Roberto Speziale-Bagliacca psicoanalista, insegna psichiatria alla Facoltà di Medicina di Genova. Tra le sue opere più recenti: Colpa. Considerazioni su rimorso, vendetta e responsabilità (Astrolabio, 1997), "Esiste una logica della colpa?" pubblicato in Materiali per una storia della cultura giuridica, sul numero dedicato alla memoria di Giovanni Tarello (28,1,1998). Sono appena stati ripubblicati due suoi saggi, uno su Madame Bovary e l'altro sul Re Lear, sotto il titolo Adultera e re (Bollati Boringhieri, 2000).
In un periodo caratterizzato da giornali colmi di cronaca nera e mostri, dai serial killer ai pedofili, che solleticano morbose curiosità o, al contrario, reazioni di fuga e negazione, Lei ritiene abbia un sensola scelta di un Teatro Pubblico di portare sulle scene un clamoroso caso giudiziario, il caso di un mostro seriale? Può questo essere un contributo per un approccio più distaccato e consapevole ?
Me lo auguro: la cultura per non morire ha bisogno di operazioni coraggiose. Casi come quello di Haarmann, si pensi a Bilancia, sono però destinati a sollevare reazioni che hanno radici molto profonde, difficili da smuovere.
A questo riguardo Lei ritiene che lo strumento della drammatizzazione e della rappresentazione consenta di dare una prospettiva diversa e più profonda alla vicenda, consenta cioè l'analisi di aspetti che in sede giudiziaria volontariamente o involontariamente sfuggono?
Personalmente ritengo che nulla sia più drammaticamente "profondo" della realtà: è anche vero però che per saper "leggere" la realtà occorrono occhi addestrati. Molto addestrati. L'artista (regista, attore, nel nostro caso) che spesso intuisce d'"istinto", per usare un termine proustiano, può evidenziare taluni aspetti facilitando questa lettura difficile. Può catalizzare la concentrazione su momenti selezionati di vita in modo da accentuare la nostra attenzione e ridestare una sensibilità sopita. Ma può anche interpretare forzatamente i fatti secondo la sua ideologia.
Gli autori di Der Totmacher costruiscono l'azione attraverso il montaggio di brani tratti dai verbali della perizia psichiatrica condotta su Friedrich Haarmann. Quale è, da specialista, l'impressione che ne ha ricavato ?
La prima considerazione che mi viene è che abbiamo a che fare con un individuo scisso, Haarmann, del quale gli aspetti altamente patologici (proprio perché scissi, cioè separati) non sono in quel momento visibili. Insomma una variante del rapporto tra Dr Jekyll e Mr Hyde, dove to hide sappiamo che in inglese significa nascondere. In questo tipo di individuo, tanto per spiegarci meglio, coesistono due "personalità" diverse, una tiene conto della realtà, l'altra la nega e la sostituisce con il mondo dei suoi fantasmi inconsci. Questi concetti, derivati dalla filosofia del XVIII secolo, vennero usati da Bleuler (non proprio in questi termini) per descrivere e denominare la schizofrenia, nel 1911, diversi anni prima le vicende che stiamo commentando.
L'intervistatore Dr Schultze, direttore dell'ospedale psichiatrico di Göttingen, ha al contrario una personalità abbastanza evidente. Non sa di esserlo, ma è una persona morbosa, decisamente "perversa". L'uso di questo termine è stato criticato in psichiatria, ma in questo caso va inteso nel senso che gli da il linguaggio comune.
Schultze usa gli strumenti psichiatrici dell'epoca: Haarmann è orientato nello spazio e nel tempo? Schultze cerca di farsi un'idea della capacità di intendere e di volere dell'individuo che ha di fronte, cerca di capire se ha un suo senso morale. Ma a quale scopo? Schultze non sa porsi le giuste domande. Si ricorda quando chiede quanti comandamenti ci sono? Haarmann non può venire diagnosticato attraverso questi giochini. E l'altro Haarmann, il pluriomicida, Schultze non sa come raggiungerlo, probabilmente non sospetta neppure che la persona che sta esaminando abbia una parte scissa. Gli chiede "Viene prima il lampo o il tuono?" "Cosa sa del Signoriddio?"; a un certo punto gli domanderebbe le tabelline… domande inutili, elementari. Schultze avrebbe dovuto capire la complessità e l'intelligenza dell'individuo che ha di fronte. L'impressione è che invece non capisca assolutamente nulla, dal punto di vista della moderna psichiatria dinamica (disciplina che per altro frequenta poco le aule dei tribunali). "Io credo che lei abbia fatto finta di essere un idiota", gli dice a un certo punto. Può darsi che nelle cose piccole Haarmann abbia fatto il finto tonto (anche Lessing affermava che in Haarmann "l'insania vera si sovrapponeva a quella simulata"), ma per quel che ci è dato di leggere, per lo più non sa che la parte omicida che alberga in lui è inconscia. E siamo tornati alla scissione. L'impressione è che la parte di Haarmann che dialoga con Schultze se fa il furbo è perché è mossa da tratti esibizionistici, "isterici", non perché non vuole essere condannato a morte. Haarmann vuole essere giustiziato: "Tagliate corto! – lo ha sentito dire Lessing – A Natale voglio essere a casa, in cielo!". Questi tratti teatrali li coglie bene lo stesso Lessing che definisce Haarmann "un attore nato che è autentico!"
A parte questo, il Dr. Schultze mostra evidenti tratti sadici, voyeristici e morbosi (tutti elementi del moralismo deteriore). E – interessante – Haarmann alle incursioni malsane del medico cerca sempre di sottrarsi. Le trova penose? Non è possibile dirlo.
A Schultze che gli chiede Quanti ne ha indotti a fare quelle porcate? Haarmann risponde Ora però io me ne vado – domani.
In un altro punto a Schultze che dice: Non si vergogna di raccontarci queste cose in modo tanto esplicito? come risponde Haarmann? Non c'è mica niente di male. Lei continua a farmi domande e ora io dico tutto.
Schultze: E la vergogna che riversa sulla sua famiglia! Haarmann: Non sono mica sposato. E' una risposta che avrebbe potuto dire un personaggio di Shakespeare.
Ancora Schultze: Io non ho mai incontrato in vita mia un porco come lei.
Haarmann che ha una sua dignità (e una sua cultura) si arrabbia: Ma non si tratta di una porcata. Schultze: Non è un peccato enorme?
Haarmann mostra più volte di non sapere ciò che avveniva durante le esplosioni della sua parte omicida: – Ma io non volevo mica. Ed è vero: siamo autorizzati a pensare che la sua parte cosciente non voleva. Sinceramente. La parte che commetteva i delitti resta nell'inconscio. Schultze che non solo non è un grande psichiatra, ma che non è neppure molto intelligente, si sente preso in giro. Dico che non è intelligente perché non si chiede neppure: ma a che pro Haarmann mentirebbe, visto che vuol farsi condannare.
Haarmann ha slanci grandiosi (Ah, scrivete quello che volete – io sono una persona per bene), Schultze al suo confronto sembra invece una persona meschina e sicuramente, dicevo, rivela aspetti insani, come quando chiede ad Haarmann se da ragazzo si masturbava. E' vero, c'erano grossi pregiudizi sulla masturbazione a quei tempi, ma Schultze non è per nulla chiaro perché lo chieda. E perché gli chiede se "gli piaceva farlo con quella ragazza"? E ancora perché vuole sapere se il bacio omosessuale era con la lingua? Haarmann ha ammazzato una gran quantità di ragazzi in maniera atroce e quello gli chiede se baciava con la lingua! Suvvia! Ancora: Haarmann Noo, non sopporto quelli con i baffi. Schultze E con il membro grosso. Interventi a dir poco pesanti come questo, che non hanno a che fare con il compito di scrivere una perizia, sono fatti al puro fine di soddisfare la morbosità e il sadismo.
E quale giudizio dà del modo di ragionare del perito in relazione ai suoi studi sulla "Colpa" e su quella che lei chiama "logica della colpa"?
Schultze è interamente calato in quella che ho chiamato la logica della colpa. Il difficile confronto tra logica della colpa e logica che la colpa trascende non è facile da descrivere. Non è neppure di facile comprensione perché urta contro nostri radicati modi di vedere le cose. Ho speso centinaia di pagine per illustrarlo. Vediamo se è possibile riassumerlo: cosa dovremmo intendere per logica della colpa in senso generale? Per prima cosa occorre considerare che si tratta di una logica che tende a spiegare in maniera riduttiva fenomeni complessi. Il suo intento principale sembra essere quello di evitare l'irruzione della dimensione tragica della vita.
Là dove, non solo il senso di colpa, ma la colpa obbiettiva e la responsabilità per la colpa entrano in gioco, là dove si parla di condanna, di espiazione o di vendetta, la dove si giudica, magari senza gli accenti sarcastici del Dr. Schultze, abbiamo la presenza della logica della colpa. Tutti questi elementi sono legati, nel senso che ognuno di loro rimanda a una catena, a un "sistema", composto dagli altri. Vladimir Jankélévitch, autore di Le perdon, quando afferma che il perdono "in ultima istanza, è la sola e unica cosa che resta da fare" parla dall'interno di questa stessa logica. Molto semplicemente: per perdonarti devo prima averti giudicato e considerato colpevole. Così pure per nutrire sentimenti di vendetta.
Dalla prospettiva della logica che trascende la colpa (prospettiva che in Occidente risale quanto meno a Galeno di Pergamo) non si tratta più di perdonare o di condannare, in una parola non si tratta più di giudicare, quanto piuttosto di cercare di capire le molteplici cause, sociologiche, psicologiche, ereditarie, acquisite, che hanno determinato l'evento "colpevole". Lessing è questo che cerca di fare nel suo libro dedicato a Haarmann. Questo dovrebbe essere il compito dello psichiatra.
Questa logica, che deriva da una visione deterministica, non nega per nulla che la norma sia stata infranta e il delitto commesso. Però, pur riconoscendo questo (Haarmann è senza dubbio un pluriomicida) vede attraverso e intorno a questa colpevolezza e quindi non è interessata ad essa nei modi che sono invece peculiari della logica della colpa (giudizio, condanna, assoluzione o perdono, ripeto). Semplicemente accetta l'idea che gli individui subiscono condizionamenti che incidono sulla loro capacità di essere responsabili.
Si può parlare anche di instabilità di quest'ultima logica: se la vita ci fa imbattere in qualcuno che ci ferisce o ci colpisce tragicamente negli affetti, in noi può emergere (anche in chi normalmente guarda le cose della vita dal vertice che trascende la logica della colpa) il desiderio di vendetta, oppure il bisogno di ottenere giustizia. Ed è un'istanza irrinunciabile quest'ultima: se non viene rispettata, per usare l'espressione di Albert Camus, c'è il pericolo che "i delitti si equivalgono e l'innocenza finisca per perdere i propri diritti". Non mi dilungo sui rapporti tra questo punto di vista, che potremmo anche chiamare della responsabilità tragica, e le necessità della giustizia. L'ho fatto in altra sede dove avevo più spazio.
La logica giuridica moderna si basa sul presupposto che in genere l'individuo agisce liberamente e che, quindi, sia responsabile delle proprie azioni salvo casi estremi circoscritti dalla legge (i casi di incapacità di intendere e volere), nei quali casi, quindi, non è punibile. Per lei è una logica sufficiente, oppure eccessivamente dettata dall'esigenza, reale o indotta, di autodifesa sociale ?
Gli esseri umani, le società, non possono fare a meno di stabilire principi per la difesa dei cittadini dai delitti. Se la immagina una società attuale che lascia dilagare le lobbies dei pedofili, oppure che non ci difenda dai serial killers? Le società devono cercare la difesa sociale, pena l'anarchia o il ricorso alla vendetta (principio presente ancora nel diritto albanese, per esempio). Ma le società moderne, per potersi considerare "civili", devono ammantare questa esigenza di un aspetto ritenuto più nobile e operare in nome di una morale basata sulla colpa. Questa morale non si sente autorizzata a punire, a emarginare, se l'altro non è giudicato libero di intendere e di volere. Ha bisogno d'un alibi, in altre parole non osa prendersi le sue responsabilità e dire, li emarginiamo perchè li temiamo. E alcuni casi non ci pensiamo neppure a "guarirli", a "redimerli", perché non ne abbiamo le capacità. Punto e basta. Questo intendo per accettare la dimensione del tragico. Va da sé che qui si apre lo scontro tra deterministi e chi crede nel libero arbitrio.
Il determinismo psichico freudiano, a quanto Lei stesso ha scritto, avrebbe esteso questo concetto di solo parziale responsabilità alla generalità dei comportamenti umani, riguardo ai quali l'influenza dell'inconscio, quindi di ciò che non è razionalmente organizzabile, è preponderante. Secondo Lei questo concetto può essere sociologicamente utilizzabile, e come ?
In parte ho già risposto impostando il problema. Quanto a Freud è ambiguo in proposito, oscilla: affermava che l'individuo è determinato da conflitti inconsci, che hanno origine nell'infanzia, ma poi dava giudizi pesanti sui suoi allievi, sui suoi pazienti e dibatteva con Wagner-Jauregg sulle nevrosi di guerra (il soldato mente o fa sul serio quando non vuol tornare al fronte?). Le intuizioni coraggiose di Freud, per il quale gli individui non possono essere responsabili del proprio inconscio, erano superiori all'uomo-Freud pur sempre figlio del suo tempo? Credo proprio di sì. Poi riconosce una capacità di scegliere molto limitata, margini di libertà ridotti ai minimi. Considerare un serial killer capace di intendere e di volere è una assurdità, ma lo è anche parzialmente capace di intendere e di volere. E' un compromesso – dal punto di vista delle scoperte freudiane – che solo la superficialità di un atteggiamento difensivo o la malafede possono sottoscrivere. Ma, come dicevo prima, questa posizione urta contro l'interesse della società, della civiltà. Ancora oggi assistiamo a posizioni rigide di condanna morale (si pensi alla pena di morte voluta dalla maggior parte degli americani) da un lato e a posizioni assurdamente fiduciose nelle possibilità rieducative, dall'altro.
Storicamente, come ha riferito Theodor Lessing, il mostro di Hannover è servito per scaricare ed assolvere la coscienza di una intera Società. Secondo Lei come dovremmo invece rapportarci con casi simili ?
Lessing dice cose che possono essere condivise, ma mi pare che lo dica moralisticamente, dall'interno della logica della colpa. "Mostri" come Haarmann andrebbero compresi e aiutati, senza nessuna pretesa di riuscire veramente a cambiarli. A differenza di quanto pensava Freud, la psicoanalisi successiva arriva a considerare gli stati psicopatologici come quello di Haarmann dei tentativi spontanei di autoterapia contro l'esplosione della follia. Ma mi dice come è possibile far accettare nei tribunali e dalla opinione pubblica questo tipo di affermazione? Si troverebbero mille altre teorie disposte a contraddirla, perché – fuori della logica della colpa – si teme l'anarchia, la disgregazione morale. E anche questo è tragico. Oltre a ciò che lei ha appena ricordato con le parole di Lessing, Haarmann può servire a scaricare il morboso sadismo collettivo: tanto per esemplificare, Haarmann viene incatenato schiena contro schiena al suo amante Grans, pure lui in galera.
Vuole aggiungere ancora qualcosa sulla dimensione tragica?
Non è facile. Le citerò una frase di Miguel de Unamuno: "L'uomo, che a rigore non sa perché fa quello che fa e non un'altra cosa, sente la necessità di darsi una ragione per il suo modo di operare, così se la costruisce… L'incertezza, il dubbio, il perpetuo combattere col mistero del nostro destino finale, la disperazione mentale e la mancanza di un solido e stabile fondamento dogmatico, possono costituire una base morale. Colui che basa o crede di basare la propria condotta – interna o esterna, di sentimenti o d'azioni – su un dogma o su un principio teorico che considera incontrovertibile, corre il rischio di diventare un fanatico; per di più, il giorno che quel dogma gli va in pezzi o si sgonfia, la sua morale si rilassa."
Theodor Lessing, che era un famoso medico, psicologo e filosofo tedesco del primi anni del '900, cui dobbiamo, come lei ha accennato, una approfondita relazione sul caso Haarmann, conclude che il mostro era espressione del male di una intera Società in declino e quindi, se era, come era, colpevole lo era in quanto espressione di una colpa collettiva che collettivamente, come nei tempi antichi, avrebbe dovuto essere espiata. Ritiene dunque che non meritasse l'impiccagione ma avesse diritto alla cura. Lei condivide queste conclusioni ?
Lessing è una figura positiva, un progressista, si potrebbe dire, ma proprio con espressioni come questa dimostra di pensare all'interno della logica della colpa. E' un nobile moralista. Conosce l'opera di Freud e scrive a proposito di Haarmann che "forze demoniache irrefrenabili si agitano in ogni momento nel suo mondo interiore". Vuole trovare sempre cause ed effetti certi, però. A ben vedere, sentirci tutti colpevoli, o invitare tutto un popolo a sentirsi colpevole e responsabile è tipico di chi pensa all'interno della logica della colpa. Freud e la psicoanalisi successiva hanno scoperto cose assai inquietanti che inficiano la fede cieca in questa logica. Per esempio il senso di colpa persecutorio inconscio può precedere e persino essere la causa del delitto (sul caso Haarmann si potrebbe anche sostenere questa tesi, ci sono diversi indizi); ma soprattutto la psicoanalisi mostra che il senso di colpa è connesso al nostro bisogno di sentirci onnipotenti, che è poi un modo di negare il contrario: la nostra impotenza. Concludo con l'esempio che uso sempre in queste occasioni: pensiamo agli atteggiamenti propiziatori dei popoli. Cosa fa un individuo primitivo di fronte al vulcano che gli ha distrutto casa e raccolto, e magari ucciso qualche famigliare? Prende i quattro oggetti di valore, gli animali che gli sono rimasti e, non appena il magma glielo consente, li getta nel cratere per propiziarsi il nume che lo ha punito per le sue colpe. E' un comportamento paradigmatico che serve a non sentirsi impotenti di fronte a una natura matrigna.
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