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“Nuovo” fondamento giuridico della responsabilità medica

21 Giu 23

Di FRANCESCO BOLLORINO

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    1. Il 590 sexies c.p. come “nuovo” fondamento giuridico della responsabilità medica

Quanto fino ad ora illustrato si rivela indispensabile e prodromico ai fini dell’analisi del nuovo contesto normativo di riferimento della responsabilità penale del medico – di rilevanza anche per la species del medico psichiatra –, essendo esso mutato con l’abrogazione della disciplina introdotta dalla Balduzzi1, L. 189 del 2012, e la sua sostituzione ad opera della legge n. 24 del 20172, introduttiva, quest’ultima, del nuovo articolo 590 sexies c.p., attraverso il primo comma dell’art. 6 della menzionata fonte normativa e rubricato “Responsabilità colposa per morte e lesioni personali in ambito sanitario”, ai sensi del quale “Se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma3. Quest’ultimo dispone che “Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi della legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto4. La nuova disposizione, pur confermando per alcuni aspetti quella precedente, presenta dei profili di novità5. Al pari dell’articolo 3 del Decreto Balduzzi, il legislatore della novella del 2017 ha dettato una disciplina speciale per le fattispecie di omicidio e lesioni colpose commesse “nell’esercizio della professione sanitaria”, che deroga in parte qua a quella generale di cui agli artt. 589 e 590 c.p.6 La precedente disciplina , lo si ricorda, statuiva che “L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve”: mancava, come ha evidenziato la Corte di Cassazione, alcun riferimento alla tipologia di colpa in cui fosse incorso il sanitario, consentendone l’applicazione anche fuori dei casi di perizia7. Al contrario, il secondo comma dell’art. 590 sexies c.p. esordisce con un espresso e univoco riferimento all’imperizia, così da restringere il campo operativo della disciplina in esame. Per il sanitario, dunque, che ha compiuto il fatto con negligenza ed imprudenza, non sarà possibile invocare la norma: considerando il carattere eccezionale della disposizione, deve trovare applicazione qui l’art. 14 delle Preleggi, che ne impedisce l’estensione in via analogica8. La Corte di Cassazione con sentenza n. 33770 dell’11 luglio del 2017 afferma incidentalmente che “l’inosservanza delle linee guida e, comunque, delle buone pratiche clinico assistenziali, nonché la (corretta) qualificazione della condotta della ricorrente come caratterizzata da “negligenza” piuttosto che da “imperizia” escluderebbero anche la configurabilità dell’ipotesi di non punibilità del fatto prevista dal nuovo art. 590 sexies c.p. (introdotto dalla L. n. 24 del 2017, art. 6), che oggi disciplina la responsabilità degli esercenti le professioni sanitarie in relazione alle fattispecie di omicidio colposo e lesione personali “colpose”)9. Occorre rilevare che, al pari della previgente disciplina, il comma secondo dell’art. 590 sexies c.p. assegna rilevanza, ai fini dell’accertamento della responsabilità penale del sanitario, al rispetto delle “linee guida” e delle “buone pratiche”, sebbene in termini differente rispetto al passato: la precedente disposizione statuiva che “le linee guida e buone pratiche assistenziali accreditate dalla comunità scientifica”, laddove la nuova disposizione appare più precisa nel richiedere il rispetto delle “raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto10. Il legislatore, in primo luogo, non pone più sul medesimo piano linee guida e buone pratiche, oggi indicate come “clinico-assistenziali”, ma prevede un criterio di residualità, tale per cui le buone pratiche assumono rilievo solo in mancanza delle linee guida11. Per quanto riguarda i requisiti necessari perché le linee guida possano essere prese in considerazione dal giudice penale, mentre per l’art. 3 della Balduzzi disponeva che fossero “accreditate dalla comunità scientifica”, oggi il secondo comma dell’art. 590 sexies c.p. richiede che le linee guida siano “definite e pubblicate ai sensi di legge”, precisando che “le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto12. In riferimento al primo requisito di carattere formale, l’art. 5 della legge 24 del 2017 disciplina puntualmente il procedimento per il riconoscimento e la pubblicazione delle linee guida, rubricato “Buone pratiche clinico-assistenziali e raccomandazioni previste dalle linee guida”, prevede innanzitutto, al primo comma, che gli esercenti le professioni sanitarie, “nell’esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida13. La norma, dunque, individua i soggetti tenuti al rispetto delle linee guida e precisa l’ambito delle attività sanitarie interessate, fornendo utili indicazioni, anche in sede penale, in merito all’estensione oggettiva della nuova disciplina, riferendola anche alle fasi preparatorie e a quelle post-operatorie14. Il primo comma dell’articolo in esame prosegue richiedendo che le predette linee guida siano “pubblicate ai sensi del comma 3”, ed elaborate “da enti e istituzioni pubblici e privati nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministro della salute”; infine al pari dell’art. 590 sexies, secondo comma, la norma prevede che in via residuale, in mancanza delle raccomandazioni previste dalle linee guida, “gli esercenti le professioni sanitarie si attengono alle buone pratiche clinico-assistenziali15. Il terzo comma dell’art. 5, in riferimento alla pubblicazione delle linee guida, prevede che “L’Istituto superiore di sanità pubblica nel proprio sito internet le linee guida e gli aggiornamenti delle stesse indicate dal Sistema Nazionale per le linee guida, previa verifica della conformità della metodologia adottata a standard definiti e resi pubblici dallo stesso Istituto, nonché della rilevanza delle evidenze scientifiche dichiarate a supporto delle raccomandazioni16. Il giudice di legittimità, con sentenza n. 28187 del 2017, c.d. “Tarabori”, condivise la scelta di fondo della novella, affermando la “recisa volontà di costruire un sistema istituzionale, pubblicistico, di regolazione dell’attività sanitaria, che ne assicuri lo svolgimento in modo uniforme, appropriato, conforme ad evidenze scientifiche controllate17. È necessario illustrarne brevemente il caso ed offrirne una ricognizione dei tratti principali della pronuncia, per la pertinenza che essa ha con la tematica trattata, dato che vede come protagonista proprio un medico psichiatra. La Corte di Cassazione, come già sottolineato, si esprime per la prima volta in riferimento alla nuova disciplina della responsabilità medica contenuta nella cd. “Legge Gelli-Bianco”, affrontando un caso di responsabilità “colposa” di uno psichiatra, dirigente di un centro di salute mentale, per atti etero-aggressivi posti in essere da un paziente nei confronti di altro malato ricoverato nella medesima struttura, nel gennaio 201418. Nel dettaglio, il G.I.P. presso il Tribunale di Pistoia dichiarava non luogo a procedere nei confronti del medico psichiatra, al quale si contestava, quale responsabile dell’ufficio Salute Mentale A.S.L. 3 di Pistoia avente in cura il paziente G.L., nonché quale sanitario di riferimento del piano riabilitativo redatto per il richiamato paziente, di aver colposamente posto in essere, ai sensi dell’art. 589 c.p., una serie di condotte attive ed omissive, da qualificarsi come condizioni necessarie perché il paziente L. addivenisse ad una aggressione sfociata poi nella morte di un altro malato, M.L.19 Difatti, il signor L. ebbe a sferrare, la notte del 16 gennaio del 2014, numerosi colpi al capo ed al collo del signor T., con un’ascia lasciata incustodita presso la richiamata struttura, perché infastidito dal comportamento della persona offesa20. Nella sentenza del G.I.P. si rileva che nella condotta dell’imputato non emergono profili di rimproverabilità colposa e che l’azione dello psichiatra non può considerarsi come causa scatenante dell’imprevedibile gesto eterolesivo21. Avverso la citata sentenza ha proposto ricorso per cassazione la parte civile. Il ricorrente lamenta un errore nell’applicazione della legge penale, in relazione ai profili di colpa commissiva ed omissiva, sfociato in un’erronea valutazione del G.I.P. rispetto ai profili di colpa ascrivibili all’imputato, e altesì un vizio motivazionale in ordine alla rilevanza della riduzione della terapia farmacologica. Infine, viene denunciato un vizio motivazionale in ordine alla ritenuta imprevedibilità del gesto etero-aggressivo, ripercorrendo la storia clinica del L., caratterizzata da abuso di sostanze stupefacenti, esplosioni di rabbia e da un fallito gesto suicidario, oltre che dalla pregressa uccisione della fidanzata S.G. La Corte di Cassazione censura preliminarmente la scelta del giudice di merito di negare l’espletamento di apposita perizia per chiarire la conferenza delle scelte terapeutiche effettuate dal sanitario imputato, in quanto scelta che non tiene conto dell’insegnamento espresso dal diritto vivente rispetto all’apprezzamento della prova scientifica nel giudizio penale. Ciò posto, la Suprema Corte affronta il tema della responsabilità colposa del medico psichiatra. Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità già ha chiarito che l’obbligo giuridico che grava su questa figura centrale risulta potenzialmente qualificabile al contempo come obbligo di “controllo”, equiparando il paziente ad una fonte di pericolo, rispetto alla quale il garante avrebbe il dovere di neutralizzarne gli effetti lesivi verso terzi, e di “protezione” del paziente medesimo, soggetto debole, da comportamenti pregiudizievoli per sé stesso. In tali casi, e tenendo conto della complessità della materia psichiatrica, il giudice deve verificare, con una valutazione ex ante, l’adeguatezza delle pratiche terapeutiche poste in essere dal sanitario a governare il rischio specifico, pure a fronte di un esito infausto sortito dalle stesse; in tale percorso valutativo, vengono in rilievo le raccomandazioni contenute nelle linee guida, in grado di offrire indicazioni e punti di riferimento, tanto per il medico nel momento in cui è chiamato ad effettuare la scelta terapeutica adeguata al caso di specie, quanto per il giudice che deve procedere alla valutazione giudiziale di quella condotta22. Nelle motivazioni si aggiunge che “Tale istituzionalizzazione vuole senza dubbio superare le incertezze manifestatesi dopo l’introduzione della legge n. 189 del 2012 a proposito di criteri per l’individuazione delle direttive scientificamente qualificate23. Secondo l’interpretazione data dalla Corte “La disciplina intende stornare il pericolo di degenerazioni dovute a linee guida interessate o non scientificamente fondate; e favorire, inoltre, l’uniforme applicazione di direttive accreditate e virtuose”, mediante l’assegnazione “all’Istituzione sanitaria il governo dell’attività medica”, nonché la previsione dell’obbligo del professionista di “attenersi alle raccomandazioni, sia pure con gli adattamenti propri di ciascuna fattispecie concreta”, cui corrisponde, nel contempo, “la legittima, coerente pretesa a vedere giudicato il proprio comportamento alla stregua delle medesime direttive impostegli24. Inoltre la Corte di Cassazione afferma che, in attesa del nuovo sistema delle linee guida, deve ritenersi che “il terapeuta possa invocare in qualche caso particolare quale metro di giudizio anche raccomandazioni, approdi scientifici che, sebbene non formalizzati nei modi previsti dalla legge, risultino di elevata qualificazione nella comunità scientifica, magari per effetto di studi non ancora recepiti dal sistema normativo di evidenza pubblica delle linee guida di cui al richiamato art. 5”, precisando che “Si tratta di principio consolidato nella scienza penalistica”, in forza del quale “le prescrizioni cautelari ufficiali possono essere affiancate da regole non codificate ma di maggiore efficienza nella prospettiva della ottimale gestione del rischio25. Esaurita l’analisi del primo requisito, il secondo è relativo all’adeguatezza delle raccomandazioni contenute nelle linee guida “alle specificità del caso concreto”; la Corte nella citata sentenza ha dato atto dei dubbi interpretativi in merito alla novella messi in luce dalla dottrina, la quale ha evidenziato che “non si comprende come potrebbe essere chiamato a rispondere di un evento lesivo l’autore che, avendo rispettato le raccomandazioni espresse dalle linee guida qualificate e pertinenti ed avendole in concreto attualizzate in un modo che “risulti adeguato” in rapporto alle contingenze del caso concreto, è evidentemente immune da colpa”: è sorto cioè il dubbio in merito alla possibilità che l’evento si sia verificato per imperizia nonostante il rispetto delle raccomandazioni che, a rigor di logica, dovrebbe escludere ogni profilo colposo, specie quando si tratti di linee guida “adeguate alle specificità del caso concreto”, oggi presupposto di operatività della norma26. Nelle motivazioni della sentenza si legge che “La drammatica incompatibilità logica è lampante: si è in colpa per imperizia ed al contempo non lo si è, visto che le codificate leges artis sono state rispettate ed applicate in modo pertinente ed appropriato (“risultino adeguate alle specificità del caso concreto”) all’esito di un giudizio maturato alla stregua di tutte le contingenze fattuali rilevanti in ciascuna fattispecie27. Appare dunque difficile individuare un margine di colpa, in termini di imperizia, del sanitario, sicché è stata elaborata una soluzione, criticata nella sentenza, secondo cui andrebbe esclusa “la punibilità anche nei confronti del sanitario che, pur avendo cagionato un evento lesivo a causa di comportamento rimproverabile per imperizia, in qualche momento della relazione terapeutica abbia comunque fatto applicazione di direttive qualificate; pure quando esse siano estranee al momento topico in cui l’imperizia lesiva si sia realizzata28. In merito a tale interpretazione, la Corte ha denunciato il carattere irragionevole della soluzione prospettata, che “vulnererebbe il diritto alla salute del paziente e quindi l’art. 32 Cost., si porrebbe in contrasto con i fondanti principi della responsabilità penale”: non è possibile, infatti, assegnare rilevanza al rispetto delle linee guida relative a segmenti della trattamento rispetto ai quali il sanitario non sia incorso in errore, estendendo così automaticamente l’effetto di impunità a condotte che invece non risultino rispettose delle linee guida e siano caratterizzate da colpa medica29. Nella sentenza in commento si afferma che il formale rispetto delle linee guida, da parte del sanitario che sia incorso in errore medico, non è sufficiente ad escludere la responsabilità, occorrendo invece che l’errore sia stato commesso nell’ambito di un attività regolata dalle linee guida invocate, anche in relazione allo specifico segmento di attività durante il quale si sia verificato l’errore, e che il sanitario si sia attenuto alle raccomandazioni relative30. La Corte, sulla base di tali premesse, precisa che la nuova disciplina “non trova applicazione: a) negli ambiti che, per qualunque ragione, non siano governati da linee guida; b) nelle situazioni concrete in cui le suddette raccomandazioni debbano essere radicalmente disattese per via delle peculiari condizioni del paziente o per qualunque altra ragione imposta da esigenze scientificamente qualificate; c) in relazione alle condotte che, sebbene collocate nell’ambito di approccio terapeutico regolato da linee guida pertinenti e appropriate, non risultino per nulla disciplinate in quel contesto regolativo, come nel caso di errore nell’esecuzione materiale di atto chirurgico pur correttamente impostato secondo le raccomandazioni ufficiali31. Nel contempo si rileva che “è chiara la consapevolezza che si tratta di direttive di massima, che devono confrontarsi con le peculiarità di ciascuna situazione concreta, adattandovisi32. In questo modo viene individuato l’ambito operativo della nuova disciplina, che attiene pertanto all’adeguamento al caso concreto delle raccomandazioni, ma sul presupposto che le stesse siano pertinenti e risultino applicabili allo specifico intervento, nel corso del quale, in ragione della delicatezza dell’attività svolta e delle speciali difficoltà tecnico-scientifiche che richiedono la perizia del sanitario, quest’ultimo sia incorso in errore, per imperizia, che ciò nonostante non darà luogo a responsabilità penale33. Il secondo comma dell’articolo 590 sexies c.p. prevede che “la punibilità è esclusa”, in presenza dei presupposti esposti, venendo meno ogni riferimento al grado di colpa, sia essa lieve ovvero grave, con efficacia escludente della responsabilità penale34. Si è rilevato, così, che tutte le condotte colpose poste in essere dai sanitari che non siano caratterizzate da imperizia, quand’anche commesse con colpa lieve, sono oggetto di responsabilità penale35. Inoltre, con le sentenze nn. 16140 e 24936 del 2017, la Corte ha affermato che la nuova disciplina produce i suoi effetti nei giudizi pendenti, nell’ambito dei quali, tanto in relazione agli effetti civili, quanto nel giudizio penale, il giudice “dovrà verificare l’ambito applicativo della sopravvenuta normativa sostanziale di riferimento, disciplinante la responsabilità colposa per morte o lesioni personali provocate da parte del sanitario. E lo scrutinio dovrà specificamente riguardare l’individuazione della legge ritenuta più favorevole, tra quelle succedutesi nel tempo, da applicare al caso di giudizio, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2 c.p., comma 4, secondo gli alternativi criteri della irretroattività della modificazione sfavorevole ovvero della retroattività della nuova disciplina più favorevole36. La questione di diritto intertemporale è stata altresì affrontata nella sentenza in analisi, n. 28187 del 2017, in cui si osserva che “L’abrogazione della legge del 2012 implica la reviviscenza, sotto tale riguardo, della previgente, più severa normativa che, per l’appunto, non consentiva distinzioni connesse al grado della colpa. Infatti la novella del 2017 non contiene alcun riferimento alla gravità della colpa. Naturalmente, ai sensi dell’art. 2 c.p., il nuovo regime si applica solo ai fatti commessi in epoca successiva alla riforma”, con la conseguenza, per i giudici di legittimità, che “Per i fatti anteriori (…) in applicazione dell’art. 2 c.p., può trovare applicazione, invece, quando pertinente, la ridetta normativa del 2012, che appare più favorevole con riguardo alla limitazione della responsabilità ai soli casi di colpa grave”: l’effetto in malam partem, pertanto, è limitato ai fatti commessi successivamente all’entrata in vigore della legge n. 24 del 2017, in forza del principio di irretroattività sfavorevole di cui all’art. 25, 2° comma, Cost.37 Si afferma inoltre che nel valutare quale sia la disciplina in concreto applicabile, in attuazione del principio del favor rei, il giudice penale dovrà tener conto che “il principio civilistico di cui all’art. 2236 c.c., che assegna rilevanza soltanto alla colpa grave, può trovare applicazione in ambito penalistico come regola di esperienza cui attenersi nel valutare l’addebito di imperizia, qualora il caso concreto imponga la soluzione di problemi di speciale difficoltà38. Ulteriore questione su cui i giudici di legittimità si sono soffermati attiene alla natura giuridica dell’istituto di cui all’art. 590 sexies c.p., comma secondo, c.p., in relazione al quale hanno affermato che esso individua “una nuova regola di parametrazione della colpa”, al pari di quanto prevedeva l’art. 3 del Decreto Balduzzi, escludendo invece che si tratti di una causa di esclusione della punibilità, in quanto “Occorre al riguardo considerare che tale espressione si rinviene in molti testi normativi ed anche nel codice con significati diversi e non di rado atecnici; cioè non riconducibili propriamente alla sfera dell’esclusione della pena pur in presenza di un reato, per ragioni istituzionali, personali, di opportunità39. La Corte di Cassazione nella sentenza Tarabori qualifica l’intervento legislativo in termini di modifica della disciplina dell’elemento soggettivo, determinando un’abolitio criminis, con riferimento a quelle condotte cui la nuova disciplina si riferisce40. È stato osservato che la nuova disciplina comportando una restrizione dell’area di non punibilità, e quindi una estensione dei comportamenti punibili, rispetto a quella previgente, non potrebbe aver escluso la rilevanza penale di condotte che già a partire dal 2012 erano state private di rilevanza penale, in forza dell’art. 3: l’intento del legislatore è stato quello di ridimensionare il trattamento speciale riservato agli esercenti una professione sanitaria, dando luogo ad una nuova incriminazione, con riferimento alle ipotesi di colpa grave diversa dall’imperizia, così come in relazione a tutte le fattispecie in cui la nuova disposizione non può operare, mediante riespansione delle fattispecie colpose di cui agli artt. 589 e 590 c.p., espressamente richiamati nel primo comma del nuovo articolo, restringendo l’area di non punibilità prevista dal Decreto Balduzzi e rispendendo quella di rilevanza penale delle condotte dei sanitari, ai sensi delle disposizioni citate del codice penale, sebbene solo per il futuro41. L’art. 590 sexies c.p. ha introdotto una causa di non punibilità in senso stretto che, a fronte di un fatto tipico, antigiuridico e colpevole, purché l’evento si è verificato a causa di imperizia, esclude la punibilità del sanitario: quella del legislatore è stata una valutazione di opportunità, prevenendo ipotesi di “medicina difensiva”, in cui il medico sarebbe stato sovraesposto al rischio di responsabilità penale, specie a fronte di interventi e terapie che richiedano un elevato standard di diligenza, e quindi di perizia42. Ciò ha confermato la Corte nella sentenza del 31 ottobre del 2017, n. 50078, c.d. Cavazza, cioè che il nuovo articolo non opera alcuna distinzione in merito al grado della colpa, limitando, nel contempo, l’operatività della disposizione alle sole situazioni astrattamente riconducibili all’imperizia, osservando che alla colpa grave non potrebbe più attribuirsi un differente rilievo rispetto alla colpa lieve, essendo entrambe ricomprese nell’ambito di operatività della causa di non punibilità, volta favorire la posizione del medico, riducendo gli spazi per la sua possibile responsabilità penale, ferma restando quella civile: la disposizione in questione è stata qualificata come causa di non punibilità, la quale “si giustifica nell’ottica di una scelta del legislatore di non mortificare l’iniziativa del professionista con il timore di ingiuste rappresaglie mandandolo esente da punizione per una mera valutazione di opportunità politico criminale, al fine di restituire al medico una serenità operativa così da prevenire il fenomeno della c.d. medicina difensiva43. Si afferma, in base a ciò, che “l’unica ipotesi di permanente rilevanza penale della imperizia sanitaria può essere individuata nell’assecondamento di linee guida che siano inadeguate alla peculiarità del caso concreto”, mentre “non vi sono dubbi sulla non punibilità del medico che seguendo linee guida adeguate e pertinenti pur tuttavia sia incorso in una “imperita” applicazione di queste (con l’ovvia precisazione che tale imperizia non deve essersi verificata nel momento della scelta delle linee guida – giacché non potrebbe dirsi in tal caso di essersi in presenza della linea guida adeguata al caso di specie, bensì nella fase esecutiva dell’applicazione)44. La sentenza ritiene che il legislatore abbia inteso introdurre un trattamento più favorevole per le sole ipotesi di imperizia, affermando questo principio di diritto: “Il secondo comma dell’art. 590 sexies c.p. introdotto dalla legge 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. legge Gelli-Bianco), prevede che una causa di non punibilità dell’esercente la professione sanitaria operante, ricorrendo le condizioni previste dalla disposizione normativa (rispetto delle linee guida o, in mancanza, delle buone pratiche clinico-assistenziali, adeguate alla specificità del caso), nel solo caso di imperizia, indipendentemente dal grado della colpa, essendo compatibile il rispetto delle linee guida e delle buone pratiche con la condotta imperita nell’applicazione delle stesse45. Quindi nella sentenza Tarabori, l’art. 590 sexies c.p.si limiterebbe a parametrare diversamente la colpa per imperizia, escludendo la rilevanza penale delle condotte, eseguite nel rispetto di linee guida o buone pratiche clinico-assistenziali, caratterizzate tuttavia da colpa lieve, per imperizia, del sanitario, mentre, nella sentenza Cavazza, si riconosce natura di causa di non punibilità in senso stretto all’istituto, ritenendo che possa trovare applicazione quale che sia il grado della colpa per imperizia, purché si tratti di un errore commesso nell’esecuzione del trattamento sanitario previsto da linee guida o buone pratiche clinico assistenziali46. Le Sezioni Unite, con sentenza n. 8770 del 2018, su istanza del Primo Presidente della Corte di Cassazione, allora Giovanni Canzio, si sono pronunciate sulla questione a loro rimessa relativa a “quale sia, in tema di responsabilità colposa dell’esercente la professione sanitaria per morte o lesioni personali, l’ambito di esclusione della punibilità previsto dell’art. 590 sexies c.p., introdotto dall’articolo 6 della legge 8 marzo del 2017, n. 2447. Nella sentenza in esame si evidenzia che la distinzione tra imperizia, negligenza e imprudenza ha acquisito “peculiare rilevanza perché, nell’ipotesi di colpa da negligenza o imprudenza, la novella causa di non punibilità è destinata a non operare”, precisando che “la semplice constatazione della esistenza di linee-guida attinenti al caso specifico non comporta che la loro violazione di automaticamente luogo a colpa da imperizia48. Considerando la soluzione adottata nella Tarabori, le Sezioni Unite ritengono erroneo pensare che non vi sia “alcun residuo spazio operativo per la causa di non punibilità, giungendo alla frettolosa conclusione circa l’impossibilità di applicare il precetto, negando addirittura la capacità semantica della espressione “causa di non punibilità” e così offrendo, della norma, una interpretazione abrogatrice, di fatto in collisione con il dato oggettivo della iniziativa legislativa e con la stessa intenzione innovatrice manifestata in sede parlamentare49. Con riferimento alla sentenza Cavazza, si osserva che “cade nell’errore opposto perché attribuisce ad essa una portata applicativa impropriamente lata: quella di rendere non punibile qualsiasi condotta imperita del sanitario che abbia provocato la morte o le lesioni, pur se connotata da colpa grave50. Chiarendo la natura dell’istituto si sostiene che “il legislatore ha coniato una inedita causa di non punibilità per fatti da ritenersi inquadrabili – per la completezza dell’accertamento nel caso concreto – nel paradigma dell’art. 589 o di quello dell’art. 590 c.p., quando l’esercente una delle professioni sanitarie abbia dato causa ad uno dei citati eventi lesivi, versando in colpa da imperizia e pur avendo individuato e adottato, nonché, fino ad un certo punto, bene attualizzato le linee-guida adeguate al caso di specie”. Ribadito ciò, affermando che “La previsione della causa di non punibilità è esplicita, innegabile e dogmaticamente ammissibile”. Dato questo presupposto, la Corte individua l’ambito operativo della norma che consiste nell’avere il sanitario “cagionato per colpa da imperizia l’evento lesivo o mortale, pur essendosi attenuto alle linee-guida adeguate al caso di specie – che non è incongruente con la soluzione che promette51. Considerando le diverse fasi di individuazione, selezione ed esecuzione delle raccomandazioni contenute nelle linee guida, l’agente potrebbe rendersi responsabile della “mancata realizzazione di un segmento del relativo percorso”, che consente di ritenere che “le linee-guida sono state nel loro complesso osservate, pur a fronte di un errore parziale che, nonostante ciò, si sia verificato, con valenza addirittura decisiva” per la realizzazione dell’evento52. Con sentenza n. 16237 del 2013 la Corte era già pervenuta a tali conclusioni, affermando che “il professionista (che) si orienti correttamente in ambito diagnostico o terapeutico, si affidi cioè alle strategie suggeritegli dal sapere scientifico consolidato, inquadri correttamente il caso nelle sue linee generali e tuttavia, nel concreto farsi del trattamento, commetta qualche errore pertinente proprio all’adattamento delle direttive di massima alle evenienze ed alle peculiarità che gli si prospettano nello specifico caso clinico53. Le stesse conclusioni possono applicarsi alla nuova disciplina, con la precisazione che “L’errore non punibile non può, però, alla stregua della novella del 2017, riguardare – data la chiarezza dell’articolo al riguardo – la fase della selezione delle linee-guida54. L’errore di cui all’art. 590 sexies deve essere cercato, secondo le Sezioni Unite, nella “fase attuativa delle linee-guida”: a fronte infatti di una condotta del sanitario che “sia non solo accurato e prudente nel seguire l’evoluzione del caso sottopostogli ma anche e soprattutto preparato sulle leges artis e impeccabile nelle diagnosi anche differenziali; aggiornato in relazione non solo alle nuove acquisizioni scientifiche ma anche allo scrutinio di esse da parte della società e organizzazioni accreditate, dunque alle raccomandazioni ufficializzate con la nuova procedura; capace di fare scelte ex ante adeguate e di personalizzarle anche in relazione alle evoluzioni del quadro che gli si presentino”, qualora, ciò nonostante, questi abbia cagionato l’evento lesivo o mortale “il residuo dell’atto medico che appaia connotato da errore colpevole per imperizia” potrà essere coperto dalla nuova causa di non punibilità55. Occorre, però, secondo la Corte “circoscrivere un ambito o, se si vuole, un grado della colpa che, per la sua limitata entità, si renda compatibile” con l’impunità del sanitario, evitando irragionevoli compromissioni del diritto di salute, privando di adeguata tutela il paziente56. Secondo la Corte non è condivisibile l’avversione della dottrina e della precedete giurisprudenza nei confronti della rilevanza, anche in diritto penale, della distinzione tra colpa lieve e colpa grave, specie alla luce della chiara presa di posizione del legislatore con il citato Decreto “Balduzzi”, che espressamente operava tale differenza57. Né si ritengono fondati i dubbi circa l’eccessiva discrezionalità del giudice nel valutare il grado della colpa, dal momento che si tratta di un’operazione insita e connaturata alla valutazione della responsabilità penale nei delitti colposi58. Si sostiene, dunque, che “la mancata evocazione esplicita della colpa lieve da parte del legislatore del 2017 non precluda una ricostruzione della norma che ne tenga conto”, valorizzando il disposto dell’art. 2236 c.c., espressivo di un “principio di razionalità e regola di esperienza cui attenersi nel valutare l’addebito di imperizia, qualora il caso concreto imponga la soluzione del genere di problemi sopra evocati ovvero qualora si versi in una situazione di emergenza59. Dunque, viene esteso alla materia penale la limitazione di responsabilità ai soli casi di colpa grave, come previsto in materia civile dall’articolo 2236 c.c. Le Sezioni Unite precisano che “la colpa sia destinata ad assumere connotati di grave entità solo quando l’approccio terapeutico risulti marcatamente distante dalle necessità di adeguamento alle peculiarità della malattia, al suo sviluppo, alle condizioni del paziente. Ovvero, per converso, quando i riconoscibili fattori che suggerivano l’abbandono delle prassi accreditate assumano rimarchevole, chiaro rilievo e non lascino residuare un dubbio plausibile sulla necessità di un intervento difforme e personalizzato rispetto alla peculiare condizione del paziente60. Nel valutare il grado della colpa, il giudice dovrà tenere conto “delle specifiche condizioni dell’agente e del suo grado di specializzazione; la problematicità o equivocità della vicenda; la particolare difficoltà delle condizioni in cui il medico ha operato; la difficoltà obiettiva di cogliere e collegare le informazioni cliniche; il grado di atipicità e novità della situazione; la impellenza; la motivazione della condotta; la consapevolezza o meno di tenere una condotta pericolosa61. La valutazione dovrà essere condotta alla luce del parametro dell’homo eiusdem professionis et condicionis, e tenendo conto delle specifiche condizioni in cui il trattamento è avvenuto. Viene richiamato il criterio quantitativo, volto a misurare “il quantum dello scostamento dal comportamento che ci si sarebbe attesi come quello utile, per determinare il grado della colpa”, necessario per circoscrivere la discrezionalità del giudice, attraverso il procedimento pubblicistico per la formalizzazione delle linee-guida rilevanti, che conferisce a quest’ultime un maggior grado di certezza, obiettività e affidabilità62. Le Sezioni Unite concludono nel senso che “la colpa dell’esercente la professione sanitaria può essere esclusa in base alla verifica dei noti canoni oggettivi e soggettivi della configurabilità del rimprovero e altresì in ragione della misura del rimprovero stesso. Ma, in quest’ultimo caso – e solo quando configurante “colpa lieve” – le condizioni richieste sono il dimostrato corretto orientarsi nel campo delle linee-guida pertinenti in relazione al caso concreto ed il progredire nella fase della loro attuazione, ritenendo l’ordinamento di non punire gli adempimenti che si rivelino imperfetti63. In conclusione, questi sono i seguenti principi di diritto in risposta alla questione sollevata dal Primo Presidente: “L’esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio dell’attività medico-chirurgica: a) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da negligenza o imprudenza; b) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali; c) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche che non risultino adeguate alla specificità del caso concreto; d) se l’evento si è verificato per colpa “grave” da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni, di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle specifiche difficoltà tecniche dell’atto medico64.

Tabella 1. Fattori di rischio degli eventi autoaggressivi

Fattori di rischio biopsicosociali

Fattori di rischio ambientali

Fattori di rischio socioculturali

Disturbi mentali, dell’umore, schizofrenia, ansia grave e alcuni disturbi della personalità

Perdita di lavoro o finanziaria

Mancanza di sostegno sociale e senso di isolamento

Disturbi da abuso di sostanze

Perdite relazionali o sociali

Stigma associato con necessità di aiuto

Tendenze impulsivo e/o aggressive

Facile accesso ad armi letali

Ostacoli nell’accedere alle cure mediche, relative alla salute mentale e all’abuso di sostanze

Storia di trauma e abusi

Eventi locali di suicidio che possono indurre fenomeni di contagio

Alcune credenze culturali e religiose

Alcune patologie mediche gravi

Esposizione ad atti di suicidio, anche attraverso i mass media

Precedenti tentativi di suicidio

Storia familiare di suicidio

Tabella 2. Fattori di rischio degli eventi eteroaggressivi

Predittori di rischio demografici ed anamnestici

Predittori di rischio clinici

Sesso maschile (maggiore frequenza e gravità)

Psicosi: ideazione delirante, allucinazioni uditive, concomitante abuso di alcol e/o sostanze, fasi di acuzie del quadro clinico, fasi di ricovero, scarsa aderenza al trattamento

Età giovanile (anziani con disturbi psico-organici)

Mania: ideazione delirante di grandezza o persecutoria, disorganizzazione del pensiero, tentativi di contenimento o limitazione dei progetti

Basso livello socio-economico

Disturbi di personalità: antisociale, borderline, paranoide

Ridotto supporto sociale

Abuso di sostanze

Disoccupazione

Disturbi psico-organici

Abusi infantili o storia di violenza familiare

Uso di droghe o alcol (fattori disinibenti)

Ritardo mentale o danni cerebrali (anche lievi)

Eventi stressanti (problemi economici, cambiamenti improvvisi)

1 È necessario brevemente delineare il quadro previgente per coglierne le differenze con l’attuale regime. L’art. 3 della L. 189 del 2012, abrogato dal citato art. 6 della Gelli-Bianco così disponeva: “L’esercente della professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve”. Dunque la responsabilità colposa risultava così limitata, derivante questa dal mancato rispetto delle “linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica”: esse sono indicazioni della comunità medica elaborate in seno alle associazioni degli specialisti in ciascuna branca della medicina, in merito alle modalità di esecuzione, ai rischi, agli effetti collaterali e ai benefici di ciascuna pratica medico-chirurgica, in relazione alle specifiche patologie che è destinata a curare. La Corte di Cassazione con la sentenza n. 16237 del 2013 evidenziò che le linee guida costituiscono “direttive generali ed istruzioni di massima”, dirette al sanitario perché ne faccia applicazione, calandole nel caso concreto, ovvero esse necessitano di “adattamento”. Ed allora occorrerà accertare la “perizia” del sanitario. Consequenzialmente, l’elemento soggettivo, richiesto, del reato, “la colpa lieve”, ridusse l’area di responsabilità ai soli casi di colpa grave per imperizia, con l’irrilevanza penale, ferma la responsabilità civile, delle ipotesi di colpa lieve nell’adattamento delle linee guida al caso concreto. Con altra pronuncia, n. 23283 del 2016 la Corte sottolinea che il parametro valutativo non sempre sia la “perizia”, considerando che le prestazioni richieste possono riguardare tanto l’ “accuratezza” quanto “l’adeguatezza professionale”, e che le raccomandazioni contenute nelle linee guida possono essere rivolte a personale diverso da quello medico, per cui la perizia non sia richiesta. Infatti la “colpa generica” può attenere a profili diversi dall’imperizia. Queste due soluzioni offerte hanno rappresentato spunti riflessivi ed ispirazioni per il legislatore della novella n. 24 del 2017. Si veda F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.

2 A. Buzzoni, “Responsabilità medica e sanitaria: la riforma Gelli”, Milano, 2017, 41 ss.; F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.

3 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.

4 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.

5 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.

6 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.

7 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.

8 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.

9 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.

10 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.

11 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.

12 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.

13 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.

14 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.

15 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.

16 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.

17 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.

18 Si veda l’illustrazione della sentenza n. 28187/2017, su www.simlaweb.it.

19 Sentenza n. 28187/2017, su www.simlaweb.it.

20 N. 28187/2017, su www.simlaweb.it.

21 N. 28187/2017, su www.simlaweb.it.

22 Cass. Pen., n. 4391/2012. Si veda N. 28187/2017, su www.simlaweb.it.

23 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.

24 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.

25 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.

26 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.

27 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.

28 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.; A. Buzzoni, op. cit., 41 ss.

29 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.

30 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss. ; A. Buzzoni, op. cit., 41 ss.

31 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.

32 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.; A. Buzzoni, op. cit., 41 ss.

33 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 753 ss.

34 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.

35 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.

36 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.; A. Buzzoni, op. cit., 41 ss.

37 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.; A. Buzzoni, op. cit., 41 ss.

38 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.

39 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.; A. Buzzoni, op. cit., 41 ss.

40 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.; A. Buzzoni, op. cit., 41 ss.

41 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss. A. Buzzoni, op. cit., 41 ss.

42 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss. A. Buzzoni, op. cit., 41 ss.

43 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss. A. Buzzoni, op. cit., 41 ss.

44 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.; A. Buzzoni, op. cit., 41 ss.

45 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.; A. Buzzoni, op. cit.,41 ss.

46 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.; A. Buzzoni, op. cit., 41 ss.

47 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.

48 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss. A. Buzzoni, op. cit., 41 ss.

49 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.

50 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss. A. Buzzoni, op. cit., 41 ss.

51 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss. A. Buzzoni, op. cit., 41 ss.

52 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss. A. Buzzoni, op. cit., 41 ss.

53 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.

54 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.; A. Buzzoni, op. cit., 41 ss.

55 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.; A. Buzzoni, op. cit., 41 ss.

56 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.

57 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.

58 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.; A. Buzzoni, op. cit.,41 ss.

59 Viene inoltre citata dalle Sezioni Unite la già esaminata sentenza della Corte Costituzionale n. 166 del 1973, dalla quale emerge “il principio, costituzionalmente compatibile, della gradualità della colpa da “imperizia” del sanitario impegnato nella soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà e il riconoscimento della possibilità di esenzione di una parte di essa dal rilievo penalistico”. Si veda F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.

60 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.; A. Buzzoni, op. cit., 41 ss.

61 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.; A. Buzzoni, op. cit., 41 ss.

62 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss.; A. Buzzoni, op. cit., 41 ss.

63 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss. A. Buzzoni, op. cit., 41 ss.

64 F. Caringella-A. Salerno, op. cit., 753 ss. A. Buzzoni, op. cit., 41 ss.

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