“La vita umana non è punto una lotta, dove i competitori si disputano i premi; è un viaggio che si fa insieme come fratelli”
Condorcet, Prima memoria
Viene ripresentato, con il titolo Elogio dell’istruzione pubblica, nella collana Orme delle edizioni Manifesto libri (Roma 2002), un importante testo di Jean-Antoine-Nicolas de Caritat, marchese di Condorcet, matematico, economista, filosofo e uomo politico, protagonista e vittima illustre di quella rivoluzione nella quale, possiamo supporre, ha continuato a credere fino alla fine: si tratta del testo Cinque memorie sull’istruzione pubblica, dato alle stampe nel 1791.
Sappiamo, come ricorda lo studioso polacco Bronislaw Baczko, profondo conoscitore di quel periodo storico, che il saggio in un certo modo conclusivo dell’itinerario intellettuale ed umano del marchese di Condorcet, il suo Esquisse d’un tableau historique des progrès de l’esprit humain, fu completato nell’ottobre del 1793, quando già il suo autore, fatto oggetto di minacce, e colpito, a luglio, da un primo mandato d’arresto, viveva nascosto. Proprio in ottobre il suo nome venne aggiunto pretestuosamente, nel Rapporto Amar, alla lista dei girondini, accusati di complotto anche come “libellisti”. Molti di loro (32 su 47 accusati) saranno ghigliottinati il 31 ottobre. Vi sono avversari politici, ma anche stimati interlocutori e qualche amico. E’ una delle tante esecuzioni del Terrore. Parigi e l’intera Francia sono immerse in un bagno di sangue (gli storici parlano di ben 17.000 condanne capitali). Nel suo rifugio di Rue des Fossoyeurs, presso Madame Vernet, proprio allora, quando “la Storia gli mostra la sua smorfia ripugnante”, Condorcet completa questo suo ultimo testo: “testo drammatico”, ma tuttavia “opera di supremo ottimismo, che riassume in sé le speranze e le promesse dell’illuminismo e della Rivoluzione”, come fa notare, con grande sensibilità, Bronislaw Baczko. (Cfr. “Giobbe, amico mio. Promesse di felicità e fatalità del male“, Manifestolibri, 1999)
Lo stesso ottimismo, lo stesso convincimento, li ritroviamo nell’ordito delle Cinque memorie sull’istruzione pubblica: scritto importante che viene pubblicato nel 1791 nella “Bibliothèque de l’homme publique”, un periodico che Condorcet stesso, con altri amici, aveva fondato; questo testo anticipa il più snello Rapporto sull’istruzione pubblica, che egli predispone come presidente del Comitato dell’istruzione pubblica e legge all’Assemblea legislativa nell’aprile del 1792. La riedizione del Rapporto, che Condorcet ripropone arricchendolo di note polemiche, viene data alle stampe alla fine dello stesso anno, a dicembre, nel corso del dibattito sull’istruzione pubblica, che vede la Convenzione impegnata a discutere animatamente diverse proposte, tra le quali ebbe un certo rilievo il Progetto d’educazione nazionale presentato da Rabaut Saint-Etienne.
Nelle Cinque memorie il pensiero di Condorcet spazia ben al di là degli essenziali principi che costituiscono l’ossatura del progetto politico sull’istruzione. Si trovano qui abbondanti dettagli, anche operativi, e approfondimenti importanti, come la critica all’educazione degli antichi (p. 43 e p. 57), la critica all’Inghilterra (p. 39, p. 55) e le argomentazioni sulla necessità di estendere l’istruzione anche alle donne.
Si ritrova, in più punti, la convinta difesa dei “diritti naturali” dei genitori nell’educazione dei figli (educazione ben distinta dall’istruzione); tra i diritti naturali s’impone il diritto dei padri “di guidare essi stessi le loro famiglie”. C’è il riconoscimento della famiglia come fondamentale “cellula sociale”: quasi un baluardo contro quell’ingerenza dello stato nella vita degli individui presente invece in altri progetti, come quello di Le Peletier, che si richiamano ad una concezione di “educazione giacobina” tra i cui fini, punto nascosti, c’è la volontà di forgiare l’uomo nuovo della rivoluzione, il giacobino, il rivoluzionario virtuoso e inflessibile, dotato di “coscienza politica”, che Saint – Just delinea, tra gli applausi dei presenti, nel suo Rapporto del 26 germinale dell’anno II (il 6 marzo 1794).
E’ uno scritto complesso, che va dunque letto e capito entro le sue coordinate contestuali: non solo lo sfondo suggestivo e drammatico della rivoluzione, non solo il pensiero del suo autore, ma anche lo specifico dibattito concernente l’istruzione. All’interno di tale dibattito, suscitano accese controversie tra i fautori dei diversi progetti sia la contrapposizione tra educazione ed istruzione, tra i concetti di educazione pubblica e di istruzione pubblica (dovere della società nei confronti di tutti i cittadini), sia la proposta di gratuità e di obbligatorietà dell’istruzione stessa.
E’ il terreno, solo in parte dissodato, come fa notare il Baczko – autore di pregevoli studi su questi temi – della pedagogia rivoluzionaria.
L’Elogio dell’istruzione pubblica propone al lettore italiano le Cinque memorie nella traduzione del 1911, di Giuseppe Jacoviello: mancano, in gran parte, le note, troppo “datate”, come sottolinea nella sua presentazione Marco Buscetta, che è intervenuto in alcuni punti, molto involuti, del testo. Un testo denso, che fa comunque desiderare una traduzione che renda più agevole la lettura e più immediata la comprensione delle riflessioni, delle ponderate argomentazioni, delle proposte che questo scritto contiene. Non mancano alcuni singolari refusi – istituzione al posto di istruzione, professori invece di professioni – che si fanno notare proprio per la loro ambiguità concettuale: questo libro potrebbe ben essere, in effetti, un Elogio dell’istituzione pubblica!
L’introduzione di Buscetta mette in risalto punti importanti delle Cinque memorie. Distingue, innanzitutto, tra pubblico e statale, sottolineando come nella visione di Condorcet sia assolutamente escluso il monopolio dello stato sull’educazione. Insiste inoltre, molto opportunamente, sul valore attribuito da Condorcet alla conoscenza, cogliendo un aspetto del suo pensiero che gli permette di collocare l’autore in un dibattito di grande attualità. E’ l’aspetto che egli chiama “antiutilitaristico” del sapere, che prevede una diseconomia, un’eccedenza rispetto a ciò che può essere ritenuto immediatamente necessario per conseguire “un risultato previsto e determinato”. Questa eccedenza, questo “in più” è funzionale all’individuo, perché gli permette di non essere confinato dentro un sapere solo “produttivo” ed è funzionale anche alla crescita collettiva del sapere: se c’è un “in più” aumenta la possibilità di far emergere l’eccellenza , di produrre innovazione, di attivare quei processi collettivi che favoriscono la “scoperta” di altre “nuove verità”.
Buscetta utilizza la forte convinzione di Condorcet sui “valori” dell’istruzione pubblica, esplicitata in particolare nella Prima memoria, per ribadire che la conoscenza e la sua trasmissione devono esser disgiunte sia dallo stato che dal mercato. Allude, è chiaro, al dibattito italiano sulla Riforma scolastica, nel quale sono frequenti i richiami a logiche aziendalistiche e di mercato come le più efficienti e produttive anche per il mondo della scuola.
Abbiamo detto che questo scritto va contestualizzato, perché solo così può essere capito appieno, al di là della suggestione che la proposta rivoluzionaria(istruzione pubblica, gratuita per tutti) può suscitare in noi.
Abbiamo infatti a che fare, a tutt’oggi, con i problemi di quello che i sistemi scolastici, e non solo in Italia, pare non siano in grado di garantire (effettiva gratuità, qualità dell’istruzione come opportunità offerta a tutti, capace di mitigare le pesanti discriminazioni, di diversa natura, che investono il mondo giovanile globalizzato), e questo richiamo può essere insieme motivo di riflessione e stimolo a non arrendersi di fronte a linee di tendenza che sembrano inarrestabili.
Il dibattito sull’istruzione pubblica
La proposta del marchese di Condorcet s’inserisce in una serie di interventi su questo tema, che vede protagonisti illustri cimentarsi, con posizioni in cui quella che può sembrare una sottile sfumatura marca spesso una considerevole differenza, in uno scontro che diviene radicale. Si va dal progetto della Costituente, redatto da Talleyrand nel 1791, al Rapporto Danou del 1795.
Ricostruiamo brevemente lo svolgimento del dibattito.
Alla fine del 1791 l’istruzione pubblica è una questione che va affrontata, in forza del fatto che la Costituzione dello stesso anno ha posto tra i suoi principi questa dichiarazione: “Sarà creata e organizzata un’istruzione pubblica comune a tutti i cittadini, gratuita per le parti d’insegnamento indispensabili a tutti gli uomini”. Siamo in settembre. L’organo politico in vigore è ancora la Costituente, che sta per lasciare il posto all’Assemblea Legislativa. Il Piano sull’istruzione pubblica è presentato da Talleyrand, e viene applaudito ma non discusso dalla Costituente, che decide però di distribuire questo testo, quasi ad indicare una necessaria priorità ai membri della nuova Assemblea. Condorcet, che ha già pubblicato le sue Cinque memorie sull’istruzione pubblica, è eletto dall’Assemblea (siamo nell’ottobre del 1791) Presidente del Comitato d’istruzione pubblica, che è composto da cinque membri, tra cui il matematico Lazare Carnot, e che lavora intensamente, dividendosi in tre sezioni, per predisporre il Rapporto sull’istruzione pubblica da presentare all’Assemblea.
Il Rapporto finale steso da Condorcet viene letto e approvato dal Comitato.
Nell’aprile del 1792 il Rapporto è pronto e può essere letto in Assemblea. La sua presentazione è prevista nella seduta del 20 aprile, ma quel giorno non si discute di istruzione pubblica. L’attenzione di tutti è ormai concentrata sull’incipiente guerra con l’Austria (viene dichiarata la guerra al re di Boemia e d’Ungheria), sulle notizie portate dal Ministro degli esteri, sulle dichiarazioni del Re. Proprio l’ingresso del Re ha fatto momentaneamente sospendere la lettura del rapporto, come puntualmente viene riportato dal “Moniteur universel” di Parigi, l’importante pubblicazione periodica che ci dice molto sulle posizioni, sugli scontri tra i protagonisti, sul clima di quegli anni così densi di eventi. Il dibattito, in quella giornata come nei giorni seguenti, verte sulla guerra e lo stesso Condorcet vi partecipa attivamente. La lettura del Rapporto, certamente, viene completata nella sessione mattutina del 21 ed il “Moniteur”, pur brevemente, sottolinea che i presenti hanno applaudito in più punti la lettura: ma non si dice nient’altro, mentre l’intervento sulla guerra pronunciato da Condorcet il giorno precedente viene invece riportato integralmente.
Si riparla di istruzione alla fine del 1792. L’assemblea ha lasciato il posto alla Convenzione, e nel dicembre di quell’anno vengono preparati e discussi vari Piani d’istruzione. E’ in quell’occasione che la Convenzione ordina la riedizione del Rapporto. Condorcet, che nel frattempo aveva lasciato il Comitato d’istruzione perché aveva fatto parte del Comitato sulla Costituzione, ritorna ad occuparsene ed aggiunge alcune importanti note. Siamo nel 1793.
Il dibattito sull’istruzione pubblica ha messo in campo le differenti prospettive presenti nella pedagogia dell’epoca rivoluzionaria. Le note di Condorcet prendono le distanze da posizioni che vanno per la maggiore, e richiamano in più punti il testo delle Cinque memorie, che sono il retroterra del Rapporto, ben più del progetto di Talleyrand.
Il Rapporto viene ritenuto il testo fondante dell’idea di “scuola repubblicana”, che impone con forza i principi di “neutralità”, di “laicità”, di “obiettività”, in nome del fatto che attraverso l’istruzione e grazie alla sua forza liberatrice vengono perseguite libertà ed eguaglianza per tutti gli uomini.
Ma le posizioni di Condorcet, fa notare Baczko, sono controcorrente rispetto alle scelte più strettamente giacobine che si ispiravano a Rousseau e che ritroviamo nel piano di Le Peletier presentato alla Convenzione dallo stesso Robespierre, così come nel piano Bouquier che la Convenzione adotta (ma sarà per breve tempo) nel 29 frimaio dell’anno II (il 19 Dicembre 1793, in pieno Terrore). Questo piano istituisce un primo grado d’istruzione per tutti, gratuito, ma impone l’obbligatorietà dell’istruzione, concetto che Condorcet avversa con forza in più punti delle Memorie.
Egli, inoltre, si oppone fermamente alle concezioni educative rivoluzionarie che prevedevano un’assoluta integrazione dell’individuo nella comunità: istruzione pubblica non significa per lui “educazione di stato”; “la scuola non è un tempio nazionale, l’istitutore non è un magistrato”, dichiara l’autore nelle note del Rapporto. Il riferimento alla città degli antichi, Sparta, come luogo privilegiato dell’educazione rivoluzionaria, preso a modello nel piano di Le Peletier, non è condiviso da Condorcet, che oppone alla città degli antichi la città dei moderni, dove agiscono individui liberi: liberi di avere opinioni, liberi di sottoporre a critica le opinioni correnti ed anche le leggi, anch’esse perfettibili.
La sua posizione è in sintonia con quella espressa più tardi da Benjamin Constant, nel saggio Della libertà degli antichi confrontata a quella dei moderni.
Troviamo piuttosto in Condorcet, espressa estesamente nelle Cinque memorie, un’attenzione continua al ruolo, ai doveri, ai diritti della famiglia, piccola parte del tessuto sociale, ma essenziale per la sua organizzazione, nella quale devono essere garantite le condizioni di un funzionamento ottimale; di qui la proposta di estendere l’istruzione alle donne, future madri e mogli “repubblicane”; di qui le riserve sulla “obbligatorietà” dell’istruzione, principio che può ledere i diritti naturali dei genitori.
Sono differenze che riflettono non solo le diversità di schieramento politico, ma anche quelle intellettuali e culturali. E’ un confronto, quello dei pedagogisti del periodo rivoluzionario, che non è solo verbale, ma che coinvolge la vita delle persone. Si suicida Gilbert Romme, un coerente montagnardo che scrisse un piano di istruzione che richiama in più punti quello di Condorcet, osteggiato con forza da Robespierre.
Condorcet, a sua volta, viene braccato e condannato, ripetutamente, dal luglio del 1793. E’ rimasta famosa la frase che Robespierre, suo spietato avversario, pronunciò alla Convenzione, il 7 maggio 1794, poche settimane dopo la sua morte: “l’accademico Condorcet, un tempo grande geometra, si dice, a detta dei letterati e grande letterato a detta dei geometri, poi cospiratore timido, disprezzato da tutti i partiti”. Ma è altrettanto importante ricordare il contenuto della Lettera alla Convenzione nazionale che Condorcet invia, come risposta pubblica, subito dopo il primo mandato d’arresto. E’ una lettera dai toni duri, accusatori, molto distante dal modo di porsi che lo ha sempre caratterizzato e che gli è valso il soprannome di “le bon “. Rifiutando di giustificarsi, egli accusa la Convenzione di essere oppressa dalla tirannia, di non avere “la libertà di capire”; accusa il Comitato di Salute pubblica di essere composto da “docili schiavi” del potere politico. Come ricordano E. e R. Badinder (Condorcet. Un intellectuel en politique, Fayard, Paris 1988), questa sua mossa va contro “ogni elementare prudenza”. Ma questa coerenza, di cui pagherà le conseguenze, è una scelta e corrisponde alla profonda convinzione che la libertà intellettuale non può non essere totale e non tollera compromessi.
Negli scritti di Condorcet viene delineato un cittadino che è, soprattutto, individuo libero, capace di avere opinioni e connotato da spirito critico; questo non può che contrapporsi al cittadino prefigurato dall’educazione giacobina, così come emerge nei dibattiti che toccano il tema dell’educazione rivoluzionaria.
Il modello del rivoluzionario emerge, ad esempio, nel Rapporto sulla polizia generale, sulla giustizia, sul commercio, etc., che Saint-Just presenta alla Convenzione il 26 germinale dell’anno II (6 marzo 1794). In questo intervento – che sarà peraltro l’ultimo, prima delle dichiarazioni fatte nella drammatica giornata del 9 termidoro dell’anno II (27 luglio 1794), il giorno che precede la sua esecuzione – il giovane giacobino traccia nitidamente, ma con una completezza che non trascura alcuna sfumatura, il profilo dell’uomo rivoluzionario, che mette la sua vita al servizio della causa e che rinuncia per questo al suo spirito critico individuale, preferendo alla guida della ragione la guida del cuore. C’è un richiamo a quell’entusiasmo, “magia della ragione”, esaltato da Rabaut Saint-Etienne nel dibattito sull’istruzione pubblica del dicembre 1792. E’ un entusiasmo che Condorcet vede invece con sospetto – perchè “una volta suscitato serve l’errore come verità” – e ad esso si oppone dal momento che non crede sia proficuo “fondare le nostre nuove virtù su un entusiasmo sufflato fin dall’infanzia”. E’ questa la sua risposta, esplicitata in una delle note che accompagnano la riedizione del Rapporto e che egli intitola L’entusiasmo deve subordinarsi alla ragione, l’eloquenza alle prove.
Cinque memorie sull’istruzione pubblica
Come abbiamo già detto, questo è un testo ricco di dettagli, ben più lungo e articolato del Rapporto, che verrà stilato poco più avanti. Si può forse osservare che mentre nel Rapporto traspare di più il politico, nelle Memorie Condorcet affronta il tema dell’istruzione pubblica da intellettuale, da uomo di sapere: perciò ripetere, ribadire, insistere sui concetti di fondo, attraverso argomentazioni, esempi e riflessioni, è possibile proprio perché la natura discorsiva del testo non è vincolata dalla sua natura politica. Le posizioni espresse rimandano ad immagini di una società futura in trasformazione e ribadiscono la sua visione delle cose, il suo progetto di società democratica nella quale l’istruzione è parte strutturale, fondante. E’una società solare, ” dolce”, dove gli individui non sono dimenticati e dove anche nella loro formazione “morale” l’istruzione fa, egregiamente, la sua parte.
Articolazione del testo
Tutto il testo è scandito in brani, più o meno brevi, raggruppati, con un titolo generale, in temi che sono argomentati per punti distinti. Ogni punto ha un titolo che anticipa e sintetizza quanto sarà esposto dall’autore. E’ una struttura molto ordinata, di grande efficacia comunicativa: il progetto complessivo emerge con chiarezza, sia nelle sue linee di fondo, sia nei suoi aspetti concreti, legati alla sua possibile realizzazione.
La Prima memoria si intitola Natura e fine dell’istruzione pubblica ed è suddivisa in cinque parti fondamentali così intitolate: La società deve dare al popolo un’istruzione pubblica – La società deve inoltre impartire l’istruzione pubblica per il perfezionamento umano – Motivi per stabilire più gradi nell’istruzione comune – L’educazione pubblica deve limitarsi all’istruzione – E’ necessario che le donne condividano l’istruzione data agli uomini.
I titoli sono già una significativa traccia di questa consistente parte del testo, nella quale sono esposti princìpi e concetti: le fondamenta su cui poggia il progetto. Princìpi dichiarati, come l’eguaglianza dei diritti – la cui definizione emerge fortemente nello stretto confronto con “l’ineguaglianza” – e concetti ripresi in più punti, come quello di “stato sociale” (ma più spesso si parla semplicemente di “società”), di “progresso”, di “perfezionamento umano”, di “verità”.
Quello che è sotteso nel progetto sull’istruzione pubblica é, come è messo opportunamente in evidenza nella prefazione all’edizione italiana, “un’idea e un progetto complessivo di società” Ma inoltre, come ci fa ben capire Bronislaw Baczko, questa società, una “Città democratica” diversa, anzi contrapposta alla “Città degli antichi”, è il luogo dove si concretizza un nuovo spazio politico che è, al tempo stesso, democratico e razionale, dove agisce un nuovo “cittadino” che è, insieme, prodotto politico e prodotto culturale. Per questo democrazia e istruzione appaiono indissolubilmente legate: “se nella democrazia sono insite delle esigenze culturali, dal canto suo l’istruzione ha una vocazione democratica” (cfr. B. Baczko, pp. 333-351). L’istruzione, “dovere della società rispetto ai cittadini”, dev’essere “per tutti”.
E’ in questa memoria che viene sostenuta la necessità di estendere l’istruzione pubblica anche alle donne. E’una questione di non poco conto, se si pensa che lo stesso Condorcet nel suo Progetto di Costituzione (1792 -1793) non rivendicava per le donne i diritti politici: ma rivendicando per esse la necessità dell’istruzione, poneva le basi per garantire anche alle donne, rimosso l’ostacolo dell’ignoranza, una futura, piena cittadinanza. E’ il principio dell’uguaglianza che viene messo in campo e che, egli sostiene, deve radicarsi anche tra le pareti domestiche per garantire la felicità delle famiglie. Si nota anche, in questo punto, l’importanza che Condorcet attribuisce alla struttura familiare e si notano anche il rispetto e la considerazione che egli ha per le donne. L’ambiente parigino, con le opportunità di relazioni che offriva alla fine del ’700, aveva certo favorito questo suo orientamento. Egli era stato, giovanissimo, nell’entourage di Julie De Lespinasse, compagna di D’Alembert (fu lei a soprannominarlo “le bon”) e si era legato, già uomo maturo, a Sophie de Grouchy, la sua colta moglie, abile ritrattista, la sola che fu capace di convincerlo, nei duri mesi della sua reclusione presso Madame Vernet, a dedicarsi all’Esquisse, la sua ultima grande opera.
La Seconda memoria, Dell’istruzione comune per i fanciulli, è la più lunga (72 pagine) e presenta il piano d’istruzione nei suoi aspetti operativi. E’ interessante leggere questa parte confrontandola con il Rapporto letto in Assemblea. Vi sono differenze che riguardano la strutturazione del percorso di studi – tre gradi di istruzione rispetto ai quattro previsti nel Rapporto – ma è soprattutto la quantità di riflessioni su tutto ciò che è implicato o è in relazione con l’istruzione che è il caso di analizzare attentamente.
Il primo grado d’istruzione comune, estesa a tutti, ha lo scopo fondamentale di “mettere tutti gli abitanti di un paese in grado di conoscere i loro diritti e i loro doveri, per potere esercitare gli uni e compiere gli altri, senza essere obbligati a ricorrere alla ragione altrui” (p. 68). Sono le basi della cittadinanza, nel suo intreccio tra diritti e doveri. L’attenzione, nell’esordio, è riservata all’uomo pubblico, ma in seguito sono innumerevoli le osservazioni che focalizzano l’attenzione sul rapporto tra istruzione e individuo in quanto tale.
Attraverso il sapere va combattuta l’ignoranza, sfuggendo alla dipendenza che essa porta con sé; attraverso il sapere, che preserva dagli errori, va favorita “un’immaginazione attiva, che combina e inventa”, al posto di un’immaginazione passiva che si perde dietro a illusioni e va raggiunto il fine di “sviluppare, fortificare, perfezionare le facoltà naturali” (p.87). Sono osservazioni sulle potenzialità del sapere e dell’istruzione che conservano una grande attualità.
Il primo grado di istruzione, nelle memorie, deve durare quattro anni, dai 9 anni ai 13 anni (p.68). V’è la preoccupazione di non togliere alle famiglie povere la risorsa economica che i figli possono rappresentare e questo è solo uno dei cenni allo spazio e al potere che la famiglia continua a mantenere nella vita dei figli.
Viene quindi prefigurata la diffusione delle scuole a livello nazionale, (le più numerose sono, naturalmente, quelle previste per il primo grado di istruzione), e si elencano diffusamente i contenuti, i metodi, i mezzi dell’insegnamento tra cui sono fondamentali i libri di testo: essi sono importanti per più motivi, ma non sono, in ogni caso, viene detto con molta chiarezza, libri di stato.
In questa memoria si affronta il nodo della gratuità dell’istruzione, nei seguenti brevi capitoli: Utilità di far mantenere un determinato numero di fanciulli a spese pubbliche, Scelta dei ragazzi mantenuti a spese del tesoro pubblico e – titolo esplicito, questo –
Gli insegnanti devono essere pagati dal tesoro pubblico (p.130). La parte finale è dedicata agli aspetti organizzativi fondamentali che riguardano il ruolo e le funzioni degli insegnanti e delle società dei dotti.
E’ noto che la proposta di Condorcet dà grande spazio ad un’istruzione di tipo scientifico, a tutti i livelli. Proprio in questa memoria, insieme alla presa di posizione polemica sull’insegnamento delle lingue antiche – che, egli sostiene, va limitato, se ” insignito di una sanzione nazionale “, alle conoscenze “più direttamente, più generalmente utili” (p. 104) – viene sostenuta la Necessità di insistere sulla studio dell’aritmetica politica. Egli intitola il breve capitolo proprio così e si dilunga sui motivi per i quali a questa scienza “bisognerebbe dare qui grande estensione”; siamo al terzo grado di istruzione e la parte relativa ai contenuti si conclude con un’esposizione dei vantaggi che l’insegnamento delle scienze fisiche offre. Esse sono il solo mezzo “per diffondere cognizioni esatte su tutte le parti di economia domestica e rurale” e sono, inoltre, “sia un mezzo di felicità per gli uomini” sia “una sorgente di utilità sociale” (p.106-107). Va letta attentamente questa parte, molto misurata (esordisce dicendo “Si troverà forse che diamo troppa importanza allo studio delle scienze fisiche”), molto concreta, perché fa capire quanto possano essere anacronistiche certe interpretazioni moderne di questo autore, accusato di proporre “un incontrastato dominio delle scienze specie matematiche e fisiche”. E’ un rilievo che viene fatto in un’edizione italiana del Rapporto pubblicata negli anni ’60 (Canova, Treviso, a cura di Pier Luigi Previato) e riflette gli echi della polemica sulla contrapposizione delle due culture, quella umanistica e quella scientifica, che aveva coinvolto agli inizi del ‘900 personaggi come Benedetto Croce, Giovanni Gentile e l’eminente matematico italiano Federigo Enriquez. Quest’ultimo fu relegato in una posizione minoritaria e la sua impostazione, per quanto riguarda la scuola, fu definitivamente sconfitta quando s’impose la Riforma Gentile. Vi sono ancora richiami a questo scontro nel dibattito sulla situazione della scuola italiana, con tentativi di superare le contrapposizioni (cfr. lo scambio tra Tullio di Mauro e Carlo Bernardini in Contare e raccontare, Laterza, Roma-Bari 2003 ).
La Terza memoria tratta Dell’istruzione comune degli adulti. Anche la lettura di questa memoria permette di accantonare i luoghi comuni (Condorcet che anticipa i problemi, quali l’analfabetismo di ritorno, tipici degli adulti di una società scolarizzata) e di ricondurre anche questa articolazione della proposta sull’istruzione pubblica ai fini generali del progetto complessivo. Sono “cittadini” che fanno onore a questo nome, gli adulti a cui egli pensa.
Gli oggetti della loro istruzione spaziano in più aree. Essi comprendono: 1) le cognizioni di politica; 2) la morale; 3) l’economia domestica e rurale; 4) le parti delle scienze ed arti che possono essere di utilità comune; 5)l’educazione fisica e morale della prole.
Cosa mettere in rilievo? La parte, ad esempio, relativa al “senso morale”, che prevede un’autoregolazione, la possibilità di “perfezionare se stessi”, o la parte relativa all’educazione della prole (é difficile sfuggire alla tentazione di citare un passaggio della p.150: “insegnate loro che non si devono valutare gli altri per il solo denaro”). Molte cose sono interessanti, comprese le proposte sui diversi mezzi di cui deve avvalersi questa istruzione: vi sono i libri, le opere storiche, i dizionari, i giornali e gli almanacchi, ma l’istruzione va completata con le visite ai musei, con la pratica dell’osservazione (l’autore si sofferma anche sulle osservazioni meteorologiche), che permette di “istruirsi da se stessi”. Insiste molto su questo, in questa terza memoria, e ritorna sul problema dei libri, predisposti per questa come per le altre istruzioni: opere realizzabili, dice, opere “di possibile e facile esecuzione”. Sono previste inoltre lezioni settimanali e interventi dei membri delle Società dei dotti per “orientare le opinioni”. Le sue riflessioni su questo tema sono ampiamente condivisibili, in quanto già affrontano la difficoltà dell’uomo comune, pur colto, di orientarsi nella marea del sapere. La sua fiducia negli uomini di scienza è comunque totale: superiore, forse, a quella che viene loro riservata oggi (p.166). Anche questa istruzione ha il fine di erodere la spessa barriera dell’ineguaglianza, di portare, poco a poco, a quella situazione di maturità sociale che permette una vera democrazia. Una democrazia che è fatta da uomini. Ma solo l’uomo educato alla verità può “sfuggire alle astuzie degli ambiziosi” e permettere “l’unione della filosofia con la politica”, liberando il campo della scena pubblica da intriganti e impostori, afflitti da avidità, orgoglio, invidia. Un obiettivo, questo che rimane sempre valido, in tutti i tempi, in tutti i regimi politici.
La Quarta memoria, Dell’istruzione relativa alle professioni, si sviluppa in poco più di venti pagine, che rendono più vivo il sociale immaginato da Condorcet e che valorizzano, ancora una volta, la funzione dell’uomo “pubblico”. E un uomo pubblico impegnato nel lavoro e dedito alle sue attività: ne emerge un quadro vivace, variegato, completo; una società che prevede le diverse possibilità di realizzazione dell’uomo, in armonia tra loro, senza contrapposizioni; una società che si attrezza per realizzare il bene comune. Questo è certamente il principio sotteso in questa memoria: principio che si cerca di far diventare concreta realtà.
C’è nella società una prima fondamentale distinzione tra le professioni: vi sono quelle che riguardano più strettamente gli interessi individuali (la necessità di procurarsi la sussistenza, la volontà di soddisfare bisogni e godimenti) e le professioni che hanno invece come fine principale “l’utilità comune” e che rientrano quindi tra le funzioni pubbliche. Queste ultime, che devono avere alla base un’estesa istruzione, devono essere affidate “agli uomini più illuminati”.
Istruzione militare, medicina (che viene definita “una di quelle arti il cui insegnamento deve essere comune ai due sessi”), arte delle costruzioni, devono prevedere un’istruzione pubblica, ma questa va estesa anche al disegno e alla musica, “mezzo per raddolcire il costume”, per “temperare le passioni tristi e odiose”, per “riavvicinare gli uomini, riunendoli nei piaceri comuni”.
Anche le arti liberali, è quasi la conclusione, offrono “vantaggi politici”: il principio a cui ci si richiama é sempre quello del superamento dell’ineguaglianza, dello squilibrio, presente nel vecchio regime, tra la ricchezza, il patrimonio e l’ingegno.
La Quinta memoria, Dell’istruzione relativa alle scienze, è ancora più breve. Sono diciotto pagine, con le quali l’autore completa, dando gli ultimi ritocchi, il quadro tracciato. E’ un finale nel quale emergono non tanto i princìpi, ma le profonde convinzioni che li sostengono.
Quest’ultima parte dell’insegnamento pubblico è destinata a “coloro che sono chiamati ad aumentare il numero delle verità”; questa è l’istruzione che ammetterà i giovani nel “santuario delle scienze”, predisponendoli ad andare oltre, alla scoperta di nuove verità.
In questa memoria è usata l’espressione “marcia storica” della scienza e c’è l’invito agli insegnanti a far osservare i metodi nuovi perché “è nei metodi nuovi che bisogna soprattutto far osservare i procedimenti del genio”. Più che sui contenuti qui si insiste su quello che questa istruzione deve garantire: la libertà dai legami religiosi o politici, se si tratta dell’insegnamento delle “Scienze Morali”, oppure una diversa obiettività, se si tratta della Storia, che permetta di scrivere una storia “affatto nuova che sia soprattutto quella dei diritti degli uomini”, perché la storia moderna è stata fin qui “corrotta, tanto per la necessità di non urtare le tirannie costituite, quanto per lo spirito di parte”.
Questa è la parte nella quale Condorcet dichiara che “ogni potere è naturalmente nemico delle conoscenze” (p. 221), ma in cui al tempo stesso riafferma la sua fiducia nel progresso delle scienze che, anche se possono attraversare momenti di ristagno, ritroveranno sempre “il loro rinnovamento, il loro nuovo splendore”. Si riflette sulla scienza, sulla raccolta dei metodi e dei risultati della scienza, secondo lo spirito che ha animato l’Enciclopedia; si riflette sulla circolazione del sapere tra Parigi e le città della provincia e si enuncia il grande scopo di quest’ultima istruzione: diventare un baluardo, vigilare sul progresso non solo scientifico, ma anche sociale: sul progresso umano, alla fin fine, se quello che si vuole ottenere è di “non togliere all’uomo la sua indipendenza e la sua dignità.”
C’è ora la Conclusione, con un esordio che quasi commuove per la profonda convinzione che rivela: Condorcet ha creduto “di fare omaggio” al suo paese delle sue idee sull’istruzione, frutto di lunghe riflessioni che ora possono essere non più solo sogni, ma concreta realtà.
Qui, ancora, la Rivoluzione altro non è che il “felice avvenimento che ha aperto ad un tratto una via immensa alle speranze del genere umano”, il tempo accelerato che “ha messo un secolo di distanza tra l’uomo di oggi e quello di domani”, l’elemento ordinatore che “rimette gli uomini al posto loro assegnato dalla natura”.
Ritornano le parole che hanno scandito più volte il testo: la verità, “che estenderà sull’universo intero la sua dolce e irresistibile potenza”, il bene comune, lafelicità. Ma le parole e le immagini con cui si conclude questo testo rifuggono dall’astrazione. Sono gli uomini i protagonisti. Rispetto alla conclusione dell’Esquisse, che ribadisce, nella drammaticità di quei momenti, la speranza del filosofo, ma che lo fa apparire, quasi, un uomo solo, qui ancora si muove sulla scena una pluralità di individui. Sono gli “amici della ragione” e i tratti che li caratterizzano emergono per contrasto con quello che gli uomini legati al passato non possono o non vogliono essere. Questi sono da compiangere, perché non provano il “piacere nuovo di respirare un’aria libera”, perché sono insensibili “al nobile orgoglio di saper comprendere come non vi sia superiorità maggiore di quella che proviene dal proprio ingegno, autorità maggiore di quella che proviene dalla propria ragione, grandezza maggiore di quella che proviene dalle proprie azioni” (p. 222). E’ un profilo morale – quello tracciato da Condorcet – che accomuna tutti coloro che alla verità hanno dedicato la propria vita e che, per essa, “devono imparare ad affrontare tutto”: un invito ad una forza a cui forse ha fatto appello, solo qualche anno dopo, quando si è ritrovato, malato e senza speranze, nella solitudine della prigione di Bourg-la Reine, nei pressi di Parigi, dove ha trovato la morte.
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