Strano paese l’America! Un ricco “Eldorado” per tutti e dunque, terra da arraffare, colonizzare, educare, con trapianti coloniali europei al di là dell’Atlantico. Non si può fare a meno di riandare, per sommi capi alla sua genesi di immigrati bianchi venuti dall’Europa. Alcuni già con schiavi di proprietà. Altri, con mercanti di schiavi al seguito per andarne a catturare di nuovi, appositamente in Africa, per lavorare nelle piantagioni della “Capanna dello zio Tom” o per ispirare i protagonisti di “Via col vento”. Il popolo americano degli “States”, appunto, eternamente divisi in “nordisti” e “sudisti”, a farsi una “Guerra di Secessione”, che non smette di finire, tra “confederati” e “unionisti”, tra soldati con le giubbe grigie contro soldati con le giubbe blu. I nativi sono spariti da tempo.
1. Colombo, Vespucci, chi altri?
Chiamato così, quel continente, in onore di Amerigo Vespucci, che ci sarebbe arrivato sempre nel 15° secolo, ma cinque anni dopo le tre caravelle di Cristoforo Colombo, approdate, come tutti sanno, il 12 ottobre del 1492, a “Española” – isola delle Grandi Antille nel mar dei Caraibi – subito colonizzata col nome spagnolo affinché fosse chiaro che l’odiato rivale portoghese non c’entrava per niente. L’Isola che gl’indigeni chiamavano “Guanahanì”, divenne tristemente famosa, nel 17° secolo, col nome del bucaniere inglese John Watling, un pirata religioso, che non saccheggiava il sabato. Sta di fatto che all’esploratore genovese, venne intestata la “scoperta”. Prima ancora, però, intorno all’anno Mille, si dice, ci fossero approdati navigatori vichinghi, noti saccheggiatori biondissimi e feroci dell’età di mezzo, del mondo allora conosciuto. Forse, ci mise piede tale Bjarni Herjólfsson, l’esploratore norreno che veniva dai fiordi, ma non lasciò traccia storica, né conseguenze evidenti. La storiografia ufficiale, la grande storia o, più ragionevolmente, l’ottica storica europo-centrica, stabilisce che l’anno 1492, del 15° secolo rappresenta il discrimine che fa cessare l’Evo di Mezzo, per dare inizio all’Evo Moderno.
A parziale compenso di questo abbozzo frettoloso del Continente Latino-Americano di sotto e di mezzo, possiamo citare un laborioso film anglo-francese diretto da Ridley Scott, “1492 – La conquista del paradiso” (1998). Non c’è la versione italiana ma solo quella francese e inglese e la lunghezza eccessiva vanifica la splendida interpretazione di Gerard Depardieu nei panni di Colombo che avrebbe meritato miglior sorte. La pellicola racconta la tenace impresa del navigatore genovese, impegnato a spiegare e illustrare con passione le sue teorie rivoluzionarie per andare nelle “Indie” – navigando a levante invece che a ponente – agli ottusi sapienti di due corti reali atlantiche, quelle di Spagna e quella di Portogallo. La via d’acqua per la conquista del paradiso era tracciata! Bisognava veleggiare per l’ovest dell’Europa iberica, con scorte di limoni sottocoperta e filari di cozze appese per il loro “bisso” allo scafo delle Caravelle, contro lo scorbuto. Tutti sanno anche che fece premio l’intuizione di un’attenta regina di nome Isabella di Castiglia e che le tre caravelle concesse partirono da Palos. Ma nessuno ignora che poi fu un continuo assalto alla diligenza, con stragi feroci di nativi, per via dell’oro, tanto al Sud quanto al Centro del “Nuovo Continente”. Diciamo pure in quella zona più meridionale del continente latino-americano chiamata “Cono Sud”: Argentina, Cile, Uruguay, Paraguay, Brasile.
2. Gesuiti nel “Cono Sud”
Una menzione a parte, meriterebbero le violenze sui “guaraní“ del 16° e 17° sec, perpetrate nelle “reducciones de indios” dalle tuniche nere del cattolicesimo ignaziano – sia lusitane che ispaniche, – per l’evangelizzazione forzata dei “nativi selvaggi”. Se il principio dei gesuiti era inaccettabile, sotto il profilo della conversione religiosa, il razionale tuttavia appariva generoso, filantropico, caritatevole, fin troppo ingenuo, sotto il profilo della qualità di vita (cristiana). Si proponeva, infatti, di creare una virtuosa società cattolica, vagheggiata – utopicamente in Europa – da quelli della “Compagnia di Gesù“. Vale a dire, un modello di vita senza vizi, corruttele, simonie ed altri aspetti negativi per la cura delle anime. Il progetto gesuitico sembrava loro a portata di mano, nel “Nuovo Mondo”, proprio per il fatto di essersi recati fin laggiù per educare, cristianizzare, civilizzare, “ingenui selvaggi”, i Guaranì, sottraendoli ai mercanti di schiavi, che li rivendevano come manodopera. Un’altro film bellissimo da citare in proposito, è “The Mission” [01], che ci racconta questa vicenda con toni molto verosimili tra le vertiginose Cascate dell'Iguazú e una coppia di protagonisti formidabili: Robert De Niro, mercante di schiavi fratricida, redento da Jeremy Irons nei panni di Padre Gabriele che suona l’oboe per ammaliare i selvaggi. I Gesuiti non erano nuovi a imprese disperate. In Lucania, per esempio, avevano operato in corpore vili, proprio sulle «Indie di quaggiù», di “casa nostra”, le “Indie de acca’”, come ci fa sapere Ernesto de Martino in “Note di viaggio” e altrove [02]. In seguito, la Compagnia di Gesù subì un'intensa campagna diffamatoria in Europa, e nelle Americhe venne incolpata di tutti i peggiori mali della regione (come oggi l’ottusa cupidigia euro-atlantista statunitense fa con la banda dei Putiniani) e accusata di voler creare uno Stato autonomo. Nel 1759 i Gesuiti furono espulsi dal Portogallo e nel 1767, dalla Spagna, causando l'arresto dell'espansione missionaria. Un ulteriore colpo lo subirono con la soppressione dell'Ordine nel 1773. Si pensi che furono esiliati perfino dalla Russia nel 1820.
3. Quelli del “Fiore di maggio”al Nord.
Ma gli Stati Uniti d’America sono più a nord del Continente. Quassù vennero gli emigranti scappati dall’Inghilterra per motivi religiosi circa 130 anni dopo, ne XVII secolo. Gli extraeuropei isolani del Regno Unito di sua maestà. Erano i fanatici della “Mayflower” ("Fiore di maggio"), fastidiosi colonizzatori bigotti (puritani calvinisti) cacciati per esasperazione dall’Inghilterra, ancora alle prese con le conseguenze dello scisma anglicano. Correva l’anno 1620, si chiamavano “padri pellegrini”, (“Pilgrim Fathers”), salpati il 16 settembre da Plymouth. Raggiunsero il “Nuovo mondo” a Capo Cod, su un galeone trialberi scalcinato, adibito a trasporti ferrosi nelle colonie oltre Atlantico di sua maestà, Giacomo Stuart – primo unificatore dei tre regni, Inghilterra, Scozia e Irlanda – dopo due mesi di fifa blu il 19 novembre 1620. Navigavano male e nuotavano peggio. Non sapevano vivere in armonia coi propri sensi, ma litigavano spesso e ferocemente su questioni ritenute religiose. Volevano convertire alla loro idea religiosa, redimere e battezzare a loro modo gli indiani del posto e tutto ciò che incontravano. Passavano intere giornate a discutere su quanti centimetri di carne umana potessero sporgere dai bodie di lana di femmine e maschi. Per fare un esempio, l’”Esercito della salvezza” (“Salvation Army”) che operava negli USA ai tempi del proibizionismo negli anni Venti e Trenta, più o meno “ruggenti”, violati da “Scarface” il leggendario criminale Al Capone, si può considerare un residuato degli immigrati col “Mayflower”.
Per protestare contro il continuo aumento delle imposte del Regno Unito, alcuni giovani buontemponi bostoniani e altri amici della costa, si erano mascherati da moicani (nativi Mohawk) e, saliti a bordo delle navi della corona, alla rada in attesa della traversata di ritorno per l’Inghilterra, avevano buttato in mare i sacchi del tè, bevanda sacra dei sudditi di sua maestà Giorgio III re di Gran Bretagna e d'Irlanda. Pur goffamente mascherati, come spesso amano fare gli statunitensi quando si rivoltano contro l’autorità stabilita – si veda l'assalto del 6 gennaio 2021 a Capitol Hill, per il quale è sotto accusa Trump [03] – questi giovanottoni del sedicente gruppo patriottico “Sons of Liberty” (“Figli della Libertà”), scrissero una solenne “Dichiarazione d'Indipendenza”, affinché la loro ribellione risultasse palese in tutto il mondo conosciuto dell’epoca, Vi parteciparono nomi famosi come, John Adams, Benjamin Franklin, Thomas Jefferson e lo sottoposero al “Congresso”. Il dado era tratto! E grazie anche all’alleanza coi Francesi e i Paesi Bassi, che vedevano gl’Inglesi come il fumo agli occhi, suggellata dal “Trattato di Parigi” (1783), nacque la più giovane democrazia d’oltre Atlantico del 18° secolo. Naturalmente la cose furono ripensate con calma, si tolsero le esagerazioni, si limarono le parole, si riscrisse la “Costituzione” per benino nel 1787, la si ratificò nel 1878 e, finalmente nel 1979 si nominò George Washington primo presidente degli Stati Uniti d’America.
4. Congresso – Presidente – Suprema Corte anaclitica, sessista e anche incendiaria.
Fin qui, per sommi capi, l’antefatto dell’affrancamento dalla madrepatria matrigna e la faticosa instaurazione della democrazia statunitense. Che gli USA siano democratici non c’è alcun motivo di dubitarne, perché lo affermano loro stessi, perché dei due partiti che si sfidano, uno è direttamente democratico, mentre l’altro è repubblicano per ribadire che odiano le monarchie. Tengono delle elezioni ogni 4 anni che sono uno spettacolo fantasmagorico, ripetuto nei 51 stati che li compongono, dove si può presentare per fare il presidente chiunque abbia compiuto 35 anni. Si pensi che votano anche per posta! Hanno una imponente “Statua delle Libertà”, donatagli dai Francesi nel 1888 a 105 anni esatti da quando nel 1776 si liberarono dal giogo di una cattiva madrepatria, come abbiamo già accennato. Infatti, non si può dire che tra Regno Unito e Colonie, non ci fossero frizioni, commerciali soprattutto, e pagamento di odiosi tributi illiberali. Ma, come tutti sanno – e i francesi lo insegnano – «l’argent est le nerf de la guerre» mentre i non francesi ripetono maccheronicamente «C’est l’argent qui fait la guerre». C’era stata, per la verità, le gherminella dei coloni di Boston chiamata “Tea Party” del 16 dicembre 1773, che aveva fatto molto arrabbiare gl'inglesi di Giorgio III, della dinastia Hannover, allora regnante, padrone e sovrano dell’intera baracca coloniale, burattini compresi.
Tra i sette nipoti ce n’ho uno che è andato al catechismo per la “Comunione”. Va anche sul PC con la velocità di un “nativo digitale puro”, perchè in effetti lo è. È molto improbabile, ma semmai m’interrogasse sulla “Corte Suprema” americana, roba per vecchi tradizionalisti, mi sono preparata la risposta: “Un concistoro di nove cardinali speciali, che praticamente sono nove papi, nominati a vita dal padreterno di turno, ossia finché non muoiono, con licenza di bestemmiare”. Ora, tornando ai nostri giorni, la “Corte Suprema” statunitense ha inquadrato nel mirino delle sue bombarde passatiste e "originaliste" qualche argomento classico ed ha già sferrato due-tre colpi micidiali. Prima abolendo il diritto all’aborto e poi negando i poteri dell’Epa sul taglio delle emissioni di gas serra, ma c’è dell’altro e non di poco conto, sempre contro gli Stati Uniti d’America, che invece vorrebbero proteggere.
Che guerra è, questa contro la Casa Bianca e contro il Congresso? Sempre quella tra nordisti e sudisti che non è mai cessata? Noi vecchi Europei non possiamo capire l’”Old Wild West”, il “Mito della Frontiera”, l’Ovest selvaggio dei vecchi tempi nordamericani, le narrazioni holliwoodiane tra “Indiani e cow boys”, quella del “Settimo Cavalleria”, del “generale Custer” e compagnia cantante. Ma siamo molto preoccupati per il futuro del Pianeta Terra. Non ci tranquillizza affatto sapere che la “Casa Bianca” abbia definito: «Impatto devastante» [04] quello di chi le spara nella schiena, nel senso delle terga di John Biden, l’attuale inquilino. Se è un gioco cretino per vedere chi comanda di più, per carità smettiamola qui perché non è affatto divertente. Se poi qualcuno volesse tener conto anche degli umori di Putin, di Medvediev, di Lavrov gli verrebbe il mal di testa, pur togliendo di mezzo i fedelissimi generali Serghei Shoigu e Valery Gerasimov, che ogni tanto si assentano dalle foto di scena del solito gruppetto di vertice, sempre pronto a minacciare piccole atomiche tattiche da cortile.
Codesta “Suprema Corte” USA non si è posta limiti, da quando a preso a guardare all’indietro, frugando nel passato di costumi americani superati perchè ingiusti e vetusti. Pare ci sia un programma, neanche tanto segreto, che scruta nelle mutande della gente per mettere a fuoco anche contraccezione e rapporti omosessuali. In tutto e per tutto simile al programma di Kirill, amico per la pelle di Putin. Il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, sta combattendo alacremente per una società più omofoba e razzista, purificata, cioè, da pericolosi peccatori mortali, come persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali transgender, intersessuali (LGBTIQ) e altre pratiche di consumazione del sesso, non conformi alle imposizioni dell’Autorità suprema ortodossa. Che sia il gran ritorno della “Religione Ortodossa” combattuta dai Comunisti di Stalin che mangiavano i bambini e ora li uccidono coi missili di vecchia generazione dell’ex “Sovietskij Soiuz”? Quelli imprecisi e, appunto per questo, che fanno più male, secondo la propaganda antiputiniana, perchè provocano stragi a casaccio, ovvero stupide, “ndo cojo cojo” per dirla alla romana. Oppure è questa “Suprema Corte” che non riesce ad andare oltre il proprio naso. Anzi, girata com’è su una visione anaclitica, cerca una “restaurazione” ancor peggiore di quella borbonica francese del 1814. Stupefacente questa “Corte Suprema” del Continente nordamericano che, mentre l’Europa brucia, è preda di incendi (e incendiari interessati), nega a Biden (sempre che ne abbia voglia) di prendere provvedimenti per l’ambiente, secondo gli accordi di Parigi 2015 e di Glasgow 2021 alla conferenza tra le parti, la COP 26 delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Il mondo è rovente, avvampa da Oriente a Occidente, e gli Americani si sparano veti incrociati tra “Suprema Corte” e “Casa Bianca” … come fossero rimasti al 26 ottobre 1881, la sfida storica all’OK Corral?
Quelli che io ho conosciuto tredicenne, come “Liberatori” anglo-americani, direttamente a Bologna, città dove sono nato e ho passato la seconda guerra mondiale [05] sono gli stessi che poi misero l’Europa sconfitta, nelle mani pelose del Piano Marshall (15 giugno 1947) e del Patto Atlantico (4 aprile 1949), sigillato nella “Cortina di ferro”, sono restati, a distanza di 75 anni, alleati esigenti, datati e settari, per dire le cose con chiarezza, gli statunitensi, soprattutto. Il Regno Unito, per considerare l’altra parte anglofona dei “Liberatori”, è risultato meno ingombrante, rivelandosi paese extraeuropeo con “Corti” più democratiche e aggiornate, ancorché vetuste. Gl’Inglesi, quella guerra la vinsero con Winston Churcill e una monarchia indistruttibile, di predatori rapaci.
5. Democrazia OGM
Qualunque agricoltore di mangimi o piante edibili, tipo mais, soia, colza, riso, patate, pomodori, fagioli ed altro, voglia essere certo di avere una resa ottima, abbondante, resistente alle patologie più diffuse tra gli ortaggi, ma anche agli erbicidi e perfino alle cavallette, non ha che rivolgersi alle Multinazionali di competenza, che gli forniscono sementi OGM, quelle che crescono dappertutto, contro tutto … a suo rischio e pericolo, però! Monoculture intensive, multinazionali di sementi, diserbanti, concimi ed altri tasselli strategici che operano nella filiera alimentare mondiale, da tempo, sono sotto osservazione delle autorità di settore. Il pensiero per quanto mi riguarda, da tempo, mi corre rapido a quei gruppi (o quei paesi) che la loro “democrazia” la vogliono esportare a tutti i costi, anche sulla punta delle baionette, perchè è in grado di resistere alle “dieci piaghe d’Egitto”, mentre tutti sanno che si tratta di bieco tornaconto. Andrea, il più piccolo dei mie nipoti, che va in seconda elementare, l’altro giorno mi ha detto
– “Vedi nonno, la riduzione o la perdita della biodiversità fra tutti i viventi, vegetali e animali, è bruttissima, perchè un male che colpisce uno si abbatte su tutti gli altri! Hai presente cosa succede quando giochiamo a domino, con tutti i legnetti neri dritti in fila e io all’ultimo gli do una spinta?”. Qualche utile idea di riflessione Andrea me l’aveva data, perché sono andato a rileggermi “La fattoria degli animali” di George Orwell.
Se stabilire quale paese del mondo abbia la democrazia più liberale, trasparente, adamantina, specchiata, partecipativa, alternata, più democratica, insomma, sia divenuto un “gioco da tavola” con tappeto verde per le carte, il domino, la scacchiera o altro ancora tipo “Monopoli”, ma anche da “format” televisivo, non è per nulla divertente. La storia di questi ultimi quattro anni flagellati per di più dalla giganto-pandemia di Covid-19 e sotto-varianti infinite, corredata da vaccini, “richiami” “booster” dei medesimi, mascherine, quarantene, disinfettanti e reclusioni sociali, sembrano aver dimostrato in maniera palese che la “democrazia” è in “terapia intensiva”. Ciascuno, dunque si regola come crede, anzi il più forte comanda! Il guaio è che spesso, convinto di fare il bene degli altri, oltre che il suo interesse personale e quello del gruppo di cui è espressione, decide di esportare il proprio sistema di governo presunto democratico con le armi. Ma questo è il modo più antidemocratico di svolgere la diplomazia, come fare la guerra per proseguire la politica con altri mezzi secondo Karl von Clausewitz. Al poker nessuno può mai essere certo di avere in mano le carte vincenti. Per quanto nel poker, molto di più rispetto a tanti altri giochi di carte, contino abilità e strategia, è sempre necessario avere un po’ di fortuna. In caso contrario, infatti, anche il miglior giocatore al mondo non potrà garantirsi la vittoria. In America all’apparenza sembra proprio che la “Corte Suprema” stia giocando a poker con il Congresso, ma con le carte truccate della Costituzione. Il guaio serio delle Democrazie OGM è quando, si passa dal tavolo da poker, all’incitamento diretto della rivolta di piazza per l’assalto al Campidoglio USA com’è successo con Donald Trump nella tragica epifania americana del 2021. Le accuse più recenti avanzate dalla commissione della Camera dei Rappresentanti all’ex presidente USA, oltre a confermare che ancor oggi si ostina, peggio di un mulo, a negare la vittoria dei democratici, «“Donald Trump non ha assolto il suo dovere" nell'assalto a Capitol Hill e deve esserne ritenuto legalmente responsabile» [06] Sembra infatti che “non ha mai cercato di fermare l'assalto al Campidoglio e anzi voleva che accadesse, anche a costo di mettere in serio pericolo il suo vice Mike Pence, che la base di Trump voleva impiccare” [07] … “Commissione 6 gennaio: Trump aprì la strada al disordine e alla corruzione per ribaltare il voto” [08] … “Rimase sei ore a guardare le immagini dalla Casa Bianca senza muovere un dito”. “Commissione 6 gennaio: Trump aprì la strada al disordine e alla corruzione per ribaltare il voto”… “Il deputato repubblicano Kinzinger: ‘L'ex presidente non ha fatto nulla. Si è seduto e ha guardato l'assalto in tv”… "Era a conoscenza che alcuni insurrezionisti che erano al suo comizio erano armati" dice a sua volta un funzionario … [09].
6. La spartizione del mondo … a freddo!
Anche chi non segue la politica viene informato della caduta del governo Draghi, in questo luglio cocente 2022, ma non per i 40 gradi e oltre. Misteriose le ragioni, ma non si possono escludere i colpi di calore! Anche per il fatto di vedere comparire ovunque – inopinatamente e fuori contesto – il mascherone inverecondo di Silvio Berlusconi gesticolante che, sorretto da chi gli deve badare, abbraccia tutti i presenti e insulta gli assenti. Lui crede nella memoria corta e spera di tornare in parlamento da cui lo cacciarono con ignominia il 27 novembre 2013. Draghi resterà in carica “per il disbrigo degli affari correnti” e, fra questi ci sono le armi all’Ucraina – in guerra contro la Russia – e la riconferma di un “atlantismo” antico a prova di bomba. Peraltro, basta accendere la TV per essere inondati di notizie sulla guerra in Ucraina, come se fosse la sola nel mondo, dove ogni rete nazionale ha almeno un paio d’inviati speciali che raccontano la guerra “minuto per minuto” come una volta si faceva col calcio. Ma non è così! Molte sono le guerre dimenticate e i morti di guerra hanno lo stesso tragico aspetto.
Anche se non è elegante autocitarsi, io avevo 13 anni, ma per chi non ricorda e apre i libri di storia, legge che la seconda guerra mondiale è terminata nel 1945. A Yalta l’11 febbraio 1945, a guerra ancora in corso si riunirono “i tre grandi”, gli Alleati, Britannici, Russi e Statunitensi. Erano prossimi alla vittoria totale sull’”Asse Berlino Roma Tokio”, agonizzante ma indomito perché l’imperatore Hiroito non ordinava la resa. Lo farà incondizionatamente in un discorso memorabile, solo il 5 agosto 1945! A Yalta, devono stabilire come si spartiranno le spoglie dell’Europa distrutta e dell’Impero del Sol Levante, atomizzato con le bombe di Hiroschima (6 agosto 1945, “Little Boy”) e, tre giorni dopo, di Nagasaki (9 agosto 1945 “Fat Man”).
I tre di Yalta dovevano decidere come si sarebbero spartiti le spoglie dei paesi vinti, sostanzialmente l’Europa e il Giappone. Sanno che, finita la guerra, le diversità ideologiche tra le democrazie anglo-americane e il comunismo sovietico si faranno acute e insormontabili fino a confliggere pericolosamente. Non tanto sullo scacchiere asiatico, ma su quello europeo, segnatamente dell’Est. In linea di massima viene raggiunto un accordo provvisorio sulla Germania e la Polonia, completamente distrutte, ma profondamente segnate. Nessuno ha dimenticato le ambiguità e le esitazioni di Russia e Inghilterra, nei confronti di Hitler, della sua aggressività, della sua “blitzkrieg” e soprattutto del massacro di Ebrei e “diversi”. Come diversivo europeo si stabilisce che la Jugoslavia sarà governata dal Maresciallo Tito da Belgrado. Sarà istituita una nuova assemblea mondiale, quella delle Nazioni Unite. A Yalta, infine si dichiara che ogni Stato europeo, liberato dal giogo nazi-fascista potrà decidere la sua forma di governo, in autonomia. Naturalmente i tre Grandi, non erano d’accordo su niente e diffidavano l’uno dell’altro. Ci sono vignette e caricature di allora molto divertenti, una in particolare di Stalin-Baffone tra Roosevelt e Churcill.
Si rividero a Potsdam in una delle residenze del re di Prussia, nell’estate dello stesso anno, dal 17 luglio al 2 agosto 1945. Due terzi dei protagonisti erano cambiati. Solo Stalin era presente, Clement Attlee aveva preso il posto di Churcill e Harry Truman quello di Roosevelt. Il tema principale è l’assetto della Germania e le riparazioni di guerra. Verrà divisa in due zone: quella dell’Est sarà di competenza sovietica, quella dell’Ovest dell’Occidente, dove ai vincitori, nel frattempo, si è aggiunta la Francia del generale De Gaulle. Nessuno di loro modificò di un millimetro il punto di vista precedente, ciascuno pensando di aver fregato l’altro, sia nel primo che nel secondo round ma a perdere fu la ragione e la pace. Per molto tempo l’opinione pubblica pensò (superficialmente) che le potenze vincitrici della seconda guerra mondiale fossero due: i democratici e i comunisti e che il mondo fosse stato diviso in due, ma gli accordi furono disattesi e il bellicismo continuò sotto traccia con mille pretesti. Infatti, iniziò la “Guerra Fredda”, che non terminò neppure dopo il crollo del “Muro di Berlino” (9 novembre 1989). La NATO, con la distrazione o la complicità dell’Occidente, è sopravvissuta, viva e vegeta, ma soprattutto asfissiante come le spire dei due serpenti del Laocoonte, fino ai nostri giorni, senza essere un gruppo marmoreo. Non è difficile pensare che qualcuno stia picchiando la nuora perché suocera/i intenda/no. Allora si trattò di dividere il mondo in due, sia pure come zone d’influenza. Ora a contenderselo, sono in cinque o sei, sebbene il pianeta terra sia malandato e sempre più rovente.
7. Quando si esporta la democrazia con le armi, poi vengono i Talebani!
All’inizio dei Cinquanta del secolo passato, Giovannino Guareschi, si divertì moltissimo a farci sorridere con Peppone – Gino Cervi, capo dei “trinariciuti” rossi e Don Camillo – Fernandel – Carletto Romano (in voce), capo dei bigotti bianchi e scudocrociati della "Diccì" che salvava i poveri e teneri bimbetti dalle fauci dei “comunisti” staliniani. Dall’alto, la voce dell’altissimo, che usciva da crocifisso coi toni immortali di Ruggero Ruggeri, metteva pace dava serenità ed era soprattutto credibile, autentica, la parola del Signore, appunto. Oggi purtroppo nulla è più credibile perché è tutta pubblicità e propaganda per vendere di tutto, specialmente armi esiziali che sembrano giocattoli, quelle che basta premere un tasto e parte la strage! Di autentico non si vede più nulla, tranne che i morti sparati, in tutto il mondo, e le case sventrate, solo in Ucraina, perchè son le immagini che passa la televisione nelle frequenti interruzioni pubblicitarie, per montascale, maniglie strategiche da afferrare per alzarsi, dentiere, paste adesive per cementarle da staccare a morsi le bucce rosse delle mele della Val di sopra, di sotto, vattelappesca … tutto (il commestibile e l’indigesto) rigorosamente “italiano”, anzi «made in Italy»
Se, come abbiamo ricordato, in un tempo lontano, Spagnoli e Portoghesi andarono a convertire i selvaggi coi gesuiti, e fini con un massacro, in un tempo recente gli statunitensi vollero convertire il paese più grande e più ricco del mondo alla religione della Coca Cola, del MacDonald, hamburger & patatine, del jeans strappato, roba genovese tra l’altro, entrando gradualmente dappertutto. Non è difficile che poi il Vladimir Putin, si stranisca di brutto e prenda a brutalizzare gli Ucraini perchè gli americani intendano. Era già successo durante la guerra fredda nella "DDR" e “Satelliti”, con le “calze di seta” e le “biro”. Ce lo racconta Carlo Verdone in “Un sacco bello” (1980) Italia 99 minuti. Enzo, ragazzo attempato, cerca un amico d’agosto per andare a Cracovia con l’auto sprint a sedurre ragazze oltrecortina. Guarda la sua agenda con solo due numeri “Stadio Olimpico” e “Olimpico Stadio”, trova Sergio, ricoverato, subito fuori Roma, per essere operato d’urgenza di calcoli alla colecisti. Le sfortune del bulletto “Enzo” furono lievi rispetto a quelle di tutto il mondo che assistette alla sostituzione della “guerra fredda” con guerre calde e feroci in ogni parte del mondo, tuttora presenti con minore o maggiore risalto. I contendenti sono sempre gli stessi di Yalta e Potsdam, ma molti sono quelli che stanno emettono borborigmi, per ridiscutere le vecchie zone d’influenza, con le buone o con le cattive, ciascuno secondo il proprio punto di vista!
8. Graziare pennuti da cortile.
In America ci sono due feste importanti e famose. Una dove si mangia, l’altra dove si fanno fuochi d’artificio e sfilate. In sintesi, si può dire che la prima – tecnicamente il “Ttanksgiving Day” – è festività precedente, cristiana protestante, di origine britannica, celebrata la prima volta sembra in occasione di un raccolto nel novembre 1623, da William Bradford, succeduto a Guglielmo Brewster come capo della setta puritana congregazionalista, governatore della colonia di Plymouth, dei “Padri Pellegrini” nel Massachusetts. I libri, non solo quelli religiosi, riportano un suo passo famoso «Tutti voi Pellegrini, con le vostre mogli e i vostri piccoli, radunatevi alla Casa delle Assemblee, sulla collina… per ascoltare lì il pastore e rendere Grazie a Dio Onnipotente per tutte le sue benedizioni». Bradford, più colto e sensibile di Brewster, era maturato compiutamente in Olanda -sfortunato rifugio anche di Ugonotti massacrati da Caterina de’ Medici (23 agosto 1572,) – dove al seguito del suo gruppo era emigrato fin da ragazzino.
Davvero curioso questo paese democratico, ma anche un po’ burlone, che si commuove per i grandi pennuti da cortile, dove fra le prerogative del presidente c’è quella di concedere la grazia al tacchino – una bestia selvatica malgrado tutto, conosciuta anche dai Romani antichi – che si mangia il 4 luglio, nel giorno del ringraziamento, come se si trattasse di salvare dalla sedia elettrica, un feroce assassino da un’altra “Corte di giustizia” … non Suprema! C’erano stati dei precedenti ma nessuno li aveva documentati. Il “coup de theatre” è stato proposto, abbastanza di recente (1963), per iniziativa pubblicitaria senza fine di lucro, dal presidente della “Federazione nazionale del tacchino selvaggio” (“National Wild Turkey Federation”), il quale propose ufficialmente al Presidente degli Stati Uniti d’America di allora di graziare il tacchino. Fu così che il presidente JFK lasciò libera una coppia di pennuti, che da quelle parti chiamano “Turchia”, nell’Impero Ottomano chiamano “hindio”, mentre dalle parti di mia madre, che era della Valsugana, lo sentivo chiamare “dindio” e, mia moglie Silvia “bibin”, dalla sua che era di Genova. Il “Thanksgiving day”, come abbiamo detto è una festa religiosa cristiana che, di solito, cade il 26 novembre di ogni anno. Fu scelto di mangiare “il tacchino ripieno” (non facile da cucinare secondo la tradizione) in segno di ringraziamento a Dio. Il grande pennuto (talvolta del peso di oltre 10 chili) era funzionale e bastevole a sfamare abbondantemente le grandi famiglie americane dell’epoca. Non solo i padroni coi familiari, schiavi e domestici ma anche tutti gli invitati banchettavano. E qui in radice, si può scorgere proprio nella differenza tra queste due feste USA così peculiari. Forse, il difetto di fabbrica della democrazia americana.
Purtroppo la grande nazione moderna che nasceva sotto moderni e solenni principi democratici non ebbe sempre la via spianata per poterli attuare o non volle percorrerla fino in fondo. Il tanto decantato “crogiolo” di gruppi, persone e confessioni, lontanissimi tra loro, per ceto, condizione, etnia, coabitanti nella medesima area geografica, territoriale e politica, il “melting pot”, fiore all’occhiello del popolo statunitense, è rimasto solo una grande utopia. Le differenze di censo e di colore della pelle sono rimaste e pesano tuttora. La sigla “WASP”, per esempio, (white anglo-saxon protestant), si riferisce a cittadini statunitensi di provenienza anglosassone, di cultura e religione protestante. C’è chi lo ritiene un privilegio risalente ai “Padri Pellegrini”, per distinguersi dai nativi e dagli altri gruppi di immigrati europei. Nella società americana gli si attribuirebbero e manterrebbero, a questa sigla, comportamenti tradizionalisti ed elitari. Ecco, il festeggiamento del tacchino ripieno, dell’abbondanza per eccellenza, della ricchezza per antonomasia, sarebbe proprio il simbolo degli WOP. Cesare Pavese ne parla in “La luna e i falò”. Il dialogo si svolge con Rosanne, la giovane donna bionda e slanciata che per qualche mese era stata la ragazza di Anguilla: «Mi chiese subito perché non mi facevo americano. Perché non lo sono, brontolai – ‘because I’m a wop – e lei rideva e mi disse ch’erano i dollari e il cervello che facevano l’americano. ‘Which of them do you lack?’ Qual è dei due che ti manca?» [10] «Sicuramente ad Anguilla mancava ben altro, e in ogni caso sarebbe rimasto “wop”». [11]. “Wop” era uno dei tanti neologismi della glottologia sommersa per indicare spregiativamente gli immigrati negli USA, specie di origine italiana.
9. Girano così tante armi che sparano anche sulla festa dell’Indipendenza.
Quando Thomas Jefferson, Benjamin Franklin, e tutti gli altri pensatori illuminati statunitensi, misero mano alla Dichiarazione d’Indipendenza delle 13 “Colonie Britanniche” dall’Inghilterra, mutuarono i principi fondamentali della “libertà” e dell’”uguaglianza fra tutti gli uomini”, dagli Illuministi del 17° secolo. La proclamazione ufficiale avvenne il 4 luglio 1776, ed è rimasta la festa dell’indipendenza che si festeggia con parate e fuochi artificiali. Sostanzialmente una festa politica anche questa, ma profondamente laica, dove gli affari del padreterno restano fuori.
Per una ragione o l’altra, che risiedono forse nel modo di stare insieme, in una conflittualità perenne degli statunitensi, quelli almeno, venuti da un’altra parte del mondo, ogni volta che si celebrano delle festività unitarie, accade sempre qualcosa. Come se “Indipendence Day” e “Thanksgiving” fossero le più pericolose dell’anno. Certo che con le “lobbie” delle armi non si può mai stare tranquilli, nè a scuola, nè al supermercato, per dire, ma sembra che ogni pretesto sia buono per sparare con fucili automatici, armi da guerra, per fare più vittime. Pare fosse un seguace di Trump, ma tutto il processo che riguarda l’ex presidente, relativamente all’assalto a Capitol Hill, al Congresso è in itinere.
I media USA del 4 luglio 2022 ci forniscono un esempio di scuola. 4 luglio 2022. La polizia dell’Illinois fa sapere che, la mattina della parata dell’anno corrente, un giovane bianco sui 18-20 anni di corporatura minuta, in un sobborgo di Chicago, Highland Park, è salito sul tetto di un palazzo, per la scala antincendio e, imbracciata un’arma ad alta capacità, ha cominciato a far fuoco con determinazione sulla sfilata per il Giorno dell’Indipendenza. Avrebbe esploso una trentina di colpi poi, abbandonata l’arma e si sarebbe confuso tra la folla, calzando una parrucca e forse indossando un vestito da donna probabilmente per occultare tatuaggi riconoscibili. Al suolo ha lasciato 6 morti (forse 7, stando all’Attorney) e 31 feriti. Una sequenza hanno aggiunto i poliziotti molto ben studiata, che fa pensare ad un assalto “premeditato da settimane”, ma, privo di obiettivo preciso Non ci hanno messo molto ad individuarlo, gli agenti, appena 8 ore dopo. In serata lo avevano arrestato. Il giovane era conosciuto alla polizia in quanto recidivo per tentato suicidio e la minaccia di “uccidere tutti”.
10. Ninotchka 83 anni fa.
A conclusione di queste riflessioni (e divagazioni) sulla “Corte Suprema” degli Americani che vuole tornare indietro nel tempo, non può sfuggire un cenno di confronto col loro più grande avversario, le autorità che governano i Russi. Da Yalta e Potsdam ci separano 77 anni, ma sembra che i due principali contendenti, non abbiano la minima intenzione di accordarsi, anzi, fanno tutto il possibile per avvicinarsi pericolosamente sulla linea del fuoco, e c’è chi tiene loro bordone! Da una parte e dall’altra – con mille artifizi si – propongono ambasciatori, intermediari, pacieri, sensali, prosseneti, ma li scopri dopo poco che parlano ed è chiaro qual è il loro interesse. Luca Ernesto, il maggiore dei miei figli, fa l’architetto, ma avrebbe dovuto fare lo storico, secondo Rocco Brienza il suo professore al “Tasso” di Roma. Ebbene Luca mi ha detto testualmente «Difficilmente una “grande” potenza, scende direttamente in guerra con l’avversario, altrimenti cessa di essere “grande”». Su questa traccia vien da pensare che il 20° secolo ha visto il sisma del crollo degli “Imperi Centrali” e il dominio dei tre “grandi”, ma ora siamo nel 21° e quelli con la pretesa di essere almeno alla pari di loro sono almeno 5-6, per cui bisogna prestare la massima attenzione, sennò il mondo, che peraltro già brucia, va tutto per aria. Insomma, dopo 77 anni, bisognerebbe sedersi intorno a un tavolo e riprendere la trattativa. Rinnovarla almeno, con gli emergenti, aggiungendo nell’agenda il Covid-19, appena dopo la tregua!
La settima arte ha sempre qualcosa da insegnare, con l’ironia, l’allusione, la facezia, specie se quello da mettere alla berlina è il potere. Lo stesso anno cupo in cui Hitler ruppe gl’indugi e invase la Polonia, uscì “Ninotchka”, il film romantico hollywoodiano. Era il 1939, appunto, e lo diresse Ernst Lubitsch, per la MGM, durata 110 m. In Italia uscirà nel 1948, ma è comprensibile, perché gli “Alleati” dovevano guardarsi negli occhi a Yalta e poi a Potsdam, per spartirsi le spoglie dell’Europa nazi-fascista distrutta. Tratto dall'omonimo dramma di Melchior Lengyel, “Ninotchka” venne sceneggiato da Charles Brackett, Billy Wilder, Walter Reisch, un terzetto straordinario per inventiva, glamour e umorismo intelligente, da far ridere la Garbo, nota mangiatrice di uomini molto “dark”, e sorridere perfino Stalin.
Tre commissari del governo sovietico, Iranoff, Buljanoff e Kopalski, sono inviati a Parigi per vendere i gioielli confiscati alla granduchessa Swana. Il popolo sovietico deve mangiare e bisogna monetizzare la ricchezza della nobiltà che non smette di tramare nell’ombra la sua “revanche”. Puntuale compare la nobildonna, naturalmente perfida e antipatica, che incarica il suo amante conte Léon di sventare i piani del Cremlino, un classico! I tre vengono distratti facilmente dai facili piaceri delle donnine parigine e dello champagne. Ed ecco che appare il tocco di Lubitsch: basta una inquadratura, una porta di cristalli socchiusa, tintinnio di bicchieri, risatine soffocate e via di scatto sull’attaccapanni dove prima c’erano 3 colbacchi e ora 3 cilindri. Insospettiti, i guardiani della rivoluzione del popolo, inviano da Mosca l'inflessibile ispettrice Nina Ivanova Yakushova. Anche qui c’è da osservare che Parigi si offre benissimo come ambientazione di commedie degli equivoci e brillanti perché riesce a mettere del pepe satirico in quella che è stata la tragedia familiare dei Romanov. La Ville lumière tra il 1919 e 1939 è un autentico “cinema-verité” dell’Europa che cambia radicalmente i propri assetti e scappa dalle rivoluzioni, per essere scagliata nel baratro.
La subdola Swana dirotta immediatamente il conte Léon sull’Ispettrice con l’ordine di sedurla. I due, guarda caso, si innamorano per davvero e mandano tutto all’aria. Niente è perduto! La granduchessa avida e per di più invidiosa fa rubare i suoi gioielli e ricatta l’ispettrice, facendole sapere che glie li consegnerà se la l’ispettrice tornerà immediatamente a Mosca. Ovviamente Ninotchka tornerà a Mosca per il bene del popolo, ancorché con la morte ne cuore. I buoni soffrono di nostalgia, i cattivi gongolano, gli imbecilli non capiscono! È ovvio che qualsiasi tentativo di ricongiungimento sarà vanificato da un ottuso funzionario dell’ufficio visti, anche questo un classico! La farsa viene reiterata allo spasimo. Anche questo fa parte delle dinamiche yddish del ridicolo e della presa in giro esasperata. I tre commissari cretini vengono inviati nuovamente in missione, ma questa volta a Costantinopoli, che poi è Bisanzio, cioè Istambul, il nome non è casuale. L’ordine ricevuto è quello di vendere tappeti preziosi perché il popolo sovietico ha fame. I nostri “magliari” sono famosi nel mondo. Ovviamente incontrano il conte Léon, che, innamorato perso, appronta subito uno specchietto per le allodole. Dice loro di lasciar perdere i tappeti, che sono polverosi, e aprire, invece un tipico ristorante russo, ma di lusso, con vodka e caviale. La voce giunge a Mosca di li a poco e il funzionario di turno convoca Ninotchka per accusarla delle colpe dei tre scemi, di cui aveva preso le parti nel pasticcio di Parigi, e la spedisce immediatamente in Turchia per controllare ghi ispettori Iranoff, Bulianoff e Kopalski, per conto del proletariato che soffre. Inutile aggiungere altro ma si suggerisce di guardare il film, anche qualche fotogramma …
Note.
01. “The Mission”, Regno Unito, 1986, durata 125 minuti, regia Roland Joffe, con Robert De Niro, Jeremy Irons, Liam Neeson, Ray McAnally. Palma d’oro a Cannes nel 1986 quale vincitore del 39º Festival cinematografico.
02. Cfr. Ernesto de Martino. «Nuovi Argomenti», n. 2 p. 47-79. "Sud e Magia"1959, “Il Mondo Magico” 1948, “Morte e pianto rituale” 1958, “La fine del mondo” 1977.
03. Si veda “Assalto al Campidoglio, un anno dopo: Nordisti e Sudisti. Mai cambiati” di Sergio Mellina. POL.IT Psychiatry on line Italia, 8 gennaio, 2022.
04. “Il Messaggero” quotidiano di Roma, giovedì 30 giugno 2022)
05. Si veda. “25 aprile 1945. La mia “Festa di Liberazione”. Sergio Mellina. POL.It Psychiatry on line ITALIA inviato il 24 agosto, 2021 – 09:43.
06. www.Italiaoggi.it NEWS 22/07/2022, 10:33.
07. www.ilmanifesto.it › Marina Catucci, il manifesto, New York Edizione del 22 luglio 2022 il manifesto/ Per Trump finale di stagione, non fece nulla per fermare l’assalto al Campidoglio …
08. www.grae.it › sezionenews › index.php › 2022/07/22 › commissione-6-gennaio-…
09. www.rainews.it › articoli › 2022/07 › …
10. Cesare Pavese. “La luna e i falò”. Mondadori, Milano, 1985, p. 116.
11. Sergio Mellina, Giuseppe Cardamone, Piero Coppo, Salvatore Inglese, Chiara Mellina, Enrico Pugliese, Pino Schirripa. “Medici e Sciamani fratelli separati” Arte del curare fra cielo e terra: etnomedicina, etnopsichiatria, Antropologia della salute. Lombardo Editore in Roma, 1997, p. 253.
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