D. Il suo nuovo film, "La balia", è – come tutti sanno – tratto da una novella di Pirandello. L'infedeltà al testo pirandelliano risulta evidente su più piani. Già nella sceneggiatura sono state introdotte alcune modifiche. Vuole dirci perché? In particolare, perché il protagonista della novella, avvocato con aspirazioni politiche, è stato sostituito con il prof. Mori, neuropsichiatra?
R. La risposta richiede riflessioni "a posteriori", ricostruzioni di percorsi del pensiero. Lì i livelli sono più d'uno. C'è stata la necessità di riportare il testo a immagini, a passioni che noi conosciamo – dico noi perché Daniela Ceselli è, con me, sceneggiatrice del film, della nostra esperienza, della nostra ricerca. Ovviamente, mi riferisco a tutta la mia storia, che parte – come conoscenza psichiatrica – dalla mia esperienza familiare e passa attraverso la conoscenza di Basaglia, per approdare alla ricerca di Fagioli e all'Analisi Collettiva.
Questo ci induceva a cambiare casacca a questo deputato socialista, che non ci corrispondeva, perché era un personaggio ridicolo, debole e ipocrita. Qui c'era invece il discorso di qualcuno che aveva un certo tipo d'impotenza a curare ed a guarire, che però sentiva fortemente questa sua incapacità e che veniva poi messo in scacco, insomma, veniva movimentato, agitato, scosso, dalla presenza della balia, e, prima ancora che da lei, dall'agitazione e dall'angoscia che gli procurava l'incomprensibile comportamento della moglie.
L'altro livello è quello di Pirandello stesso e del rapporto tra me – che conosco ed ho già lavorato su Pirandello – e la biografia di Pirandello, che sta sotto la vicenda de "La balia". Nella novella, è chiaro – per una specie di autolesionismo, per questo gusto di ridicolizzarsi che spesso è degli artisti, di deprezzarsi a livello della vita – che è lui il deputato socialista: qualcuno che non riesce a risolvere il suo dramma personale, che è appunto quello di vivere con una donna – con cui ha avuto figli etc – e al tempo stesso impedire che questa donna impazzisca, come poi e' avvenuto nella realtà. Quindi, evidentemente, una situazione separata, si potrebbe dire dissociata: tra l'essere artista da una parte e, dall'altra, trascurare una dimensione umana ricca, forte, che in qualche modo coinvolgesse anche la moglie impedendole di finire in un manicomio.
D. "La balia" si presenta con una struttura filmica e narrativa classica. Eppure, a vederlo – a mio parere, soprattutto nella prima parte – si coglie come un'altra storia, in grado di colpire la sensibilità di uno spettatore moderno. Vuole dirci qualcosa di più su questo racconto sotterraneo, che lei sembra proporre usando l'impianto realistico come una maschera?
R. L'operazione de "La balia", come prodotto, nasce da una commissione. Qualcuno mi ha detto: – vuoi fare un film tratto da un testo letterario italiano classico? – , è chiaro che chi fa questa proposta, implicitamente, chiede una specie di garanzia: il testo garantisce un risultato e limita, obbiettivamente, l'autore. Allora succede – e nel cinema succede molto spesso – che, nonostante i limiti di una struttura classica, si cerchi di andare più in profondita'. Come? Con lo stile, con quelli che sono i significati. Non e' che questi si producano ragionando, ma con tutta una serie di doppi fondi – che probabilmente una sensibilità più attenta può cogliere – che stanno nel montaggio, nella costruzione delle scene, più che nella sceneggiatura. Faccio un piccolo esempio: quando appare per la seconda volta il manicomio, ci sono le ricoverate che saltano dagli alberi. Ora, la costruzione della breve scena è nel senso di vedere questi due signori che discutono – anche di cose molto personali -, mentre è come se le rappresentanti di un disagio mentale fossero appollaiate sugli alberi e fossero fuori dall'inquadratura, distanti, escluse, ed improvvisamente, sia pure discretamente, apparissero e fossero anche per lo spettatore – attento a quello che dicono questi due medici – un elemento di sorpresa, e anche di non relazione tra gli uni e le altre. Questo è un esempio di come continuamente, per lo meno al livello delle intenzioni, si sia cercato di andare oltre, di sfondare il muro del racconto razionale. I risultati poi li giudica lo spettatore. Di esempi ce ne sono molti altri: l'arrivo della balia, la notte in cui la madre è incapace di rapportarsi con il bambino. Direi che, almeno a livello delle intenzioni, non c'è una sola inquadratura girata solo per spiegare qualcosa.
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