Da parecchi anni ogni ricorrenza freudiana induce a riflettere sulla presenza e il ruolo dell’opera del fondatore nell’attuale e straordinariamente variegato “stato dell’arte” della psicoanalisi odierna. Le indicazioni metodologiche e concettuali di Freud, le sue scoperte, le eccezionali capacità argomentative, la costante attitudine alla ricerca e la capacità di autosuperamento teorico senza rinnegare il senso dei passi compiuti lungo un percorso conoscitivo che è al tempo stesso di personale maturazione: ecco quelle che indicherei in breve come le qualità freudiane esemplari con le quali si deve ancora oggi necessariamente fare i conti.
Se la psicoanalisi fosse una scienza normalmente “dura”, non avrebbe alcun senso il riferimento a un’opera scientifica che di è sviluppata per una quarantina d’anni e che è cessata circa ottant’anni fa. Ci si attenderebbe infatti che essa fosse totalmente superata e rinnovata nel giro di pochi anni. Mentre, almeno a mio parere e di molti psicoanalisti, il pensiero di Freud, i suoi modi teorici, la struttura del suo pensiero e i modelli via via da lui proposti sono lontani dall’essere conclusi e dall’aver esaurito la loro forza propulsiva. La coerenza e l’integrità della visione di Freud insieme al suo stile di pensiero e di scrittura, rappresentano un momento teorico decisivo e matriciale che si ripropone nella formazione di ogni psicoterapeuta odierno. Uno degli elementi di forza, che garantisce l’attualità di un pensiero che si è dovuto molto articolare per mantenersi al passo degli straordinari sviluppi di tutti i generi degli ultimi cento anni, consiste paradossalmente nella varietà e nell’incoerenza dei vari modelli proposti da Freud. Per quanto i suoi modelli confluiscano in un insieme transitabile e compatto, sempre controllato e costantemente consapevole delle sue ragioni e dei suoi limiti, l’opera freudiana ha evitato deliberatamente e per metodo una sistematicità rigida. Il fatto di non aver costituito un sistema chiuso ha concorso fortemente alla persistente vitalità dell’apparato teorico freudiano, una vitalità dimostrata persino dall’accanimento dei suoi detrattori. Sembra infatti ancora oggi del tutto sconsigliabile non confrontarsi con il linguaggio e la pratica clinica della psicoanalisi, che finisce per essere connessa necessariamente all’impiego anche inconsapevole del linguaggio freudiano. Le stesse successive fondamentali proposizioni teoriche, che la riflessione postfreudiana ha elaborato in funzione dei mutamenti clinici e delle successive scoperte e impostazioni, nascono inevitabilmente, per continuità o per contrasto, sul terreno del dispositivo teorico di Freud. Per riprendere una immagine efficace utilizzata da Freud stesso, la sua teoria è una sorta di acqua madre che contiene dentro di sé molte possibilità di differenti cristallizzazioni. Queste cristallizzazioni sono configurazioni plurime, aperte e duttili dello psichico, pronte a sparire, occultandosi o ricombinandosi nella pratica clinica, o a riproporsi nei drammi che il trattamento analitico mette in scena. Lo psicoanalista ha il compito di comprendere criticamente il loro senso e ha altresì la responsabilità di far progredire questi modelli, nell’incessante adeguamento del lavoro clinico alle nuove esperienze. E’ lo stesso Freud che ipotizza la possibilità che la sua costruzione teorica si riveli un giorno inutile o superata dai progressi della scienza: se questo giorno sia già venuto e quali problemi suscitino i linguaggi e le pratiche che si proporrebbero di sostituire le parole e i criteri enunciati da Freud, sono questioni ancora aperte e che è compito di ciascuno verificare.
Se la psicoanalisi fosse una scienza normalmente “dura”, non avrebbe alcun senso il riferimento a un’opera scientifica che di è sviluppata per una quarantina d’anni e che è cessata circa ottant’anni fa. Ci si attenderebbe infatti che essa fosse totalmente superata e rinnovata nel giro di pochi anni. Mentre, almeno a mio parere e di molti psicoanalisti, il pensiero di Freud, i suoi modi teorici, la struttura del suo pensiero e i modelli via via da lui proposti sono lontani dall’essere conclusi e dall’aver esaurito la loro forza propulsiva. La coerenza e l’integrità della visione di Freud insieme al suo stile di pensiero e di scrittura, rappresentano un momento teorico decisivo e matriciale che si ripropone nella formazione di ogni psicoterapeuta odierno. Uno degli elementi di forza, che garantisce l’attualità di un pensiero che si è dovuto molto articolare per mantenersi al passo degli straordinari sviluppi di tutti i generi degli ultimi cento anni, consiste paradossalmente nella varietà e nell’incoerenza dei vari modelli proposti da Freud. Per quanto i suoi modelli confluiscano in un insieme transitabile e compatto, sempre controllato e costantemente consapevole delle sue ragioni e dei suoi limiti, l’opera freudiana ha evitato deliberatamente e per metodo una sistematicità rigida. Il fatto di non aver costituito un sistema chiuso ha concorso fortemente alla persistente vitalità dell’apparato teorico freudiano, una vitalità dimostrata persino dall’accanimento dei suoi detrattori. Sembra infatti ancora oggi del tutto sconsigliabile non confrontarsi con il linguaggio e la pratica clinica della psicoanalisi, che finisce per essere connessa necessariamente all’impiego anche inconsapevole del linguaggio freudiano. Le stesse successive fondamentali proposizioni teoriche, che la riflessione postfreudiana ha elaborato in funzione dei mutamenti clinici e delle successive scoperte e impostazioni, nascono inevitabilmente, per continuità o per contrasto, sul terreno del dispositivo teorico di Freud. Per riprendere una immagine efficace utilizzata da Freud stesso, la sua teoria è una sorta di acqua madre che contiene dentro di sé molte possibilità di differenti cristallizzazioni. Queste cristallizzazioni sono configurazioni plurime, aperte e duttili dello psichico, pronte a sparire, occultandosi o ricombinandosi nella pratica clinica, o a riproporsi nei drammi che il trattamento analitico mette in scena. Lo psicoanalista ha il compito di comprendere criticamente il loro senso e ha altresì la responsabilità di far progredire questi modelli, nell’incessante adeguamento del lavoro clinico alle nuove esperienze. E’ lo stesso Freud che ipotizza la possibilità che la sua costruzione teorica si riveli un giorno inutile o superata dai progressi della scienza: se questo giorno sia già venuto e quali problemi suscitino i linguaggi e le pratiche che si proporrebbero di sostituire le parole e i criteri enunciati da Freud, sono questioni ancora aperte e che è compito di ciascuno verificare.
di Fausto Petrella
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