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A cosa serve la psicoanalisi? Abbozzi di risposta mentre sfila il Family Day

31 Gen 16

A cura di info_1

 La domanda ‘perché fai questo lavoro?’, nonostante anni di tentativi di dare una risposta, dispostivi di scuola che tentano in ogni modo di sistematizzare le ragioni, non può né mai potrà trovare un perchè definitivo, ultimativo. Quello che so, è che le iniziali risposte si sono dissolte nel tempo, man mano che conoscevo abissi umani che non avrei mai sospettato esistere. 

Intendo dire quando ti presentavano, e volevano farti credere, che il mestiere di analista non è che una pratica standardizzata per malanni medi, una sorta di mutua della psiche. Oppure quando hanno cercato di portarti laddove si pratica un eugenetica dell’analisi, vale a dire un lavoro banale dove fare accomodare in studio tutto quello che è comprensibile, maneggiabile, riferibile in congressi, mettendo alla porta tutto il resto.
Ecco, credo oggi di fare questo lavoro per ‘tutto il resto’.
Tutto l’indicibile che credevi un’ eccezione, è in realtà la norma in questa pratica.E' il mondo che ti circonda. E che abiti.
La maggioranza dei ‘malanni’ coi quali le persone si sono rivolte a te, sono in fin dei conti sintomi trattabili attraverso una miriade di altri rimedi. Anche farmacologici. Sono i maneggi dei singoli nel saperci fare col buio il vero oggetto di analisi.
So che si danza sul'abisso. Come ha scritto J. Kristeva: ‘ se un analista riesce a stare nel solo posto che è il suo, il vuoto, gli è forse possibile intendere e intendersi costruire un discorso intorno a quell’intreccio d’orrore e di fascino che segnala l’incompletezza dell’essere parlante. L’analista è forse tra i pochi testimoni moderni del fatto che danziamo su un vulcano. (…) Può allora egli radiografare l’orrore senza capitalizzarne il potere? Esibire l’abbietto ma non confondersi con esso? Probabilmente no. (..) Mentre altri continuano il lungo cammino verso idoli e verità di ogni genere armati della fede necessariamente giusta delle guerre future, necessariamente sante (..) per me serve il sereno approdo di una contemplazione quando sotto le subdole e levigate superfici delle civiltà metto a nudo l’orrore fecondo che queste civiltà si sforzano di allontanare purificando, sistematizzando, pensando (…) Il mestiere dell’analista è un lavoro di delusione, di frustrazione, di svuotamento.

Occupare il posto dell’analista, significa vedere dietro i cartelloni colorati dei partecipanti al Family Day.
Sapere, statisticamente sapere, che adunate di questo tipo, con la veemenza violenta dei crociati, nascondono l’osceno che cercano di rinnegare, mi da quella che un amico giornalista definì ‘la depressione dell’hacker’. So , vedo cosa si nasconde dietro le pareti scintillanti delle palazzine rinfrescate, ed è un suburbio di miseria, di infrazione, di devianza e perversione. So, ma non posso dire. Mentre la grande manifestazione in ’omaggio alla ‘famiglia tradizionale’ andava in onda, leggevo su tutti i quotidiani quelle cose che un analista conosce: ogni anno 80.000 italiani si recano all’estero per sfruttare sessualmente il corpo di bambini in quelle terre ove è permesso e regolato. Guardavo le loro banidere e trovavo in filigrana il riscontro delle cifre che la stampa ci consegna, e lo studio amplifica: in quell’arena sono sicuramente rappresentati tutti quelli che ingrossano le file della prostituzione che rallenta i raccordi anulari, pronti a pagare fior di euro per una notte con un transessuale. Vedo, ma non posso dire.
E se lo dicessi, mi renderei ridicolo. Minerei quel sistema di protezione , quel margine urlante che la società innalza per mettere tra se e le proprie oscenità un fossato lastricato di bandiere, ostentazioni di purismo, dichiarazioni di fede a un Dio che di costoro, forse, non saprebbe che farsene. So, vedo, percepisco dalle interviste in tv il loro odio, la loro feroce difesa di quell’ordine familiare che di notte infrangono. Sento il loro bisogno di avere un nemico al quale ostentare la loro ‘normalità’. Vedo gente che non sa amare se non facendo assurgere il proprio modo di farlo come unico ed indubitabile. So cosa negli studi di un analista costoro dicono degli omosessuali, quanto li desiderino privatamente, quanto pubblicatamene li detestino. Conosco la loro passione per la transessualità, pari al calore delle fiaccole che ostentano in occasioni di raid notturni per ‘ripulire’ le strade.
Questo siamo. Questo è. Questo ogni giorno vede l’analista. A cosa serve, dunque la psicoanalisi? A rendere conto che il patto sociale sul quale fondiamo il nostro quieto vivere, non è per niente quieto. Che la tensione tra oscenità e dighe per trattenerla, è la linfa vitale che mette in moto il consesso sociale.Faccio questo lavoro per non finirci dentro.

1 Julia Kristeva. 'Poteri dell'orrore. Saggio sull'abiezione' 

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2 Commenti

  1. manlio.converti

    Non ho capito se la
    Non ho capito se la perversione è nell’amare le persone transessuali o nel negarlo il giorno dopo.
    Non capisco nemmeno perché nessuno si mobiliti come Psichiatri o come Psicanalisti contro il terrorismo del dottor Gandolfini che delirava anche contro la masturbazione ma più arditamente affermava senza smentita alcuna che noi omosessuali siamo malati di mente!
    Il silenzio uccide!

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    • info_1

      La perversione è la ricerca
      La perversione è la ricerca di uomini o donne transessuali, negata pubblicamente agghindandosi con abiti di novelli crociati.

      Rispondi

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