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Tanti nemici tanto onore. Paranoia sotto mentite spoglie.

4 Ott 23

Di FRANCESCO BOLLORINO
Doveva essere il giorno della memoria per ricordare la tragedia di Lampedusa del 3 Ottobre 2013 e invece è stato quello dei fischi a Torino, per la Meloni, ma andiamo con ordine. Dieci anni fa le vittime furono trecentosessantotto, uomini, donne bambini, la più grande tragedia di migranti dall’Africa che attraversano il Mediterraneo per approdare all’isola italiana più vicina. Non furono i soli. Pochi giorni dopo, dello stesso mese di ottobre, venerdì 11, un altro peschereccio partito dalla costa libica di Zuara, Tripolitania, naufragò con duecentosessantotto persone, tra cui sessanta bambini. Non ha molto senso sommare gli uni agli altri per ricavare la cifra totale di seicentocinquantaquattro, perché quel tratto di mare, da almeno 40 anni è ormai diventato “un cimitero”, come tutti sanno e, recentemente, ha ricordato anche Roberta Metsola aprendo il momento di commemorazione al Parlamento europeo riunito in plenaria a Strasburgo. Non solo nulla è cambiato ma tutto è tragicamente peggiorato per politiche fallimentari in nome di un’Europa divisa e litigiosa tra filorussi e filoamericani, con Zelensky, l’autocrate ucraino, che gira col piattino in mano, solo, per il mondo americanizzato, disperato perché quelli di Biden han finito i soldi, le armi e la pazienza e quelli di Trump sono contrari e divisi peggio dei nostri “Diesse”.

Meloni ha finito i 100 giorni di luna di miele, ha superato l’anno di governo e, a quanto pare, non ne infila una giusta da quando si è messa a girare in proprio, per la Tunisia, accompagnata da Ursula von der Leyen e Mark Rutte, poi silurato in patria. Quando è a corto di argomenti, rinfocola le polemiche con tutti e crea nemici dappertutto, ma prende cantonate a ripetizione perché si è dimentica che ora governa, mentre prima, quando stava all’opposizione e sbraitava, poteva parlare a ruota libera. Va dicendo che Gentiloni non gioca più con la maglietta azzurra della nazionale italiana, ma gira per Bruxelles in “canotta”! Sostiene che è rimasta «basita» perché una giudice donna di sinistra di Catania, ha disobbedito alle leggi dello Stato da lei presieduto, varate da una maggioranza che ha vinto le elezioni regolarmente, come ricorda a giudici, piemme e ministri competenti. Però si dimentica che per poter governare bene, il principio della separazione dei poteri è fondamentale: quello legislativo, attribuito al Parlamento, quello esecutivo al governo, mentre quello giudiziario, assolutamente indipendente è compito della magistratura, senza che nessuno possa metterci il becco. Nessuno comanda sull’altro. La Meloni perde i nervi quando le mandano in televisione le sue sparate all’opposizione – «Sei nomade? E vai a nomadare, nun sta’ quì a fa’ ‘o stanziale, via!». Ma va fuori dei gangheri, quando le pizzicano il compagno giornalista televisivo, che usa parole improprie o un linguaggio sopra le righe, come la “transumanza” per i migranti.

Negli ultimi tempi, dopo le felici vacanze estive americane da Biden, è stata in giro per il mondo a litigare un po’ con tutti, piuttosto che fare alleanze. Per farsi notare? Di fatto, allo stato attuale, in Europa c’è una gran baraonda. Italia, Germania, Austria, Francia, Ungheria, Slovacchia e presto al voto la Polonia, l’un contro l’altra armate, se le danno di santa ragione, si insultano oltre il limite consentito e se le promettono spudoratamente, ignorando la diplomazia. Una lite continua. Mai disordine e confusione sono state più totali in una piccola Europa, dove ogni paese si traccia un suo piccolo confine presidiato da gendarmi armati, e intima a tutti – europidi vicini e lontani – di non valicarlo, visto che il blocco navale della Meloni è qualcosa di inverosimile! Neppure la “Armada invencible” di Filippo II, quella che nel 1588 avrebbe dovuto, allo stesso tempo, vendicare la morte di Maria Stuarda, ristabilire il cattolicesimo in Inghilterra, spaventare l’impero inglese di Elisabetta I e distruggere la sua potente flotta, poteva concepire una tale fantasia parafrenica. Dato il personaggio, mi è tornato in mente il duce dei fasci, quello che alle “Pascoli”, le mie elementari bolognesi, il Maestro Morselli, ci spiegava bene tutto quello che diceva, tipo “Tanti nemici, tanto onore”. Questa frase l’avrebbe pronunciata Benito Mussolini in un discorso a Roma nel 1931 e ci spiegava anche il senso.

Per alcuni, il fatto di essere invisi a molti è segno di agire per il bene del popolo senza ombra di dubbio. Così sembrano le ultime azioni di governo tracciate dalla nostra premier Giorgia Meloni. Ma la psicopatologia insegna che se “Io solo sono nel vero mentre tutti gli altri hanno torto, mi invidiano e mi combattono”, la paranoia (nei casi migliori) è prossima e ci viviamo nell’ombra. Tristissima la sorta di chi ci crede, ci sono esempi di follie collettive di sette con suicidi di massa. Basterà ricordarne una, quella della giungla della Guyana (18 novembre 1978) in cui ad un ordine del predicatore Jim Jones, oltre 900 adepti si diedero la morte per suicidio col cianuro. Ma, frugando nella storia antica, la locuzione “molti nemici molto onore”, parrebbe risalire al Capitano di ventura germanico Georg von Frundsberg il famoso condottiero delle orde di Lanzichenecchi mentre attraversavano il Veneto nel lontano Cinquecento battendosi contro i soldati della Serenissima Repubblica e, comunque prima di saccheggiare la Roma del Papa Clemente VII (uno dei Medici), nel 1527.

La Meloni, si è adirata perché Kaïs Saïed ha fatto sapere in giro che i Berberi sono fieri e lui, spirito indipendente rifiuta i fondi Ue: “Non accettiamo carità!”. Che sarebbero 127 milioni, si capisce poi, che vuole di più. A chi le rimprovera di aver firmato il “memorandum” africano cabriolet perché l’autocrate tunisino non sa chi gli debba onorare l’assegno (Usa o Ue), Giorgia risponde che è giusto, anzi giustissimo così! Perfetto è anche il “Piano Mattei”, che Dio solo sa cosa voglia dire, perché rimanda sempre a Enrico Mattei, poveretto, quello che la mafia tirò giù con tutto l’aereo e per ordine delle Sette Sorelle, a Bascapè. La Meloni, ieri era a Torino, al Festival delle Regioni e delle Province autonome, anziché a lanciare qualche fiore in mare a Lampedusa. Era nella città della mole per confabulare coi suoi “mattarellini” regionali per spezzettare vieppiù il suo governo troppo stretto. “Le Regioni ha detto sono il nucleo del senso di appartenenza”. Voleva prendere le misure alla “autonomia differenziata” di Calderoli. Già che c’era, ha provato anche a dire qualcosa sulla Sanità, negando che i tagli fossero ancora sanguinanti, come aveva già ricordato Mattarella dal Quirinale, il giorno avanti. Ma quello che ha irritato di più, è stata la presuntuosa lezioncima di contabilità da retrobottega di mattatoio quando la Meloni ha detto: «Non giudicateci solo per le risorse», aggiungendo per sovrappiù: «Sulla Sanità è miope considerare solo maggiori fondi», ma siccome sono spariti totalmente, i fondi, non è da ciechi cercare il gruzzolo che non c’è, perché magari è già partito per pagare le armi e i soldati all’Ucraina. Semmai è da sciocchi credere che ci si debba lambiccare il cervello (suo e di sua sorella) perché «bisogna spenderli bene» quei pochi che ci sono. Ma dove? Melo?

Intanto giù botte da orbi a quelli che la contestavano, studenti e ragazzi dei “Centri Sociali”. Anche voci femminili, si son sentite urlare verso i poliziotti: Ma che picchi? Non lo vedi che è un ragazzino? Lascialo perdere … E intanto ancora cariche ripetute della polizia – prima fuori dal Carignano – dove si teneva il Festival, perché turbavano la quiete pubblica, poi a Piazza Castello. Lì è andata giù pesante, tanto che è stata insultata e derisa, soprattutto da quelli dei “Centri sociali”, ai quali i “celerini” di Piantedosi, hanno riservato le manganellate più robuste. La Meloni – informata di tutto, minuto per minuto – pare abbia commentato che se erano quelli dei “Centri Sociali”, i poliziotti avevano fatto semplicemente il loro dovere.

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