È così che dagli abissi del mare del web è risalito in superficie un articolo di ormai quasi due anni con un’intervista a Valentina Nappi, pornoattrice celebre soprattutto per esprimere delle opinioni molto provocatorie e talvolta scandalizzanti, alla quale viene chiesta la sua opinione circa i fatti di Weinstein.
Dal punto di vista di chi si interroga sulla società e sull’uomo le prese di posizione di un personaggio pubblico come la Nappi non possono passare indifferenti, soprattutto in quanto spesso offrono un taglio delle questioni quantomeno arguto, a prescindere dal fatto che si sia poi d’accordo o meno col contenuto.
Nell’articolo da cui la riflessione che propongo prende abbrivio ( http://solferino28.corriere.it/2017/10/19/valentina-nappi-weinstein-il-mondo-del-porno-e-un-po-piu-normale/?fbclid=IwAR3LoO94NwimpsCvru05De-7GcYYu5S_Ww4e27jKcneNEe0sBZn1SGHnexQ ) si tratta la questione del caso Weinstein che ha travolto il mondo del cinema hollywoodiano (e di cui in questo articolo non tratteremo) da un punto di vista molto provocatorio, ma che da uno sguardo psicoanalitico appare molto interessante.
La proposta della Nappi può essere resa con una metafora economica: se si inflazionano i rapporti sessuali rendendo più disponibile l’oggetto del godimento sessuale in questione (l’organo sessuale femminile), praticamente si giungerebbe ad un’inflazione tale da renderne il valore superfluo, quindi da ridurre il potere di scambio delle donne (cioè il livello di richiesta nel mercato) quasi a zero.
In pratica, l’idea della pornoattrice si può riassumere in una sorta di “socializzazione” o, forse, “ri-socializzazione” della vulva. Si tratterebbe cioè di una redistribuzione di questo specifico oggetto (perché di questo si tratta, anche da un punto di vista psicoanalitico) di godimento sessuale alle “classi sessualmente meno abbienti”, cioè quelle più "s-figate".
È chiaro qui il nostro rimando alla teoria psicoanalitica del “plus-godere” (che la Nappi con ogni probabilità non sa e ciò lo rende ancora più suggestivo) che si sviluppa a partire dal plus-valore marxiano; cosa che fa dire agli psicoanalisti che il primo ad inventare il concetto di sintomo è stato Marx. Pertanto si può ritenere che implicitamente nella concezione nappiana lo s-figato è colui che non ha del tutto o ha poco accesso all’oggetto del godimento (sessuale), alla stregua dell'operaio marxiano che alienato dal proprio lavoro è estraniato dal godimento di ciò che produce.
Un ideale così espresso, nel suo essere certo provocatorio verso il “verginismo femminista”, come lo definisce l’intervistata, articola l’immaginario di un godimento totale o universale: un “per tutti” del godimento sessuale, alla stregua di certi ideali dei socialisti utopisti di poter risolvere una volta per tutte e in maniera pacifica, solidaristica le frizioni che si vengono a produrre in seno alla società.
Un’ideale utopico dal punto di vista psicoanalitico, perché così come non esiste rapporto sessuale, altrettanto la divisione sociale (o il disagio della civiltà freudiano), con la correlativa ineguaglianza di distribuzione del godimento dei beni, è ineliminabile[1].
L'idea della Nappi è sostanzialmente quella di puntare al soddisfacimento sessuale di tutti. Un soddisfacimento sessuale totale, che sotto il segno dell'universale omogeneizza i soggetti ad un godimento unico per tutti. Si tratta dunque di invitare le donne a porsi in una modalità fallica di godimento, nell'illusione di poter eliminare così la differenza assoluta che costituisce il femminile in quanto tale[2]. Si tratta di una differenza fagocitata dall'identità, il femminile (l’impossibile socializzazione della pulsione[3]) eliminato e omogeneizzato al maschile.
Bisogna intendersi su cosa però si intenda qui per “anti-femminile”. Qui “anti-femminile” è inteso in senso psicoanalitico e non dal punto di vista del tipico discorso femminista (un po’ stantio in Italia) e ancora mainstream a sinistra. Qui, per “antifemminile” s’intende un discorso che omogeneizza il godimento soggettivo e singolare ad un modello, uno schema universale. Il che corrisponde in psicoanalisi a quello fallico, maschile, quindi che punta all'identico e non alla differenza (che è proprio del femminile). In questo senso, l’uniformazione del godimento a degli universali (la vulva per tutti, l’inflazione dell’oggetto di godimento) implica non una liberazione del potere sulle donne ma anzi un modo per riaffermarlo. È il tipico paradosso che è implicito in certe forme di imposizione, ricalcando il modello del doppio legame ("Divertiti!", "Fai quello che vuoi!")[4].
Si pensi alla battuta di Albanese "chiù pilu pi tutti". Si tratta proprio di quello, di un godimento promesso a tutti che non vuole tenere conto della sua costitutiva impossibilità e non universalizzabilità. Si tratta di una posizione perversa che coincide con la promessa di distribuzione dei beni di consumo del capitalismo (si pensi a Berlusconi e alle sue olgettine).
La posizione della Nappi cade infine nella trappola ideologica del naturalismo, la quale per certi versi si ritrova nella posizione di certa destra, che indica la castrazione chimica come pena agli stupratori, cioè di imputare l’incontinenza fisica dell’autore anziché alla posizione di potere di quest’ultimo sulla donna[5], invitando a superare i limiti naturali che impongono di non riprodursi con gli "s-figati".
Come se l'essere umano non fosse tale proprio in quanto si pone al di là del campo naturale: proprio poiché abitato da pulsioni e non da istinti, il sessuale dell’uomo è qualcosa che va oltre ogni possibile generalizzazione, al di là di ogni regola che possa socializzarlo e gestirlo. La pulsione è quella differenza assoluta che smarca l’essere umano da ogni possibile pretesa di soddisfazione totale o universale.
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