Come fantasmi hanno fatto la loro irruzione mediatica dividendo e interrogando la pubblica opinione. Si tratta di oltre 400 foto scattate agli internati del manicomio aquilano all’inizio del secolo scorso. In molti casi sono scatti di nudi integrali, persone denutrite, volti segnati dal dolore, particolarmente, orribilmente simili a quelle dei lager nazisti. Immagini eccezionali, che proponiamo in esclusiva e che trasmettono ansia, terrore, sofferenza riportando alla pubblica attenzione il difficile tema della sanità mentale, della cura e delle strutture, dell’assistenza e del sostegno a malati e familiari.
Tantissime foto sono di donne, molte di uomini, alcune addirittura di bambini. Sono molti gli aspetti che stanno analizzando gli specialisti per provare a interpretare i motivi che hanno spinto i medici dell’epoca, o chi per loro, a scattare foto così dure, crude, violente a quelle anime che vagano in uno spazio senza tempo. Il lavoro consiste nell’analisi delle singole immagini, ma anche nel tentativo di incastrarle in un mosaico che, in una visione d’insieme, potrebbe rivelare segreti fino ad ora tenuti nascosti nella mente malata di chi è passato per quell’atroce anticamera della morte che è il manicomio. Tante sono le domande, difficili sono le risposte. Perché sono state scattate quelle foto? A cosa servivano? Perché sono finite sepolte? Chi le ha fatte sparire e per quale motivo? Tante sono le ipotesi, tante le testimonianze raccolte, tante voci su presunte sperimentazioni sui malati, sulle violenze fisiche, su quanto era facile una volta finire in manicomio e marcire nel più totale abbandono.
Le immagini sono molto importanti anche dal punto di vista fotografico poiché sono state immortalate su rarissime lastre dell’italiana Ferrania, sono quelle all’albumina e al bromuro d’argento. Nella redazione di AbruzzoLive quelle immagini sono finite grazie alla segnalazione di Stefano Mazzetta, ristoratore aquilano che le ritrovò, ormai una quindicina di anni fa, durante la ristrutturazione del canile interno al manicomio. L’occasione per riaprire la scatola contenente quel materiale dall’alto valore storico, sociologico, documentale, si è presentata un paio di settimane fa, leggendo “Il nido della follia”, il nuovo thriller di Francesco Proia, ambientato nel capoluogo abruzzese, proprio nel manicomio di Collemaggio e durante la nevicata del secolo, quella del 1956.
Un romanzo dove la linea di demarcazione tra realtà e fantasia è sorprendentemente sottile, fino a diventare invisibile, fino al sorpasso; la cruda realtà che supera la fantasia di uno scrittore che ama indagare, studiare tutte le carte conservate o nascoste in antichi schedari, pesanti faldoni rivelatori di storie di vita vissuta nel dolore, nel terrore, nella disperazione dell’abbandono. Gli accadimenti sono minuziosamente contestualizzati e frutto di lunghi studi che consentono una rilettura nel tempo e nella storia della vita dei malati mentali e di una struttura ospedaliera che ha ancora tanto da raccontare, che può e deve essere valorizzata come monumento alla memoria, un biglietto per un viaggio emozionante nella storia di una città colta e martoriata che non può dimenticare. Un biglietto d’invito a non chiudere gli occhi davanti agli orrori di ieri e di oggi, a non restare indifferenti, a cercare di comprendere le ragioni del male, a non far finta che la cosa non ci riguarda, perché è allora che non c’è limite all’orrore, è in quel momento, con quell’atteggiamento che l’umanità si perde nel labirinto degli incubi senza una via di fuga. Gianluca Rubeo
L’Aquila. Quindici ettari di terreno, costellati di decine di edifici abbandonati, sono il triste paesaggio che si affaccia oggi sulla collina di Collemaggio. Un’area, quella dell’ex ospedale psichiatrico, che costituisce potenzialmente una grande risorsa per la città dell’Aquila, ma che versa purtroppo nel degrado. Unico centro pulsante nel parco semiabbandonato è quello dei ragazzi di 3e32, associazione nata dopo il sisma che da anni combatte contro l’indifferenza di Regione e Asl verso questo sito. Da cinque anni occupano un edificio dismesso, reinventato in un centro culturale di musica, poesia e socialità.
Quello di Collemaggio è l’esempio emblematico in cui la spinta al rinnovamento di alcune forze sociali si imbatte contro il muro di negligenza delle istituzioni. Una storia che inizia dal post terremoto e che si protrae fino ad oggi, senza grandi cambiamenti. Se non altro si è accresciuta la percezione dell’opinione cittadina su questo argomento, cruciale per il futuro della città. Merito di tante associazioni che nel corso degli anni hanno alimentato dibattiti e organizzato proteste. Un grande manifesto collettivo ha visto nel giugno scorso la partecipazione di cittadini volenterosi, che oggi chiedono a gran voce una riqualifica dell’area dell’ex manicomio. Un percorso tutto in salita, basti pensare che è ancora da verificare l’agibilità degli edifici abbandonati. “Noi, cittadini, cittadine, collettivi, associazioni e individualità, riuniti nella prima assemblea del 4 giugno 2015, dichiariamo il nostro interesse affinché l’area dell’ex ospedale psichiatrico di Collemaggio all’Aquila, venga riscattata dal degrado e dall’incuria, venga riqualificata e diventi un centro nevralgico e strategico della vita sociale, economica e culturale della comunità aquilana”, si legge.
La proposta consiste nella ristrutturazione dell’asse centrale del complesso, che potrebbe essere dotato di laboratori artigianali, spazi di musica e teatro, orti botanici e tanto altro. Si pensa anche alla realizzazione di una foresteria, gestita da una cooperativa, che lavori con persone con disagio psicologico o psichiatrico, recuperando il progetto, stanziato nel 2008 e mai realizzato, dell’Albergo in via dei matti. Qualche giorno fa anche il sindaco Massimo Cialente è intervenuto sull’argomento, proponendo la creazione di un grande studentato, finanziato dalla Cassa Depositi e Prestiti. Ma l’ex ospedale psichiatrico, oltre a grandi potenzialità per il futuro, possiede un passato tutto da riscoprire. Esso fu una vera e propria cittadella che per anni ospitò uomini e donne con seri (o presunti) disturbi psichiatrici. Oggi la pubblicazione di foto e documenti inediti riapre la discussione anche su quei giorni lontani ed in generale su cosa significasse in Italia essere condannati ad entrare in un manicomio. Perché se si vuole guardare al domani, non si può trascurare ciò che fu ieri. Diego Renzi
tratto da Abruzzolive.it
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