Annalisa Piergallini "Sospensioni", 1999
Ho postato una delle “Piccole mappe” di Antonio Di Ciaccia sull’insegnamento di Jacques Lacan, qualcuno ha commentato: chi me lo traduce in umano medio? Ho risposto che non si può, che la psicoanalisi ha nomi e cognomi. Necessita di qualcuno che incarni il desiderio dell’analista e che reinventi la teoria e la pratica, secondo il suo stile.
La tattica in Lacan è molto libera, meno la strategia e ancor meno la politica, che coincide con l’etica[1].
Ho sperimentato da analizzante la modalità di Antonio di fare l’analista. Fare, perché dell’essere non se ne parla. L’analista paga con il suo essere[2], senza averne un guadagno. Non è un ombrello, un’identificazione, non ci ripara.
Sono stati anni lunghi, entusiasmanti, i primi, difficili, i seguenti. Difficilissimi gli ultimi. Alla fine è stato come Alice con la Regina di cuori: “Non siete che un mazzo di carte!”[3] Ma prima di uscirne, è stato un bel viaggio nel paese delle Meraviglie che ha sconvolto (era quello che volevo) non solo la mente e il cuore, ma anche e soprattutto il corpo. Per me, al livello del reale, è stato un avvicinarsi al corpo, per poi doverne ritagliare di nuovo un pezzettino.
Al livello immaginario è stato come entrare nello specchio, poi romperlo, poi rifarlo a modo mio, scheggia dopo scheggia. Al livello simbolico è stato come trovare il grimaldello per aprire le porte della prigione-manicomio, poi accorgersi che non esisteva nessuna prigione per sprofondare in un manicomio universale e infine recuperare quello che prima era oppressione, trasformarlo in paracadute, anzi dieci, cento, mille paracaduti diversi. Ma niente è stato piegato, educato, riformato. La mia creatività non è stata affatto diminuita, tutt’altro, è esplosa. L’ispirazione (prima imprevedibile) non cessa mai, come un rubinetto, basta aprirlo. Il mio amore per la sovversione soddisfatto, anche troppo! Volevo fare la rivoluzione, ho almeno avuto il piacere di farne una, la mia: la sovversione del soggetto[4].
Ecco io di tutto questo devo ringraziare Antonio Di Ciaccia, che ha saputo incarnare per me quell’oggetto perduto, con grazia, delicatezza, ma senza indietreggiare, barcollare, spaventarsi o scoraggiarsi. E ce n’è voluta di pazienza, per stanare pregiudizi che non sapevo di avere, godimenti che non sapevo di servire, padroni che sfottevo, senza liberarmene.
Insomma ora ho il piacere di condividere con voi questi testi, chiari, comprensibili, liberi da egocentrismi, narcisismi, auto-compiacimenti, davvero didattici, senza essere noiosi.
Non si ha mai l’impressione di essere deficienti ascoltando o leggendo Antonio, come un bravo insegnante, sa scomparire, lasciando solo una traccia del suo desiderio: che l’altro impari. Come psicoanalista: che l’altro arrivi almeno dove è arrivato lui.
[1] Da “La direzione della cura” di Lacan, negli Scritti, Einaudi, Torino, 1978.
E dal Seminario VIII di Lacan: Il transfert, Einaudi, Torino, 2008 (trad. A. Di Ciaccia)
E dal Seminario VIII di Lacan: Il transfert, Einaudi, Torino, 2008 (trad. A. Di Ciaccia)
[2] Da “La direzione della cura” di Lacan, cit.
[3] L. Carroll, Alice nel paese delle meraviglie e Attraverso lo specchio, Rizzoli, Milano, 2016.
[4] “La sovversione del soggetto”, negli Scritti, cit.