Sul Giornale d’Italia del 14-15 luglio 1938 compariva in forma anonima un Manifesto degli scienziati razzisti con il quale si intendevano fissare le caratteristiche del razzismo fascista. Dieci giorni dopo, il 25 luglio (una data che avrebbe avuto ben altro significato cinque anni dopo per il regime mussoliniano), venivano precisate le circostanze nelle quali il documento era maturato. Dieci docenti dell’Università italiana – tra di essi il professore di neuropsichiatria di Modena e presidente della Società Italiana di Psichiatria, Arturo Donaggio – erano stati convocati presso il Ministero della Cultura Popolare al fine della sua redazione.
In questa ottantesima ricorrenza di quella data vergognosa – mentre di nuovo la stupidità razzista sembra avere trovato più di un orecchio in un modo o nell’altro attento nel nostro Paese[i] – non intendo ritornare sul complesso dibattito storico circa la reale autorialità del documento; né sui particolari che rendono specificamente ambigua l’adesione di Donaggio o sulle pesanti responsabilità dell’antropologia e della psichiatria italiane dei decenni precedenti in tema di razzismo, tutti temi sui quali mi sono soffermato in occasione della pubblicazione del volume La guerra dentro[ii] e sui quali sono ritornato con l’amico Benevelli in almeno tre recenti articoli che possono essere facilmente reperiti su Pol. it[iii].
Intendo invece riprendere alcune considerazioni svolte sul testo stesso del documento il 31 marzo 2017 in occasione della giornata di studi Serve davvero ricordare? nell’ambito della mostra “Schedati perseguitati, sterminati. Malati psichici e disabili durante il nazionalsocialismo” presso il complesso del Vittoriano a Roma, per dimostrare come la prima violenza da esso perpetuata sia stata verso la logica, e la prima dimostrazione dello spregio verso gli esseri umani che ne sono stati oggetto stia nella sua assoluta superficialità. Terrò, peraltro, in questa occasione presenti anche le considerazioni svolte, con analogo intento mi pare, dal noto genetista Guido Barbujani, ad un convegno genovese organizzato tre anni fa da Emilio De Maria[iv].
E veniamo dunque al testo, che è costituito da una serie di 10 affermazioni perentorie, le quali sono raramente sostenute da una qualche giustificazione, e che in qualche caso poggiano su distorsioni della realtà piuttosto imbarazzanti quando non sono addirittura in palese contraddizione tra loro. E così al punto 1 si afferma che esistono razze umane differenti (oggi sappiamo che tutta la ricerca scientifica depone in senso opposto, ma ciò non era ancora acclarato nel 1938), ma anche che ciò non significa che una di esse debba essere superiore all’altra. Peccato però che al punto 6 invece, si affermi trionfalmente che “esiste ormai una pura razza italiana” unita dalla “parentela di sangue” ed evidentemente diversa dalle altre, e che “questa antica purezza di sangue è il più grande titolo di nobiltà della Nazione italiana”. Insomma, l’appartenere alla razza italiana, e al suo interno alla più grande razza europea, significa superiorità rispetto alle altre razze o no? E se non è così, perché l’esistenza di una razza italiana dovrebbe essere il più grande titolo di nobiltà della Nazione? Bah. Ribadito al punto 2 il carattere “evidente” dell’esistenza delle razze (grandi e piccole: per tutto il documento grande è la confusione tra razza italiana, europea, ariana ecc.; ma, aggiungerei, anche razze piccolissime fino ad arrivare a descrivere famiglie, e poi persino individui ciascuno allora sì, “razzialmente” omogeneo a se stesso); al punto 3 si stabilisce che “il concetto di razza è concetto puramene biologico”, con ciò evidentemente operando, qui parrebbe, una scelta rispetto al concetto di razza fondato esclusivamente su base spirituale o culturale (erano, questi, gli altri concetti allora in voga in alternativa alla concezione biologica, appunto, della razza, e a qualcosa di simile ci parrebbe da ricondurre ad esempio il confuso razzismo di Donaggio, che è peraltro appunto uno dei “firmatari”). Al punto 4 si afferma, in modo altrettanto perentorio, l’idea che tutta la popolazione dell’Italia abbia origine ariana ed essa si mantenga pertanto, da un punto di vista razziale, stabile da millenni. Strettamente collegato ad esso è il punto 5, nel quale si sostiene che dopo l’invasione dei Longobardi nessun’altra invasione abbia influito sulla fisionomia degli italiani (insomma, questi scienziati evidentemente non notano nessuna differenza tra i tratti somatici prevalenti nell’Italia settentrionale e in quella meridionale; e nessun tratto di somiglianza tra le popolazioni dell’Italia meridionale e le alte popolazioni che hanno commerciato, combattuto e per loro piacere si sono anche scambiate patrimonio genetico nel corso dei secoli successivi: tutti eunuchi, evidentemente, dai Longobardi in poi). Ancora un falso storico – che doveva in quel momento essere sotto gli occhi di chiunque si occupasse di politica – occultava al punto 7 le infinite titubanze che, sul terreno del razzismo, il regime fascista aveva manifestato nei primi dieci anni e l’importante ruolo che numerosi ebrei avevano svolto nei quadri dirigenti del PNF. E’ impressionante, in particolare, la contraddizione tra l’affermazione che “tutta l’opera che finora ha fatto il Regime in Italia è infondo del razzismo”, che si legge in questo punto; e quelle fatta nel 1932 durante i Colloqui con Mussolini pubblicati dall’ebreo Emil Ludwig, nelle quali il duce definiva il razzismo una "stupidaggine" e dell’antisemitismo affermava (in quel momento ancora correttamente, peraltro) "non esiste in Italia". Al punto 8 il manifesto prende le distanze (e non ce ne stupiamo….) dalle affermazioni che ipotizzavano l’origine di alcune popolazioni euromediterranee almeno (ahi, proprio lì!) in Africa. Quanto è crudele a volte la ricerca scientifica! Insomma, dopo tanto sforzo per dimostrare l’essere dell’italiano all’interno della razza europea, doverlo considerare ora una sorta di africano impallidito nei millenni poi proprio no! Guai poi a considerare parenti tra loro europei del mediterraneo, camiti e semiti, perché – come si è detto al punto 5 – incontrandosi nei secoli questi di materiale genetico proprio non se ne scambiavano. Del resto, a farlo si sarebbero ammesse “relazioni e simpatie ideologiche assolutamente inammissibili” (e perché inammissibili, chi lo dice? Barbujani ha proprio ragione: un manifesto politico firmato da scienziati, per essere spacciato per manifesto scientifico. E poi la razza, non si è detto che era concetto “puramente biologico”? Bah!). Al punto 9 si ribadisce ancora, per chi avesse dei dubbi: proprio nessun contributo alla formazione della razza italiana dagli arabi! Quanto agli ebrei, beh evidentemente in Italia c’erano, ma “non si sono mai assimilati”; il che non era certo vero in quei decenni per la gran parte di essi, e sarà dimostrato dalla difficoltà e il dolore di disfare, o distinguere a posteriori, ormai ingarbugliate assimilazioni (matrimoni, amicizie, collaborazioni professionali, relazioni di buon vicinato ecc.) che erano invece perfettamente riuscite e delle quali nessuno si sognava, prima dell’iniziativa del regime, di dubitare. Quanto a quei pochi casi nei quali l’integrazione aveva maggiori difficoltà, non sarebbe stato forse più ragionevole pensare a complesse ragioni storiche, culturali, religiose, a pregiudizi nei due sensi, che all’essere gli ebrei “elementi razziali non europei”. Il che contrasta col fatto che, invece, nella maggior parte dei casi quegli stessi elementi erano integrati alla perfezione. Perciò, tagliando corto: gli ebrei non appartengono alla razza italiana, con ciò che sappiamo ne sarebbe seguito pochi mesi dopo e poi ancora durante l’occupazione tedesca. Così miracolosamente giunta pura ed ariana nonostante invasioni, commerci, migrazioni e ritorni, la razza italiana non deve però neppure per il futuro alterare i suoi “caratteri fisici e psicologici puramente europei” (ma la razza non era concetto “puramente biologico”?). E siamo così al punto 10. Guai perciò al meticciato con razze extraeuropee!! Il carattere puramente europeo degli italiani verrebbe alterato “dall’incrocio con qualsiasi razza extra-europea e portatrice di una civiltà diversa” (è vero, non è detto esplicitamente “inferiore” coerentemente a ciò che si è detto al punto 1, ma si fatica proprio a non pensare che il retropensiero sia questo!) “dalla millenaria civiltà degli ariani” alla quale l’Italia fascista si accoda non senza qualche complesso, crediamo, per il fatto di sentirsi ariani mediamente un po’ più bassi e un po’ più bruni, ohibò!
Insomma, alla fine non è chiaro quanto la “razza” alla quale l’italiano debba sentirsi orgoglioso d’appartenere sia grande (Italia, Europa, Mondo ariano). Non è chiaro se esistano razze superiori ed inferiori le une alle altre. Non è chiaro se razza sia concetto puramente biologico, o storico-culturale, o spirituale. E ancora una volta, insomma, se razza è concetto “puramente biologico”, non è chiaro cosa lega quel particolare tratto biologico che eventualmente la distinguesse all’essere essa anche “portatrice” di una o di un’altra cultura, una o un’altra civiltà, di uno o un altro destino?
E siamo giunti così, di salto logico in salto logico, di rilettura opportunistica della storia in rilettura opportunistica della storia, al salto logico nel quale è destinato a inciampare qualunque razzismo, di oggi come di ieri.
Ma è amaro constatare che quando la logica della forza prevale, e così certo era in quegli anni, la forza della logica non è più necessaria. E credo allora che quando guardiamo indietro alla storia del nostro Paese dobbiamo ricordare anche questa pagina stupida, vergognosa e crudele; così, se ci parrà di avvertire nello stile con cui qualche politico traccia il confine tra “noi” e “gli altri” un po’ troppa disinvoltura…. beh, saremo diffidenti.
In questa ottantesima ricorrenza di quella data vergognosa – mentre di nuovo la stupidità razzista sembra avere trovato più di un orecchio in un modo o nell’altro attento nel nostro Paese[i] – non intendo ritornare sul complesso dibattito storico circa la reale autorialità del documento; né sui particolari che rendono specificamente ambigua l’adesione di Donaggio o sulle pesanti responsabilità dell’antropologia e della psichiatria italiane dei decenni precedenti in tema di razzismo, tutti temi sui quali mi sono soffermato in occasione della pubblicazione del volume La guerra dentro[ii] e sui quali sono ritornato con l’amico Benevelli in almeno tre recenti articoli che possono essere facilmente reperiti su Pol. it[iii].
Intendo invece riprendere alcune considerazioni svolte sul testo stesso del documento il 31 marzo 2017 in occasione della giornata di studi Serve davvero ricordare? nell’ambito della mostra “Schedati perseguitati, sterminati. Malati psichici e disabili durante il nazionalsocialismo” presso il complesso del Vittoriano a Roma, per dimostrare come la prima violenza da esso perpetuata sia stata verso la logica, e la prima dimostrazione dello spregio verso gli esseri umani che ne sono stati oggetto stia nella sua assoluta superficialità. Terrò, peraltro, in questa occasione presenti anche le considerazioni svolte, con analogo intento mi pare, dal noto genetista Guido Barbujani, ad un convegno genovese organizzato tre anni fa da Emilio De Maria[iv].
E veniamo dunque al testo, che è costituito da una serie di 10 affermazioni perentorie, le quali sono raramente sostenute da una qualche giustificazione, e che in qualche caso poggiano su distorsioni della realtà piuttosto imbarazzanti quando non sono addirittura in palese contraddizione tra loro. E così al punto 1 si afferma che esistono razze umane differenti (oggi sappiamo che tutta la ricerca scientifica depone in senso opposto, ma ciò non era ancora acclarato nel 1938), ma anche che ciò non significa che una di esse debba essere superiore all’altra. Peccato però che al punto 6 invece, si affermi trionfalmente che “esiste ormai una pura razza italiana” unita dalla “parentela di sangue” ed evidentemente diversa dalle altre, e che “questa antica purezza di sangue è il più grande titolo di nobiltà della Nazione italiana”. Insomma, l’appartenere alla razza italiana, e al suo interno alla più grande razza europea, significa superiorità rispetto alle altre razze o no? E se non è così, perché l’esistenza di una razza italiana dovrebbe essere il più grande titolo di nobiltà della Nazione? Bah. Ribadito al punto 2 il carattere “evidente” dell’esistenza delle razze (grandi e piccole: per tutto il documento grande è la confusione tra razza italiana, europea, ariana ecc.; ma, aggiungerei, anche razze piccolissime fino ad arrivare a descrivere famiglie, e poi persino individui ciascuno allora sì, “razzialmente” omogeneo a se stesso); al punto 3 si stabilisce che “il concetto di razza è concetto puramene biologico”, con ciò evidentemente operando, qui parrebbe, una scelta rispetto al concetto di razza fondato esclusivamente su base spirituale o culturale (erano, questi, gli altri concetti allora in voga in alternativa alla concezione biologica, appunto, della razza, e a qualcosa di simile ci parrebbe da ricondurre ad esempio il confuso razzismo di Donaggio, che è peraltro appunto uno dei “firmatari”). Al punto 4 si afferma, in modo altrettanto perentorio, l’idea che tutta la popolazione dell’Italia abbia origine ariana ed essa si mantenga pertanto, da un punto di vista razziale, stabile da millenni. Strettamente collegato ad esso è il punto 5, nel quale si sostiene che dopo l’invasione dei Longobardi nessun’altra invasione abbia influito sulla fisionomia degli italiani (insomma, questi scienziati evidentemente non notano nessuna differenza tra i tratti somatici prevalenti nell’Italia settentrionale e in quella meridionale; e nessun tratto di somiglianza tra le popolazioni dell’Italia meridionale e le alte popolazioni che hanno commerciato, combattuto e per loro piacere si sono anche scambiate patrimonio genetico nel corso dei secoli successivi: tutti eunuchi, evidentemente, dai Longobardi in poi). Ancora un falso storico – che doveva in quel momento essere sotto gli occhi di chiunque si occupasse di politica – occultava al punto 7 le infinite titubanze che, sul terreno del razzismo, il regime fascista aveva manifestato nei primi dieci anni e l’importante ruolo che numerosi ebrei avevano svolto nei quadri dirigenti del PNF. E’ impressionante, in particolare, la contraddizione tra l’affermazione che “tutta l’opera che finora ha fatto il Regime in Italia è infondo del razzismo”, che si legge in questo punto; e quelle fatta nel 1932 durante i Colloqui con Mussolini pubblicati dall’ebreo Emil Ludwig, nelle quali il duce definiva il razzismo una "stupidaggine" e dell’antisemitismo affermava (in quel momento ancora correttamente, peraltro) "non esiste in Italia". Al punto 8 il manifesto prende le distanze (e non ce ne stupiamo….) dalle affermazioni che ipotizzavano l’origine di alcune popolazioni euromediterranee almeno (ahi, proprio lì!) in Africa. Quanto è crudele a volte la ricerca scientifica! Insomma, dopo tanto sforzo per dimostrare l’essere dell’italiano all’interno della razza europea, doverlo considerare ora una sorta di africano impallidito nei millenni poi proprio no! Guai poi a considerare parenti tra loro europei del mediterraneo, camiti e semiti, perché – come si è detto al punto 5 – incontrandosi nei secoli questi di materiale genetico proprio non se ne scambiavano. Del resto, a farlo si sarebbero ammesse “relazioni e simpatie ideologiche assolutamente inammissibili” (e perché inammissibili, chi lo dice? Barbujani ha proprio ragione: un manifesto politico firmato da scienziati, per essere spacciato per manifesto scientifico. E poi la razza, non si è detto che era concetto “puramente biologico”? Bah!). Al punto 9 si ribadisce ancora, per chi avesse dei dubbi: proprio nessun contributo alla formazione della razza italiana dagli arabi! Quanto agli ebrei, beh evidentemente in Italia c’erano, ma “non si sono mai assimilati”; il che non era certo vero in quei decenni per la gran parte di essi, e sarà dimostrato dalla difficoltà e il dolore di disfare, o distinguere a posteriori, ormai ingarbugliate assimilazioni (matrimoni, amicizie, collaborazioni professionali, relazioni di buon vicinato ecc.) che erano invece perfettamente riuscite e delle quali nessuno si sognava, prima dell’iniziativa del regime, di dubitare. Quanto a quei pochi casi nei quali l’integrazione aveva maggiori difficoltà, non sarebbe stato forse più ragionevole pensare a complesse ragioni storiche, culturali, religiose, a pregiudizi nei due sensi, che all’essere gli ebrei “elementi razziali non europei”. Il che contrasta col fatto che, invece, nella maggior parte dei casi quegli stessi elementi erano integrati alla perfezione. Perciò, tagliando corto: gli ebrei non appartengono alla razza italiana, con ciò che sappiamo ne sarebbe seguito pochi mesi dopo e poi ancora durante l’occupazione tedesca. Così miracolosamente giunta pura ed ariana nonostante invasioni, commerci, migrazioni e ritorni, la razza italiana non deve però neppure per il futuro alterare i suoi “caratteri fisici e psicologici puramente europei” (ma la razza non era concetto “puramente biologico”?). E siamo così al punto 10. Guai perciò al meticciato con razze extraeuropee!! Il carattere puramente europeo degli italiani verrebbe alterato “dall’incrocio con qualsiasi razza extra-europea e portatrice di una civiltà diversa” (è vero, non è detto esplicitamente “inferiore” coerentemente a ciò che si è detto al punto 1, ma si fatica proprio a non pensare che il retropensiero sia questo!) “dalla millenaria civiltà degli ariani” alla quale l’Italia fascista si accoda non senza qualche complesso, crediamo, per il fatto di sentirsi ariani mediamente un po’ più bassi e un po’ più bruni, ohibò!
Insomma, alla fine non è chiaro quanto la “razza” alla quale l’italiano debba sentirsi orgoglioso d’appartenere sia grande (Italia, Europa, Mondo ariano). Non è chiaro se esistano razze superiori ed inferiori le une alle altre. Non è chiaro se razza sia concetto puramente biologico, o storico-culturale, o spirituale. E ancora una volta, insomma, se razza è concetto “puramente biologico”, non è chiaro cosa lega quel particolare tratto biologico che eventualmente la distinguesse all’essere essa anche “portatrice” di una o di un’altra cultura, una o un’altra civiltà, di uno o un altro destino?
E siamo giunti così, di salto logico in salto logico, di rilettura opportunistica della storia in rilettura opportunistica della storia, al salto logico nel quale è destinato a inciampare qualunque razzismo, di oggi come di ieri.
Ma è amaro constatare che quando la logica della forza prevale, e così certo era in quegli anni, la forza della logica non è più necessaria. E credo allora che quando guardiamo indietro alla storia del nostro Paese dobbiamo ricordare anche questa pagina stupida, vergognosa e crudele; così, se ci parrà di avvertire nello stile con cui qualche politico traccia il confine tra “noi” e “gli altri” un po’ troppa disinvoltura…. beh, saremo diffidenti.
[i] A proposito del tema di razzismo e xenofobia nell’Italia di oggi rinvio al volume di Luigi Manconi e Federica Resta Non sono razzista, ma. La xenofobia degli italiani e gli imprenditori politici della paura (Feltrinelli, 2017), recentemente recensito in questa rubrica (clicca qui per il link).
[ii] Cfr.: P.F. Peloso, La Guerra dentro. La psichiatria italiana tra fascismo e resistenza, Verona, Ombre corte, 2008 (clicca qui per il link alla scheda).
[iii] Sul tema ricordo: P.F. Peloso, Dalle macerie: 70 anni dal XXIII congresso SIP, POL. it., 21 ottobre 2016 (clicca qui per il link); P.F. Peloso, La mostra di Roma e il “mea culpa” della psichiatria, POL. it, 15 marzo 2017 (clicca qui per il link); L. Benevelli, Arturo Donaggio e la forma mentis della romanità, POl. it, 30 giugno 2018(clicca qui per il link).
Giornata della memoria 27
Giornata della memoria 27 gennaio 2019: così i fascisti scoprirono improvvisamente che gli ebrei non erano più italiani. E poi vennero le Leggi per la difesa della razza. E poi l’occupazione tedesca trovò l’elenco degli ebrei già scritto e compilato per la deportazione, e la complicità dei fascisti per la loro cattura….