2.1. Tipicità
La tipicità del reato attiene all’elemento oggettivo dell’illecito penale, ma, a differenza della teoria bipartita, non ricomprende l’elemento dell’antigiuridicità. Secondo la condivisa teoria tripartita, il fatto tipico si compone dell’insieme degli elementi costitutivi del reato, individuati dal legislatore nel descrivere la fattispecie criminosa. Solo in presenza di ciascuno di essi il fatto tipico può ritenersi integrato, consentendo al giudice di procedere all’accertamento dell’antigiuridicità e della colpevolezza del reo1. Un esempio può consentire la miglior comprensione della nozione del fatto tipico: l’art. 575 c.p. punisce con la pena della reclusione non inferiore ad anni ventuno “chiunque cagiona la morte di un uomo”2; a fronte di un’imputazione di omicidio, dunque, il giudice dovrà accertare che l’imputato abbia cagionato la morte della persona offesa; occorre dimostrare in giudizio, nel contraddittorio tra le parti, la sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di omicidio, e, in specie, la condotta dell’imputato che si assume essere causativa della morte della persona offesa, nonché l’effettivo decesso della vittima, e l’imputabilità sul piano oggettivo dell’evento morte alla condotta dell’imputato (nesso causale). Successivamente all’aver verificato la sussistenza dei suddetti elementi costitutivi del fatto tipico, cioè della fattispecie criminosa nel suo elemento oggettivo, lo “iudex”, ovvero il giudice, potrà valutare se l’imputato abbia agito in presenza di una causa di giustificazione (nel caso dello stato di necessità, uso legittimo delle armi e legittima difesa) e se sussista in capo allo stesso soggetto l’imputabilità (capacità di intendere e di volere) e l’elemento soggettivo (doloso, colposo o preterintenzionale a seconda del capo d’imputazione)3. Pertanto il fatto tipico è rappresentato dagli eventi storico-materiali che il legislatore punisce come reato e ricomprende ogni elemento costitutivo della fattispecie criminosa4. Non bisogna, tuttavia, considerare che la tipicità costituisca un elemento autonomo e separato, indifferente, alle componenti dell’antigiuridicità e della colpevolezza, poiché la ripartizione della struttura del reato rappresenta esclusivamente lo strumento analitico che agevola il magistrato ed il difensore in sede di interpretazione e di accertamento degli elementi costitutivi della fattispecie criminosa, pur quest’ultima restando un fenomeno unitario, come dimostrando le interferenze tra le tre fondamentali componenti. Si pensi alla rilevanza, ad esempio, che assume il consenso del paziente nell’attività medico-chirurgica, che può operare quale scriminante della condotta del sanitario che abbia cagionato lesioni al paziente ovvero come elemento costitutivo, in negativo, con rilevanti conseguenze pratiche a seconda dell’impostazione a cui si aderisce5. Più intensa è l’interferenza tra la tipicità e la colpevolezza, stante la duplice funzione che l’elemento soggettivo del reato svolge nella fattispecie incriminatrice: si può addurre come esempio il richiamo alle fattispecie con cui si puniscono le lesioni e l’omicidio, rispetto ai quali il legislatore ha autonomamente disciplinato le ipotesi criminose dolose (intenzionali, di cui agli artt. 582 e 575 c.p.) rispetto alle medesime in forma colposa (ex artt. 589 e 590 c.p., cui si aggiunge l’art. 584 c.p. per l’omicidio preterintenzionale)6. Il diverso atteggiarsi dell’elemento soggettivo rileva già sul piano della tipicità del reato e comporta la contestazione di una diversa fattispecie criminosa e, dunque, l’accertamento di elementi costitutivi diversi a seconda che si tratti di omicidio, per esempio colposo, doloso e preterintenzionale7. Tuttavia, la tipicità del reato e gli elementi costitutivi della fattispecie penale utilizzati per descrivere il fatto tipico comportano conseguenze sul piano della colpevolezza, specie in sede di accertamento dell’elemento soggettivo del reo e sulla possibilità di invocare una causa di giustificazione (ad esempio il consenso dell’avente diritto non può sortire effetto alcuno in caso di condotte che ledono un bene indisponibile)8. Come si è già avuto modo di evidenziare, l’ordinamento penale richiede, perché possa prevedersi la punizione di un reato e quindi pervenirsi ad una sentenza di condanna, che questo si sostanzi in un fatto idoneo ad offendere un bene giuridico meritevole di tutela penale (e quindi costituzionalmente rilevante, almeno implicitamente)9. La stessa Carta costituzionale, all’art. 25, secondo comma, fa espresso riferimento ad un “fatto”, che sia stato commesso prima dell’entrata in vigore della legge che punisce. Allo stesso modo, il Codice penale, recependo il noto brocardo “cogitationis poenam nemo patitur”, secondo cui nessuno può subire una pena esclusivamente per le proprie intenzioni, esclude, ai sensi dell’art. 115, secondo comma, che il mero accordo finalizzato alla commissione di un delitto possa essere punito se non viene materialmente eseguito. Pertanto nell’ordinamento penale non è possibile punire le mere intenzioni dell’individuo, occorrendo che la sua volontà criminosa si estrinsechi in un comportamento materiale, realizzando il “fatto” previsto dalla legge come reato10. Questo fatto, dunque, deve venire ad esistenza e deve essere riconducibile ad un comportamento del reo, dal momento che il nostro sistema penale non ammette forme di responsabilità per fatto altrui o di carattere strettamente oggettivo (non può attribuirsi responsabilità penale ad un soggetto per un fatto che non sia ad esso imputabile, oggettivamente e soggettivamente)11.
2.1.1. Reati commissivi ed omissivi
Sono i reati in forma attiva quelli consistenti in un “facere” del reo, che pone in essere un comportamento attivo penalmente sanzionato; i reati in forma omissiva avrebbero invece ad oggetto un “non facere”, ossia un comportamento negativo. A tale impostazione, che considera l’omissione come dato naturalistico, in termini di non azione o inerzia, è stato opposto che il reo, anche nei reati omissivi, non si limita a non agire, ma molto spesso, agisce diversamente, tenendo cioè un comportamento diverso rispetto alla condotta prescritta12; Per tale motivo si è abbandonata l’accezione c.d. naturalistica o materiale di omissione, facendo leva sul dato normativo, che, nei reati omissivi, prescrive in maniera espressa o implicita, in base alla formulazione della norma incriminatrice, di tenere un determinato comportamento, in mancanza del quale il soggetto si rende responsabile del reato13. Secondo l’impostazione normativa, l’omissione non si sostanzia in una inerzia, ma nel mancato adempimento all’obbligo di tenere il comportamento dovuto. In sintesi, i reati di azione consistono in una condotta attiva che viola un precetto normativo di divieto, mentre i reati omissivi sanzionano il mancato adempimento dell’obbligo di tenere un comportamento imposto dal legislatore in presenza di determinati presupposti14.
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I reati omissivi propri ed impropri
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Approfondendo l’ambito dei reati omissivi, si distingue a seconda che il legislatore penale punisca la mera omissione da parte del reo ovvero la causazione di un evento in ragione della condotta omissiva. Nel primo caso non occorre che il mancato compimento dell’azione dovuta abbia determinato la causazione dell’evento, necessario è invece nei reati omissivi d’evento, definiti “commissivi mediante omissione”15. Infatti mentre nei reati omissivi di mera condotta, il legislatore descrive compiutamente , per il principio di tassatività, i presupposti dell’obbligo di agire e il comportamento a cui è tenuto il reo, nei reati omissivi in cui è richiesta la causazione di un evento è possibile registrare due diverse modalità di descrizione del reato16. Non sempre tuttavia il legislatore individua espressamente l’obbligo di agire: il Codice penale all’art. 40 prevede in via generale che “che non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. La norma in questione è definita dalla dottrina e dalla giurisprudenza “clausola di equivalenza”, poiché equipara la causazione di un evento al mancato impedimento del medesimo, quando sul reo gravi l’obbligo giuridico di impedirlo. Sulla scorta di quanto detto, è possibile allora affermare che un soggetto è responsabile penalmente se, gravato dall’obbligo di impedire un evento, non si sia attivato in tal senso; qui il legislatore non ha costruito la fattispecie omissiva ma ha optato per il combinato disposto tra una norma incriminatrice d’evento e la clausola di equivalenza ex art. 40, comma secondo, che consente, a determinate condizioni, di convertire il reato d’evento in forma omissiva17. Una parte della dottrina assegna rilevanza alla diversa tecnica descrittiva dei reato omissivi d’evento, definendo i primi come reati omissivi propri e qualificando come reati omissivi impropri le fattispecie che richiedono il ricorso alla clausola di equivalenza ex art. 40, 2° comma c.p. Diversa impostazione fonda la distinzione tra reati omissivi propri ed impropri sulla struttura della fattispecie penale, a seconda che il legislatore abbia richiesto o meno l’impedimento di un evento o abbia sanzionato la mera condotta omissiva. Un’autorevole dottrina18 ha al riguardo evidenziato che, alla luce della peculiare disciplina dell’art. 40 e delle rilevanti implicazioni pratiche che derivano dal ricorso a questa clausola, specie in sede di accertamento dei presupposto del reato, è opportuno adottare quale criterio distintivo tra le due categorie, quello inerente alla tecnica di formulazione normativa; può affermarsi che i reati omissivi impropri sono tutti reati d’evento, poiché tutti si caratterizzano per il ricorso alla norma generale di cui all’art. 40, secondo comma, c.p., anche se non è corretto considerare tutti i reati d’evento come reati omissivi impropri, dato che esistono fattispecie omissive d’evento espressamente e puntualmente tipizzate dal legislatore, senza necessità di far ricorso alla clausola dell’equivalenza (come la contravvenzione del 659 c.p.)19.
1 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.
2 Fiandaca- Musco, “Diritto penale, Parte speciale”, Bologna, 2018, pag. 1. Si veda F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.
3 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.
4 F. Mantovani, “Diritto penale”, Milano, 2019, pag. 120; G. Fiandaca- E. Musco, “Diritto penale. Parte generale”, Bologna, 2018, pag. 193; F. Antolisei, “Manuale di diritto penale. Parte generale”, Milano, 2018, pag. 196. F. Caringella- A. Salerno, “Manuale ragionato di diritto penale”, Roma, 2019, pag. 450.
5 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.
6 G. Fiandaca- E. Musco, “Diritto penale, Parte speciale. I delitti contro la persona”, Bologna, 2018, pag. 1 ss. Vedi F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.
7 F. Mantovani, op. cit., pag. 120; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag. 196. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.
8 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.
9 F. Mantovani, “Diritto penale”, Milano, 2019, 233 ss. ; G. Fiandaca- E. Musco, “Diritto penale. Parte generale”, Bologna, 2018, 267; F. Antolisei, “Manuale di diritto penale. Parte generale”, Milano, 2018, 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.
10 F. Mantovani, “Diritto penale”, Milano, 2019, 233; Fiandaca-Musco, “Diritto penale. Parte generale”, Bologna, 2018, 267; F. Antolisei, “Manuale di diritto penale. Parte generale”, Milano, 2018, 196; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.
11 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.
12 Si pensi ad uno dei reati omissivi per antonomasia, l’omissione di soccorso, punita ai sensi dell’art. 593 c.p.: il delitto punisce, ai sensi del secondo comma, chiunque, trovando un corpo umano che sia o sembri inanimato, ovvero una persona ferita o altrimenti in pericolo, ometta di prestare assistenza o di darne immediato avviso all’Autorità. G. Fiandaca- E. Musco, “Diritto penale. Parte generale”, Bologna, 2018, 267 ss.; per i reati omissivi si veda: O. Vannini, “I reati commissivi mediante omissione; G Grasso, “Il reato omissivo improprio. La struttura obiettiva della fattispecie”; A. Cadoppi, “La distinzione fra reato omissivo proprio ed improprio”, Rilievi critici , in Studi parmensi.
13 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.
14 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.
15 Si veda F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.
16 Una prima è rappresentata dall’art 659 c.p., che nel punire il disturbo del riposo delle persone, sanziona chiunque “non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone”: il legislatore descrive puntualmente i requisiti in presenza dei quali il reo è tenuto ad attivarsi per impedire il verificarsi dell’evento, nonchè l’evento da impedire. F. Caringella- A. Salerno, “Manuale ragionato di diritto penale”, Roma, 2019, 513 ss.
17 Si pensi all’omicidio causato attraverso l’omesso impedimento della morte di una persona di cui il reo abbia la responsabilità (nel caso dei genitori rispetto ai figli minori). Si veda F. Mantovani, op. cit., pag 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.
18 In tal senso Fiandaca e Musco. Si veda F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Findaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.
19 Si veda F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.
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