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Lev Tolstòj. Lineare e radicale conversione a U di uno scrittore coerente.

7 Mag 22

Di Sergio-Mellina

Commento a “Da Guerra e Pace a Resurrezione”. Conversazione di Francesco Bollorino con Igor Sibaldi.  

  

 

«Si possono spiegare all’uomo meno intelligente  

le cose più astratte, s’egli non ne ha ancora alcuna nozione, 

ma non si può spiegare la cosa più semplice  

all’uomo più intelligente, s’egli è fermamente convinto  

di sapere ciò che si vuole insegnargli».  

Lev Tolstoj, 1893 

 

Quando Francesco Bollorino ha registrato e mandato in rete questa conversazione/incontro su Tolstoj, con Igor Sibaldi, era esattamente l’11 dicembre dell’anno scorso. Dunque, 74 giorni prima che le armate di Putin invadessero l’Ucraina, il 24 febbraio 2022. Non sono certo dei miei calcoli, perchè l’aritmetica è sempre stato un problema per me, ma sono ragionevolmente sicuro che la guerra, questa, come ogni altra, di qualunque epoca, sia un atto sbagliato. Un gesto umano sfuggito alla “dittatura della ragione” – come scrisse Freud [01] – se mai avesse potuto instaurarsi. Quella attualmente inflitta all’Ucraina ha almeno tre motivi in più da aggiungere alla dissennatezza: di essere una guerra civile, combattuta tra parenti, a motivo del gas.  

 

Si sottolinea con insistenza che c’è un aggredito e un aggressore, ma tutti sanno che si fanno anche guerre per procura, ovvero si parla a nuora perché suocera intenda, ancorché uccidere non sia parlare. Chi sta sul proscenio, chi si muove dietro le quinte, tutti armano e picchiano l’agnello sacrificale con una stoltezza inaudita. Non è chiaro se il gas – l’energia più lurida, puzzolente e inquinante che essere umano sia mai riuscito a bruciare – sia un commercio o un ricatto, servito, su un letto di cadaveri. Non si sa neppure se il progressivo allargamento di un ferro vecchio e pericoloso, chiamato Nato, difenda o minacci l’Europa che, sia chiaro, ha perso l’ultima guerra da lei medesima intentata al resto del mondo. E non era una sfida calcistica, ma un crimine obbrobrioso, paranoideo e collettivo perchè intendeva eliminare tutti i “non ariani”. Ora, la triste realtà con cui dobbiamo convivere quotidianamente è doppia, in quanto al Covid mutante, che durerà a lungo si è aggiunta (ancora) una guerra in Europa. Le nostre televisioni necrofile, passano senza discontinuità dai camion dell’esercito che sfilano a Bergamo con dentro le bare di morti per Covid, ai dettagli sui cadaveri lasciati per strada in Ucraina, a tutte le ore del giorno e della notte. Questo purtroppo la cornice quotidiana, ma torniamo a Tolstoj. 


 

 

La “diretta streaming” sul canale video-tematico youtube di POL.it Psychiatry on line Italia, tra Bollorino e Sibaldi, è la terza, per i frequentatori della Rivista e del sito dell’editore genovese – uno psichiatra, tra l’altro – e parla di Tolstoj, un grandissimo, della letteratura russa, ma ha anche il merito di trattare argomenti di una attualità sconvolgente. “Da Guerra e Pace a Resurrezione”, il titolo così opportuno e provvidenziale come “lupus in fabula”. Oggi, parliamo tutti di Putin, magari senza conoscere la Russia, neppure in cartolina. Molti (soprattutto anziani) tengono Zelensky solo perchè lo vedono tutto il giorno in ogni rete televisiva italiana e quelli che lavorano, fanno in tempo a guardarlo la sera, in una fiction ad hoc che lo ha reso famoso dalle sue parti, ancorché non sia  Stanislavskij, Boris Karloff, ma nemmeno Buster Keaton o Luigi Serventi. 

 

Il pregio e la novità di questa conversazione con Igor Sibaldi, che raccomandiamo vivamente a tutti (anche ai non patiti di letteratura, psicopatologia, psicosociologia e terapie psicodinamiche) è quello di dare appena un’idea della Russia. Di quella entità geografica sterminata – il paese più grande del mondo – difficilissima da governare e da tenere insieme. Per il semplice motivo che non ha, non ha mai avuto, e non potrà mai avere, un comune denominatore minimo, su cui tirare la riga dell’identità. Grande a tal punto che lo zar Alessandro II, nel 1867, se ne vendette un pezzo non trascurabile, l’Alaska, agli Stati Uniti d’America, per appena 7,2 milioni di dollari. Un vero grande salvadanaio pieno zeppo di tesori, codesto pezzo di terra russa in Nord America. Ma la Russia imperiale, essenzialmente la sua dispendiosissima e fastosissima corte, aveva necessità di danaro, come sempre, del resto. Il che dimostra che gli “oligarchi” del gas di Putin hanno radici molto antiche. Non estraneo alla vicenda della vendita dell’Alaska all’America, era da ritenersi, il timore che gli fosse scippata, senza alcun pagamento in denaro, dal suo principale rivale, l’Impero Britannico, già padrone del Canada. Hanno sempre pesato sulla psicologia dei personaggi della letteratura russa due fragilità prevalenti. Una coloritura narcisistica di base su sfondo umorale ad andamento bipolare, da un lato; una sottile venatura di sospettosità paranoica dall’altro. In ogni caso, ignoriamo come stiano invece le cose nella vita reale, non avendo avuto la fortuna di viaggiare in Russia, di nutrire amicizia con persone russe.  

 

La famelica politica espansionista degli zar, se per un verso aveva incoraggiato gli esploratori nordici a piantare il tricolore imperiale [02] sui nuovi terreni scoperti (pressoché disabitati), fino al gigantismo elafantiasico, per l’altro avrebbe spinto a vendere per fare cassa. Basterebbe stendere una cartina geografica della Russia per osservare che all’incirca il 23% del suo territorio sta in Europa, mentre il 77% si trova in Asia. Dunque l’annosa questione dei confini continua ad essere dibattuta come il sesso degli angeli, terminando la corsa sulla parola “Eurasia”, che sgomenta più che unificare sotto il solito tricolore bianco blu rosso della Federazione. Così persiste il dibattito tra “slavofili” (tradizionalisti) e “occidentalisti” (modernisti), né più, né meno, come ai tempi di Tolstoj. Ma, come ci ha puntualmente ricordato in una conversazione precedente su Dostoevskij [03] Igor Sibaldi «Rossyu umom ne poniat»,  la mente della Russia non si può capire. Perché non è uniforme, né riconducibile a un modello etnico prevalente, dunque non c’è, non esiste. La Russia, che, pur essendoci pesantemente, fin dai tempi degli zar, poi come URSS di Stalin e ora come Federazione Russa di Putin, viene sempre pensata (per diffidenza pregiudiziale) come l’orso goffo che deve ancora scegliere uno stile di nuoto, fra i 4 canonici. Il pretesto per escluderlo dalle gare internazionali, anche non natatorie, di qualunque tipo esse siano, tutte, a prescindere! Un coacervo di popolazioni, abitudini, tradizioni, linguaggi, modelli culturali diversi, questi Russi. Tra l’altro molto lontani dai nostri riferimenti peninsulari, che, tutto sommato, sono un impasto di mescolanze etrusco-odisseiche-latine, soprattutto mediterranei. Abituati a ficcanasare in ogni parte del mondo per curiosità. 

 

Bollorino  introduce il dialogo definendo Tolstoj un “gigante” e uno corre subito alla sua opera monumentale conosciuta e tradotta in tutto il mondo. Ma anche, preso alla lettera, dal punto di vista fisico, madre natura non lo aveva fatto gracile cagionevole di salute. Un cristone alto un metro e ottantuno per  ottanta chili, alla leva militare che, a quanto poi apprendiamo, andava a cavallo tutti i giorni, fino a ottantanni anni  suonati. Personalità di peso in tutti i sensi. Il che vuol dire che quando una causa la riteneva giusta e una prepotenza, un abuso, una violenza, palesi, ci si buttava con tutto il corpo e tutte le forze di cui era capace senza trascurare le sostanze, il vile denaro, affinché la giustizia trionfasse. Un giovane, della nobiltà russa, dal carattere un po’ particolare, un conservatore sui generis, che parte militare per servire il suo Zar e partecipa alla guerra di Crimea, dove Cavour aveva mandato i nostri bersaglieri guidati da Lamarmora.  

 

Questo, uno schizzo per sommi capi del conte Lev Nikolàevič Tolstòj, emerso dal terzo incontro in diretta con Igor Sibaldi. Orfano di entrambi i genitori già a nove anni (la madre gli mancò a due), crebbe disordinatamente, da alcune zie bigotte, tra Jasnaja Poljana la grande tenuta di famiglia, Mosca 200 km a nord e Kazan città di tradizioni tartare alla confluenza tra Volga e Kazanka 800 km ad est della capitale. Tolstoj non era irascibile, violento, ma poteva accendersi come un fiammifero, essere còlto  da reazioni emozionali improvvise che traslitterato dal russo suonaZaszek Spitsko”, mentre i genovesi lo chiamano “futun de raggia”, in lingua, invece, sono attacchi collerici, in gergo “dar fuori da matto”. Così si comportava Tolstoj di fronte all’igiustizia palese, al sopruso, alla soperchieria. In altri termini era un generoso. Sibaldi, che ce ne dà la coloritura caratteriale, lo interpreta così: «Lo faccio io il pane in tempo di carestia, anche più buono e lo regalo! La compro io la nave! Anzi, la faccio comprare da mio figlio, sufficientemente grande, per consentire ai poveri mugichi che muoiono di fame, per la carestia, sotto lo Zar, di andare in Australia» e aggiunge testualmente «la chiave di Tolstoj in tutti i suoi romanzi è l’incazzatura». 

 

Senza dubbio un giovane atletico, generoso, appassionato, leale. Aperto – come ci spiega Sibaldi – anche a posizioni anarcoidi, ribelli e rivoluzionarie, dopo aver preso una direzione totalmente opposta a quella avuta in gioventù. I lettori più ingenui o facilmente attratti dalle critiche letterarie più corrive, per anni hanno accettato il mutamento dello scrittore col termine anodino di “conversione”, giustificandola come un miracolo dell’illuminazione divina, ma le cose stanno un po’ diversamente. La forte volontà umana, la nobile ribellione contro il torto, la sopraffazione e la miseria (che Lev Nikolàevič, scopre casualmente dal censimento) sono assolutamente determinanti. Questa “inversione ad u”, del personaggio, dello scrittore, dello studioso, ci viene raccontata da Sibaldi, opportunamente stimolato da Bollorino con 7 puntuali domande da esperto. La location del set è sempre quella apparente sottocoperta di “pilotina” che Francesco terrebbe legata da basso, “ao mêu” (al molo) in una parte recondita del nero e smisurato porto di Genova. Certo che non è così, ma per l’atmosfera, l’intensità della conversazione, la prossimità dei due interlocutori, mi sento autorizzato a fantasticare di trovarmi in un posto siffatto, o di traguardare questa serie di conversazioni filmate, dall’esterno dell’oblò di un piccolo rimorchiatore. Naturalmente non possono mancare nuvole inebrianti di buon tabacco: si vedono, par di odorarlo. Il risultato è particolarmente suggestivo perché dà l’idea della casualità dell’incontro in un interno angusto dove perfino l’immagine pare fluttuare come se galleggiasse.  

 

A quanto ne so, i due si erano incontrati, al “Festival della Follia” di Torcello, ed era il 2 ottobre dell’anno scorso, il 2021. Questa la data della prima segnalazione di Bollorino su Pol.It, ma io, Igor Sibaldi, l’avevo già letto. Sapevo che era un noto slavista a tutto tondo, filologo, traduttore, teologo, di madre lingua russa, specializzato nella letteratura russa del XIX e XX secolo, in storia delle religioni e molto altro ancora. Mi aveva incuriosito come romanziere fantasioso, fin dai tempi de “I maestri invisibili” (Mondadori, 1997) e mi piacque subito moltissimo, anche perché mia madre, da bambino, mi diceva che se non avessi avuto “l’Angelo custode giusto e paziente …” A mio avviso però, le doti più affascinanti di Igor Sibaldi, emergono dal vivo, quando si esibisce nelle conferenze. Bravo anche Bollorino per averlo scovato a Venezia e avercelo portato in video a Pol.it.   

 

Da quell’incontro in laguna è scoccata la scintilla della curiosità e dell’interesse reciproco tra due personaggi che trattano argomenti diversi ma non distanti dall’interiorità dell’essere umano. Da un canto, Francesco Bollorino il direttore di POL.it Psychiatry on line Italia una rivista telematica attiva dal 1995 che, oltre ad essere un autore originale e un narratore di storie affascinanti e favole per bambini, si dà il caso sia anche uno psichiatra clinico e uno psicoanalista navigato. Dall’altro Igor Sibaldi un docente poliedrico e polivalente, di cui s’è detto. Posso aggiungere come notazione a margine che se all’inizio della serie d’incotri poteva sembrare esservi una leggera e velata diffidenza tra i due, come giustamente accade quando a farti le domande è uno psichiatra, in quest’ultimo, su Tolstoj, appunto, il dialogo, anzi la parola, è parsa più fiduciosa e confidente. Ora più che mai necessaria, perché – come dice Montale – «la parola ha il torto di non essere abbastanza polivalente e di pretendere a qualche durevole verità» [04], in questo periodaccio sciatto, confuso e stravolto da una pandemia e una guerra che hanno i crismi della maledizione biblica. 

 

Tolstoj, forse non è stato il primo, ne sarà l’ultimo, ma per quanto mi riguarda, il fascino della sua prosa deriva dal fatto che vive la vita dei personaggi che racconta. Lui è il mondo che narra, qualunque sia il traduttore che mette i suoi scritti nella tua lingua. Proprio come ne "La vita degli altri" [05], il film sulla cortina di ferro, indimenticabile per l’intreccio e le atmosfere fortemente emotive, citato da Riccardo Dalle Luche [06], uno degli ospiti recenti dei webinar di Bollorino. Bene, la prosa di Tolstoj sa essere altrettanto avvincente e ansiogena quanto basta, da balzare sullo schermo della immaginazione del lettore. Da lì, Tolstoj dice, senza spiare nulla, della vita degli altri, perché è anche la sua. È proprio la vita di Tolstoj che assorbe quella degli altri che s’incontrano con lui. Come una lastra fotografica, resta impressionata dalle immagini esterne. In più, Tolstoj  è capace di raccontarla, descrivertela, esperirla, perché  ciò che vede lui, è quello che prova. Che lo mette in tensione, fa vibrare il suo sentire e, infine, guida la sua penna sulle parole giuste, come il pennello pel pittore sulla tavolozza. A me scatta automatica l’associazione coi quadri di Sciltian [07], che ti sembra di poterne toccare gli oggetti o che qualcuno, sbuchi fuori d’un tratto, da qualche parte e si metta a parlare con te.  

 

Dopo che hai ascoltato Sibaldi, Tolstoj lo rileggi, punto per punto, con un interesse diverso dall’entusiasmo con cui lo hai divorato la prima volta. Ti pare di vederlo mentre parla, ti spiega, ti precede nell’azione. Ti sembra proprio di esserci, dove lui racconta, chiarisce, protesta, consiglia, aiuta, entusiasma, trascina. Allora, senti il desiderio di fermare il suo pensiero, così raccogli e metti in ordine cronologico gli incipit delle opere che ti hanno maggiormente colpito. Straordinariamente acrobatico il bilinguismo (post-napoleonico) di corte con cui apre “Guerra e pace”: «Eh bien, mon prince, Gênes et Lucques ne sont plus que des apanages, proprietà de la famille Bonaparte. Non, je vous préviens, que si vous ne me dites pas que nous avons la guerre, si vous vous permettez encore de pallier toutes les infamies, toutes les atrocités de cet Antichrist (ma parole, j'y crois), je ne vous connais plus, vous n'êtes plus mon ami, vous n'êtes plus il mio fedelissimo servitore, comme vous dites. Ma benvenuto, benvenuto. Je vois que je vous fais peur, sedetevi e raccontate». 

 

È però capace di parlare anche con la gente comune, di cose comuni, nella dimensione del reale e lo scarto, è una sontuosa ricchezza narrativa. Come quando nei “Diari” [08] parla della crudezza della guerra, del vizio del gioco, della gonorrea, appena contratta. Balza immediatamente agli onori delle cronache letterarie, prima russe, poi mondiali. Dunque, hai tra le mani un ventaglio che sciorini e sventoli non solo sulla cronaca del tempo, ma anche sulla storiografia, per togliere via la polvere, i luoghi comuni, i falsi clamorosi, come la “donazione di Costantino”. Quando lo chiudi per riporlo, codesto ventaglio che ti ha regalato Tolstoj con la montagna dei suoi scritti, ti accorgi di avere a portata di mano un grande pezzo di Storia – da Napoleone a Lenin – insieme alla vita intera di Lev Nikolaevich, da Jàsnaja Poljàna a Astàpovo, con tutte le sterzate fondamentali del suo pensiero. Lo apprezzi maggiormente perchè sai – dopo che te lo ha chiarito Igor Sibaldi – che la grande generosità del conte Tolstòj, lo ha sempre spinto a non scegliere mai per il proprio tornaconto, ma per quello degli altri, i più deboli, gli oppressi, gl’indifesi, gli ultimi, il suo prossimo.   

 

Uno spettacolo a parte è ascoltare Sibaldi che parla per bocca di Tolstoj «… ma come ho fatto io ad essere cosi ricco mentre c’è gente cosi povera, ma povera non all’altro capo del mondo, non in Malesia, a otto isolati da casa mia! Cosa è successo, si domanda. E li c’è una crisi sua personale …». Più avanti «Allora vediamo un po’. Io son cristiano, mi son basato su quello che mi han detto alla Chiesa […] Gesù, la religione dell’amore […] ma dov’è l’amore qui? Condannano la gente alla galera, per tenere a bada questi poveri […] che schifezza! E la gente invece di ribellarsi fa finta di niente [anche] Migliaia di miei pari, i nobili, […] gli intellettuali, […] com’è possibile? E dà fuori da matto e dice: forse sbaglio, forse sono pazzo […]  poi, no, no, no! Non sono io che sono strano, sono loro che sono pazzi […] la natura è fatta bene, l’uomo è fatto bene, la gente è fatta bene, però alcuni sono trattati da schifo e gli altri sono indifferenti […] perchè non hanno una base filosofica, una base religiosa. E qui c’è l’equivoco forte. Tanti filosofi di Tolstoj dicono è diventato religioso! No, no, no! Era religioso prima! Aveva smesso, di essere religioso! […] Possibile che il Vangelo dica quello che dicono i preti?». Naturalmente uno come lui si ritradusse i Vangeli  in proprio, studiando il greco e assumendo un insegnante ad hoc. 

 

A questo punto Bollorino pone a Sibaldi la domanda delle 100 pistole. Gli cita il famoso pamphlet “Di chi è la colpa”, l’opuscolo di Tolstoj mai pubblicato, e gli chiede se sia attuale. Porca miseria! Modernissimo! Risponde incontenibilmente Sibaldi, e prosegue come un fiume in piena, con una prestazione recitativa personalizzata, da mattatore consumato, godibilissima, da vedere.  

«Tutti dicono è colpa dello zar, che lo zar ammazza un sacco di gente, ma cosa volete che faccia lo zar, io la conosco, è uno alto così. Non capisce niente, cioè è molto limitato, un debole che vorrebbe fare una vita privata tranquilla. È capitato li, nel posto sbagliato. La moglie? Si occupa solo di Rasputin. Figurati, la moglie non capisce niente! Non è lo zar? Allora chi sono? Sono i ministri? Ma i ministri, che volete, tanti sono miei parenti, son parenti di miei amici, i ministri sono gente che fa i propri affari. Però, guardate le proporzioni: 180 milioni di Russi, 800 ministri. Come fanno 800 a tenere a bada 180 milioni di persone? Eppoi io li ho visti, hanno una pancia così, le braccia magrine che sembrano dei bastoni, bastoni al posto delle braccia! Avete mai visto un russo, un mugik russo voglio dire, un nostro contadino? Con due manate li fa fuori! Quindi non sono loro. Chi sarà? Sarà il parlamento? Stesso discorso … sarà l’esercito? Ecco! L’esercito! Forse l’esercito. L’esercito permette allo zar di esprimere il suo volere e opprime la popolazione. L’esercito russo è quello più potente del mondo. Cos’è un soldato? L’esercito è fatto di soldati. Bene cos’è un soldato? Una persona come noi? No!!! È diverso perchè ha l’uniforme e le armi. Li ha pagate lui, l’uniforme e le armi? No, perchè non ha i soldi. Lui no, ma lo zar si. Ha delle armi potenti che servono a tenere a bada 180 milioni di persone. Ha mitragliatrici, cannoni, bombe, fucili, spade, ma non le ha pagate lui! E chi le ha pagate? Lo zar? Nooo! I ministri? Macché! I ministri guadagnano, non pagano! La zarina? Noo! Qualcuno di voi ha pagato le tasse ultimamente, vero o no? Tipo tu, lettore che mi leggi! Ecco, a cosa sono serviti i soldi delle tue tasse! A pagare quei fucili che ti possono ammazzare, uccidere anche te che mi stai leggendo! Capisci qual è il problema? Tu cooperi alla tua oppressione, allora smettiamo di pagare le tasse. Questo è un saggio famosissimo di Tolstoj seconda maniera, che in Italia non poteva comparire durante il fascismo e non può neppure oggi!! Perchè se uno pubblica sto’ saggio oggi ... » 

 

Difficile tirare le fila di questa affascinante vita di un Tolstoj bifronte, che sembra non aver fatto altro che scrivere per raccontarcela, «col cervello sinistro e il destro» come dice Igor Sibaldi, codesta sua vita. Anche perchè ci servirebbe a fare chiarezza, in un momento come questo, molto nebbioso, confuso, quello che stiamo vivendo, altrettanto foriero di incongruenze, ferocia, disuguaglianze. Di transiti pericolosi, mutamenti radicali, con l’ipoteca nucleare che incombe sul capo di tutti per sovrappiù. Nessuno può vincere la terza guerra mondiale, anche se molti la minacciano. Non ci saranno superstiti! È anche l’ammonizione di Papa Bergoglio. 

 

Una delle 7 domande di Bollorino a Sibaldi, la 5a, concerne «il pensiero molto rivoluzionario dell’autore russo, soprattutto contro l’establishment imperiale zarista dell’epoca (o quanto ne rimaneva  ancora) con un certo potere, già incrinato, di per sé, in un periodo storico di transizione, e come tutto questo si possa leggere nell’opera di Tolstoj». E Sibaldi «… il punto cruciale della sua azione è la lettera aperta allo zar, pubblicata in tutto il mondo, anche in Australia, in Sudafrica, dove la leggeva con grande interesse il giovane avvocato Ghandi, che poi ha messo in pratica ste’ cose […] Tolstoj scrive: caro zar, tu stai andando verso un baratro. O tu cambi o ti fanno fuori. Non potrai fermare quello che succederà, qualsiasi cosa tu possa fare, se le strutture restano queste, se non cambi la situazione, non solo per me anarchico, ma anche dal punto di vista economico (Tolstoj è molto illuminista) perché io ho le mie idee spirituali ma sono un proprietario terriero, so cosa vuol dire quando l’azienda non funziona e, caro zar, la tua azienda non funziona! Sarà un crollo totale! Da quel crollo tu non ti salvi, non si salva nessuno». 

  

Anch’io, nel mio piccolo, come pensionato del SSN, ho la sensazione che tutti noi ci stiamo incamminando rapidamente verso un cambiamento epocale. Tolstoj non vide la rivoluzione del 1917 ma la ispiro ampiamente con largo anticipo. Anzi, gli fu scippata da Lenin e il suo gruppo, che l’applicarono con brutalità e ferocia. Altro che non violenza. Ma, in fondo, si dirà, era una rivoluzione. Noi non sappiamo cosa vedremo, ma il nostro futuro non attenderà quei fatidici 8 anni intercorsi tra la morte di Tolstoj (1910) e lo sterminio dei Romanov (1918). È molto probabile che si sia sull’orlo di un baratro, e sono molto preoccupato. Lui, Lev Nicolaevich, almeno, aveva avvertito lo zar in vari modi, con o senza lettera. Noi siamo andati sulla luna, ma l’umanità, nella sua maggioranza, non si è sollevata da terra e nessuna figura convincente l’ha avvertita. Le grandi vicende del mondo e dell’universo, e quelle piccole dell’uomo, che per il momento si accontenta di distruggere il primo, la terra dove vive, non ci consolano. Una prospettiva amara e sconfortante.  

 

Più si parla di guerra, più ogni grande (o presunto tale) intende nascondere la propria debolezza, la fine di un periodo. Tutto è in crisi profonda. Si sta concludendo il ciclo della spartizione del mondo in sfere d’influenza stabilito a Jalta (11 febbraio 1945) e Potsdam (luglio agosto 1945), dai vincitori della seconda guerra mondiale. La Cina e l’India (che non vinsero), per numero di abitanti si sono affacciate alla ribalta del mondo. L’Europa, distrutta da Hitler, è attaccata alla canna del gas, e non può dimenticare che la pace è un bene primario inestimabile. L’Inghilterra si riavvolge nella propria bandiera, è invecchiata e deve rendersi conto che la politica delle cannoniere è definitivamente tramontata. Gli USA, perennemente in guerra tra “nordisti” e “sudisti”, patria dell’individualismo miliardario certificato da “Forbes”, è in declino e vuole continuare a litigare con la Russia che ha grossi problemi di governo, sapendo che l’avversario più prossimo di entrambi è la Cina di Deng Xiao Ping, già ingombrante sul piano mondiale, e ancora in grande ascesa. L’India che già fu affrancata dal Mahatma Gandhi (15 agosto 1947), è in pieno decollo, tra le robuste braccia democratiche del Primo ministro Narendra Modi, assistito dal Presidente Ram Nath Kovind 

 

Note. 

01. Albert Einstein /Sigmund Freud, Warum Krieg? 1933 

02. Tricolore russo imperiale, tanto nelle tradizionali bande orizzontali “bianco blu rosso” di Pietro I detto il Grande (1672-1725) mutuato dai colori olandesi ad ordine invertito, quanto nella versione innovativa “nero giallo bianco” voluta da Alessandro II (1818-1881) ed esposta dal 1858 al 1914, per essere abolita definitivamente da Nicola II (1868-1918) l’ultimo degli zar imperatori, il quale ripristinò il tricolore di Pietro Il Grande.  

03. Sergio Mellina. Dostoevskij raccontato da Igor Sibaldi. Pol.it psychiatry on line Italia, 11 dicembre, 2021. 

04. Eugenio Montale. Auto da . il Saggiatore, Milano 1966. 

05. “Le vite degli altri” (Das Leben der Anderen), di Florian Henckel Donnersmack, Germania 2007.  

06. Sergio Mellina. Riccardo Dalle Luche. Considerazioni in margine al Webinar "NELLA MENTE DI PUTIN". Pol.it psychiatry on line Italia, 28 marzo, 2022.. 

07. Gregorio Sciltian, pittore russo di origini armene (1900-1985) fuggi dalla rivoluzione bolscevica recandosi a Berlino. Prese moglie e scappò in Italia, dove visse -salvo puntate a Parigi – tra Milano e Roma. I suoi quadri, erano di un realismo fotografico straordinario, che si rifaceva alla tecnica fiamminga, illuminata da bagliori caravaggeschi. Una perfezione calligrafica, un tratto compatto, materico derivato, però, da una imprimitura particolare, alla stregua dei bizantini ravennati che, nell’impasto del loro colore gettavano anche sostanze commestibili. La sua dottrina è scolpita sulla tomba nel cimitero acattolico romano di Testaccio: «L'unico vero e supremo scopo dell'arte della pittura è stato e sarà sempre quello di ottenere l'illusione della realtà», un biglietto da visita.  

08. Tolstoj decise di tenere un diario nel 1847. Era diciottenne, studente (svogliato), ma si godeva la vita (moltissimoo), continuò a riempirlo fino alla morte (1910). 

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