È necessario soffermarsi sull’applicazione del secondo comma dell’art. 40 c.p., considerando che da questa categoria può iniziare a delinearsi, anche se ancora flebilmente, la figura del protagonista della trattazione. La norma in questione equipara la causazione dell’evento al mancato impedimento dello stesso quando sul reo gravi un obbligo giuridico di impedirlo1. Pertanto, quando occorre procedere alla verifica della responsabilità penale per un reato omissivo improprio bisogna accertare, da un lato, che il reo fosse obbligato giuridicamente ad impedire l’evento, e dall’altro, che la sua condotta omissiva abbia effettivamente cagionato questo2. Per quanto riguarda le analogie e le differenze esistenti rispetto ai reati omissivi impropri, in entrambi i casi sussiste l’obbligo giuridico di agire: tuttavia, nel caso dei reati omissivi propri il legislatore individua espressamente, nella norma incriminatrice, i presupposti in presenza dei quali il reo è tenuto a porre in essere l’azione, in assenza dei quali il reato non si perfeziona. In siffatte ipotesi, dunque, occorre accertare che la situazione tipica da cui deriva l’obbligo di agire, penalmente sanzionato, sussista nella realtà materiale e che il reo ne abbia avuta effettiva e corretta percezione, determinandosi in maniera consapevole all’omissione3. Diversamente, nei reati omissivi impropri, il dovere giuridico non viene esplicitato dal legislatore, né la fattispecie penale è formulata in forma omissiva: l’interprete è chiamato ad operare un combinato disposto tra la norma incriminatrice che prevede un reato d’evento, in forma attiva, e la clausola di equivalenza menzionata, che consente di convertire il reato in forma attiva in un reato in forma omissiva4. Il ricorso all’art 40 c.p., inoltre, impone di accertare l’esistenza in capo al reo di un obbligo giuridico di impedire l’evento, attraverso il ricorso a norme ulteriori e distinte rispetto a quella incriminatrice e da ciò deriva una c.d. posizione di garanzia5, la quale presuppone che il reato d’evento in forma attiva possa essere “convertito” in un reato omissivo improprio. Quindi occorre verificare se l’art. 40, 2° comma, del c.p. possa operare con riferimento alla fattispecie criminosa prevista dal legislatore in forma attiva. Non è sempre possibile affermare una generale ed indiscriminata compatibilità di ogni fattispecie d’evento con il disposto dell’art. 40, comma secondo c.p.: perché possa trovare applicazione la norma richiede infatti che la condotta descritta dal legislatore nella fattispecie penale in forma attiva possa essere indistintamente realizzata dal reo mediante azione od omissione6. La non rilevanza sul piano della responsabilità penale consente dunque di affermare la compatibilità dei reati causali puri con la clausola dell’equivalenza di cui all’art. 40. Quando invece il legislatore non sanziona la semplice causazione di un evento ma richieda determinate modalità di commissione del reato in forma attiva perché si possa muovere un rimprovero al reo7 e si fa ricorso a diverse rispetto a quelle tipizzate allora il soggetto non potrà essere punito, con conseguente impossibilità di convertire il reato in questione in una fattispecie d’evento in forma omissiva8. Non deve, però, ritenersi che l’espressa descrizione delle modalità di causazione dell’evento rappresenti un elemento di per sé ostativo all’applicazione della clausola dell’equivalenza9. Questo è infatti avvenuto per le due fattispecie del favoreggiamento e della truffa 10. La dettagliata formulazione della condotta criminosa ha indotto dottrina e giurisprudenza a qualificare il delitto come reato di mera condotta, consistente negli artifizi e raggiri posti in essere a vantaggio del reo e con danno alla persona offesa; la giurisprudenza ha tuttavia reinterpretato la disposizione incriminatrice, ponendo la propria attenzione sull’induzione in errore della persona offesa ed affermando che alla condotta truffaldina, realizzata mediante artifizi o raggiri11, debba seguire un triplice ordine di eventi, consistenti innanzitutto nell’errore della persona offesa, nonché nel profitto ingiusto e nell’altrui danno12. Chiarita la natura del reato d’evento in relazione al delitto di truffa si è posto il problema della rilevanza penale dell’errore altrui, insieme all’ingiusto profitto e danno alla persona offesa, cagionato mediante silenzio; parte della dottrina e della giurisprudenza hanno infatti ritenuto che la formulazione della norma incriminatrice, richiedendo la realizzazione di artifizi o raggiri, imponesse una condotta attiva del reo, impedendo quindi di sanzionare il mero silenzio; si discuteva inoltre dell’esistenza di un obbligo giuridico di impedire l’altrui errore, necessario ai fini dell’art. 40, 2° comma, c.p. L’opposto orientamento della giurisprudenza di legittimità13 ha tuttavia evidenziato che “anche il silenzio maliziosamente serbato su alcune circostanze da parte di chi abbia il dovere di farle conoscere” possa integrare gli estremi del reato di truffa, sub specie raggiri. Questa soluzione è stata confermata nel 2013 con sentenza n. 51136 e si fonda sulla riconosciuta compatibilità tra le modalità della condotta tipizzate dal legislatore e la causazione in forma omissiva dell’evento, individuando, nel caso di specie, l’obbligo giuridico di impedirlo nel generale dovere di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375, i quali richiedono l’adempimento di doveri informativi da parte del contraente14. La giurisprudenza di legittimità è pervenuta alle medesime conclusioni ed attraverso un percorso argomentativo analogo in relazione al delitto di favoreggiamento personale15. Anche in questo caso, a fronte di un consolidato orientamento che qualificava il delitto come reato di mera condotta, il quale punisce l’aiuto offerto al terzo indagato, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 21832 del 2007, ha qualificato la fattispecie penale come reato d’evento e si è quindi pronunciata in merito alla possibilità di integrare il delitto in forma omissiva16. Sulla base di questi presupposti è stata pertanto ritenuta punibile la condotta dell’acquirente di sostanza stupefacente che, sentito come persona informata sui fatti dalla polizia giudiziaria, abbia omesso di rilevare l’identità di chi abbia già ceduto la sostanza rinvenuta nella sua disponibilità. Una soluzione criticata da parte della dottrina che ha negato autonomia al preteso evento d’ostacolo all’attività giudiziaria, evidenziando che si tratterebbe invece dell’effetto immediato e connaturato all’azione di aiuto del reo e che rappresenta l’offesa insita nella condotta di aiuto consente di punire la condotta omissiva del reo senza tuttavia qualificare il reato come d’evento: si tratterebbe quindi di una fattispecie di mera condotta, integrabile indifferentemente in forma omissiva o attiva, rispetto alla quale, dunque non occorrerebbe neanche verificare la sussistenza di un obbligo di impedire l’evento17. Necessariamente, proseguendo sul tracciato dell’art. 40, secondo comma, c.p., perché possa muoversi all’imputato un rimprovero per non aver impedito l’evento, il soggetto deve occupare una “posizione di garanzia”18. Come si è avuto modo di evidenziare, infatti, nei reati omissivi propri il legislatore individua espressamente l’obbligo di attivarsi penalmente sanzionato, precisandone i presupposti ed il contenuto, mentre nei reati omissivi impropri affida all’interprete il compito di individuare l’esistenza di un “obbligo giuridico di impedire” l’evento: l’equivalenza tra il cagionare ed il non impedire l’evento del reato opera solo in presenza di un obbligo di carattere giuridico19. Per quanto riguarda la fonte dell’obbligo giuridico di impedire l’evento, occorre prendere in considerazione le diverse posizioni assunte dalla dottrina sul punto, che oscillano tra un’impostazione restrittiva, fondata sul principio di riserva di legge in materia penale, ed un orientamento che, al contrario, estende le possibili fonti della posizione di garanzia ad atti normativi secondari e finanche ad atti di autonomia privata20. Secondo la prima impostazione, infatti, il principio di legalità e il suo corollario della riserva assoluta di legge in materia penale imporrebbero di individuare in via esclusiva le fonti di posizioni di garanzia attraverso un atto normativo di rango primario: solo in questo modo risulterebbe soddisfatta la riserva assoluta di legge di cui all’art. 25, 2° comma, Cost.21 L’opposto orientamento ritiene invece il legislatore, attraverso il generico richiamo alla giuridicità dell’obbligo di impedire l’evento, abbia ammesso il ricorso a qualsiasi fonte di obblighi giuridici, anche di rango non legislativo. Secondo i sostenitori di tale soluzione la posizione di garanzia che impone al reo di impedire l’evento potrebbe dunque trovare la propria fonte non solo nella legge e negli atti aventi forza di legge, bensì anche in un atto regolamentare e finanche in un contratto22; Una parte della dottrina che aderisce a tale seconda impostazione ha inoltre sostenuto che le consuetudini o la gestione di affare altrui (ai sensi degli artt. 2028 ss. c.c.) potrebbero soddisfare il requisito dell’obbligo giuridico di impedire l’evento ai sensi dell’art. 40, 2° comma23. A tale seconda impostazione si è opposto che assegnando piena ed indiscriminata rilevanza agli atti di autonomia privata, nonché alle fonti di secondo grado si finirebbe per tradire la ratio della riserva di legge sancita all’art. 25, secondo comma, Cost., nonché dello stesso principio di legalità, poiché si consentirebbe al potere esecutivo, da un lato, e all’autonomia privata, dall’altro, di incidere sulla libertà personale del reo, attraverso l’introduzione di un obbligo di agire penalmente sanzionato24. Si è osservato che, specie con riferimento all’autonomia negoziale, non è del pari corretto negare qualsiasi forma di rilevanza ai fini dell’accertamento della posizione di garanzia, essendo molteplici i casi in cui l’obbligo di impedire l’evento possa essere trasferito in capo ad un soggetto diverso dal garante originario25. In tali ipotesi, non deve ritenersi che la posizione di garanzia che viene a gravare sul nuovo responsabile trovi origine in un atto di autonomia privata e quindi nel contratto, occorrendo invece ulteriori e specifici presupposti perché la posizione di garante possa ritenersi effettivamente trasferita26. La ragione della differenza illustrata in nota attraverso l’esempio del bagnante e del volontario è insita nella riserva di legge e nella conseguente necessità che ogni elemento costitutivo della fattispecie penale trovi il fondamento in un atto normativo di rango primario: nell’ipotesi esemplificativa adotta la legge pone, ai sensi della disciplina civilistica di cui agli artt. 315 bis, 147 e 316 c.c.. in capo al genitore il dovere di proteggere il figlio minore, assegnando pertanto allo stesso il ruolo di garante ex lege; solo in questo caso, quando cioè la posizione di garanzia è “originaria” e trova fonte direttamente nella legge, sarà possibile trasferirla in forma derivata ad un soggetto diverso, poiché il trasferimento avviene da parte del garante originario27. Dunque un primo e necessario requisito della posizione di garanzia perché acquisti rilevanza ai fini della responsabilità penale è da ravvisarsi nella sua fonte legislativa, diretta, nel caso del garante originario, o indiretta, con riferimento al garante derivato28. Rispetto alla necessità di una fonte legislativa dell’obbligo di impedire l’evento di diverso avviso sono i sostenitori della c.d. teoria funzionale della posizione di garanzia, i quali non ritengono invece necessaria una base legislativa dell’obbligo di impedire l’evento, assegnando rilevanza penale ad ogni situazione in cui un soggetto sia in condizione di intervenire per impedirlo, anche in assenza di un obbligo giuridico formale in tal senso29. Secondo questa concezione, in altre parole, non occorre accertare sul piano formale l’esistenza di un obbligo di agire per evitare l’evento, purché il reo sia in condizione, sul piano meramente fattuale, di intervenire per impedirlo30. Tuttavia questa teoria si scontra con il principio di riserva di legge, vigente nel nostro ordinamento penale, nonché con la lettera dell’art. 40, 2° comma c.p., che richiede espressamente la sussistenza di un “un obbligo giuridico” in capo al reo31. Ciò nonostante, la suddetta teoria ha avuto il merito di prendere in esame l’obbligo di impedimento dell’evento non solo sotto il profilo giuridico-formale ma anche in relazione ai suoi aspetti dinamici e funzionali, richiedendo di verificare se il reo fosse in condizione di intervenire per impedire l’evento: se fosse cioè titolare di poteri impeditivi – problematici e, per certi aspetti, “scomodi”, come si vedrà, per lo psichiatra. Traendo spunto da questa e considerando le critiche dei sostenitore della teoria formale, la giurisprudenza e la dottrina maggioritarie hanno aderito alla c.d. teoria mista o eclettica che richiede cumulativamente i presupposti dei due approcci, formale e sostanziale32. Secondo questa, una posizione di garanzia penalmente rilevante potrà configurarsi solo in presenza di un obbligo giuridico con base legale, diretta o indiretta, purché alla titolarità formale dell’obbligo di impedire l’evento corrisponda la materiale disponibilità di idonei poteri di intervento. Ne consegue che, ove l’impedimento di un evento sia affidato ad un soggetto, che non per sua colpa, risulti sprovvisto dei necessari poteri impeditivi, la responsabilità penale continuerà a gravare sul garante originario e non potrà comunque essere ravvisata in capo al titolare formale della posizione di garanzia, che non sia tuttavia provvisto dei necessari poteri impeditivi, secondo il principio “ad impossibilia nemo tenetur”33. La soluzione accolta dalla dottrina e giurisprudenza maggioritarie consente, allora, il rispetto del principio di legalità e di scongiurare forme di responsabilità da posizione che violerebbero il principio della personalità della responsabilità penale. Alla luce di tale impostazione e proprio in forza del principio di cui all’art. 27, primo comma, Cost., perché possa ritenersi sussistente la responsabilità penale del reo ai sensi dell’art. 40, 2° comma, c.p., occorrerà che l’obbligo di impedire l’evento presenti base legale, diretta o indiretta, e che il reo risulti provvisto dei necessari poteri impeditivi sul piano materiale e funzionale34; in ossequio al principio di tassatività e di colpevolezza, inoltre, l’obbligo di impedire l’evento dovrà risultare specifico e non vago o generico, al pari dei suoi destinatari, titolari della posizione di garanzia, e dei suoi beneficiari35. Riservando ad una sezione successiva della trattazione quanto mi limito ad accennare, occorre precisare che l’omissione, stante la sua natura normativa, cioè di azione dovuta e non tenuta dal reo, è priva di sostrato materiale, consistendo in un comportamento che doveva essere tenuto ma che non lo è stato e quindi non realizzato. La natura virtuale della condotta omessa, dunque, non può che ripercuotersi sull’accertamento del nesso causale che deve sussistere tra condotta ed evento perché quest’ultimo possa addebitarsi al reo36.
1 F. Mantovani, op. cit., pag. 120; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag. 196. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.
2 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.
3 Basta pensare all’omissione di soccorso in cui il reo deve avere percezione della situazione di pericolo e difficoltà in cui il terzo versa. Sull’essenza dell’omissione sono sorte difficoltà nella dottrina: V. Bonucci, L’omissione nel sistema giuridico, Perugia, 1911; O. Vannini, “I reati commissivi mediante omissione”, Roma, 1916; F. Carnelutti, “Illiceità penale dell’omissione”, in Annali, 1993; F. Grispigni, “L’omissione nel dir. pen”, in Riv. it., 1934; T. Padovani, “La condotta omissiva nel quadro della legittima difesa”, in Riv. it., 1970; A. Cadoppi, “La distinzione fra reato omissivo proprio ed un improprio”, Rilievi critici, in Studi parmensi. Si veda F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.
4 F. Mantovani, op. cit., pag 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.
5 Tale per cui è tenuto ad impedire il verificarsi del’evento. Si veda F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.
6 Il problema non si pone, dunque, in riferimento ai “reati causali puri”, in cui il legislatore sanziona la causazione dell’evento, a prescindere dalle concrete modalità di condotta: sono questi i reati in cui il disvalore penale è incentrato esclusivamente sulla causazione dell’evento, che consentono di punire qualsiasi condotta ne abbia determinato il verificarsi; si tratta di una tecnica descrittiva volta ad espandere il più possibile la tutela del bene giuridico protetto (come nel tipico caso dell’omicidio, in cui la condotta si sostanzia nella causazione della morte di un uomo, in modo tale da garantire la più ampia tutela penale al bene vita). Si veda F. Mantovani, op. cit., pag 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.
7 Si pensi al delitto di epidemia, di cui all’art 438 c.p., in cui il legislatore punisce “chiunque cagiona un’epidemia”, ma richiede al contempo che la causazione dell’epidemia avvenga “mediante la diffusione di agenti patogeni”. G. Fiandaca- E. Musco, op. cit., 267. Si veda di F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.
8 Ne deriva che la causazione dell’epidemia attraverso modalità diverse rispetto a quelle legislativamente previste non consentirà di punire ex art. 438 c.p. Si veda F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.
9 La giurisprudenza ha infatti evidenziato che, in presenza di una condotta puntualmente descritta dal legislatore, è ravvisabile la responsabilità del reo in forma omissiva, ai sensi dell’art. 40, secondo comma, c.p., quando tali modalità risultino comunque compatibili con la realizzazione del reato mediante omissione. Si veda F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
10 Il primo delitto, disciplinato ex art. 640 c.p., punisce “Chiunque, con artifici e raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno”. Si veda F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
11 I primi consistenti nell’alterazione materiale della realtà ed i secondi in una condotta di carattere psicologico-comunicativa; G. Fiandaca- E. Musco, “Diritto penale. Parte speciale. I delitti contro la persona”, Bologna, 2018, 174 ss. Si veda F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
12 A differenza delle altre fattispecie penali contro il patrimonio, caratterizzate dal c.d. dolo specifico, in caso di truffa questi devono essere in concreto accertati. Si veda F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
13 Tra le prime, la Seconda Sezione della Corte di Cassazione nella sentenza n. 41717 del 2009.
14 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
15 Ai sensi dell’art. 378 c.p. è punito “chiunque aiuta taluno ad eludere le investigazioni dell’Autorità o a sottrarsi alle ricerche di questa”. Si veda F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
16 Nella specie, la Corte ha affermato che la condotta di aiuto deve essere qualificata come condotta libera, non caratterizzata dunque da particolari modalità esecutive, precisando inoltre che la fattispecie criminosa di favoreggiamento richiede il verificarsi di un evento a seguito della condotta del reo, consistente nell’ostacolo all’attività giudiziaria; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 513 ss.
17 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
18 F. Mantovani, “Diritto penale”, Milano, 2019, 233; G. Fiandaca- E. Musco, “Diritto penale. Parte generale”, Bologna, 2018, 267; F. Antolisei, “Manuale di diritto penale. Parte generale”, Milano, 2018, 196 ss.; Antolisei, “L’obbligo di impedire l’evento”, in Riv. it., 1936; G. Fiandaca, “Il reato”; F. Mantovani, “L’obbligo di garanzia ricostruito alla luce dei principi di legalità, solidarietà, di libertà e di resp.personale”, in Riv. it., 2001; G. Grasso, “Orientamenti legislativi in tema di omesso impedimento dell’evento: il nuovo parag. 13 del cod. pen. Della Repubblica federale tedesca”, in Riv. it., 1978. Si veda F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 513 ss.
19 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Findaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.
20 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
21 F. Mantovani, “Diritto penale”, Milano, 2019, op. cit.; G. Fiandaca- E. Musco, “Diritto penale. Parte generale”, Bologna, 2018, op. cit.; F. Antolisei, “Manuale di diritto penale. Parte generale”, Milano, 2018., op. cit.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450
22 Si osserva infatti che l’art. 1372 c.c. nella parte in cui afferma che il contratto “ha forza di legge tra parti”, consentirebbe di qualificare penalmente rilevanti obblighi giuridici che ne derivano. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450; F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Findaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
23 Si vedano F. Grispigni, “Diritto penale”; I. Caraccioli, “Omissione (dir. pen.)” in Noviss.dig.it.; F. Antolisei, “L’obbligo di impedire l’evento”, in Scritti. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450; F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196.
24 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450; F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Findaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
25 Si pensi ai genitori che iscrivano il proprio figlio ad una scuola materna o lo affidino ad una bambinaia; G. Fiandaca-E. Musco, “Diritto penale. Parte generale”, Milano, 2018, 267 ss. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450; F. Mantovani, op. cit., pag 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
26 Si pensi ad uno stabilimento balneare ove un genitore affidi il proprio figlio minore ad un istruttore di nuoto perché gli impartisca delle lezioni in sua assenza; nel contempo si confronti tale situazione con quella in cui viene a trovarsi un volontario di un’associazione che persegue lo scopo di monitorare i bagnanti sulle spiagge per prevenire gli affogamenti. Qualora il minore dovesse affogare durante le lezioni di nuoto, in capo all’istruttore sarebbe ravvisabile una posizione di garanzia, cioè l’obbligo di impedire l’evento, in virtù del contratto intervenuto con il padre del minore; dall’altra parte, non potrebbe muoversi alcun rimprovero sul piano penale al volontario che, nonostante il suo impegno contrattuale con l’associazione di volontariato, abbia omesso di intervenire per salvare il minore durante il suo turno.In entrambi i casi si è di fronte ad un atto di autonomia privata, da cui deriva l’obbligo di impedire il medesimo evento; solo nel primo caso sarà tuttavia ravvisabile la responsabilità penale del soggetto inadempiente. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.; F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
27 Pertanto, il volontario, che si sia obbligato nei confronti della propria associazione a monitorare i bagnanti, pur essendo gravato da un obbligo giuridico di impedire l’annegamento del minore, non potrà essere ritenuto penalmente responsabile poiché tale obbligo non è assunto nei confronti del garante originario e non trova quindi fonte, neanche indirettamente, in una norma primaria; al contrario, l’istruttore di nuoto che riceva incarico direttamente dal genitore, garante originario ex lege, sarà tenuto ad impedire l’evento-morte e ne risponderà penalmente in quanto titolare di una posizione di garanzia derivata direttamente dal garante ex lege. G. Fiandaca, “Il reato commissivo”, Milano, 1979; G. Grasso, “Il reato omissivo”, Milano, 1983; F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
28 Si dibatte se tuttavia il garante derivato possa trasferire a propria volta ad un terzo la posizione di garanzia, con effetti sulla responsabilità penale di quest’ultimo; secondo un primo orientamento, quando la posizione di garanzia trasferita derivi comunque dal garante originario, chi la assume dal garante derivato risponderà, al pari di quest’ultimo, dell’evento che è tenuto ad impedire purchè sia consapevole dell’origine legislativa dell’obbligo di impedirlo. Secondo un diverso orientamento dottrinale, invece, non sarebbe ammissibile un ulteriore traferimento della posizione di garanzia, con effetti sulla responsabilità penale, poiché altrimenti si rischierebbe di rendere eccessivamente difficile l’accertamento della fonte dell’obbligo di impedire l’evento, con conseguente incertezza da parte degli operatori giuridici in merito alle conseguenze, penali anche, dell’inadempimento. F. Mantovani, op. cit., pag 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
29 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450; F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Findaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
30 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
31 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
32 G. Grasso, “Il reato omissivo”, op. cit.; I. Leoncini, “Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza”, Torino, 1999; L. Bisori, “L’omesso impedimento del reato”, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997; F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; Si veda F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
33 Basta pensare al caso dell’amministratore di una società che, appena subentrato nella carica sociale, sia rinviato a giudizio per la morte di un dipendente sul posto di lavoro, avvenuta poche ore dall’assunzione della qualità di amministratore (e quindi di datore di lavoro): in questo caso è innegabile la sussistenza di un obbligo formale di impedire l’evento e della posizione di garanzia propria del datore di lavoro in capo al neo-amministratore; è tuttavia del pari innegabile che questi non potrà essere condannato per aver cagionato, in forma omissiva, la morte del lavoratore poiché, pur essendo obbligato ad impedire l’evento non ne ha avuto la materiale disponibilità. Si veda F. Mantovani, op. cit., pag 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
34 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
35 Tornando all’esempio in riferimento alla fonte legale della posizione di garanzia, se il padre del minore, che abbia stipulato un contratto con l’insegnante di nuoto, non attende che quest’ultimo prenda in carico il minore per le lezioni e, senza attendere l’arrivo dell’insegnante lasci il minore incustodito, non potrà ritenersi che la mera stipula del contratto abbia fatto sorgere in capo all’insegnante, garante derivato, una posizione di garanzia, poiché manca l’effettiva presa in carico del minore, beneficiario, e non sono quindi ravvisabili in capo all’insegnante i necessari poteri impeditivi, sul piano materiale, durante il tempo in cui il genitore si sia allontanato e la lezione non sia iniziata. In caso di annegamento del minore in tale frangente, pertanto, solo il genitore dovrà rispondere penalmente. Si veda F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
36 Se infatti nei reati in forma attiva l’evento deriva da una condotta materiale effettivamente tenuta dal reo, sicché il giudice è chiamato ad accertare se questa costituisca o meno un antecendente causale del primo, nei reati omissivi l’accertamento richiede un passaggio ulteriore: bisognerà ipotizzare che la condotta dovuta sia stata effettivamente tenuta e, in via ulteriormente ipotetica, accertare se l’eventuale adempimento dell’obbligo sarebbe valso ad impedire l’evento. Si veda F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
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