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Le linee generali della responsabilità medica

21 Giu 23

Di FRANCESCO BOLLORINO

    1. Le linee generali della responsabilità medica

Il rapporto fra medico e paziente, come ricordato già nei precedenti paragrafi, deve essere letto alla luce del concetto di salute, il quale nel tempo si è evoluto, in relazione ai valori inerenti la persona1. A fronte di condotte prevalentemente colpose, nate da “negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline” (l’ipotesi di dolo è eccezionale o marginale), l’ordinamento configura la responsabilità del medico, oltreché della struttura sanitaria, sia sul versante civile che su quello penale2. Varie sono le ipotesi in cui è possibile ravvisare una “colpa medica”, e quindi una responsabilità del sanitario per delle sue condotte lesive di un bene del paziente3. Tra le ipotesi classiche4 si possono riportare la condotta attiva, ovvero anche omissiva, commettendo degli errori nell’esecuzione della prestazione dovuta, provocando una lesione all’integrità fisica del paziente o al suo bene vita, qualora dall’intervento terapeutico eseguito derivi la morte del malato5. O ancora, nei casi in cui l’intervento effettuato superi per eccesso o per difetto gli standard tecnici fissati dalla comunità scientifica: sono i c.d. interventi fuori protocollo, che si hanno quando il medico prescrive un medicinale in sovradosaggio rispetto a quello necessario e provochi dei danni al paziente. In verità, la colpa medica, intesa genericamente come responsabilità del sanitario, si ravvisa anche in ipotesi di illiceità commesse al di fuori della esecuzione del trattamento medico stretto6. Ad esempio, ciò che si riscontra nel caso di precoce dimissione del paziente in momenti sbagliati, nel caso di interruzione del trattamento, qualora il medico non si prenda cura del malato, o nei casi di mancato o ritardato intervento o addirittura la dimenticanza della pinza nella pancia7. La giurisprudenza ha affermato che si rintraccia una responsabilità quando il medico di medicina generale, raggiunto da una telefonata di un paziente, poi interrottasi, seppur privo di completa contezza in ordine alla situazione ed alla sua effettiva gravità, non intervenga e non riesca a curare per tempo il paziente chiamante, il quale poi muore8. Sempre nel genus di colpa non esecutiva, si collocano gli errori medici c.d. marginali, come quello relativo alla lesione nella fase di trasporto da un reparto ad un altro, e quelli che derivino dall’utilizzo di strumenti inadeguati: la scelta del mezzo con il quale la prestazione viene eseguita, infatti, incide spesso in modo determinante sul suo esito finale, potendolo anche compromettere del tutto, specie se gli strumento disponibili non rispondano ai requisiti minimi standard richiesti9. Anche se la prestazione medica sia svolta all’interno di strutture sanitarie organizzate, che mettano a disposizione del medico strumentazioni carenti, senza consentirgli di verificarne la qualità per mancanza di alternative, il sanitario non può comunque adagiarsi su tale dato di fatto, evitando di confrontarsi con la realtà dei bisogni tecnici che la patologia del paziente richiede10. Egli, quindi, non può procedere in mancanza di attente verifiche sui mezzi tecnici senza assumersi gravi responsabilità e rischi quando i mezzi tecnici non siano adeguati, ma il suo prudente atteggiamento deve prevedere l’invio del paziente presso strutture che posseggano strumenti avanzati che possano fornire una prestazione più adeguata11. I giudici di merito hanno chiarito che l’omesso immediato trasferimento del paziente, in caso di emergenza, presso strutture specializzate, configuri la colpa del medico12. È invece esclusa la responsabilità del medico dipendente, con addebito a carico della struttura ospedaliera, nei casi in cui il paziente abbia contratto un’infezione nosocomiale, purché il medico sia immune da ogni responsabilità ovvero censura relativamente al suo intervento, ed abbia fornito la prova che l’infezione si sia verificata nonostante egli abbia vigilato sull’effettiva applicazione delle misure di prevenzione e sicurezza della sala operatoria, dei locali limitrofi, degli strumenti chirurgici, ecc.13 Può esservi, inoltre, colpa medica quando vi è un errore diagnostico, dato che la correttezza di una diagnosi dipende da un esatta e approfondita anamnesi, dalla effettiva valutazione dei sintomi e dei risultati dell’esame clinico del paziente e delle analisi strumentali e di laboratorio: ad esempio, una colpa nella diagnosi può aversi nei casi di erronea lettura di una radiografia14. L’errore diagnostico è il più ricorrente nel settore medico e si riflette nella terapia operata dal medico; esso può ravvisarsi qualora il medico sbagli nel diagnosticare la malattia, ovvero, qualora ometta di rilevarla. In verità, al medico è imputabile l’errore di diagnosi laddove il quadro clinico del paziente risultante dagli esami indichi una patologia non confondibile15. Laddove la situazione sintomatologica e l’esito delle indagini siano contraddittori, invece, non è comunque possibile imputare al medico l’errore diagnostico16. Per la giurisprudenza è condannabile anche l’intempestiva diagnosi, allorquando il ritardo diagnostico determini un maggiore sviluppo della malattia e le conseguenze più gravi per la salute dell’ammalato, indifferentemente se queste consistano in dolori più acuti o più prolungati nel tempo, in effetti collaterali più pesanti ovvero nell’irrimediabile perdita di funzionalità dell’organismo o di parti di esso17. Un profilo particolare di danno connesso alla fase diagnostica, infine, riguarda il caso di omessa diagnosi di gravidanza in corso, quando ciò impedisca alla gestante di ricorrere all’aborto nel termine legislativamente previsto, oppure, nei casi di c.d. accanimento diagnostico, rinvenibile laddove il sanitario sottoponga il paziente ad esami diagnostici inutili, al fine di comprendere quale sia la patologia da cui esso risulti eventualmente affetto18. Successivamente alle principali e ricorrenti ipotesi di colpa medica riportate, è necessario illustrare le nozioni privatistiche in tema di responsabilità civile, ovvero, giuridicamente, si intende la soggezione personale all’obbligo del risarcimento del danno per la violazione del dovere giuridico, che, è un concetto distinto da quello della responsabilità patrimoniale, definibile come la soggezione del patrimonio del debitore al diritto di espropriazione forzata dei creditori19. La responsabilità civile, notoriamente, si divide in contrattuale ed extracontrattuale. Con la prima è sanzionato l’inadempimento dell’obbligazione che è sorta tra le parti, mentre la seconda scaturisce dall’incontro episodico e occasionale tra due sfere giuridiche prima non incrociate20. Entrambe si sostanziano nella sanzione per la violazione del dovere giuridico: per la prima è l’obbligo specifico verso il creditore, per la seconda è l’obbligo generico verso i consociati. La responsabilità extracontrattuale, detta anche aquiliana – dal nome del plebiscito del III secolo a.C. in materia di risarcimento del danno, la Lex Aquilia del diritto romano – si configura quindi quale espressione del generale principio del neminem laedere21. Il riferimento normativo, all’interno del Codice civile italiano, è nel Libro IV, “Delle obbligazioni”. Per la responsabilità contrattuale è l’art. 1218: “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile22. Per la responsabilità extracontrattuale è l’art. 2043: “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”. L’illecito aquiliano è costituito da elementi oggettivi e soggettivi: con i primi si intende il nesso eziologico ed il danno ingiusto e con i secondi il dolo e la colpa, cioè la colpevolezza, con l’imputabilità. Il nesso di causalità è il legame tra la condotta e l’evento lesivo e la conseguenza dannosa23. Il danno ingiusto è l’evento corrispondente alla lesione dell’interesse tutelato e non va confuso con il danno conseguenza, patrimoniale o non patrimoniale, oggetto proprio del risarcimento24. La colpevolezza, che si traduce in dolo o colpa, è l’elemento psicologico, è un concetto che riprende i principi del diritto penale, in particolare quanto enunciato dall’art. 43 c.p. Si parla di colpa professionale con riguardo all’inosservanza della cosiddetta diligenza professionale, ex art. 1176, comma 2, con pregiudizio di terzi25. La responsabilità aquiliana viene limitata ai casi di dolo o colpa grave per il professionista intellettuale, qualora la prestazione implichi la risoluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà. La norma di riferimento è l’articolo 2236 c.c., che pur se dettato nell’ambito del rapporto d’opera intellettuale, si intende applicabile anche alla responsabilità extracontrattuale26. Quanto all’imputabilità, essa è la possibilità di attribuire ad un soggetto il compimento di un fatto. L’art. 2046 c.c. la individua con riferimento alla capacità di intendere e di volere, di cui abbiamo ampiamente discusso. Non è, infatti, imputabile chi non è capace di intendere e di volere al momento in cui ha commesso il fatto dannoso, sempreché lo stato d’incapacità non sia colposo27. Come già anticipato, l’ordinamento prevede poi esimenti di responsabilità, cioè condizioni al ricorrere delle quali la responsabilità va esclusa: caso fortuito, forza maggiore, stato di necessità, legittima difesa, consenso dell’avente diritto, esercizio di un diritto, adempimento di un dovere28. Relativamente alle possibili conseguenze del danno evento, si sottolinea come queste siano di natura patrimoniale oppure non patrimoniale29. Il danno patrimoniale corrisponde al danno emergente e al lucro cessante, cioè rispettivamente la perdita subita ed il mancato guadagno. Mentre il danno non patrimoniale, da considerare unitariamente, si scandisce in danno biologico, danno morale e danno esistenziale30. Approfondendo nel dettaglio la responsabilità professionale del medico, essa è intesa in vari modi: l’orientamento risalente riteneva che l’inquadramento più corretto fosse nel senso della sola applicazione dell’art. 2043 c.c., tenuto conto del fatto che il paziente instaura quasi sempre un rapporto contrattuale direttamente con il solo ente, ospedali o case di cura, non anche con il medico31. In questa ottica si affermava il c.d. “concorso di responsabilità”, contrattuale a carico della struttura, aquiliana a carico del medico dipendente32. Tuttavia nella generalità dei casi, a rispondere civilmente degli eventuali danni ingenerati nel paziente era solo la struttura sanitaria. In un secondo momento ci si è resi conto della eccessiva severità della soluzione e della sua incongruenza complessiva: il contratto d’opera professionale, nel quale si inquadra comunemente il rapporto, prevede infatti all’art. 2236 c.c. che se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, la responsabilità è limitata ai soli casi di dolo o colpa grave, in deroga al dettato ex art. 1176 c.c.33 Detta deroga, avrebbe potuto esonerare da responsabilità la sola struttura sanitaria coinvolta, in applicazione del 1228 c.c., rubricato “Responsabilità per fatto degli ausiliari”, e non anche il medico agente, nonostante essa fosse stata voluta dal legislatore proprio al fine di tutelare quest’ultimo34. Alla luce di queste difficoltà è stato applicato l’art. 2236 c.c. sia all’operato dell’ente ospedaliero, sia all’attività del medico, per l’assorbente carattere professionale dell’attività svolta da quest’ultimo35. Tuttavia sia la dottrina sia la giurisprudenza hanno fatto rientrare il rapporto tra medico dipendente e paziente tra quelli di natura contrattuale, facendo ricorso, parte degli studiosi, all’istituto del contratto a favore di terzo, affermando che la struttura, nel momento in cui assicura la prestazione del medico, stabilisce, di fatto, che il beneficiario di questa sarà il paziente; altri, invece, si sono riferiti ai contratti con effetti protettivi nei confronti di un terzo, affermando che si tratterebbe di un contratto, quello tra medico e struttura, dal quale sarebbe deducibile un diritto del terzo, il paziente, non al conseguimento della prestazione principale, ma alla sua esecuzione con una diligenza tale che si possa evitare un danno36. Entrambe queste opinioni sono state criticate dalla Corte di Cassazione, la quale ha ritenuto che “il soggetto danneggiato che agisce non aziona il contratto esistente tra l’ente ed il medico, di cui egli sarebbe il terzo beneficiario, cioè in senso lato il contratto di lavoro autonomo, ma aziona il diverso contratto intervenuto tra lui e l’ente gestore per ottenere la prestazione sanitaria, rispetto al quale egli non è terzo beneficiario, ma parte contrattuale37. Non mancava poi chi sosteneva che la responsabilità del medico dipendente da una struttura sanitaria, nei confronti del paziente, avesse natura contrattuale e trovasse la sua giustificazione in una obbligazione che deriva dalla legge: il medico è un soggetto avente particolari capacità e competenze, per cui, una volta conseguita l’abilitazione, non è più un quisque de populo, ma un soggetto su cui, in virtù del dovere di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost., grava l’obbligo di tutelare e garantire un possibile ottimale stato di salute della persona, tutte le volte in cui si sia richiesta la sua attività professionale38. L’assunzione in cura da parte dell’ospedale e l’assegnazione del paziente a un certo medico o a una certa equipe medico-sanitaria, in quest’ottica, sono i fatti che costituiscono, per legge, la fonte del c.d. rapporto di cura, il quale ha natura contrattuale, posto che si articola in una serie di prestazioni e di obblighi specifici, come la lealtà, la diligenza, la perizia professionali, di carattere informativo prima e dopo il trattamento sanitario e perfino dopo la risoluzione del contratto di cura ospedaliero39. L’ultimo approdo dottrinale e giurisprudenziale, fino alla recente modifica intervenuta con la legge n. 24/2017, qualificava la responsabilità in commento come contrattuale da c.d. contatto sociale40. Non ravvisando, però, l’effettiva esistenza di un contratto stipulato tra le parti, gli obblighi in questione non avevano per oggetto la prestazione, bensì la protezione della sfera di coloro cui essi si rivolgevano41. Ciò in quanto “poiché sicuramente sul medico gravano gli obblighi di cura impostigli dall’arte che professa, il vincolo con il paziente, nonostante non dia adito ad un obbligo di prestazione, e la violazione di esso si configura come “culpa in non faciendo”, la quale dà origine a responsabilità contrattuale. In questa prospettiva, quindi, si ammette che le obbligazioni possano sorgere da rapporti contrattuali di fatto, nei casi in cui taluni soggetti entrano in contatto, senza che tale contatto riproduca le note ipotesi negoziali, e pur tuttavia ad esso si ricollegano obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garantire che siano tutelati gli interessi che sono emersi o sono esposti a pericolo in occasione del contatto stesso42. Più correttamente, la figura del contatto sociale è stata annoverata tra le fonti non contrattuali dell’obbligazione, cioè tra gli “altri” fatti o atti, diversi dal contratto e dall’illecito, idonei a produrre obbligazioni in conformità dell’ordinamento giuridico, ai sensi dell’art. 117343. Giova ricordare che l’espressione “responsabilità contrattuale” non è riferibile solamente alle obbligazioni che discendono da contratto, bensì riguarda l’inadempimento o inesatto adempimento di ogni tipo di obbligazione, che fra le parti preesista. In passato, questa teoria suscitò critiche, sempre più insistenti44. In particolare si ritenne artificioso scindere la prestazione che il medico deve alla struttura sanitaria da quella dovuta al paziente45. Si osservò, inoltre, che non v’era l’esigenza di ricondurre in capo al medico e al paziente una intera posizione contrattuale, ossia una serie di diritti e di obblighi che sono ultronei rispetto al loro rapporto e che trovano invece la loro ragione d’essere in altro vincolo, quella tra il paziente e l’ospedale: si affermava a tal proposito che l’interesse del paziente a non subire i danni connessi all’esecuzione del contratto non poteva non coincidere con l’interesse dello stesso paziente all’esatto adempimento del contratto di spedalità, che è quello stipulato con la struttura, e ciò comportava la difficoltà di distinguere la prestazione che il medico deve alla struttura sanitaria dalla prestazione che il paziente pretenderebbe dal medico46. Infine, importante era la considerazione che in tal modo veniva ad ingenerarsi uno schema contrattuale nel quale mancava un obbligo di prestazione, suscettibile di esecuzione in forma specifica, ricostruendo l’istituto del contatto sociale qualificato in termini di rapporto contrattuale dal quale scaturisce esclusivamente un obbligo di protezione in capo al medico e a favore del paziente47. Comunque la dottrina e la giurisprudenza hanno continuato a dare applicazione al principio della responsabilità medica come responsabilità contrattuale e fino al 2012 questo orientamento sembrava pacifico e l’entusiasmo dell’istituto di matrice tedesca, del contratto sociale qualificato, ne ha esteso la portata applicativa in altri settori, persino alla c.d. responsabilità precontrattuale, di cui all’art. 1337 c.c.48 Ravvisabile è ad oggi un contatto sociale qualificato ogni qual volta che le parti del rapporto abbiano un fine comune e ciascuna confidi nella buona fede dell’altra49. Dal 2012, con l’entrata in vigore del c.d. decreto Balduzzi, 158 del 2012, alcuni giudici ed alcuni autori hanno affermato la possibilità di riconoscere alla responsabilità del medico dipendente una natura extracontrattuale, poiché all’articolo 3, ad oggi abrogato, si prevedeva che “l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile50. Alcuni giudici ritenevano che fosse stato operato un ritorno al passato51. Altra parte sostenne che “atteso che il richiamo all’articolo 2043 è limitato alla individuazione di un obbligo, senza alcuna indicazione di merito ai criteri da applicare nell’accertamento della responsabilità risarcitoria, non sussistono ragioni per ritenere che la novella legislativa incida direttamente sull’attuale ricostruzione della responsabilità medica e che imponga un revirement giurisprudenziale (…) per quanto l’articolo 2043 costituisca la norma cardine della responsabilità risarcitoria da fatto illecito, la concreta disciplina della responsabilità aquiliana è contenuta altrove (…) non può dunque affermarsi che richiamare un obbligo equivalga a richiamare una intera disciplina e deve quindi concludersi che il riferimento all’articolo 2043 (…) sia del tutto neutro rispetto alle regole applicabili e consenta di continuare ad utilizzare i criteri propri della responsabilità contrattuale52. Da ultimo, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 8940 del 2014, aderì alla tesi minimalista, affermando che tale rapporto ha natura contrattuale: “l’articolo 3, comma 1, della Legge n. 189 del 2012, là dove omette di precisare in che termini si riferisca all’esercente la professione sanitaria e concerne nel suo primo inciso la responsabilità penale, comporta che la norma dell’inciso successivo, quando dice che resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 c.c., poiché in “in lege aquilia et levissima culpa venit”, vuole significare che il legislatore si è soltanto preoccupato di escludere l’irrilevanza della colpa lieve in ambito di responsabilità extracontrattuale, ma non ha inteso prendere alcuna posizione sulla qualificazione della responsabilità medica necessariamente come responsabilità di quella natura. La norma, dunque, non induce il superamento dell’orientamento tradizionale sulla responsabilità da contatto e sulle sue implicazioni53. Alla luce della nuova legge, la 24 del 2017, l’art. 3, comma 1, del decreto Balduzzi, è stato abrogato, contenente il riferimento all’art. 2043, ed è stato introdotto con essa l’art. 7, comma 3, rubricato “Responsabilità civile della struttura e dell’esercente la professione sanitaria”, che stabilisce che la responsabilità del medico è di natura extracontrattuale, salvo che questi abbia agito nell’adempimento di un’obbligazione contrattuale assunta con il paziente54. È bene in questa sede ricordare alcune differenze tra la responsabilità contrattuale ed extracontrattuale: mentre nella contrattuale il creditore può limitarsi a dedurre l’inadempimento ed il titolo dell’obbligazione, dato che è il debitore che deve provare che l’inadempimento non dipende da causa a lui imputabile, ex art. 1218 c.c., nella responsabilità extracontrattuale egli deve tenere conto anche della sussistenza del dolo e della colpa, in quanto su di esso incombe l’onere della prova55. Inoltre, mentre il termine di prescrizione in tema di responsabilità extracontrattuale è quello ordinario decennale, in tema di responsabilità extracontrattuale il termine è quinquennale, e vale quanto prescritto dall’art. 2947 c.c.56 Prima facie, può sembrare che la novella legislativa abbia privilegiato la posizione del sanitario danneggiante, a svantaggio del paziente danneggiato che sarà costretto, per ottenere ristoro del pregiudizio subito, a provare tutti gli elementi dai quali scaturisce la responsabilità ex art. 2043 c.c.57 Tuttavia, si deve ricordare che nella responsabilità contrattuale, qualora l’inadempimento non dipenda da dolo del debitore, costui risponde soltanto dei danni prevedibili al tempo dell’insorgenza dell’obbligazione. L’art. 2056 c.c., infatti, non richiama il disposto normativo di cui all’art. 1225 c.c. Dunque, l’autore dell’illecito extracontrattuale deve risarcire tutti i danni, compresi anche quelli imprevedibili58. Vi sono, quindi, come si è avuto modo di vedere vari rapporti che vengono a esistenza tra i soggetti interessati da una prestazione medica: il rapporto tra il medico ed il paziente; il rapporto tra la struttura pubblica-privata ed il paziente; il rapporto tra il medico e la struttura pubblica-privata59. In relazione alla relazione intercorrente tra il medico ed il paziente, occorre distinguere i casi in cui il medico agisca come dipendente di una struttura ospedaliera ovvero privata, da quelli in cui questi agisca come libero professionista60. In quest’ultimo caso, la responsabilità, contrariamente a quanto avviene negli ordinamenti dell’area di Common law, ove persiste la tendenza a radicarla nell’ambito della responsabilità aquiliana (torts), è di natura contrattuale; più specificamente, il contratto è di prestazione professionale61. Per ciò che attiene invece il sanitario che presta servizio presso una struttura sanitaria, pubblica o privata che sia, si è rilevato che si sono succedute, nel tempo, posizioni apertamente contrastanti: esse hanno riconosciuto alla responsabilità del medico dipendente una natura ora contrattuale, ora extracontrattuale62. I liberi professionisti, invece, sono quei medici che offrono i loro servizi in qualità di lavoratori autonomi, sia quelli che svolgano attività “intramoenia”, cioè operatori in strutture sanitarie di cui sono dipendenti, ovvero extramuraria se operino in altri luoghi, ad esempio in uno studio privato63. I primi soltanto sono assoggettati sicuramente alla responsabilità contrattuale, mentre i medici che operano intramoenia, infatti, sono, ai sensi dell’art. 7, comma 3 della legge Gelli, sono assoggettati al regime della responsabilità contrattuale solo laddove abbiano agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente; in caso contrario, la loro responsabilità ha natura extracontrattuale, ex art. 2043 c.c.64

1 N. Posteraro, “La responsabilità del medico nelle prime applicazioni della legge Gelli-Bianco”, Roma, 2019, 67 ss.

2 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

3 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

4 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

5 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

6 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

7 Cass. pen., sez. IV, 18 maggio 2005, n. 18568, in Riv. Pen., 2006. Si veda N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

8 Cass. civ., sez. III, 25 maggio 2010, n. 12801, in Diritto & Giustizia. Si veda N. Posteraro, op. cit., 67.

9 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

10 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

11 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

12 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

13 Trib. Bologna sez. III, 21 marzo 2008, in “La Responsabilità Civile”. Questa pronuncia fornisce l’occasione di affrontare il tema della sicurezza delle cure in sanità, espressamente contemplato dalla nuova legge, all’articolo 1, rubricato “Sicurezza delle cure in sanità”: a questo proposito, il legislatore specifica che alle attività di prevenzione del rischio messe in atto dalle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche o private, è tenuto a concorrere tutto il personale, compresi i liberi professionisti che vi operino in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale (comma 3). Si veda N. Posteraro, op. cit., 67.

14 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

15 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

16 Alla medesima conclusione giunge la Cass. Pen., sentenza 12 giugno 2017, n. 29053. Si veda N. Posteraro, op. cit., 67.

17 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

18 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

19 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

20 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

21 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

22 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

23 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

24 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

25 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

26 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

27 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

28 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

29 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

30 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

31 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

32 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

33 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

34 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

35 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

36 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

37 Cass. civ., n. 589 del 1999, in Danno e Responsabilità, 1999. Si veda N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

38 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

39 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

40 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

41 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

42 Cass. civ., n. 589 del 1999, in Danno e Responsabilità, 1999. Si veda N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

43 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

44 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

45 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

46 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

47 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

48 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

49 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

50 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

51 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

52 Tribunale di Arezzo, 14 febbraio 2013. Si veda N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

53 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

54 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

55 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

56 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

57 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

58 Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 6919 del 21 giugno 2017, su www.rivistaresponsabilitamedica.it, conformemente a quanto disposto dalla nuova legge, ha dato concretezza al c.d. “doppo binario di responsabilità” da essa introdotto, qualificando come contrattuale la responsabilità della struttura ed extracontrattuale la responsabilità del medico. Nel caso di specie, si trattava di danni cagionati dalla imperita esecuzione di un intervento di asportazione per via trans-naso-sfenoidale di un meningioma cerebrale: nel corso dell’intervento, si era verificata la resezione della carotide sinistra, con conseguente complicanze, progressivo deterioramento delle condizioni di salute della paziente ed infine decesso della stessa. Si veda N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

59 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

60 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

61 Cass. civ., 1 marzo 1998, sez. III, n. 2144, in Foro Italiano. Si veda N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

62 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

63 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

64 N. Posteraro, op. cit., 67 ss.

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