cinque minuti di palcoscenico, ma che nelle loro bocche non significa nulla. Parola ripetuta ossessivamente, perché la litania ossessiva serve proprio a colmare il buco. In questo Pd, la sinistra non c’è. Il renzismo è senza sinistra. Perché ripropone un idea di Stato privo della prospettiva centrata sull’altro da lui, ma sul simile. E’ in realtà una destra, vecchia, perché alla meritocrazia preferisce il familismo. Perché sta sempre e comunque con chi produce il vapore, non a caso Renzi si è fatto forte del mantra ‘Io sto con Marchionne’. Il renzismo non rappresenta e non vuole rappresentare il mondo del lavoro. Là dentro non c’è traccia dei giovani umiliati dal jobs act, degli insegnanti massacrati dalla ‘buona scuola’. Dei giovani italiani gabbati in attesa dello ius soli. Nulla di tutto questo. Ci sono sempre e solo loro, coloro i quali tempo fa si autoinvestirono della missione di ‘rinnovare l’Italia’ secondo le loro prospettive, che mai hanno tenuto in conto la voce del popolo. Lavoro, disoccupazione, marginalità, delocalizzazione sono concetti e realtà che nessuno di costoro ha mai conosciuto direttamente, ma sanno che per recuperare consenso necessitano di imparare in fretta e furia un vocabolario ‘terreno’ che li spacci, per il solo tempo che intercorre da qua alle elezioni, come gente ‘eletta’ dal popolo. In realtà gli esponenti del renzismo sono di destra, senza esserne consapevoli. Escono da quella generazione che credeva di fare il bene del mondo appendendo in camera i poster delle banane equo solidali. Hanno sempre scambiato la realtà per un tweet, la disoccupazione come un intoppo accettabile del capitalismo al quale essi sono proni. I diritti sindacali non sono da costoro mai stati presi in considerazione, perché appartengono a quella parte di mondo che vede la sindacalizzazione come un intralcio, un un rumoroso chiacchericcio nel giardino. Essi non hanno ‘dimenticato’ i giovani, perché a costoro dei giovani non importa nulla. Il futuro del quale parlano è il loro futuro. L’eredità della quale discutono è quella alla quale essi aspirano, con le loro liste bloccate e la loro sete di potere senza fatica. Nel progetto di Telemaco, il futuro è una prerogativa per eletti. Un gruppo che sta insieme, e in maniera autoreferente vuole a tutti i costi preservare e continuare sé stessa. Una sorta di investitura che verrà dal capo, preservando propri adepti dal duro confronto con la quotidianità. Cosa sono mai, in un’Europa di partecipazione, le liste bloccate? Cosa altro se non un’arcaica modalità di blindare i propri adepti dalle prove elementari delle democrazia? Come è possibile, oggi, in tempo di casta giustamente additata di riprodurre sé stessa come una casata reale, pensare ancora a candidati imposti dall’alto, sganciati da un reale confronto col territorio?

    Dunque, nessun cadavere. Nessun afflato di sinistra ha mai minimamente attraversato il renzismo. La verità è che costoro, in jeans e trolley, sono stati i protagonisti del declino del paese. Economico e dialettico. A Renzi e al renzismo sono da ascrivere i peggioramenti in economia, il fallimento delle politiche del lavoro. La loro anima era, e resta, iperliberista. Essi non parlano le parole sacre della sinistra storica: diritti, eguaglianza, pluralità. Non le conoscono. Il solo cadavere incontrato è stato quello del renzismo, pubblicamente esposto la notte del 4 dicembre. Alla fine, è forse bene non dare fiato al triste quesito: ‘Chi ama Renzi, chi lo odia’, lanciato sul quotidiano sul quale, anni luce fa, scriveva Miriam Mafai. La questione non è analitica. Nemmeno politica, mancando il renzismo di argomentazioni e spunti degni di tal nome. E manco riguarda la sinistra, che là dentro non esiste. Si tratta semplicemente di un no, gridato da più parti dello stivale, a una compagine che continua a fingere di non vedere che là fuori, per loro, piove.
    Noi non odiamo Renzi.
    Non lo vogliamo più al governo.

    IL Silenzio degli intellettuali della scuola PPP, sul ‘Risatellum’, una legge che deprime e annichilsce la libertà d’espressione

    Dove sono dunque le voci degli intellettuali? Coloro i quali, pacatamente, possono spezzare una lancia a favore della eguale rappresentatività di tutte le forze dell’arco parlamentare che rischiano la sordina? Quelli che, liberi da condizionamenti e indottrinamenti, dovrebbero costruire un discorso controcorrente? Beh, ho detto al mio amico. Non sono certo io quello che può dire qualcosa in merito. Sono e resto un analista di periferia. Mi sono però ricordato di quella scuola che ha radunato gli ‘intellettuali democratici’. Sì, quella che avrebbe dovuto prendere il posto, nell’immaginario collettivo, delle Fratocchie. Quella intitolata a Pier Paolo Pasolini. Ve la ricordate? Quella che doveva creare argine al populismo dilagante. Scorro i nomi dei relatori alle prime assise della scuola, il pensiero dei quali ho più volte ascoltato e apprezzato. Sono certo che, come ‘intellettuali di riconosciuta qualità (…) che si sono distinti per avere pensato originalmente l’oggetto del loro insegnamento’ tuoneranno contro una legge forgiata con il chiaro intento di togliere il seggio alle forze politiche che si oppongono al Governo attuale.

    Non sono mai andato al Festival della Filosofia, ma per ascoltare le limpide argomentazioni di padre Bianchi, ex priore di Bose, è sufficiente aprire uno dei suoi mirabili testi per comprendere quanto il tema dell’accoglienza della diversità, l’altro nella sua irriducibilità, sia uno dei punti nodali del suo pensiero, con tanta forza e lodevole impegno portato avanti, in tempi così difficili, permeati di perbenismo e individualismo. Lui sì che si scaglierà contro una legge che promette la mordacchia alle opposizioni! Almeno, credo. O forse lo farà Ivan Scalfarotto, anch’esso relatore in quella scuola, impegnato da sempre per i diritti LGBT? Una vita spesa per dare parola alle minoranze, non mancherà di certo di scagliarsi contro una legge che discrimina, che fa della diversità di pensiero un handicap ai blocchi elettorali. O forse le critiche verranno da Giovanna Melandri, presidente della Human Fondation? O forse..

    Passo sconsolato da un canale all’altro, ma non sento nessuna delle loro voci. Leggo i giornali, nessun editoriale. Scarico le interviste rilasciate ai vari festival culturali sparsi in tutta Italia: nemmeno lì un solo accenno al Rosatellum. Quella scuola, tace. Apro la finestra, decido allora di guardare in faccia questi populisti. Constato dal vivo ciò che il mio amico francese ha visto con maggior frequenza sui suoi quotidiani o reti televisive. Quello che i tg rai invece non sembrano dire sino in fondo. Non hanno le sembianze di beceri agitatori di popolo. Sono politici di diversi schieramenti che protestano, che si imbavagliano, portando fuori dal parlamento quella voce strozzata che non ha trovato diritto di replica nell’aula delle fiducie calate come mannaie. Che sia il Movimento 5 stelle o Mdp il bersaglio di questa legge, è intollerabile che una forza politica, sia essa a me a me vicina o sideralmente lontana, diventi oggetto di una legge finalizzata a estrometterla dall’agorà politica.

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    • admin

      Noto che Maurizio non perde
      Noto che Maurizio non perde occasione di riprorre sempre la sua teoria critica ogni qual volta viene proposto un articolo che non riguarda la psicoanalisi e la politica ma Recalcati e la politica in quanto mi pare evidente che il suo obiettivo sia quello.
      Psychiatry on line Italia rispetta le opinioni espresse nei commenti dai suoi lettori registrati ma non necessariamente tali commenti corrispondono all’opinione della Rivista.

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    • delu_stefano

      Caro Maurizio, ti leggerò
      Caro Maurizio, ti leggerò stasera, so che apprezzerò e cercherò, hegelianamente, spero, una sintesi che risolva, in una ragione superiore, le nostre, apparentemente antitetiche. A presto.

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    • delu_stefano

      Caro Maurizio,
      all’inizio

      Caro Maurizio,
      all’inizio facevo fatica a ricondurre il tuo commento al mio articolo, ma capisco che il tutto è riferito al video di Recalcati.
      Come premessa, dalla quale non posso prescindere per il rispetto che devo avere verso te, i lettori, ma soprattutto verso me stesso, ti anticipo che tutto quello che dirò sarà filtrato da un sentimento di gratitudine che ho maturato nei confronti di Recalcati.
      Io l’ho conosciuto come il docente che ha dato una svolta al Desiderio di mio figlio, contagiandolo con la sua passione per la Psicanalisi e come la persona che per ben due volte, ha risposto positivamente a due miei inviti a convegni organizzati nelle scuole (sono stato preside, che ha divulgato e divulga la psicanalisi come un “sapere” essenziale per prevenire il disagio della “contemporaneità” e dei nuovi sintomi, ma su questo ritornerò più avanti) e nei quali è venuto gratuitamente.
      Sono debitore a Recalcati, soprattutto per due testi fondamentali della psicanalisi e che sono “L’Uomo senza inconscio” e “Desiderio, Godimento e Soggettivazione”, che mi hanno permesso di accogliere Lacan (i miei riferimenti erano Freud, Klein e Bion), per il quale, negli anni ’80, Verdiglione me ne aveva creato un pregiudizio.
      Tu sai e se no, te lo dico, che la notorietà di Recalcati è nata con l’endorsment di Giuseppe De Rita, uno dei più illustri sociologi, che fu folgorato dalle analisi socio analitiche contenute ne “L’Uomo senza Inconscio”.
      Aggiungo che mio figlio, nelle grazie del docente Recalcati, dopo la laurea, non si è iscritto alla sua Scuola di Psicoterapia, per la sua formazione, ma ha lasciato Recalcati, rispettandone in pieno l’insegnamento lacaniano: cercare la propria strada e così ora è all’ultimo anno, presso la Tavistock di Londra, per diventare psicoterapeuta, deviando completamente dalla dottrina lacaniana, per ripartire da dove tutto ebbe inizio e cioè Freud, Klein, Bion.
      E questa torsione di mio figlio, ritengo che sia anche il frutto dell’insegnamento di Recalcati.
      Ecco, questo è il mio pregiudizio, cioè un a priori che si rifletterà senz’altro nella valutazione di Recalcati come analista e come persona: ma ora, da questa premessa emerge automaticamente una domanda: “il tuo pregiudizio qual è?”

      Ora passiamo ai punti del tuo commento ed in primis alla figura dell’analista e precisamente sul presupposto, dato per scontato, della necessità della sua “opacità”.
      Ricordo, che in un convegno Musatti riferì di una vacanza in un paese alpino, che egli dovette interrompere perché nello stesso paese stava villeggiando un suo paziente. Il convegno era nel 1985; egli si riferiva a qualche decennio prima e quindi andiamo negli anni ’60 e cioè alla preistoria.
      Io ritengo che la tua sia una idea molto condivisa, ma ritengo, altresì, come ho scritto in un altro articolo, “The black page” , che una totale trasparenza dell’analista potrebbe essere addirittura più funzionale:
      “io voglio riportare in modo “intemerato”, senza cioè il timore professionale, di perdere una mia ipotetica “Autorità”[7] un mio dramma, narrando, da analista, di me e del mio mondo affettivo.

      Su ciò vorrei fare un inciso per dire come oggi, certe cautele e certe difese dell’analista, rischino di diventare disfunzionali alla luce della permeabilità, se non della trasparenza delle nostre vite, data la pervasività e l’intrusività delle attuali tecnologie comunicative: ergo, nell’impossibilità di celarsi, converrebbe disvelarsi, quel tanto che sia utile per non trovarsi in imbarazzante contraddizione rispetto a come vorremmo apparire.

      Difese, molto probabilmente anacronistiche e disfunzionali anche alla luce delle nuove rappresentazioni simboliche del ruolo dell’analista.
      Ma al di là di questo aspetto pragmatico, che suggerirebbe di prendere atto delle nuove realtà e di un agire congruo alle stesse, ritengo che sul piano della credibilità e dell’autorevolezza dell’analista, potrebbe essere addirittura più funzionale parlare di certi accadimenti di Sé, proprio perché, rivelando aspetti emblematici personali, si potrebbe essere più credibili, in quanto si proporrebbero tesi suffragate su esperienze vissute di persona[8].
      Vale a dire che le cicatrici dell’analista, come anche l’ordinarietà della sua vita, potrebbero rappresentarne non solo la vulnerabilità, la fragilità, le crepe, ma anche la testimonianza di come tutti siamo partecipi di uno stesso destino, per cui, al di là dei fallimenti[9], delle cadute, di ciò che si è stati in certi momenti critici della nostra vita, della banalità, a volte, della stessa, deve interessare, non chi si era o si è, ma ciò che si può diventare, nella logica di un destino che quasi sempre ci lascia ampi margini per modellarlo o, al peggio, la forza di accettarlo o, addirittura, la capacità di assumersene la responsabilità.[10]
      L’esito che ne potrebbe sortire, sarebbe per l’analista, quello di passare, per il potenziale analizzante, da “Soggetto supposto Sapere” a “Soggetto supposto Sapere e Comprendere”.

      Non nascondo che in questo narrarsi in prima persona e sugli aspetti più intimi e vulnerabili di Sé, possano giocare anche forme reattive e/o ambigue di narcisismo, anche se capisco che dichiarare ciò potrebbe riportare tautologicamente alle proprie crepe e di nuovo a un mascherato narcisismo: da ciò se ne può uscire solo se consideriamo il narcisismo “la motivazione inconscia e principe di ogni atto umano” e che ciò che interessa è proprio l’atto stesso, che può essere perverso o nobile, passando per tutte le connotazioni che differenziano e legano in un continuum, queste due polarità”.

      La ragione superiore, sarebbe in questo caso, capire quando si possa e quando no, essere opachi o trasparenti, ed eventualmente di quanto, ridurre “lo scarto” lacaniano e se non si possa e debba ridurlo prossimo a zero: cioè “uno scarto invisibile che renda visibile al massimo l’analista come soggetto umano”.
      L’analisi necessita di un setting, ma la vita è anche altro e posso decidere che questo altro sia intellegibile e visibile da chiunque; sarà poi l’analizzante a decidere se rivolgersi all’opaco o al trasparente.
      Come al solito la mia tendenza a conciliare l’inconciliabile, mi porta a suggerire che, come si suol dire, “Bisogna saperci fare” con la visibilità e l’opacità.

      Sulla questione della inopportunità di patologizzare il dissenso sono d’accordo, a meno che Renzi, Berlusconi, D’Alema non rimangano delle metafore sulle quali non insistere e lanciata la suggestione, lasciare tutto al giudizio degli elettori.
      Qualsiasi tentativo di dimostrare una suggestione, rischia di diventare una tautologia e qualche volta un boomerang, facendo passare i rottamatori in rottamati.
      Su questo specifico ritengo che Renzi avrebbe dovuto saltare un giro di danza, ma non ci è riuscito, perché ostaggio del suo protagonismo e del suo delirio di onnipotenza: la sua pulsione a godere, “comandare è meglio che fottere”, per usare un francesismo, gli ha fatto perdere 15 punti percentuali, quando se si fosse ritirato più di un anno fa, come aveva promesso, ora sarebbe invocato come lo è Berlusconi che “comandava e fotteva”, non solo le donnine, ma anche noi italiani.

      Caro Montanari, come vedi sono tanti i punti di contatto, tra i quali aggiungo “lo ius soli” e una revisione dell’Alternanza Scuola – Lavoro, che io, da preside salvaguardavo come prassi virtuosa, garantendo agli studenti una vera esperienza lavorativa e l’acquisizione di esperienze impossibili da acquisire nella scuola.
      La deriva di tale prassi negli ultimi anni non è che una applicazione sbagliata di una legge nata con finalità educative e formative e tradottasi, per la nostra cialtroneria, in una perdita di tempo e uno sfruttamento dell’allievo, relegati in ruoli e funzioni utili solo alle aziende.

      L’auspicio poi che la psicoanalisi debba avversare il potere e non lisciarlo è, secondo me riduttivo, perché io propenderei per una psicanalisi i cui assunti, i cui concetti, le cui intuizioni, dovrebbero diventare patrimonio delle nuove classi dirigenti, che ovviamente diventerebbero comunque un potere: tutto sta nel mettersi d’accordo su cosa questo “Potere” possa e debba fare, evitando l’inerzia semantica di connotare tale termine nella accezione negativa, che noi siamo abituati a dargli.
      Tutti abbiamo un potere su qualcuno e/o qualcosa: genitore, educatore, psicanalista, politico: la questione è come questo potere viene esercitato: per il bene comune o per i propri interessi.
      Per quanto riguarda la figura di Recalcati, la migliore descrizione che ne posso fare, parte da un passo dell’Ulisse di Joyce :

      Riporto un passo che mi ha molto colpito, dove appare un Dedalus, ricco di pietas per l’altro, ma senza alcun Desiderio e quindi senza la capacità di prendere alcuna iniziativa: un uomo senza etica:

      “Sargent, il solo che avesse indugiato, si fece avanti con lentezza tenendo un quaderno aperto.
      I capelli ar¬ruffati e il collo scarno davano a divedere un che di tardo e attraverso le lenti appannate deboli occhi si levavano imploranti. Sulla gota, smorta ed esangue, c’era una lieve macchia d’inchiostro, a forma di dattero, recente e umida come una traccia di lumaca.
      Porse il quaderno. In cima alla pagina stava scritta la parola Operazioni. Sotto c’erano delle cifre sbilenche, in fondo una firma contorta, con gli occhielli delle lettere ciechi e una macchia. Cyril Sargent: firma e suggello.
      Con lunghi tratti confusi Sargent ricopiò i dati. In attesa di una parola di aiuto, la mano moveva fedelmente i simboli incerti, un debole color di vergogna ¬lippolando sotto la pelle opaca ….
      … Ero come lui, queste spalle cadenti, questa sgraziatagg¬ine.
      La mia infanzia si china qui accanto a me. ….
      L’operazione era fatta.
      È semplicissimo, disse Stephen alzandosi. Sí professore. Grazie, rispose Sargent.
      Asciugò la pagina con un sottile foglio di carta assorbente e riportò il quaderno al suo banco.
      Meglio che adesso lei vada a prendere la mazza raggiunga gli altri, disse Stephen, seguendo verso porta la figura sgraziata del ragazzo”.

      Stephen Dedalus assiste impotente a un destino segnato, senza saper trasmettere il segno di un minimo Desiderio; anzi, si riflette passivamente in Sargent, ricevendone l’immagine irrisolta della sua infanzia.
      Recalcati ha la stessa pietas di Dedalus, ma, a differenza di Stephen, riesce a trasmettere il Desiderio e questo lo può attestare qualsiasi suo allievo.
      Per quanto io posso dire di Recalcati, lo conosco come persona che si presenta perfino indifesa, che parla di sé e della propria vita, senza difese, senza schermi, senza maschere, senza gigioneria e con un’attenzione assoluta verso il suo interlocutore.
      Con Renzi avrà sbagliato a non lasciarlo come metafora, con l’effetto di scontrarsi con il Renzi Reale, quello che gode della propria parola, che spesso rimane tale, ma la sommatoria ci restituisce, comunque, una persona per bene, un galantuomo, usando un termine vetusto, un soggetto etico, per dirla con Lacan, cioè uno che persegue un suo Desiderio, che è quello di divulgare urbi et orbi il sapere psicanalitico, cercando di farlo uscire dai santuari degli studi e dei centri di formazione, nei quali rischierebbe di isterilire, rendendolo un formidabile strumento di conoscenza.
      A suffragare questo suo tratto, io guarderei anche su internet e su come molte sue opere non rimandano, come tanti altri autori, a carrelli a pagamento, ma sono facilmente scaricabili: il materiale su Psychiatryonline ne è anch’essa una efficace testimonianza.

      Un caro saluto
      Stefano De Luca

      p.s. i link relativi agli articoli menzionati
      http://www.psychiatryonline.it/node/6782
      http://www.psychiatryonline.it/node/6878

      Rispondi
  2. admin

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    Grazie per ciò che farete, grazie dell’attenzione.

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  3. info_1

    Dove siete, uomini liberi?
    Ah

    Dove siete, uomini liberi?
    Ah Dio, avrei ancora voglia di ascoltare le vostre telefonate censorie, i vostri commenti duri. Le vostre maledizioni ( ‘non osare!!! )
    Ma non sento nulla.

    Oggi il Renzismo sta degradando con una velocità che forse pochi immaginavano.
    Non solo elettoralmente, parlo di ciò che esso conteneva. Parlo della teoria, parlo della psicoanalisi. Gli scenari dei maneggi sul csm, i debiti lasciati, mostrano un anima perversa che , certa di una sua imbattibilità, poteva fare , pasolinianamente, cioè che voleva.

    Ah ma non è mica DI Renzi che volgio scrivere. MA di quel corpus teorico che in ogni luogo veniva omaggiato come La Grande Teoria innovativa: ma si! Il Telemaco rottamatore, quella torsione analitica che portava gli strumenti di LACAN a corroborare una delle più colossali cantonate clinico teoriche degli ultimi anni.

    Ah ma tempo fa eravamo pochi, pocchissimi a dire ‘ a me pare che l’applicazione della psicoanalisi al renzismo sia una della peggiori cantonate prese’. SI, perché ne andava di mezzo la psicoanalisi, l’etica.
    Era un tema teorica dibattuto ovunque!

    E ora, dove siete voi che malinterpretatavete volutamente ‘vedendo dietro un fare censorio ( eh!! Ma Recalcati mica può essere zittito..sarai mica fascista?!?!)
    O voi, che su nobilissime testate vi predicavate in articolasse per cercare di cui pezze su una teoria che faceva acqua da tutte le parti.

    E voi, voi che inneggiavate alla scuola pOLITICA DI pASOLINI!! Ma si! Il laboratorio nel quale la psicoanalisi e la politica avrebbero dovuto intrecciare i loro percorsi forgiando i quadri del renzimso. MA dove siete??

    Non parlo ele suo estensore, e mica mi aspettavo che se ne esca, qua o altrove, a dire ‘ è stata una cantonata’.
    No, parlo di tutti quelli che edifedenano l’applicazione della psicoanalisi alla politica che trova in Renzi la ‘ presentificazione’ del pensiero lacaniano o attuale’. o quelli che ‘ non ne pupi parlare male , bada che più esser oscurato’

    Dico a voi, clinici, teorici, dove siete adesso che quella teoria è franata su se stessa, distrutta dalla prova della sua artificiosità?

    Dove siete ora che questo esperimento è collassato fallito, mentre i tg ci mostrano cosa era davvero Telemaco e i suoi.

    Ah ! il fresco che si respira nel mondo degli uomini liberi, ha un odore impareggiabile!

    Rispondi

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