Nel vedere il film evento di questo fine anno, lanciato direttamente su Netflix, si scopre che il cinema può ancora divertire in modo intelligente e graffiante e, per contrasto, si capisce d’un colpo quale mediocrità, quale banalità concettuale (e quale tedio) vengano veicolate dalla sterminata produzione cinematografica mondiale che inonda le poche sale sopravvissute e i troppi canali televisivi dedicati.
Il film, che parte con degli straordinari titoli anni ’70 su uno swing anni ‘60, col suo potere satirico ci riporta (quasi) all’epoca in cui registi europei ormai dimenticati come Buñuel e Ferreri, sapevano guardare e denunciare con occhio spietato i vizi borghesi; ma lo fa attualizzandoli, mobilizzando tutto il potenziale hollywoodiano, col ritmo giusto, il montaggio serrato, il garbo del miglior Kaufman (Se mi lasci ti cancello), frullando molti generi, fantascienza (Solaris, Gravity, Interstellar, perfino Jurassic Park), dramma esistenziale (Melancholia), commedia sentimentale e antisentimentale, documentari naturalistici, film politico-sociali, polizieschi, musical, sitcom.
Gli studiosi di cinema potranno fare a gara per scovare le citazioni (o i plagi spudorati, come quello di Zabriskie Point).
I numerosi personaggi sono ispirati alle celebrità dell’America di oggi, finalmente guidata da una Presidente donna che è sicuramente peggio dei suoi predecessori maschi, dei quali peraltro emula anche la spavalderia erotica.
Ma il potere politico in realtà controlla solo l’informazione televisiva e i social, Il vero potere è in mano a chi opera sui Big Data e chi investe in materie prime.
Ognuno persegue i propri miseri interessi di fronte ad una catastrofe globale imminente e inesorabile che nessuno, salvo chi l’ha scoperta, la dottoranda in astrofisica che diviene uno zimbello mediatico e deve ritirarsi nel suo privato, sembra percepire.
Tutti si vendono di fronte alla necessità del politically correct, perfino lo scienziato che viene assunto dai media per divulgare la situazione, un Di Caprio che è l’interprete meno riuscito in un cast veramente stellare (Jennifer Lawrence, Cate Blanchet, Meryl Streep, Ariana Grande, Mark Rylance).
Il film va guardato fino in fondo, perché l’ultima scena segue i lunghissimi titoli di coda: l’ultimo uomo sopravvissuto è il più idiota, attaccato ai pochi oggetti rimastigli in un oceano di macerie.
La sceneggiatura è assolutamente perfetta e richiede una continua attenzione per coglierne le finezze. Bellissimi e per niente gratuitamente spettacolari gli effetti speciali e la grafica digitale.
In ultima analisi il tema di fondo del film e la quasi totale incapacità di sfuggire all’immanenza e alle sue illusioni da parte della maggioranza degli uomini di oggi: solo pochi, di fronte alla catastrofe imminente, ritroveranno il senso della trascendenza grazie alla percezione della propria finitudine.
Hollywood, col suo immenso potenziale produttivo, sforna dunque un capolavoro prendendo di mira nient’altro che se stessa e gli enormi capitali che la sostengono.
Per una volta non si prende sul serio e ci indica che lo scopo di quest’industria è sostanzialmente quello di intrattenerci e farci sorridere difendendoci da quella realtà che spietatamente rende evidente, ingigantita sui nostri maxischermi domestici.
In questo caso, facendoci anche riscoprire la bellezza di pensare.
0 commenti