Parthenope, seduzione e decadenza di una sirena e di una città
Cita da Redazione Psychiatry On Line Italia su 30 Dicembre 2024, 7:23È già stato scritto molto su Parthenope, il nuovo film di Paolo Sorrentino che racconta la storia di una donna iconica, ispirata alla sirena Parthenope, simbolo della città di Napoli. Come per altri film di Sorrentino, vi sono stati commenti entusiastici e critiche feroci, queste ultime soprattutto provenienti dai napoletani che si sono sentiti offesi per come la loro città è stata rappresentata. In effetti Sorrentino non è andato per il sottile, in particolare attraverso lo sprezzante monologo rivolto ai napoletani della diva decaduta Greta Cool, interpretata magistralmente da Luisa Ranieri. Si può certamente parlare di una grande ambivalenza del regista rispetto alla sua città, come si evince dal suo tornare ad esplorarla con affetto, dopo la regia di “È stata la mano di Dio” (2021), per poi accusarla senza pietà.
L’estetica felliniana del grottesco e del deforme di Sorrentino è ben nota. In film come La dolce vita e Amarcord, dove i volti deformi e i corpi esagerati diventano una celebrazione della varietà e complessità della vita, Fellini riusciva a trarre bellezza dalle imperfezioni, rendendo profondamente umani personaggi bizzarri e surreali. Questa tematica ha anche radici psicologiche e filosofiche: l’idea che siamo attratti non solo dal bello ma anche dal "mostruoso" è esplorata nel concetto di "perturbante" di Freud, dove l'inquietante ha un fascino misterioso e avvolgente, perché ci richiama a qualcosa di familiare ma anche di inconscio e represso. Anche Jean-Paul Sartre, in L’essere e il nulla, ha parlato del disgusto come di un’emozione ambigua, che è al tempo stesso respingente e attraente.
Allo stesso modo, Sorrentino accosta corpi e volti sgradevoli alla bellezza dei suoi scenari, sfidando lo spettatore a vedere l’attrazione nel disgusto e a riconoscere il sublime in ciò che sembra repellente. Per il regista l'inclusione di personaggi deformi o eccentrici non è solo una scelta estetica: rappresenta anche Napoli, una città che contiene bellezza e degrado, caos e armonia, e dove l'eccesso è una componente del fascino stesso. Credo che una volta che il regista abbia deciso per questo tipo di rappresentazione, non vi era altra scelta che riprodurla fino in fondo, anche a costo di farla apparire fine a se stessa.
Paradigmatico in questo senso è il personaggio del vescovo Tesorone interpretato da Peppe Lanzetta, dal fisico pesante e sgraziato ma noto nell’ambiente come figura seducente e “demoniaca”. L'incontro con Parthenope nel duomo di Napoli è emblematico: la giovane si trasforma in un'odalisca, simbolo di una seduzione che mescola sacro e profano. Sebbene il vescovo sembri incarnare il desiderio e l'attrazione, il vero demonio corruttore è in realtà proprio Parthenope, ovvero Napoli, che lusinga e attrae a sé il vescovo stesso.
Se questo incontro ha un senso, più inconsistente appare il significato del figlio deforme del professore di antropologia Marotta, mentore di Parthenope (interpretato da Silvio Orlando). Questo figlio è un personaggio di fattezze gigantesche accasciato su una poltrona, portatore di una deformità non associabile a una specifica patologia medica reale. Esso può rimandare a personaggi come quello di “Elephant man”, ma può essere visto come un espediente artistico che rafforza l’ambiente felliniano e decadente della storia, senza però un vero aggancio con Napoli. "È fatto di acqua e sale, come il mare", svela il professor Marotta mentre Parthenope replica: "Come me". Dopo averlo osservato, Parthenope commenta: "È bellissimo". E il professore annuisce. Il regista ha commentato: “Quell’essere umano mi sembra bellissimo e stupefacente, e può essere evocativo per lo spettatore. Nel momento in cui lo spiego, perde di senso”. Appunto!
Ambientato in un arco temporale che va dal dopoguerra ai giorni nostri, il film segue la protagonista Parthenope (bene interpretata da Celeste Dalla Porta), che incarna un’anima ribelle e seducente, la cui vita si intreccia con vari personaggi, rappresentativi delle molte sfaccettature della città: tra gli altri scrittori, boss della malavita e prelati. La narrazione riflette sull’identità e la resilienza di Napoli, evidenziando la bellezza, il degrado e la contraddittorietà di questa metropoli.
Il tema centrale del film, di grande rilevanza per la psicopatologia, è la Seduzione, presente sia nella figura della protagonista che come metafora della città di Napoli. Paolo Sorrentino usa il mito della sirena Parthenope come simbolo della forza magnetica e contraddittoria della città, che attira e affascina chiunque vi entri in contatto, così come la protagonista Parthenope, che nasce nel mare di Posillipo, seduce e sconvolge la vita dei personaggi che incontra. Lei è una figura archetipica di una seduzione fredda e affascinante, simile al richiamo delle sirene nel mito di Odisseo: attraggono i marinai verso di loro, ma non per offrire amore autentico, bensì per portarli alla rovina.
La seduzione è in effetti una rappresentazione complessa del desiderio. Vi è una seduzione che potremmo definire positiva, quando il desiderio di attrarre qualcuno nasce da un sentimento genuino di affetto o attrazione, ed è accompagnato da trasparenza e rispetto. In questo caso, la seduzione diventa una forma di gioco reciproco o di dichiarazione d’interesse che permette a entrambe le persone di avvicinarsi gradualmente, esplorando sentimenti e desideri.
Vi è d’altronde una seduzione negativa, che implica un uso manipolativo dei sentimenti e delle emozioni dell’altra persona, spesso con l’intento di esercitare un potere su di lei o raggiungere scopi egoistici. Essa consiste in un comportamento che simula l'amore ma non ne coglie l’essenza. Sedurre in questa accezione significa attirare l'altro senza voler costruire un legame profondo e duraturo, ed anzi potendo diventare un modo per controllare gli altri e averli in proprio potere. Per esempio, in Le relazioni pericolose di Choderlos de Laclos (e nel film di Stephen Frears), la Marchesa de Merteuil e il Visconte di Valmont usano la seduzione come strumento di potere, non certo come sentimento d’amore.
In Parthenope si percepisce il confine tra il desiderio e la distanza che la seduzione stabilisce, poiché chi seduce controlla e tiene a distanza, spesso per paura o per l’incapacità di connettersi davvero. La seduzione è in effetti un surrogato dell’amore: agisce come richiamo e promessa di qualcosa di più profondo, ma è spesso intrisa di paure e distacco. Questo è ciò che evidentemente Sorrentino percepisce della sua città.
Collegata alla seduzione, c’è poi l’altro tema fondamentale del film, quello della Caducità dell’esistenza. Essa si manifesta attraverso una duplice prospettiva. Da un lato, l’adolescenza è rappresentata come un periodo di emozioni effimere, dove i sentimenti, sebbene intensi, sono percepiti come momentanei e incapaci di costruire qualcosa di duraturo. I giovani personaggi di “Parthenope” sono affascinati dal mondo, ma al contempo disincantati, consapevoli della fugacità della vita e propensi a compiere atti estremi.
Dall'altro lato, il film affronta il tema della caducità della bellezza con il trascorrere del tempo. Questo senso della decadenza legata all’età è spesso presente nell'opera di Sorrentino, ad esempio in Youth - La giovinezza (2015), e rimanda a opere come Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust o La morte a Venezia di Thomas Mann, portato magistralmente sullo schermo da Luchino Visconti.
Sorrentino esplora questo tema mostrando come il passaggio degli anni trasformi i volti, i corpi e gli animi, rendendo i personaggi nostalgici del loro passato. La città di Napoli stessa diventa una metafora di questa bellezza destinata a sfiorire, una città antica e maestosa che porta i segni del tempo, ma la cui decadenza è anche una parte inestricabile del suo fascino. In Parthenope, dunque, la caducità non è solo un tema, ma un’atmosfera pervasiva che avvolge i personaggi, le loro emozioni e la città stessa. Sorrentino sembra suggerire che l’accettazione della bellezza effimera e del passaggio del tempo non rappresenti solo una perdita, ma anche una forma di poesia che ci permette di apprezzare la vita nella sua fragilità.
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È già stato scritto molto su Parthenope, il nuovo film di Paolo Sorrentino che racconta la storia di una donna iconica, ispirata alla sirena Parthenope, simbolo della città di Napoli. Come per altri film di Sorrentino, vi sono stati commenti entusiastici e critiche feroci, queste ultime soprattutto provenienti dai napoletani che si sono sentiti offesi per come la loro città è stata rappresentata. In effetti Sorrentino non è andato per il sottile, in particolare attraverso lo sprezzante monologo rivolto ai napoletani della diva decaduta Greta Cool, interpretata magistralmente da Luisa Ranieri. Si può certamente parlare di una grande ambivalenza del regista rispetto alla sua città, come si evince dal suo tornare ad esplorarla con affetto, dopo la regia di “È stata la mano di Dio” (2021), per poi accusarla senza pietà.
L’estetica felliniana del grottesco e del deforme di Sorrentino è ben nota. In film come La dolce vita e Amarcord, dove i volti deformi e i corpi esagerati diventano una celebrazione della varietà e complessità della vita, Fellini riusciva a trarre bellezza dalle imperfezioni, rendendo profondamente umani personaggi bizzarri e surreali. Questa tematica ha anche radici psicologiche e filosofiche: l’idea che siamo attratti non solo dal bello ma anche dal "mostruoso" è esplorata nel concetto di "perturbante" di Freud, dove l'inquietante ha un fascino misterioso e avvolgente, perché ci richiama a qualcosa di familiare ma anche di inconscio e represso. Anche Jean-Paul Sartre, in L’essere e il nulla, ha parlato del disgusto come di un’emozione ambigua, che è al tempo stesso respingente e attraente.
Allo stesso modo, Sorrentino accosta corpi e volti sgradevoli alla bellezza dei suoi scenari, sfidando lo spettatore a vedere l’attrazione nel disgusto e a riconoscere il sublime in ciò che sembra repellente. Per il regista l'inclusione di personaggi deformi o eccentrici non è solo una scelta estetica: rappresenta anche Napoli, una città che contiene bellezza e degrado, caos e armonia, e dove l'eccesso è una componente del fascino stesso. Credo che una volta che il regista abbia deciso per questo tipo di rappresentazione, non vi era altra scelta che riprodurla fino in fondo, anche a costo di farla apparire fine a se stessa.
Paradigmatico in questo senso è il personaggio del vescovo Tesorone interpretato da Peppe Lanzetta, dal fisico pesante e sgraziato ma noto nell’ambiente come figura seducente e “demoniaca”. L'incontro con Parthenope nel duomo di Napoli è emblematico: la giovane si trasforma in un'odalisca, simbolo di una seduzione che mescola sacro e profano. Sebbene il vescovo sembri incarnare il desiderio e l'attrazione, il vero demonio corruttore è in realtà proprio Parthenope, ovvero Napoli, che lusinga e attrae a sé il vescovo stesso.
Se questo incontro ha un senso, più inconsistente appare il significato del figlio deforme del professore di antropologia Marotta, mentore di Parthenope (interpretato da Silvio Orlando). Questo figlio è un personaggio di fattezze gigantesche accasciato su una poltrona, portatore di una deformità non associabile a una specifica patologia medica reale. Esso può rimandare a personaggi come quello di “Elephant man”, ma può essere visto come un espediente artistico che rafforza l’ambiente felliniano e decadente della storia, senza però un vero aggancio con Napoli. "È fatto di acqua e sale, come il mare", svela il professor Marotta mentre Parthenope replica: "Come me". Dopo averlo osservato, Parthenope commenta: "È bellissimo". E il professore annuisce. Il regista ha commentato: “Quell’essere umano mi sembra bellissimo e stupefacente, e può essere evocativo per lo spettatore. Nel momento in cui lo spiego, perde di senso”. Appunto!
Ambientato in un arco temporale che va dal dopoguerra ai giorni nostri, il film segue la protagonista Parthenope (bene interpretata da Celeste Dalla Porta), che incarna un’anima ribelle e seducente, la cui vita si intreccia con vari personaggi, rappresentativi delle molte sfaccettature della città: tra gli altri scrittori, boss della malavita e prelati. La narrazione riflette sull’identità e la resilienza di Napoli, evidenziando la bellezza, il degrado e la contraddittorietà di questa metropoli.
Il tema centrale del film, di grande rilevanza per la psicopatologia, è la Seduzione, presente sia nella figura della protagonista che come metafora della città di Napoli. Paolo Sorrentino usa il mito della sirena Parthenope come simbolo della forza magnetica e contraddittoria della città, che attira e affascina chiunque vi entri in contatto, così come la protagonista Parthenope, che nasce nel mare di Posillipo, seduce e sconvolge la vita dei personaggi che incontra. Lei è una figura archetipica di una seduzione fredda e affascinante, simile al richiamo delle sirene nel mito di Odisseo: attraggono i marinai verso di loro, ma non per offrire amore autentico, bensì per portarli alla rovina.
La seduzione è in effetti una rappresentazione complessa del desiderio. Vi è una seduzione che potremmo definire positiva, quando il desiderio di attrarre qualcuno nasce da un sentimento genuino di affetto o attrazione, ed è accompagnato da trasparenza e rispetto. In questo caso, la seduzione diventa una forma di gioco reciproco o di dichiarazione d’interesse che permette a entrambe le persone di avvicinarsi gradualmente, esplorando sentimenti e desideri.
Vi è d’altronde una seduzione negativa, che implica un uso manipolativo dei sentimenti e delle emozioni dell’altra persona, spesso con l’intento di esercitare un potere su di lei o raggiungere scopi egoistici. Essa consiste in un comportamento che simula l'amore ma non ne coglie l’essenza. Sedurre in questa accezione significa attirare l'altro senza voler costruire un legame profondo e duraturo, ed anzi potendo diventare un modo per controllare gli altri e averli in proprio potere. Per esempio, in Le relazioni pericolose di Choderlos de Laclos (e nel film di Stephen Frears), la Marchesa de Merteuil e il Visconte di Valmont usano la seduzione come strumento di potere, non certo come sentimento d’amore.
In Parthenope si percepisce il confine tra il desiderio e la distanza che la seduzione stabilisce, poiché chi seduce controlla e tiene a distanza, spesso per paura o per l’incapacità di connettersi davvero. La seduzione è in effetti un surrogato dell’amore: agisce come richiamo e promessa di qualcosa di più profondo, ma è spesso intrisa di paure e distacco. Questo è ciò che evidentemente Sorrentino percepisce della sua città.
Collegata alla seduzione, c’è poi l’altro tema fondamentale del film, quello della Caducità dell’esistenza. Essa si manifesta attraverso una duplice prospettiva. Da un lato, l’adolescenza è rappresentata come un periodo di emozioni effimere, dove i sentimenti, sebbene intensi, sono percepiti come momentanei e incapaci di costruire qualcosa di duraturo. I giovani personaggi di “Parthenope” sono affascinati dal mondo, ma al contempo disincantati, consapevoli della fugacità della vita e propensi a compiere atti estremi.
Dall'altro lato, il film affronta il tema della caducità della bellezza con il trascorrere del tempo. Questo senso della decadenza legata all’età è spesso presente nell'opera di Sorrentino, ad esempio in Youth - La giovinezza (2015), e rimanda a opere come Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust o La morte a Venezia di Thomas Mann, portato magistralmente sullo schermo da Luchino Visconti.
Sorrentino esplora questo tema mostrando come il passaggio degli anni trasformi i volti, i corpi e gli animi, rendendo i personaggi nostalgici del loro passato. La città di Napoli stessa diventa una metafora di questa bellezza destinata a sfiorire, una città antica e maestosa che porta i segni del tempo, ma la cui decadenza è anche una parte inestricabile del suo fascino. In Parthenope, dunque, la caducità non è solo un tema, ma un’atmosfera pervasiva che avvolge i personaggi, le loro emozioni e la città stessa. Sorrentino sembra suggerire che l’accettazione della bellezza effimera e del passaggio del tempo non rappresenti solo una perdita, ma anche una forma di poesia che ci permette di apprezzare la vita nella sua fragilità.
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