Per chi non ha familiarità con la fotografia, basti dire che si tratta di uno dei più grandi reporter italiani. Anche se non lo ammetterebbe mai, Uliano Lucas fa parte della ristretta schiera dei fotografi che, con le loro immagini, hanno attraversato gli ultimi trent'anni, quasi quaranta, della nostra storia, raccogliendo testimonianze della vita e dei cambiamenti del paese. E non solo, perché Uliano – che ha lavorato e lavora per i principali quotidiani e settimanali italiani – ha seguito molti dei grandi eventi che hanno segnato Europa, Africa e Medio Oriente.
L'ho incontrato nel suo studio milanese; una stanza – con annessa camera oscura – tappezzata da un archivio «che devo mettere in ordine», come dicono tutti i fotografi. Ed è stata l'occasione per fare conoscenza con un uomo di straordinario spessore, di spontanea umanità, di eccezionale cultura.
Quanto al suo lavoro negli ospedali psichiatrici, Uliano non fa mistero della curiosità che lo ha spinto prima nei vecchi manicomi, a Modena, a Cernusco sul Naviglio e, poi, a prendere contatto con l'esperienza triestina, dove periodicamente ritorna, «perché è bello vedere gli stessi posti che cambiano, e come cambiano».
Quella degli ospedali psichiatrici è un'esperienza che si innesta su una vita da «fotografo militante, politico. Anche se poi, in realtà, militante non lo sono mai stato. È un modo di dire, per raccogliere in una sola parola tutto quel lavoro che, a cominciare dagli anni settanta, mi ha portato ad accostarmi alla diversità, all'emarginazione. E così, con gli internati dei reparti psichiatrici, ci sono stati gli anziani, l'inserimento dei portatori di handicap, il lavoro nero minorile. Insomma, è un modo per definire un'attenzione concentrata su quella parte di umanità che viene relegata ai margini della società, dimenticata in un'angolo.»
Cattaneo: In tutti questi anni, hai potuto osservare il lento passaggio dai manicomi ai centri di salute mentale da dietro l'obiettivo. Che esperienza ne hai tratto?
Lucas: Da quando ho cominciato a lavorare su questo argomento, ho visto cambiare molte cose. Certo, l'esperienza di Trieste, che è poi quella che ho seguito più da vicino, resta unica, nel senso che ormai l'integrazione della struttura triestina con la città è una realtà indiscutibile.
Però anche altrove sono sorti centri che hanno riportato i pazienti psichiatrici a fare parte della realtà che li circonda. Come in Puglia, per esempio, dove c'era il ricordo del manicomio di Bisceglie. Invece in alcuni comuni, per esempio a Cisternino, da ormai dieci anni c'è un centro orientato proprio all'apertura sociale. Dietro a quel centro c'è Rocco Canosa, che è uno psichiatra formatosi col gruppo di Trieste e oggi responsabile del servizio psichiatrico di Matera. A Lucera, in provincia di Foggia, chiuso il manicomio è arrivata la prima casa-alloggio.
Insomma, dove ci sono buoni psichiatri, con istituzioni che funzionano, le strutture si possono creare, e alla fine possono nascere rapporti sereni anche con una popolazione che magari aveva un'idea distorta della realtà psichiatrica.
Cattaneo: Ma come si fa a entrare in una realtà così delicata, segnata a volte da sofferenze di decenni, con in mano una macchina fotografica?
Lucas: Una volta, un ricoverato mi ha guardato fisso e mi ha detto: “Ma guarda un po' che maleducato” ricordandomi proprio che stavo violando in qualche misura la sua intimità, un'intimità che era già fin troppo violata per poter permettere di farlo un'altra volta, e per di più a un estraneo.
All'inizio, quando mi chiedevano perché fotografavo proprio loro e non altri, potevo parlare della necessità di documentare, dell'importanza di far conoscere ad altri l'esperienza triestina, dell'urgenza di ottenere finanziamenti.
Poi, in una occasione, mi sono fermato per due mesi, e allora le foto venivano dopo. Prima si cominciava chiacchierando e si finiva al bar. Partendo dalle banalità, riuscivo a entrare nelle loro storie, a creare quel rapporto di fiducia che poi mi avrebbe permesso anche di lavorare con la macchina fotografica.
Cattaneo: E che cosa ti ha dato questo rapporto?
Lucas: Moltissimo, ovviamente. Avevo sempre visto gli ospedali psichiatrici come luoghi di grande dolore. Entrare a Trieste nella stanza dove facevano il bagno, e dove per ottant'anni era successo di tutto, fu uno choc, in principio. Ovviamente dipende da come ci si pone ogni volta che si deve affrontare l'impegno di raccontare una storia per immagini.
A volte, a Trieste, seguivo i malati quando uscivano dal centro, e scoprivo i loro incontri, il loro ritornare nei luoghi che frequentavano prima di essere internati. E porto con me storie che non si potrebbero immaginare.
Poi, mi ha dato molto anche un breve corso di fotografia che provammo a fare sempre a Trieste. In capo a una settimana abbiamo dato una Polaroid a tutti quelli che avevano partecipato al corso. I risultati furono straordinari, perché il fotografo guarda la realtà cercando di cogliere l'insieme, mentre i malati cominciarono da subito a soffermarsi su particolari che avevano per loro un grande significato, su dettagli di cui altri non si sarebbero neanche accorti.
Cattaneo: Chissà quanti aneddoti, con tutti questi incontri…
Lucas: Un'infinità. Per esempio potrei raccontarti di quella volta che con Franco Rotelli partimmo da Trieste con un convoglio di aiuti per l'ospedale di Mostar durante la guerra in Bosnia. Con noi c'erano tre pazienti del centro, inizialmente eccitati per la guerra, affascinati dal conflitto. Quando si trovarono faccia a faccia con il dramma bosniaco, il fascino svanì, e loro cominciarono a prodigarsi in ogni modo per aiutare tutti, quasi senza dormire. Certe volte si dimenticavano persino di prendere i farmaci. Fu una vera sorpresa anche per i medici.
Oppure potrei raccontarti un'esperienza “basagliana” singolare. Non tanto perché sia diversa da altre, quanto perché l'ho scoperta a Bamako, in Mali. Lì c'è uno psichiatra, di formazione francese, che ha ricostruito un villaggio in quello che era un manicomio. Un villaggio con tanto di capanne, pozzo e tutto il resto. E sta ottenendo risultati eccezionali, soprattutto con quella piccola borghesia urbana che andava perdendo la sua identità africana e, in qualche caso, ne ricavava problemi davvero seri.
Ma, al di là degli aneddoti, i risultati sono lì a parlare, e il reinserimento dei malati psichiatrici nella società è una realtà che solo cinquant'anni fa nessuno si sarebbe nemmeno sognato.
Mentre esco, Uliano mi allunga un libro che ha pubblicato, con altri fotografi, sulla guerra in Bosnia. E mi allontano, convinto che questa chiacchierata è uno di quegli incontri che non si dimenticano.
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