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10 ANNI DI EUROPEAN JOURNAL OF PSYCHOTRAUMATOLOGY

18 Apr 20

A cura di avico.raf


Questo editoriale pubblicata sull’European Journal of Psychotraumatology per i 10 anni dalla sua fondazione come rivista, vuole rispondere alle domande, molto semplici:

L’articolo parte con una serie di valutazioni a riguardo degli aspetti genetici inerenti il PTSD, osservando come l’avvento dei big data potrà in futuro contribuire a meglio chiarire la questione.  A proposito di questo, recenti meta-analisi, molto ampie (https://www.nature.com/articles/s41467-019-12576-w), paragonano il PTSD ad altri disturbi chiedendosi se la patogenesi del PTSD debba considerarsi solamente di natura sociale (con un PTSD generato solo da cattive esperienza collegate all’ambiente), o se esistano dei fattori predisponenti a livello genetico (nella fattispecie, questa seconda ipotesi viene maggiormente considerata plausibile). A livello sia di prevalenza tra persone colpite da trauma che di ereditarietà genetica, il PTSD viene nella metanalisi pubblicata su Nature prima citata paragonato alla depressione maggiore (“PTSD is similar to major depression in both prevalence (among trauma-exposed persons) and in heritability”).

L’articolo prosegue ragionando su ciò che è stato scoperto, negli ultimi 10 anni, a livello di neurobiologia del PTSD. 

Una delle ipotesi dominanti e centrale, sembra essere relativa a un’alterazione delle strutture profonde del cervello “difensivo” (amigdala), associata a una scarsa o difettosa modulazione della stessa da parte del “freno” della corteccia prefrontale (gli studi di Ruth Lanius hanno approfondito a fondo questi aspetti). Questa ipotesi è però basata sul modello che vede il PTSD come un disturbo di alterazione dei processi legati alla paura, mentre numerosi studi negli ultimi dieci anni hanno messo in luce come sia necessario andare oltre questo modello. L’ipotesi proposta dagli autori riguarda una generale disregolazione di tutta l’espressione emotiva, declinata nelle diverse emozioni (quindi non solo la paura, ma anche rabbia, colpa e vergogna), a seguito dell’esperienza traumatica. Inoltre, l’articolo esprime l'urgenza” di annettere alla ricerca in ambito neurobiologico riguardante il trauma, le regioni sottocorticali e troncoencefaliche, come molteplici autori sottolineano.

Gli autori dell’editoriale, sintetizzano quindi alcuni aspetti desunti da 10 anni di articoli sul trauma pubblicati sulla loro rivista (che, ricordiamo, è totalmente open access):

What we do not know is how the neurobiological (Lanius & Olff, 2017), psychological (Baekkelund, Frewen, Lanius, Ottesen Berg, & Arnevik, 2018; Schafer, Becker, King, Horsch, & Michael, 2019), affective (Strøm, Aakvaag, Birkeland, Felix, & Thoresen, 2018), and relational (Heeke, Kampisiou, Niemeyer, & Knaevelsrud, 2019; van Dijke, Hopman, & Ford, 2018) alterations associated with different forms, durations, and structures (Armour, Fried, & Olff, 2017; Murphy, Elklit, Dokkedahl, & Shevlin, 2018) of psychotrauma exposure (and re-exposure) emerge and take different courses or trajectories across the lifespan – and across generations (Burnette & Cannon, 2014; Crombach & Bambonye, 2015; Schick, Morina, Klaghofer, Schnyder, & Muller, 2013).

Gli autori concludono raccomandando progetti di natura globale (https://www.global-psychotrauma.net/about), auspicando migliori analisi epidemiologiche che si giovino di nuove tecnologie incentrate anche sui big data e portate avanti da gruppi di ricerca multidisciplinari. Vengono inoltre auspicate pubblicazioni “open access” in modo da poter garantire ampia diffusione dei risultati delle ricerche ed avere quindi maggiore influenza su i policymakers.

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