Da oltre un mese tutti i canali di informazione sono occupati quasi totalmente dagli aggiornamenti sulla diffusione del contagio e sulle sue conseguenze. Alcuni giorni fa la notizia di un grave fatto di sangue nella capitale ha – seppur marginalmente e per breve tempo – allentato questo sostanziale monopolio. In un appartamento di un quartiere popolare del Laurentino a Roma un ventenne, sofferente di disturbi psichici, al culmine di un litigio notturno ha aggredito e ucciso la madre di 45 anni, infierendo sino a decapitarla con un coltello. L’episodio, oltre che per l’efferatezza, ha trovato spazio anche per la sostanziale assenza della cronaca nera.
Non si tratta solo di un comprensibile mutamento nell’agenda dei media. Il fatto è che la pandemia in atto sembra aver sortito un unico, paradossale effetto positivo: la drastica flessione della delinquenza piccola e grande, specialmente quella di strada. Secondo fonti ufficiali, nelle ultime settimane gran parte dei reati sono diminuiti in misura significativa: dallo spaccio di droga alle rapine, dai furti in casa alle truffe. Le risse sono addirittura scomparse. Questo sia come trend nazionale sia come dinamiche nelle realtà locali, dove le denunce si sono ridotte anche di due terzi, rispetto alle statistiche precedenti all’esplosione del COVID-19. Qualcosa di simile si osserva in buona parte d’Europa. In Austria, ad esempio, un portavoce del Ministero degli Interni, dando conto delle statistiche settimanali, ha comunicato che il numero complessivo dei reati è calato del 60 per cento; in particolare, gli episodi di violenza si sarebbero dimezzati. Ancora più evidente la rarefazione dei reati contro il patrimonio, dai furti d'auto alle effrazioni nelle case.
Ovviamente, non si tratta di un repentino pentimento con ritorno all’onestà, indotto dal timore del virus. Lo prova se non altro l’incremento delle aggressioni informatiche, che spesso sfruttano l’emergenza come nel caso delle numerose mail con asserite informazioni sanitarie inviate dall’OMS, che in realtà celano un pericoloso programma ramsonware, pronto a bloccare la memoria del computer aggredito per richiedere un riscatto da pagare in criptovaluta.
Il fatto è che nel mondo fisico la criminalità deve affrontare i problemi di un contesto sociale radicalmente mutato. Negozi e uffici chiusi, le strade deserte e militarizzate non sono certo un ambiente propizio per rapinatori, scippatori e spacciatori; se tutti rimangono in casa, i ladri non svaligiano gli appartamenti. Oggi l’identikit del sospetto è divenuto quello di chi esce di casa senza un motivo e fornisce alle forze dell’ordine scuse inattendibili. E, infine, anche i malviventi hanno paura di ammalarsi.
Ma questo riguarda il “fuori”, non il “dentro”. L’inevitabile macchina retorica esalta il focolare domestico e le risorse dimenticate dell’introspezione, quasi a riscoprire il Viaggio intorno alla mia camera di Xavier de Maistre. Dimenticando che non tutti hanno case accoglienti e adeguate, e tanto meno vicinanze adeguate e accoglienti. Che la maggior parte dei delitti contro la persona avviene in sistemi di relazione e quelli più gravi nelle relazioni più strette e nei momenti di convivenza più estesa, come le feste e i week end. Che il sociologo Murray Straus giunse ad affermare che “la violenza fisica all’interno del gruppo familiare ha dimensioni maggiori di quanto non sia tra ogni altro individuo o gruppo, fatta eccezione delle guerre” (1). Che molti presidi psichiatrici sono stati costretti a ridurre o interrompere il sostegno a pazienti a rischio. Che è prevedibile che aumenti il consumo di alcolici per combattere l’ansia e l’alcol è il miglior combustibile per aggravare i conflitti.
Pare che anche le denunce di violenze domestiche siano drasticamente calate. Il che verosimilmente significa che le vittime non possono sottrarsi al controllo quotidiano in case/prigioni in cui debbono rimanere, prigioni che – a differenza di quelle pubbliche – non saranno mai sconvolte da rivolte sanguinose.
Quando la grande peste sarà finita qualcuno dovrà indagare sul lato oscuro di queste lunghe settimane di Italia confinata nelle mura di casa. A porte chiuse.
In fin dei conti, forse, "l'enfer, c'est les autres".
Ovviamente, non si tratta di un repentino pentimento con ritorno all’onestà, indotto dal timore del virus. Lo prova se non altro l’incremento delle aggressioni informatiche, che spesso sfruttano l’emergenza come nel caso delle numerose mail con asserite informazioni sanitarie inviate dall’OMS, che in realtà celano un pericoloso programma ramsonware, pronto a bloccare la memoria del computer aggredito per richiedere un riscatto da pagare in criptovaluta.
Il fatto è che nel mondo fisico la criminalità deve affrontare i problemi di un contesto sociale radicalmente mutato. Negozi e uffici chiusi, le strade deserte e militarizzate non sono certo un ambiente propizio per rapinatori, scippatori e spacciatori; se tutti rimangono in casa, i ladri non svaligiano gli appartamenti. Oggi l’identikit del sospetto è divenuto quello di chi esce di casa senza un motivo e fornisce alle forze dell’ordine scuse inattendibili. E, infine, anche i malviventi hanno paura di ammalarsi.
Ma questo riguarda il “fuori”, non il “dentro”. L’inevitabile macchina retorica esalta il focolare domestico e le risorse dimenticate dell’introspezione, quasi a riscoprire il Viaggio intorno alla mia camera di Xavier de Maistre. Dimenticando che non tutti hanno case accoglienti e adeguate, e tanto meno vicinanze adeguate e accoglienti. Che la maggior parte dei delitti contro la persona avviene in sistemi di relazione e quelli più gravi nelle relazioni più strette e nei momenti di convivenza più estesa, come le feste e i week end. Che il sociologo Murray Straus giunse ad affermare che “la violenza fisica all’interno del gruppo familiare ha dimensioni maggiori di quanto non sia tra ogni altro individuo o gruppo, fatta eccezione delle guerre” (1). Che molti presidi psichiatrici sono stati costretti a ridurre o interrompere il sostegno a pazienti a rischio. Che è prevedibile che aumenti il consumo di alcolici per combattere l’ansia e l’alcol è il miglior combustibile per aggravare i conflitti.
Pare che anche le denunce di violenze domestiche siano drasticamente calate. Il che verosimilmente significa che le vittime non possono sottrarsi al controllo quotidiano in case/prigioni in cui debbono rimanere, prigioni che – a differenza di quelle pubbliche – non saranno mai sconvolte da rivolte sanguinose.
Quando la grande peste sarà finita qualcuno dovrà indagare sul lato oscuro di queste lunghe settimane di Italia confinata nelle mura di casa. A porte chiuse.
In fin dei conti, forse, "l'enfer, c'est les autres".
Note
- Cfr. Correra M., Martucci P., La violenza nella famiglia. Padova, Cedam, 1988, p.13.
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