di Sarantis Thanopulos, ilmanifesto.it, 17 agosto 2013
Un’indagine per istigazione al suicidio è stata aperta dopo che un quattordicenne si è tolto la vita: era deriso dai suoi compagni perché omosessuale e si sentiva incompreso dai suoi genitori. L’indagine non approderà a nulla, sposta solo l’attenzione sulla colpa dei coetanei e dei genitori allontanandola dall’adesione sociale alla sessualità normativa, il vero ostacolo per l’adolescente che cerca di uscire dalla propria solitudine. L’adolescente è alle prese con un corpo trasformato, potentemente erotico, che non padroneggia. Questo corpo, che sa essere suo ma lo sente estraneo, lo spinge verso un corpo altro dal suo in modo oggettivo, impersonale, senza che egli abbia ancora la possibilità di significare il suo desiderio. A rischio costante di essere disarcionato dal proprio corpo l’adolescente non è a suo agio con se stesso, scontando la peggiore delle solitudini. Il corpo dell’altro sesso gli offre un contenimento e un metro di misura (per costruire una propria motivazione e identità) ma, evidenziando una distanza, gli appare anche come un salto nel buio che intensifica la sua solitudine. L’omosessualità eterosessuale – la presenza contemporanea in ogni incontro erotico di due corpi solamente femminili e di due corpi solamente maschili – è il rimedio principale a questa incertezza e la forma dominante della sessualità adolescenziale. La sua configurazione è necessaria per l’avvicinamento del corpo dell’adolescente al corpo dell’altro sesso e per la differenziazione sessuale senza la quale non è possibile una sessualità vera e propria. Negli adolescenti eterosessuali la dimensione omosessuale del rapporto tra i partner garantisce le loro identificazioni crociate, quello scambio delle parti che rende il rapporto sessuale realmente godibile. Se l’approdo finale è omosessuale la dimensione eterosessuale rende possibile che gli amanti partecipino alla declinazione femminile e maschile della sessualità. Il fallimento dell’omosessualità eterosessuale abolisce egualmente la sessualità eterosessuale e quella omosessuale e produce una sessualità indifferenziata e autoreferenziale. La condizione necessaria per approdare a una sessualità personale, in cui il soggetto in via di maturazione possa riconoscersi, è l’oscillazione dell’adolescente tra omosessualità e eterosessualità: spazio fertile di contaminazione dei vissuti sessuali che ignora la definizione normativa dei confini e dei ruoli. In una società come la nostra che fa della trasgressione apparente la più rigida delle norme (vendendo specchietti per le allodole), gli adolescenti eterosessuali possono vivere l’omosessualità come ampliamento pericoloso, destabilizzante della sperimentazione interiore dell’alterità e rigettarla radicalmente proiettandola e attaccandola nei loro coetanei omosessuali. Si chiudono così in una identità di gruppo difensiva, omofoba. Per un ragazzo omosessuale che si trova senza sponda e legittimazione nel suo movimento tra omosessualità e eterosessualità, risucchiato in un vortice, la solitudine può diventare insostenibile.
http://www.ilmanifesto.it/area-abbonati/ricerca/nocache/1/manip2n1/20130817/manip2pg/14/manip2pz/344611/manip2r1/thanopulos/
Psicoanalisi al tempo della crisi, con Jonas la terapia costa 5 centesimi
di Marina Sogliani, buonenotizie.corriere.it, 18 agosto
Avete presente lo strizzacervelli da caricatura, quello che se ti giri schiaccia un pisolino e allo scoccare dei 60 minuti spara 80, 100, 150 euro con la stessa nonchalance di Lucy quando dice a Charlie Brown “5 centesimi prego”? Bene. Ora mettetegli sul lettino il paziente-tipo in tempo di crisi: depresso come il suo portafogli, ad ogni parcella più povero, ergo più depresso. Bel circolo vizioso, no?
Fortuna però che oltre a Lucy e agli psicologi da caricatura ci sono professionisti, nella cruda realtà, che i 5 centesimi li chiedono per davvero. Sono gli psicanalisti di Jonas. Un’associazione nata esattamente dieci anni fa con l’obiettivo di“accogliere le necessità che emergono dalla realtà sociale, rendendo possibile un percorso di cura anche a coloro che, a diverso titolo, si trovano in difficoltà economiche” spiega la dott.ssa Battistina Bertino di Jonas Aosta, la più settentrionale delle 18 sedi di Jonas sparse per il paese. All’estremo opposto c’è la sede di Bari, coordinata dalla dott.ssa Antonia Guarini che sintetizza in “rendere praticabile la psicanalisi per tutti” la mission comune dell’associazione, da Nord a Sud.
Sì perché soprattutto in città, a Bari ma anche a Milano,
“i servizi pubblici sanitari spesso sono oberati di lavoro – spiega la dott.ssa Guarini – e non sempre sono in grado di accogliere il considerevole numero di domande di presa in carico per un trattamento psicoterapeutico”.
Ci sono i privati, e le tariffe di cui sopra (ma un luminare può chiedere anche oltre 300 euro a seduta). Invece da Jonas regola è: mai chiudere la porta in faccia a nessuno. Tariffe a partire da zero euro, su misura di portafogli, con una media di 40 euro.
“Se una persona non ha le possibilità materiali di curarsi non può essere condannata a soffrire” è la spiegazione – ma anche la denuncia – della dott.ssa Elena Ferrante, responsabile di Jonas Milano (terza in un trittico di donne, sarà un caso).
Che ci tiene a precisare:
“Questo non significa che a Jonas facciamo volontariato a prezzi popolari. I nostri collaboratori (tutti intorno ai 30 anni, ndr.) sono scelti per la loro passione ma anche per la professionalità. Sono professionisti che hanno scelto e condiviso il rischio di impegnarsi senza la condizione di un rientro economico sicuro. Perché la psicanalisi non può selezionare i pazienti in base al reddito”.
E allora al diavolo le tariffe standard. Al diavolo lo strizzacervelli da caricatura.
E – ferma restando la professionalità – evviva i prezzi di Lucy.
Per il filmato collegato al pezzo:
http://buonenotizie.corriere.it/2013/08/18/psicoanalisi-al-tempo-della-crisi-con-jonas-la-terapia-costa-5-centesimi/
Francisco Mele: “Vi racconto Bergoglio erede di Simòn Bolìvar”
Intervista all’amico fraterno di Francesco e suo successore alla cattedra di psicologia: “È un grande stratega. Non sappiamo quali sorprese ci riserverà domani. Dio non sa mai cosa pensa un gesuita”
di Lucio Caracciolo, repubblica.it, 20 agosto 2013
“Francesco è il primo papa bolivarista della storia. La sua visione geopolitica è quella di Simón Bolívar, il Libertador: unire l’America Latina per farne un soggetto economico autonomo e un attore politico indipendente sulla scena del mondo: la Patria Grande”.
Così parla Francisco Mele, psicoterapeuta, docente in diverse università italiane e latinoamericane, successore di Jorge Mario Bergoglio come professore di psicologia al Collegio universitario del Salvador di Buenos Aires, uno dei centri di formazione della classe dirigente argentina gestito dai gesuiti. Mele conosce bene Bergoglio, il suo percorso teologico e culturale, le sue passioni e le sue qualità politiche. Di questo e di molto altro parlerà lunedì 26 settembre alle 12, al Festival di Todi, che quest’anno, tornato sotto la guida del suo direttore Silvano Spada, offre non solo teatro e arte di qualità, ma serate di dialogo e approfondimento politico-culturale di grande interesse. A Mele abbiamo chiesto di tratteggiare un profilo geopolitico-teologico di papa Francesco.
Tutti parlano di Francesco come del “papa argentino”. Ma lei suggerisce che il suo orizzonte geopolitico sia molto più vasto: gli Stati Uniti dell’America Latina, l’utopia di Bolívar recentemente reincarnata da Hugo Chávez.
“Questo papa rappresenta la voce dell’America Latina. Non è solo un patriota argentino, forse un peronista. Come ama dire lui stesso, egli parla per tutti i popoli insediati fra Rio Grande e Terra del Fuoco. Storicamente uniti dalla lingua spagnola e dalla religione cattolica. È l’Ispano-America, che con l’aggiunta del Brasile lusofono diventa America Latina. Non a caso il suo viaggio in Brasile è stato un tale successo: la gente sentiva che quel pastore vestito di bianco era uno dei suoi, un latinoamericano. Altrimenti un argentino non sarebbe mai stato acclamato dai brasiliani, anzi… “.
L’ultimo papa ad avere un progetto geopolitico fu Giovanni Paolo II, che volle e seppe riunificare l’Europa perché tornasse a “respirare con due polmoni”. Anche Francesco ha dunque un progetto?
“Certamente. Il progetto geopolitico cui va la simpatia di papa Francesco è quello di Bolívar, ma anche di Artigas, di San Martín e di tanti altri patrioti latinoamericani: l’unità dell’America del Sud come contrappeso agli Stati Uniti, la superpotenza che rappresenta gli interessi del Nord. Dell’unità latinoamericana Bergoglio ha detto e scritto in varie occasioni. Per esempio, riferendosi al libro del segretario della Pontificia commissione per l’America Latina, Guzmán Carriquiry, sull’America Latina del XXI secolo, pubblicato nel 2011 in relazione al bicentenario delle indipendenze dei paesi latinoamericani. Sull’attualità dell’integrazione latinoamericana si è fral’altro intrattenuta nel 2008 anche la Conferenza episcopale argentina, ispirata dallo stesso vescovo di Buenos Aires. Un altro interlocutore di Bergoglio su questo tema è stato il filosofo e storico uruguagio Alberto Methol Ferré. In un certo senso, i gesuiti hanno già fatto il primo passo verso l’integrazione continentale, quando hanno unificato le loro province di Argentina e di Uruguay”.
Qual è la sostanza sociopolitica e teologica di questo progetto?
“È la teologia del popolo. Essa si intende come superamento della teologia della liberazione, pur non rinnegandola. I teologi della liberazione si ispiravano a un’interpretazione socio-strutturale di taglio marxisteggiante. I teologi del popolo, ispirandosi alla dottrina sociale della Chiesa, ai documenti dell’episcopato latinoamericano di Medellín (1968), Puebla (1979) e Aparecida (2007) e a un filone storico-culturale che ha espresso fra gli altri Lucio Gera e Juan Carlos Scannone, non credono nelle classi ma appunto nel popolo. Con una speciale attenzione ai poveri, che in America Latina sono ancora tanti, troppi. Bergoglio vuole una Chiesa “dei poveri per i poveri”, schierata al fianco del popolo sofferente, umiliato, tradito dalle élite ed esposto alle insidie dell’individualismoedonistico-libertario, del capitalismo selvaggio e della globalizzazione imperialista. A lui preme la persona che vive in intima unione con gli elementi primordiali della natura: non dimentichiamo che al tempo dei conquistadores furono i gesuiti a sostenere che anche gli indigeni avevano un’anima. Inoltre, nella teologia di Bergoglio troviamo accenti che gli derivano dallo studio della filosofia di Romano Guardini e dell’opera letteraria di Fëdor Dostoevskij – penso all’avversione per i furbi e i prepotenti. Per il papa vale l’idea per cui la dottrina ci insegna in chi credere, ma il popolo ci insegna come credere. Un’influenza molto importante l’ha avuta il suo e mio maestro, Ismael Quilés, storico della filosofia, il quale aveva aperto l’università dei gesuiti allo studio del buddismo zen, dello yoga, al rispetto delle altre culture e delle diverse religioni. I riferimenti di papa Francesco ai “fratelli musulmani” o il rispetto per i “fratelli padri ebrei” sono frutto anche di quella lezione”.
Bolivarismo e teologia del popolo come ricetta per recuperare l’identità latinoamericana nel segno del cattolicesimo, contro la penetrazione delle sette protestanti?
“Proprio così. Bergoglio come tutta la Chiesa cattolica intende reagire alla diffusione del cristianesimo fai-da-te proposto dalle sette protestanti, che negli anni Ottanta vennero sostenute da ricchi finanziamenti nordamericani anche per combattere la teologia della liberazione, e che oggi hanno conquistato buona parte dei credenti in tutta l’America Latina e oltre. Papa Francesco critica con forza le sette, il new age, le religioni edulcorate, relativiste”.
Questo papa, come lei, ha insegnato psicologia. Materia storicamente ostica per il clero.
“Una volta la Chiesa pensava che la scienza dell’anima fosse la peste dei conventi, perché i sacerdoti che andavano in analisi finivano spesso per lasciare il ministero. Oggi l’aria è diversa. La Chiesa ha riabilitato la psicoanalisi, intesa come terapia della parola. Tra il cristianesimo e la psicoanalisi troviamo dei punti in comune: soprattutto, il valore fondante della parola. La parola ha la forza di rendere le cose schiave o libere. All’inizio era il Verbo, ma alla fine sarà sempre il Verbo. Ormai i seminaristi sono spinti a passare un periodo di analisi per verificare le fondamenta della propria vocazione. D’altronde, se uno perde la fede dopo l’analisi, vuol dire che non l’aveva davvero”.
Qual è il profilo psicologico di Bergoglio come capo della Chiesa?
“Francesco è un grande stratega. Mi ricorda Napoleone. Come l’imperatore stava vicino ai suoi soldati, questo papa ama mescolarsi al suo popolo e ai suoi preti, per incoraggiarli e spingerli verso la missione pastorale. E poi è un papa che pensa e agisce velocemente. Non sappiamo quali sorprese ci riserverà domani. Dio non sa mai cosa pensa un gesuita”.
Il lettino di Freud a Teheran: una chiacchierata con Gohar Homayounpour
di Carla Massi, ilmessaggero.it, 21 agosto 2013
Freud, 1905, un dialogo raccontato negli scritti teorici. Questo lo scambio che il professore narra di aver sentito: «Zia, parla con me, ho paura del buio» disse un bimbetto di tre anni. La zia allora gli rispose: «Ma a che serve? Così non mi vedi lo stesso». «Non fa nulla – ribatté il bambino, – se qualcuno parla c’è la luce».
La parola come illuminazione del nero interiore, di un mondo segreto che si sovrappone a quello visibile. Un dialogo citato come insegnamento del maestro che appare e scompare nel viaggio intimo (dell’analista e dei suoi pazienti) che troviamo del libro di Gohar Homayounpour Una psicoanalista a Teheran (Raffaello Cortina editore). Una psicoanalista di trentasei anni, e da pochi giorni mamma di una bimba, che ha studiato e si è formata in Occidente ma che ha voluto tornare a casa, in Iran. Dove, lei dice: «È possibile fare il mio lavoro come in ogni parte del mondo perché il dolore è dolore ovunque».
ROSSETTO JIHAD
Proprio partendo da questo assioma la psicoanalista lascia sullo sfondo la cultura iraniana e mette in rilievo le storie dei pazienti. Una narrazione che invita alla lettura sia gli addetti ai lavori sia chi non sa di psicoanalisi ma ha voglia di scoprire come le angosce, le piccole e grandi fobie, le paure e le ossessioni non hanno bandiere. Apolidi, in qualche modo. Una narrazione in cui Gohar Homayunpour azzarda a portare avanti, parallelamente e con la stessa forza, il suo disagio dell’essere tornata nella terra natale (sogni, associazioni di pensieri, eccessi di autostima alternati a timori di non essere adeguata) al disagio dei suoi pazienti.
C’è ironia, ci sono le citazioni freudiane (l’interpretazione di Gradivatorna più volte), c’è l’omaggio a Milan Kundera (il padre della psicoanalista ha tradotto i suoi libri in farsi, la lingua iraniana), c’è la rabbia nel far sapere a tutti che questo libro, per uscire, ha dovuto subire attacchi e frustrazioni. Qualcuno le aveva suggerito di cambiare il titolo in «Diventare matti a Teheran». Altri speravano che lei sottolineasse l’incontro scontro tra le teorie di Freud sulla sessualità e l’etica islamica. «So quanto sia diffuso erotizzare il chador – spiega – usare espressioni come “rossetto Jihad” raccontare che gli uomini iraniani picchiano le donne o caricare di fascino erotico, appunto, la calligrafia iraniana. Non intendo dare colpa di tale fenomeno all’Altro, la do a noi stessi, che restiamo fissati all’immagine orientale riflessa negli occhi dell’Altro». Poi l’uscita del libro negli Stati Uniti e adesso anche in Italia. Con la prefazione-benedizione del maestro (saggio) regista iraniano Abbas Kiarostami, classe 1940.
POLTRONA SBAGLIATA
Non c’è folklore tra le pagine. Ma nelle storie si possono rispecchiare uomini e donne di ogni parte del mondo. E, sicuramente, anche molti psicoanalisti di ogni parte del mondo. Le sedute con i pazienti sono continuamente interrotte da digressioni ma la storia delle persone c’è tutta: una celebre artista sogna di essere abbandonata e si siede sulla poltrona dell’analista anziché sceglierne un’altra o sdraiarsi sul lettino, una donna di 24 anni avvolta nel chador urla tutta la sua vergogna per aver perso la verginità, un camionista (all’inizio mal giudicato dalla psicoanalista) che dice di voler capire meglio se stesso e sogna di andare a letto con la madre, la sorella e la cognata. I complessi di Edipo, la dipendenza dal sesso, la paura del buio si intrecciano con racconti personali dell’autrice nata a Parigi da genitori iraniani, trasferita poi in Canada, studentessa a Boston e ora a Teheran. Vive la sua vita divisa tra il chador e gli studi, tra le analisi didattiche e le supervisioni nel Gruppo freudiano della sua città e l’insegnamento di Psicologia all’università Shahid Beheshti. E proprio il suo narrare dimostra come il dolore, la nevrosi e i conflitti interiori sono uguali nel profondo nonostante la storia, l’eredità culturale e le rivoluzioni. La dedica è a due donne della famiglia: «A Darya e Yassamine, perché sono quali sono».
http://www.ilmessaggero.it/CULTURA/LIBRI/psicoanalista_teheran_gohar_homayounpour_libro/notizie/317567.shtml
Di grazia in disgrazia
di Sarantis Thanopulos, ilmanifesto.it, 24 agosto 2013
La stagnazione domina la politica italiana e la cecità psicologica è tale che la paralisi è vissuta dai più come stabilità. Vista in una prospettiva filosofica o psicoanalitica la nostra vita è retta sui paradossi – nel senso che non possiamo accedere al significato della nostra esistenza se non in chiave antinomica – ma quando i paradossi diventano moneta corrente dei nostri scambi quotidiani, senza che nessuno si preoccupi, ciò può avere una sola spiegazione: stiamo sguazzando nella melma che sarà pure disgustosa ma ha una sua funzione calmante, ansiolitica. Dei paradossi e dei ragionamenti illogici è sufficiente citare uno esemplare, in grado di rappresentare l’essenza del meccanismo che li determina. Lo spread è a livelli notevolmente bassi e questo si attribuisce alle larghe intese tralasciando pigramente un fatto: dal governo Monti ad oggi il debito pubblico – la causa acclamata dello spread- non ha mai smesso di crescere. Si preferisce soggiornare nella contraddizione nonostante la sua ovvia soluzione: la deregulation prolungata dei mercati globali (la vera causa della crisi) ha mandato il meccanismo degli scambi in panne e gli speculatori mondiali tifano per il congelamento di una situazione i cui sviluppi sono sfuggiti dalle loro mani (come era prevedibile). Il rifugiarsi disperatamente nell’immobilità (la materia prima dei paradossi con cui si convive) è il risultato dell’occultamento dei conflitti a partire da quello tra un’economia regolata in nome dell’interesse collettivo e un mercato senza freni che sta distruggendo i legami solidali e i rapporti di scambio. Dell’esigenza di annullare i conflitti si è fatto interprete da noi il presidente del consiglio. Nel tuonare contro i «professionisti del conflitto» ha oscurato il conflitto politico vero (tra chi persevera nella ricerca di uomini della provvidenza e chi aspira alla costruzione di soggetti politici collettivi capaci di ricostruire dalle macerie), permanendo nello scontro sul destino giudiziario di Berlusconi: una gazzarra che va in scena nei media (dando dignità politica alle argomentazioni disoneste sul piano intellettuale dei sostenitori del recluso di Arcore). La faccenda di Berlusconi è chiara: un uomo si è fatto scudo del potere politico per violare la legge e la giustizia l’ha sanzionato nel rispetto del giusto equilibrio tra i poteri. Chiedere la grazia è suo diritto ma il presidente della repubblica non è nella condizione di concedergliela. Se lo facesse, non solo violerebbe la costituzione italiana (e il senso stesso della legalità democratica) ma legittimerebbe anche un funzionamento mentale collettivo prossimo a quello che Freud ha definito «processo primario »: un pensiero che non rispetta il principio aristotelico della non contraddizione e nel quale una cosa coesiste con il suo contrario. Il conflitto tra cose opposte è annullato e insieme la possibilità di scelta e l’elaborazione delle contraddizioni con grave danno del rapporto con la realtà. Costruire villaggi di larghe intese a valle quando a monte la diga del conflitto non riconosciuto scricchiola è la peggiore scelta possibile.
L’articolo di Thanopulos è
L’articolo di Thanopulos è delirante, offensivo, omofobo, pericoloso per gli adolescenti e i genitori che lo leggano, istiga all’omofobia ed al suicidio!
No peggio è da ignoranti di ritorno!
Qualcuno spiega a Thanopulos cos’è la bisessualità? Cos’è l’attrazione per le le persone transessuali, per i corpi ermafroditi, per più di un’opzione?
Il suo articolo normante, per usare le sue parole si inventa l’omosessuzle-eterosessuale senza trattino.
L’articolo è confuso e l’autore andrebbe licenziato!
La società omofoba o eterosessista, la famiglia, la scuola…i mass media.
Il corpo, accettato, rifiutato, di ogni adolescente, eter-bisex-gay-amante.trans-proprio.trans si rivolge in modo naturale verso l’altro.
Un abisso di sensazioni fisiche e sentimenti che viene sedato dai rituali di passaggio negli etero, educati, soprattutto i maschi, e ben sappiamo le crisi delle donne che rifiutano le mestruazioni vissute come colpa per ragioni religiose o culturali!
L’altro è altro, indipendentemente dall’aspetto , maschio-femmina-queer-trans, o dall’orientamento, etero-bisex-gay-lesbo-amate.trans, ma se la società ti opprime, la famiglia la scuola, i medici e gli psicologi attraverso mass media e web, allora l’altro diventa irragiungibile.
Vi prego di cancellare questo orrore, che poi mescola articoli di vario genere, svalutando ognuno di essi ed ogni lettore!
Ora tocca a voi, leggere
Ora tocca a voi, leggere qualcosa di corretto…o continuare a camminare sul sentiero dei pregiudizi…
Leggendo e commentando o mandando vostri casi clinici o storie personali anche anonime a manlio.converti@tiscali.it
seguendo il mio blog…
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4376