Ho letto questo libro con sentimenti contrastanti: il resoconto delle vicende personali dell’autore collega la normalità della sua condizione umana con lo straordinario evento della scoperta che egli fece in età giovanissima.
Ho incontrato, oltre a lui, altri personaggi della sua storia, come i premi Nobel John Kendrew, Max Perutz, Harold Urey, oltre a Jeffrey Wyman e soprattutto la grande figura demiurgica che fu Linus Pauling, di cui sono stato collaboratore ed ospite in California.
Ho incontrato Watson a New York, in un congresso in cui fece, per un lauto compenso, una Invited Lecture e non ne ebbi una buona impressione. Parlava in modo confuso e disordinato, forse per influenze alcoliche e pensai all’adagio latino secondo il quale anche Omero, a volte, dormicchia.
Dal suo racconto emerge la figura di un giovane intelligente, egocentrico, ambizioso e ansioso di trovare una compagna adatta, ma soprattutto estremamente fortunato. La lettura del libro è interessante perché permette di capire che la costruzione della scienza moderna del vivente è stata un’impresa collettiva, frutto di un ambiente intellettuale capace di esaltare il momento aureo dell’entrata di nuove, potenti strumentazioni nelle sperimentazione biologica. Importante il riferimento costante all’influenza diretta o indiretta di eminenti scienziati non biologi del periodo, dallo stesso Pauling, chimico fisico, a Richard Feynman, costruttore dell’elettrodinamica quantistica, a Leo Szilard, fisico atomico, a George Gamow, fisico teorico e astrofisico. Esso mostra chiaramente che il salto di qualità della biologia del XX secolo è stato in sostanza un effetto di induzione e di trascinamento della fisica. Tutto è partito dalla teoria del legame chimico di Pauling, formulata negli anni ’30 e da lui applicata con successo alla descrizione della struttura tridimensionale delle proteine. La famiglia Pauling viene definita da Watson come la "famiglia reale" della scienza e le sue interazioni con i figli di Linus, cioè Peter, che ha scritto una presentazione abbastanza velenosa del libro, e la bella Linda, occupano una buona parte della storia.
Watson ha avuto la tenacia e l’umiltà di apprendere per strada quello che non aveva imparato nella sua formazione universitaria e la flessibilità del sistema universitario anglosassone ha permesso e favorito tutto questo. Dello stesso sistema spiccano l’efficienza del sistema di reclutamento, l’intensità dei rapporti trasversali tra scienziati, la furibonda competitività, la meritocrazia che prevale sulle pur presenti pratiche di consorteria mafiosa presenti anche là.
La lontananza del nostro sistema da tutto ciò risulta già da come la voce dell’autore viene stemperata nello sforzo di traduzione in termini che spesso mancano nella lingua italiana. Una casa editrice prestigiosa come Garzanti avrebbe comunque dovuto predisporre un editing un po’ più accurato. Il titolo italiano, intanto, non ha niente a che vedere con il titolo inglese: quello originale, infatti, Genes, girls and Gamow, è quasi una sorta di limerick, lontano anni-luce dalla bombastica espressione italiana, al solito sopra le righe e del tutto infedele. Senza contare il fatto che non è possibile lasciar passare che la guerra di Corea sia diventata, nel testo italiano, la guerra di Crimea!
Watson, almeno da giovane, era anticonformista e piuttosto snob, ma sicuramente progressista, anche se dichiara apertamente la sua volontà di arrampicata sociale, la sua ammirazione-invidia per ceto e censo, per i miliardari e i baroni accademici. Che la ricerca sia un affare di quattrini nessuno può cercare di negarlo. Essa è infatti un aspetto del sistema capitalista, anzi ne è l’essenza profonda che permette, nell’ambiente inarrivabile delle grandi università americane e inglesi, di distillare gli sforzi del pensiero ottimizzandone i prodotti. E’ un ambiente che si allarga alle famiglie degli accademici e soprattutto alle loro mogli, in una rete di parentele e di pedigrees che ricorda quella della vecchia aristocrazia. I legami istituzionali tra membri delle facoltà si rafforzano infatti come legami sociali con una costante celebrazione di parties in cui fiorisce il pettegolezzo (gossip) inaffiato con forti quantità di superalcolici.
La scoperta della doppia elica fu una specie di vincita di una maxi jackpot dell’enalotto scientifico, fatta da un ornitologo poco versato in chimica e da un fisico fantasioso, ma, fino a quel momento, inconcludente. Entrambi si riscattarono nel periodo successivo alla grande scoperta e se ne dimostrarono degni, sviluppando quello che era solo un argomento particolare di strutturistica macromolecolare nella nuova scienza della biologia molecolare che non ha ancora finito di stupire il mondo ed ha comportato una svolta epocale in medicina e nelle scienze del vivente in generale.
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