'So di aver detto che faccio la tua volontà, Signore. E’ quello che ho detto alla mia congregazione. E’ quello che ho provato a dire a mè stesso.
E’ una bugia Signore, l’ho fatto perché mi piaceva.
L’attenzione, le lodi, la sensazione di potere. Il tuo potere.’
Oucast
L’indicibile mattanza perpetrata ai danni degli ignari passanti che transitavano sulla promende des Anglais, ripropone l’antica questione dell’uso della ‘religione’ ( o per meglio dire l’espunzione di quei paragrafi particolarmente violenti incisi in tanti libri sacri) come strumento per dare forma e sfogo a pulsioni umane violente ed ancestrali, sepolte negli anfratti della storia dell’individuo, che cercano in codici sociali riconosciuti uno sbocco per uscire dalle profondità e dare un senso, ancorchè tragico, a vite banali e spesso disturbate, dedicate in gran parte alla ruminazione dell’odio.In altri casi la ‘professione di fede’ è un raffazzonato contenitore noleggiato all’ultimo minuto nel quale trovano un passaggio feroci e lucide personalità perverse, capaci di tramutarsi in micidiali macchine di morte qualora scorgano in qualche Dio, o qualche cattivo maestro eletto a guida spirituale quegli stessi inconfessabili desideri di morte che non erano sino a quel momento riusciti a sdoganare in nessun luogo.
Parliamo di un tempo nel quale la presenza del ‘fondamentalismo’, enorme contenitore ormai privo di contorni definiti tanto da poterci ficcare dentro ogni nequizia che l’animo umano possa produrre, non è solo funzionale all’autoassoluzione di tanti carnefici che cercano in un altrove un senso a vite disgraziate, ma al contempo serve alla società ‘civile’ per poter inquadrare dentro una cornice ben precisa espressioni dell’animo umano che inquietano per la loro ferocia e la loro inclassificabilità. ‘ ah!, si era radicalizzato nelle ultime due settimane, ecco!’…, frasario consolatorio, speso ovunque ed inflazionato proprio come l’adagio ‘ ha ucciso moglie e figli? Ma da tempo era in cura per qualcosa, da qualche parte…’ .
Lasciamo per un attimo da parte Dio, Allah e l’Isis , proviamo a leggere la questione usando la clinica, per quanto limitatamente possibile, come asse portante dell’agire umano. Una lettura preliminare delle vite di Omar Mateen, l’autore della strage di Orlando nella quale vengono falciati 49 uomini scelti per il loro orientamento omosessuale, e di Mohamed Lahouaiej Bouhlel alla guida del camion a Nizza, ci consegna due uomini banali: un livido manesco con la passione per la palestra e il suo viso autofotografato il primo, (la cui descrizione forse piu’ veritiera è stata fatta dalla moglie, malmenata abitualmente, quando lo descrive come ‘bipolare’, capace di picchiarla anche solo ‘per il bucato fuori posto’), un uomo alle prese con problemi personali alle spalle, una vita destinata a fare capolino nel nulla, dopo una separazione e con precedenti penali il secondo. Per Mateen, che poco prima di imbracciare le armi chiama il 911 e dichiara fedeltà allo Stato islamico, era la femminilità , ma anche l’uomo che bacia un altro uomo, quell’indicibile che ha fatto detonare in lui qualcosa che giaceva sepolto da tempo. Qualcosa di inassimilabile, incollocabile. Per il carnefice nizzardo era forse la vita in sé, sfuggitagli di mano da tempo, quell’elemento da odiare. In entrambi i casi si tratta di crimini che possono essere letti sia come estrema deriva di animi paranoici capaci di colpire nemici resi minacciosi dal tempo e dalla ruminazione malmostosa, o come l’azione di un cuori sadici, per definizione pietrificati, finalmente felici di far vibrare d’angoscia e terrore quei mondi per loro fonte di enigma da chissà quanto tempo, la comunità omosessuale nell’un caso e la vita libera nel secondo, potendo contare su una loro personale interpretazione non di un testo sacro ( Bouhlel era lontano dall’Islam, sappiamo oggi ), ma sorretti dalle frasi ridondanti di un qualche autonominato califfo che incita a uccidere con qualsiasi mezzo qualunque cosa emani vita.
Farsi interprete non già del messaggio complesso di un’ autorità o di un Dio, bensì ricercare nelle sue righe quelle tracce di odio che fanno brillare in maniera assonante quelle medesime parti violente da tempo stoccate, ora finalmente libere per un autorizzazione che si ritiene concessa. ‘In tè, e piu’ di te’. Come Lacan insegna, il perverso scorge nell’altro quel sentire che in lui abita da tempo e, una volta riconosciutolo, si sente libero di agire in nome e per conti di.
Poco importa se egli abbia avuto o meno un ordine, o se , come piu’ spesso avviene, si muova all’interno di una sorta di ‘franchising’ dell’odio, potendo attingere a comunità ormai ben strutturate, diffuse.
Il reverendo Anderson, l’esorcista della serie ‘Outcast’, confessa di aver cercato nella parole del proprio Dio il modo per appagare il proprio narcisisimo:
‘So di aver detto che faccio la tua volontà, Signore.E’ quello che ho detto alla mia congregazione. E’ quello che ho provato a dire a mè stesso.
E’ una bugia Signore, l’ho fatto perché mi piaceva.
L’attenzione, le lodi, la sensazione di potere. Il tuo potere.’
Dunque il perverso è in sé un uomo di fede, un essere che cerca, edifica, installa e venera un Dio al quale votarsi, immedesimarsi. L’Altro è il detentore della massima da agire, il depositario delle regole, un entità nella quale allinearsi completamente e da li, prendendo la sua volontà supposta come Legge, dare la stura alle peggiori nefandezze delle quali è capace , finalmente libero di appaltare ad un volere assoluto i suoi servigi. L’altro non deve essere castrato, ma intatto, pieno, colmo di verità e certezze da eseguire come un automa. Consiste in questo la natura golemica del perverso, un essere dormiente e incapace di possedere una propria volontà, se non quella del padrone, che dal posto che egli gli assegna, lo sveglia e lo rimette a dormire quando il suo compito è finito. Il sadico dunque è una statua nel quale ‘ Quando il godimento vi si pietrifica, esso diviene il nero feticcio in cui si riconosce la forma offerta come tale e quale, a tempo e luogo ed ancora ai giorni, perché vi si adori Dio’[1]
L’esistenza di questo stile del desiderio non si può soddisfare che per una captazione inesauribile del desiderio dell’altro, perseguita fin dentro i suoi sogni dai songi del soggetto, il che implica in ogni istante un abdicazione totale del desiderio proprio dell’altro’[2]
L’uso strumentale di un Dio, qualsiasi esso sia, oggi è dunque uno dei canali preferiti per la fuoriuscita di queste zone nere dell’animo umano, cosi’ come risponde al bisogno diffuso della comunità della ricerca immediata di un Altro al quale addossare le colpe del finto gelataio ( la strage venne etichettata come un crimine dell’Isis appena pochi minuti dopo, senza sapere nulla della dinamica, da quasi tutta la stampa mondiale) , inoltre sopperisce al bisogno delle vittime di sapere che c’è un mandante, delocalizzando istinti sadici propri del consesso sociale direttamente nell’area del peccato o nel campo dell’azione fondamentalista, rimandando dunque ad un ‘aldilà’ la motivazione dell’omicidio.
Tutte giuste queste analisi,
Tutte giuste queste analisi, anche molto intelligenti. Ma perché formularle? C’è qualcosa che va al di là dell’intelligenza. C’è il bisogno di difendersi dall’angoscia generata da un trauma incomprensibile. Allora qualunque psicologia va bene. Sia benedetta, nostra signora psicanalisi, giusto per rimanere in ambito pseudoreligioso.