In psicoanalisi si entra dalla porta del sintomo. Non ci sono altre porte. Tutte le domande di analisi, per quanto varie possano essere, non conducono che ad anticamere dalle quali si accederà all'analisi varcando la soglia del sintomo. Anche il futuro analista, sebbene si presenti con una domanda di formazione, se avrà coraggio e fortuna – se il proprio analista non indietreggerà di fronte al proprio atto che richiede un rigore senza compromessi – prima o poi metterà un ter­mine al suo trastullarsi con gli ideali e affronterà il modo in cui la pulsione ha morso traumaticamente la sua carne, e scoprirà eventual­mente che la domanda di divenire analista era una risposta a questo morso. Una risposta sintomatica. Da lavorare in analisi come ogni altro sintomo.
Questo ci ha insegnato Freud.

Lacan ci insegna – da parte sua – che l'uscita dalla psicoanalisi avviene dalla porta del sintomo,
Che storia è questa? Vuol forse dire che la psicoanalisi non è nient'altro che un modo come un altro per arrivare a convivere con la propria sofferenza? Che, in fondo, la psicoanalisi è paragonabile a una religione laica e monca: come una religione perché insegna a sopportare la vita che è una valle di lacrime, ma monca poiché lai­camente non sa promettere niente e non fa sperare in nessun aldilà?
Non si tratta di questo. Effettivamente, seguendo l'insegnamento di Lacan, la fine dell'analisi è sigillata dal rapporto del soggetto con il proprio sintomo. Con il proprio partner-sintomo, per usare la feli­ce espressione che Jacques-Alain Miller ha dato come titolo del X Incontro Internazionale del Campo freudiano che si svolgerà al Palaz­zo dei Congressi di Barcellona il 24, 25 e il 26 luglio prossimo.
Ma il sintomo di uscita è lo stesso del sintomo di entrata? Il ter­mine sintomo non ricopre forse più dimensioni?
Abbiamo, in effetti, una dimensione del sintomo che chiamerei -dal punto di vista psicoanalitico – di livello zero. È la dimensione comune del sintomo: è il sintomo medico. Il sintomo medico non è il sintomo analitico, sebbene il sintomo analitico prenda le mosse dal sintomo medico. Il sintomo medico può – eventualmente ma non necessariamente – avere una dimensione preanalitica.
Che cosa contraddistingue il sintomo medico? Il fatto di essere segno di una malattia. Il segno è qui inteso come una nozione che qua­lifica un tipo di ragionamento logico che permette di collegare un ele­mento, per esempio un dato diagnostico, con un altro, per esempio uno stato morboso. E in patologia medica più il segno è univoco, più è ope­rativo, poiché permette di individuare più facilmente la malattia di cui è indice. Notiamo due proprietà del sintomo medico: da un lato è un segno che indica un legame reale con il corpo malato; dall'altro è un segno per il medico, ma non "fa segno" al paziente. Di per sé, al pazien­te come al medico, il sintomo medico indica solo che c'è una malattia in corso. Per questo motivo Lacan preferisce chiamare il sintomo medi­co indice diagnostico oppure indice naturale, piuttosto che segno.
Per spostarsi dal sintomo medico al sintomo psicoanalitico occor­rono due scoperte di Freud. La prima è la scoperta che il sintomo, da indice, ossia da segno logico, diventa un segno linguistico. Da segno "indice" a segno "parlante". Prima ancora che il paziente vada dallo psicoanalista, il sintomo "fa segno" al soggetto di qualcosa che non va e che lo concerne in quanto soggetto e non in quanto organismo. Gli fa segno tanto più quanto il sintomo si ripete identico a se stesso in condizioni diverse. Fondamentalmente, quindi, il sintomo di cui soffre il nevrotico "parla", ossia vuoi dire qualcosa, è un messaggio, anche se per il soggetto il suo significato rimane ignoto, sconosciuto, rimosso, dirà Freud.
La seconda scoperta Freud l'ha fatta grazie alle isteriche che si lamentavano di sintomi somatici, che erano sconnessi però con la realtà degli organi: si comportavano come se l'anatomia non esistesse. Da una parte quindi il sintomo analitico non ha necessariamente un legame reale con l'organismo e dall'altra il sintomo "fa segno" al sog­getto di un senso, di un senso inconscio. Lacan dirà che il sintomo è linguaggio la cui parola attende di essere liberata.
Ecco dunque inquadrato il sintomo in quella cornice che defini­sce l'inconscio freudiano. Il sintomo, come del resto le altre forma­zioni dell'inconscio, quali il sogno, il lapsus, il motto di spirito, rive­la che l'inconscio freudiano è strutturato come un linguaggio. Il sintomo tuttavia differisce dalle altre formazioni dell'inconscio quan­to alla sua temporalità, poiché, diversamente dalle altre formazioni dell'inconscio che sono puntuali o evanescenti, esso ha la caratteristi­ca di ripetersi, il che gli conferisce quel versante di sgradevole pesan­tezza quando la ripetizione dispiega un dispiacere di cui però non se ne può fare a meno.
Il sintomo psicoanalitico, in quanto formazione dell'inconscio, partecipa dunque della struttura di linguaggio che caratterizza l'in­conscio freudiano. Esso ha la struttura di significante. In quanto tale viene a rappresentare il soggetto, ne diventa la sua insegna, insegna da esibire o, sovente, di cui vergognarsi. Inoltre lo rappresenta per un altro significante, per esempio per un significante qualunque, che è la funzione di un qualunque psicoanalista, la cui articolazione potrà pro­durre quell'effetto speciale di senso che Lacan chiama "soggetto-sup­posto-sapere", che è il fulcro della relazione transferale.
Ma come si forma il sintomo? Freud dirà che il sintomo si forma tramite il lavoro dell'inconscio. Proprio a causa della struttura del­l'inconscio freudiano, Lacan dirà che il sintomo si forma come un'o­perazione di linguaggio e cioè come una metafora. Abbiamo una metafora quando un significante viene sostituito da un altro signifi­cante e questa sostituzione ha come effetto un certo guadagno, per esempio la creazione di un senso nuovo, poetico. Mentre ciò che si veicola nello spostamento significante senza cristallizzarsi in un effet­to metaforico è il desiderio inconscio, e per questo Lacan dirà che il desiderio inconscio è una metonimia.
Per illustrare il valore di metafora del sintomo prendiamo l'esem­pio del piccolo Hans. Un unico tratto ne rivela la struttura di nevro-si: la sostituzione del padre con il cavallo. Il guadagno consiste in un doppio beneficio: localizzare l'angoscia sul cavallo e risolvere l'ambi­valenza nei confronti della figura paterna, così Hans potrà amare il padre e temere il cavallo.
           Lacan, però, successivamente, dovrà arrendersi all'evidenza che la struttura di metafora del sintomo non rende conto della ripetizione. La ripetizione del sintomo non è la ripetizione significante, ma è una ripetizione pulsionale e non tutto della pulsione riesce a metabolizzarsi nell'ordine del simbolico. C'è un reale che è refrattario al sim­bolico e che si ripete. La causa di questa ripetizione Lacan la defini­sce "godimento".
In questa nuova prospettiva il sintomo non ha più la struttura di significante, che necessariamente rinvia alla catena significante, la modalità quindi che ha il soggetto di rappresentarsi presso l'Altro, ma ha struttura di lettera. Il sintomo è allora marchio di godimento, la cui significazione rimane enigmatica. Non si tratta più di un sintomo ripreso nell'ordine simbolico, ma di un sintomo che Lacan situerà nel nodo borromeo nell'intersezione tra il reale e il simbolico.
È la nuova versione del sintomo che Lacan scriverà sinthome. Si tratta della supplenza alla mancanza del Nome-del-Padre che funzio­nerà come il perno per lo psicotico. Ma si tratta anche dell'osso di godimento con cui il soggetto si troverà a fare i conti alla fine della propria analisi, quando il legame che il soggetto intrattiene ordinaria­mente con il godimento viene meno. Lacan parla allora d'identifica­zione con il sintomo. Ora, mentre il sintomo, nel suo statuto di signi­ficante, non dà un'identità al soggetto ma unicamente lo rappresenta, al contrario il sintomo nel suo statuto di lettera dà un'identità poiché non rinvia più a un significante per rappresentarlo, ma rinvia alla "cosa", la cosa di godimento che, in fondo, egli è.
Nel 1975-76 Lacan dedica il suo Seminario XXIII a questo nuovo statuto del sintomo, che in italiano scriveremo sinthomo. Joyce serve a Lacan da falsariga per la sua questione. Ne abbiamo un saggio nella conferenza su "Joyce il sintomo" di Lacan e sul commento fatto da Jacques-Alain Miller in un seminario tenuto a Barcellona.
Così si va dal sintomo che è un disfunzionamento al sinthomo che è, per riprendere l'espressione di Jacques-Alain Miller, "un funziona­mento", una cosa che funziona, anzi, per il soggetto, la cosa che gli funziona meglio. Così l'analizzante scoprirà che il sintomo di cui si lamentava è ciò che gli permette di stare al mondo. E di starci, per­ché no, bene.
La litografia di Félicien Rops riprodotta in copertina fa riferi­mento a quella prima coppia, Eva e il serpente, di cui Lacan parla nella lezione del 18 novembre 1975 del Seminario XXIII Il sinthomo (Astrolabio).

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LANCAN E IL LINGUAGGIO

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