Manfred Spitzer è un neuropsichiatra tedesco, dirige il Centro per le Neuroscienze e l'Apprendimento dell'Università di Ulm. Da anni si occupa di sviluppo cerebrale e di rapporto di questo con l'utilizzo dei media digitali (tv, internet, videogiochi, e adesso smartphone e tablet). Nel 2012 ha scritto un libro – pubblicato in Germania e poi edito in Italia per la prima volta nel 2013 da Garzanti – dal titolo «Demenza digitale», espressione che si riferisce alla sindrome individuata nel 2008 da alcuni specialisti in Corea del Sud, paese ad alta diffusione di tecnologia informatica, che colpiva i giovani dediti all’uso dei media digitali per molte ore al giorno e caratterizzata da appiattimento emotivo, difficoltà di attenzione e di memoria e un generale declino delle capacità di apprendimento.
Il libro, giunto da noi alla quarta edizione, spiega con un linguaggio accessibile la nefasta influenza che l'utilizzo costante dei media digitali (quantificabile, nello specifico, in alcune ore al giorno) ha sullo sviluppo cognitivo degli esseri umani, specie se in età evolutiva. Tale effetto sarebbe determinato da una riduzione del tempo di elaborazione degli stimoli necessario affinchè si verifichi un buon apprendimento (in particolare attraverso il sostare attivo dell'attenzione su uno stesso stimolo) e dalla concomitante facile distrazione cui l'individuo è indotto dall'interferenza continua dei molteplici elementi presenti su uno schermo (cosa che induce al cosiddetto multitasking, ossia al saltare dell'attenzione velocemente da uno stimolo all'altro). Si tratta di condizioni che, a lungo andare, modificano il funzionamento dei processi attentivi e di autocontrollo cognitivo (le cosiddette “funzioni esecutive”) e l'attività cerebrale ad essi sottesa.
Il concetto di fondo è semplice: la “profondità di codifica” – concetto caro alla psicologia dell'apprendimento – cioè la complessità dell'elaborazione cognitiva cui sottoponiamo uno stimolo influenza la solidità dei nostri apprendimenti, nel senso che più ci soffermiamo e riflettiamo attivamente su un elemento da apprendere, maggiore sarà la probabilità di ricordarlo a lungo termine. Questo processo ha dei correlati biologici chiari costituiti dal numero di collegamenti dendritici tra i gruppi di neuroni coinvolti nell'elaborazione e nella memorizzazione di uno stimolo. La profondità di codifica è quindi direttamente collegata al tempo e all’impegno attivo che dedichiamo al materiale da apprendere, ma anche alle varie funzioni e processi cognitivi che si attivano durante quell'elaborazione. Più processi e funzioni saranno coinvolti, più estesi saranno le tracce e i collegamenti mnestici che l'esperienza di apprendimento lascerà nel cervello. Essendo il cervello l'organo fisico più plastico del nostro organismo tutte le attività cognitive che facciamo con costanza lasciano una traccia in esso, cioè ne modificano funzionamento e struttura. Come lo svolgere attività cognitive complesse e impegnative migliora a lungo andare il funzionamento delle funzioni esecutive, l'uso continuo dei media digitali e il multitasking connesso causano negli utenti un declino di queste abilità, il cui buon funzionamento la scienza ha dimostrato essere prezioso per proteggere l'individuo dal declino cognitivo associato all'avanzare dell'età.
Già da alcuni anni diversi studi, riportati con dovizia di particolari nel libro, evidenziano non solo che l'uso intensivo dei media digitali riduce il tempo che i bambini e i ragazzi dedicano alle informazioni da apprendere (ai compiti, ad esempio) con conseguente scadimento del loro rendimento scolastico e del livello di istruzione raggiunto nel tempo, ma anche quello dedicato alla socializzazione diretta coi propri coetanei, determinando il rischio di un maggiore isolamento e di una riduzione delle possibilità di apprendimento di importantoi abilità sociali (senza dimenticare altri rischi già da tempo conosciuti, come la dipendenza psicologica).
Spitzer, che amplia poi queste tesi riportando nei diversi capitoli esperimenti e dati scientificamente solidi – sondando anche il terreno dell'uso dei social network, dei cartoni animati per bambini, di programmi tv educativi per l'infanzia ecc. – evita intelligentemente di aderire a teorie “complottiste” circa una volontà superiore di ridurre le occasioni di apprendimento delle persone per renderle tutte più stupide e manipolabili e chiarendo invece che il motivo principale di questa enorme pressione alla diffusione dei mezzi digitali a tutte le fasce della popolazione sia il puro interesse economico delle multinazionali che stanno dietro la produzione di hardware e software informatici, le quali investono in pubblicità enormi quantità di denaro per presentare i vantaggi di un utilizzo fin dalla più tenera età di questi strumenti, a dispetto dei dati scientifici che invece vanno da almeno un decennio proprio nella direzione opposta. In questo sistema di disinformazione i mezzi di comunicazione e la politica, spesso legati alle lobby dell'informatica, hanno una grossa responsabilità (nel libro vengono riportati esempi eclatanti tratti dall'esperienza diretta dell'autore, chiamato a relazionare come esperto in diverse occasioni pubbliche e in commissioni parlamentari del suo paese, ma sostanzialmente rimasto inascoltato).
Un testo coraggioso questo di Spitzer, di cui si sentiva da tempo la necessità, considerato anche il numero crescente di genitori che riportano problemi nel rapporto dei propri figli coi media digitali. Un testo ben argomentato, pieno di dati aggiornati e molto utile innanzitutto per coloro che, impegnati in compiti educativi per mestiere (insegnanti, educatori) o per semplice condizione di vita (genitori di bambini e adolescenti), vogliano avere una visione chiara e scientificamente fondata su come stiano effettivamente le cose e su cosa si possa ancora fare per evitare – specie ai soggetti più fragili, quelli in età evolutiva – le conseguenze più deleterie dell'uso quotidiano di questi strumenti.
Il libro, giunto da noi alla quarta edizione, spiega con un linguaggio accessibile la nefasta influenza che l'utilizzo costante dei media digitali (quantificabile, nello specifico, in alcune ore al giorno) ha sullo sviluppo cognitivo degli esseri umani, specie se in età evolutiva. Tale effetto sarebbe determinato da una riduzione del tempo di elaborazione degli stimoli necessario affinchè si verifichi un buon apprendimento (in particolare attraverso il sostare attivo dell'attenzione su uno stesso stimolo) e dalla concomitante facile distrazione cui l'individuo è indotto dall'interferenza continua dei molteplici elementi presenti su uno schermo (cosa che induce al cosiddetto multitasking, ossia al saltare dell'attenzione velocemente da uno stimolo all'altro). Si tratta di condizioni che, a lungo andare, modificano il funzionamento dei processi attentivi e di autocontrollo cognitivo (le cosiddette “funzioni esecutive”) e l'attività cerebrale ad essi sottesa.
Il concetto di fondo è semplice: la “profondità di codifica” – concetto caro alla psicologia dell'apprendimento – cioè la complessità dell'elaborazione cognitiva cui sottoponiamo uno stimolo influenza la solidità dei nostri apprendimenti, nel senso che più ci soffermiamo e riflettiamo attivamente su un elemento da apprendere, maggiore sarà la probabilità di ricordarlo a lungo termine. Questo processo ha dei correlati biologici chiari costituiti dal numero di collegamenti dendritici tra i gruppi di neuroni coinvolti nell'elaborazione e nella memorizzazione di uno stimolo. La profondità di codifica è quindi direttamente collegata al tempo e all’impegno attivo che dedichiamo al materiale da apprendere, ma anche alle varie funzioni e processi cognitivi che si attivano durante quell'elaborazione. Più processi e funzioni saranno coinvolti, più estesi saranno le tracce e i collegamenti mnestici che l'esperienza di apprendimento lascerà nel cervello. Essendo il cervello l'organo fisico più plastico del nostro organismo tutte le attività cognitive che facciamo con costanza lasciano una traccia in esso, cioè ne modificano funzionamento e struttura. Come lo svolgere attività cognitive complesse e impegnative migliora a lungo andare il funzionamento delle funzioni esecutive, l'uso continuo dei media digitali e il multitasking connesso causano negli utenti un declino di queste abilità, il cui buon funzionamento la scienza ha dimostrato essere prezioso per proteggere l'individuo dal declino cognitivo associato all'avanzare dell'età.
Già da alcuni anni diversi studi, riportati con dovizia di particolari nel libro, evidenziano non solo che l'uso intensivo dei media digitali riduce il tempo che i bambini e i ragazzi dedicano alle informazioni da apprendere (ai compiti, ad esempio) con conseguente scadimento del loro rendimento scolastico e del livello di istruzione raggiunto nel tempo, ma anche quello dedicato alla socializzazione diretta coi propri coetanei, determinando il rischio di un maggiore isolamento e di una riduzione delle possibilità di apprendimento di importantoi abilità sociali (senza dimenticare altri rischi già da tempo conosciuti, come la dipendenza psicologica).
Spitzer, che amplia poi queste tesi riportando nei diversi capitoli esperimenti e dati scientificamente solidi – sondando anche il terreno dell'uso dei social network, dei cartoni animati per bambini, di programmi tv educativi per l'infanzia ecc. – evita intelligentemente di aderire a teorie “complottiste” circa una volontà superiore di ridurre le occasioni di apprendimento delle persone per renderle tutte più stupide e manipolabili e chiarendo invece che il motivo principale di questa enorme pressione alla diffusione dei mezzi digitali a tutte le fasce della popolazione sia il puro interesse economico delle multinazionali che stanno dietro la produzione di hardware e software informatici, le quali investono in pubblicità enormi quantità di denaro per presentare i vantaggi di un utilizzo fin dalla più tenera età di questi strumenti, a dispetto dei dati scientifici che invece vanno da almeno un decennio proprio nella direzione opposta. In questo sistema di disinformazione i mezzi di comunicazione e la politica, spesso legati alle lobby dell'informatica, hanno una grossa responsabilità (nel libro vengono riportati esempi eclatanti tratti dall'esperienza diretta dell'autore, chiamato a relazionare come esperto in diverse occasioni pubbliche e in commissioni parlamentari del suo paese, ma sostanzialmente rimasto inascoltato).
Un testo coraggioso questo di Spitzer, di cui si sentiva da tempo la necessità, considerato anche il numero crescente di genitori che riportano problemi nel rapporto dei propri figli coi media digitali. Un testo ben argomentato, pieno di dati aggiornati e molto utile innanzitutto per coloro che, impegnati in compiti educativi per mestiere (insegnanti, educatori) o per semplice condizione di vita (genitori di bambini e adolescenti), vogliano avere una visione chiara e scientificamente fondata su come stiano effettivamente le cose e su cosa si possa ancora fare per evitare – specie ai soggetti più fragili, quelli in età evolutiva – le conseguenze più deleterie dell'uso quotidiano di questi strumenti.
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