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Agosto 2014 I – Scenari, diari, sogni,

11 Ago 14

A cura di Luca Ribolini

“NOI POLITICI SIAMO IN GRADO DI COMUNICARE?”. A tu per tu con lo psicanalista Orlando del Don sui nuovi mezzi di comunicazione, tra social network e blogs

di Redazione, ticinonews.ch, 4 agosto 2014
Social network e blog, nuovi canali di comunicazione per esprimere le proprie idee. Sia da parte dei politici, che dei comuni cittadini. Cosa scatta nella testa di chi scrive e commenta sul web? Radio 3i lo ha chiesto al gran consigliere Orlando Del Don. Non nella sua veste di politico, bensì di psicoanalista.
“Il social network è un po’ l’inconscio della società” racconta l’esperto. “Quello che non si può dire nelle forme diplomatiche e ufficiali, viene detto sui social network. Da questo punto di vista è qualcosa che tocca dal profondo il vissuto di ogni navigatore. Allo stesso tempo è immediato. Possiamo postare subito qualsiasi cosa, reagire d’impulso e poi non avere più la possibilità di correggere o ripensarci. E all’interno di questo grande collettivo di persone ci sono anche dei personaggi particolarmente inquietanti che sono capaci di provocare in maniera subdola e direi anche perversa. È un elemento su cui tutti noi dobbiamo fare i conti, che sia poi l’uomo politico o “l’uomo della strada”. Dobbiamo prendere atto di questa realtà. Abbiamo un inconscio collettivo che si esprime attraverso questo mezzo. Il mezzo è potente e utile, ma allo stesso tempo pericoloso”.
Del Don stesso ha postato poco tempo fa un documento nel quale metteva in guardia dal reagire in maniera immediata di fronte a provocazioni. Provocazioni che potrebbero alimentare ancor di più conflitti o situazioni spiacevoli per chi è oggetto degli attacchi. Cosa si può dunque fare quando ci si trova di fronte a queste situazioni o in un particolare stato emotivo?
“Innanzitutto contare fino a 10″ spiega Del Don, “poi, soprattutto quando si tratta di rispondere, fare attenzione”. Il deputato prende come esempio la sua situazione personale: “Nella mia posizione non posso evitare di essere preso di mira anch’io. Quello che consiglio sempre di fare è di non rispondere mai per le rime. Nei confronti di chi è aggressivo cerco sempre di vedere il lato positivo, e anche la disperazione, la sofferenza, l’incapacità di comunicare in un altro modo. In molti casi la situazione poi si risolve. Spesso chi è dall’altra parte, anche se non immediatamente, ritorna con un atteggiamento più conciliante e cerca di spiegarsi, soprattutto chi è disposto al colloquio. Naturalmente” aggiunge “ci sono anche coloro che soffrono di una vera e propria patologia. Si inseriscono nel dibattito sui social network, provocando irritazione e cercando unicamente il conflitto. Questo è il loro bisogno e modo di esprimersi”.
I social network sono un argomento su cui la politica deve tornare a riflettere in un qualche modo? “Direi di sì perché, come ho detto prima, il social network è come una coscienza collettiva che si esprime in maniera diretta e a volte brutale. Al di là delle forme, sotto cova un certo tipo di malessere. Cosa spinge molte persone, anche perbene e capaci, a esprimere attraverso i social network certe affermazioni così estreme, così pericolose?” si chiede il deputato. “È la frustrazione, il disagio, la rabbia, l’incomprensione, l’incapacità di comunicare altrimenti. Il social network, se vogliamo, lega in una qualche maniera la persona pubblica con tutte le altre persone che, da un certo punto di vista, non hanno la possibilità di esprimersi altrimenti. È un modo di comunicare la sofferenza, e da un punto di vista psicoanalitico questa non si esprime sempre attraverso un atteggiamento dimesso, ma con molta violenza”.
“Per cui dobbiamo preoccuparci e farci delle domande” conclude lo psicanalista. “La prima delle quali è: siamo veramente capaci di comunicare? Noi politici siamo capaci di comunicare? Io penso di no, e spesso siamo anche malconsigliati da chi crede di saper comunicare”.
Al link l’intervista audio a Del Don: 
http://www.ticinonews.ch/ticino/208548/noi-politici-siamo-in-grado-di-comunicare
 

UN LIBRO DELLO PSICANALISTA MILANESE CARLO ARRIGONE SUL GIOCO D’AZZARDO. È il fondatore e direttore della casa di accoglienza casalese intitolata a Santa Teresa

di Redazione, alessandrianews.it, 4 agosto 2014
Joseph Huizinga, storico olandese celebre per i suoi studi sulla storia delle civiltà, scriveva nel 1938 “la civiltà umana sorge e si sviluppa nel gioco, come gioco” (Homo Ludens). Marzio Marino e Carlo Arrigone nel loro libro “GAP-Il gioco malato” (Ed. Odon, Milano 2014) si muovono dall’osservazione del pensatore olandese per domandarsi come sia possibile che un’attività così produttiva e naturalmente formativa come quella ludica possa trasformarsi in una trappola che trascina il giocatore in una spirale incontrollabile, portandolo a perdere non solo i suoi averi materiali, ma anche gli affetti più stretti.  Il legame che ha Carlo Arrigone, psicanalista milanese, con la città monferrina, è duplice. Da un lato la tematica del gioco d’azzardo è stata, ed è, al centro del dibattito sociale e politico in Casale (l’amministrazione di Giorgio Demezzi aveva firmato il Manifesto dei 100 sindaci contro il gioco d’azzardo, quarto comune in Piemonte e quella di Titti Palazzetti non da meno nel contratto al fenomeno), dall’altro Arrigone è direttore e fondatore della casa di accoglienza Santa Teresa, in via Negri.
È il tema del Gioco Patologico, quello che viene approfondito e analizzato dagli autori, un disturbo psicologico pervasivo che vede soggetti cadere in situazioni patologiche incontrollate, fenomeno così vasto da aver condotto l’ex ministro della salute Balduzzi a inserirlo nei Livelli essenziali d’assistenza (LEA) del sistema sanitario italiano. “La patologia”, scrivono gli autori, “è stata riconosciuta solo agli inizi del secolo scorso… ed è solo nel 1980, con la sua introduzione nel DSM-III, che è stato coniato il termine Gioco d’azzardo patologico”. Una vita relativamente recente, quindi, per una patologia che proprio negli ultimi anni sta esprimendo livelli preoccupanti di diffusione, connettendo problematiche comportamentali, familiari, psicologiche e, addirittura, giudiziarie.
Prendendo in esame la letteratura scientifica esistente, a partire da Freud (con una disanima del suo saggio su Dostoevskij e il parricidio) per arrivare a Rosenthal, Ladoucer, Henslin, Lasieur, il volume prende in considerazione le maggiori teorie psicodinamiche, cognitivo/comportamentali, biologiche e si presenta con uno stimolante approccio multidisciplinare (la cui necessità è imposta “dalla complessità del funzionamento psicologico umano, che è risultato della complessa interazione tra fattori biologici, psicologici e ambientali”), presentando sia fenomenologia che epidemiologia del gioco patologico, ma anche offrendo definizioni psicologiche e biologiche (dove si analizzano i funzionamenti, ma anche le predisposizioni genetiche) e sociali dell’argomento.
Parte centrale dell’approccio al GAP, particolarmente complessa, è il processo diagnostico, perché nulla è più difficile dell’ammissione autonoma della dipendenza patologica dal gambling, in quanto “non sono rari i casi in cui sia i familiari che il diretto interessato, minimizzino o evitino il problema per sottrarsi alle difficoltà del percorso terapeutico… infatti il giocatore patologico prima di arrivare a riconoscere le sue difficoltà e chiedere aiuto, deve arrivare ad atti estremi, come atti criminali volti a racimolare soldi, o sperpero estremo di denaro. Il capitolo finale del volume, dedicato ai trattamenti, seleziona e presenta le più convincenti esperienze terapeutiche in ambito psicodinamico, comportamentale (dove le tecniche utilizzate sono sostanzialmente tre: terapia dell’avversione, desensibilizzazione e counseling), cognitivo e farmacologico (ssri, antagonisti degli oppiodi e stabilizzatori dell’umore), analizzando anche i risultati dell’esperienza dei Gamblers Anonymous.
Il volume, curato dallo psicoanalista Luigi Campagner, è tra i primi in Italia a offrire una completa disamina specialistica dell’argomento (comprendendo anche un capitolo dedicato alla normativa vigente in Italia) e si presenta come testo essenziale per chi si occupa di nuove dipendenze, di disturbi di personalità, di riabilitazione, di nuovi fenomeni di disagio sociale e professionale, ma anche per chi approfondisce i temi connessi alle nuove forme di criminalità.
http://www.alessandrianews.it/societa/un-bel-libro-dello-psicanalista-minalese-carlo-arrigone-sul-gioco-d-azzardo-66984.html
 

OGGI MORIVA MARILYN. LA LETTERA AL SUO PSICHIATRA DALL’OSPEDALE “DEI GRANDI DISTURBATI”

di Nicolas Bersihand, huffingtonpost.it, 5 agosto 2014
Il 5 agosto 1962 Marilyn Monroe, nata il 1 giugno 1926, si è uccisa. Quel suicidio brutale ha fatto della sua leggenda vivente un mito tragico, la cui bellezza sensuale affascina ancora oggi le folle. Un anno prima il Dottor Kris, temendo che l’attrice passasse all’azione, la internò in un ospedale psichiatrico. Fu il peggiore degli incubi per l’attrice, rinchiusa tra “i grandi disturbati”, come lei stessa racconta in questa lettera mandata al suo psichiatra californiano, Ralph Greenson. Ultime parole dall’inferno.
 
2 marzo 1961,
Caro Dottor Greenson,
ho chiesto a May Reis (l’assistente personale di Marilyn Monroe) di battere a macchina questa lettera per me, poiché la mia scrittura non è chiaramente leggibile, ma ho anche incluso queste note e capirà cosa voglio dire.
M.M.
 
1 marzo 1961,
Ho appena guardato fuori dalla finestra dell’ospedale e ormai, laddove la neve aveva ricoperto tutto, tutto è un po’ verde: l’erba e i piccoli germogli, quelli che non perdono mai le foglie (anche se gli alberi non sono ancora molto incoraggianti), i rami nudi e lugubri annunciano forse la primavera e sono forse segno di speranza.
Lei ha visto Gli Spostati? In una delle scene, potrà vedere fino a che punto un albero possa apparirmi strano e nudo. Non so se si vede distintamente nello schermo… Non amo la maniera in cui certe scene sono state montate. Da quando ho cominciato a scrivere questa lettera, ho pianto quattro lacrime silenziose. Non so veramente perché.
La notte scorsa sono rimasta di nuovo sveglia tutta la notte. A volte mi domando a cosa serva il tempo notturno. Per me praticamente non esiste, e tutto mi sembra come un lungo e spaventoso giorno senza fine. Ed ho anche provato ad approfittare della mia insonnia in modo costruttivo e ho cominciato a leggere la corrispondenza di Sigmund Freud. Aprendo il libro per la prima volta, ho visto la fotografia di Freud e sono scoppiata in singhiozzi: aveva l’aria molto depressa (quella foto deve essere stata scattata poco prima della sua morte), come se fosse morto da uomo disilluso… Ma il Dottor Kris mi ha detto che soffriva molto fisicamente, cosa che avevo già letto nel libro di Jones. Ma penso anche di avere ragione, mi fido della mia intuizione perché percepisco un triste tedio sul suo viso. Il libro prova (anche se non sono sicura che si dovrebbero pubblicare le lettere d’amore di qualcuno) che era ben lontano dall’essere impacciato! Mi piace il suo senso umoristico dolce e un po’ triste, il suo spirito combattivo che non l’ha mai lasciato. Non sono ancora andata troppo avanti nella lettura perché sto leggendo allo stesso tempo l’autobiografia di Sean O’Casey (le ho già detto che un giorno mi ha inviato una sua poesia?). Questo libro mi sconvolge molto, nella misura in cui si può rimanere sconvolti da questo genere di cose.
Alla clinica Paine Whitney mancava del tutto l’empatia, il che mi ha fatto molto male. Sono stata interrogata dopo essere stata messa in una cella (una vera cella in cemento e tutto il resto) per persone veramente disturbate, i grandi depressi, (solo che avevo l’impressione di essere dentro una sorta di prigione per un crimine che non avevo commesso). Ho trovato questa mancanza di umanità peggio ancora che barbara. Mi hanno chiesto perché non stavo bene qui (tutto nella stanza era chiuso a chiave: le lampade elettriche, i cassetti, il bagno, gli armadietti, c’erano delle sbarre alle finestre… le porte delle celle erano come finestre così che i pazienti fossero sempre visibili, si vedevano sui muri le tracce delle violenze dei pazienti precedenti).
Ho risposto: “Eh beh, dovrei essere svitata per farmelo piacere.” Poi delle donne si sono messe a urlare nella loro cella, e credo urlassero perché la vita gli era diventata insopportabile… In quei momenti, mi sono detta che uno psichiatra degno di questo nome avrebbe dovuto parlare con loro. Per alleggerire la loro miseria e la loro pena, anche solo per un momento. Penso che loro (i medici) potrebbero anche insegnargli qualche cosa… Ma non sono interessati che a quello che hanno studiato nei libri. Ero sorpresa perché sapevano già tutto questo. Forse però potrebbero imparare qualcosa in più ascoltando degli essere umani vivi e sofferenti. Sento come se si interessassero più alla loro disciplina e lasciassero cadere del tutto i loro pazienti dopo averli fatti “piegare”. Mi hanno domandato di mescolarmi agli altri pazienti, di fare terapia di gruppo. “E per fare cosa?” ho domandato loro. “Potrà cucire, giocare a dama, o a carte, o fare la maglia“. Ho provato a spiegargli che il giorno in cui io farò delle cose simili, avranno veramente una svitata in più tra le braccia. Sono le ultime cose che mi va di fare. Mi hanno chiesto se mi sentivo “diversa” (dagli altri pazienti, suppongo) e mi sono detta che se erano talmente stupidi da fare simili domande, dovevo dargli una risposta bella semplice, quindi ho detto: “Sì, la sono“.
Il primo giorno ho incontrato un’altra paziente. Mi ha domandato come mai ero così triste e mi ha suggerito di chiamare un amico per sentirmi meno sola. Le ho risposto che mi avevano detto che non c’era un telefono a questo piano. A proposito di piani, sono tutti chiusi a chiave: nessuno può entrare o uscire; lei mi è parsa shoccata e sorpresa e mi ha detto: “Lasciate che vi porti al telefono“. Aspettando il mio turno per il telefono, ho notato una guardia (l’ho riconosciuta dall’uniforme grigia) e quando stavo per alzare la cornetta me l’ha strappata dalle mani e mi ha detto con durezza: “A lei non è permesso telefonare“. E si vantano pure dell’ambiente “casalingo”. Gli ho domandato (ai medici) che cosa volessero dire con quell’espressione. Mi hanno risposto “Beh, al sesto piano, abbiamo della moquette per terra e l’arredamento è moderno“, al che io ho risposto “Bene, è il genere di cose che un qualsiasi architetto d’interni può fornire, una volta che ha i fondi necessari“, ma per occuparsi di esseri umani, perché non si rendono conto di quello che rende veramente un interno più umano? La ragazza che mi ha parlato del telefono aveva l’aria così vaga e patetica. Dopo l’incidente con la guardia, mi ha detto: “Non sapevo che l’avrebbero fatto“. Poi ha aggiunto: “Sono qui a causa delle mie turbe mentali… Mi sono tagliata la gola e i polsi più volte“, ha detto di averlo fatto tre o quattro volte. La sola cosa che avevo in testa nell’ascoltarla era un ritornello:
Mescolatevi gli uni agli altri fratelli miei,
a meno che non siate nati solitari
Alla fine, gli uomini cercano di raggiungere la luna ma non sembrano molto interessati al cuore che batte nell’essere umano. Quand’anche potessimo cambiare, non per forza si dovrebbe volerlo. Questo a proposito, è il tema degli Spostati, ma nessuno se n’è reso conto. Immagino sia a causa delle modifiche al copione e dei cambiamenti imposti dalla sceneggiatura…
 
Scritto più tardi:
So che non sarò mai felice, ma magari almeno contenta! Vi ricordate che Kazan fingeva che fossi la ragazza più gaia che avesse mai conosciuto, e credetemi che ne ha conosciute molte! Ma mi ha amata per un anno e, una notte in cui ero piena d’angoscia, mi ha cullata fino a farmi addormentare. Mi aveva anche consigliato di fare un’analisi e più tardi ha voluto che lavorassi con il suo professore, Lee Strasberg. È Milton che ha scritto: “Le persone felici non sono mai nate“? Conosco almeno due psichiatri che cercano un approccio più positivo alle cose.
 
QUESTA MATTINA, 2 MARZO
Anche questa volta non ho dormito tutta la notte. Ho dimenticato di dirle alcune cose ieri. Quando mi hanno messa nella prima camera, al sesto piano, non mi avevano detto che si trattava di una sezione psichiatrica. Il Dottor Kris mi aveva detto che sarebbe venuto a trovarmi il giorno successivo. L’infermiera è entrata, dopo che il dottore (uno psichiatra) mi ha fatto un esame medico, compreso uno del seno, per assicurarsi che non avessi dei noduli mammari. Ho protestato, ma senza violenza, spiegando che il medico che mi aveva fatta entrare, un imbecille di nome Lipkin, mi aveva inflitto un check-up completo meno di un mese prima. Ma quando l’infermiera è entrata, ho notato che non c’era alcun modo di chiamarlo, anche solo con un campanello. Ho chiesto delle spiegazioni, e lei mi ha detto che ero in una sezione psichiatrica. Dopo che se n’era andata, mi sono spogliata ed è a quel punto che, nell’ingresso, ho incontrato la ragazza del telefono. Stavo aspettando davanti alla porta dell’ascensore, che assomiglia a tutte le altre porte, con la maniglia ma senza i numeri (vedete, li hanno tutti tolti). Dopo che la ragazza mi ebbe parlato di quel che si era fatta, sono tornata nella mia camera consapevole del fatto che mi avevano mentito riguardo al telefono e mi sono seduta sul letto pensando a quello che avrei fatto in questa situazione se si fosse trattato di un’improvvisazione teatrale. Allora mi sono detta, meglio non oliare la serratura finché non scricchiola. Riconosco che mi sono spinta abbastanza in là con questa metafora, ma ho preso l’idea in La tua bocca brucia, un film in cui ho recitato molto tempo fa.
Ho preso una sedia non troppo pesante e l’ho spinta volontariamente contro il vetro, e non è stato semplice perché non avevo mai rotto nulla in vita mia. Ho dovuto riprovarci più volte per ottenere una piccola scheggia di vetro; in seguito, ho nascosto la scheggia nella mia mano e mi sono seduta tranquillamente sul letto aspettando che arrivassero. Sono arrivati e gli ho detto che se mi trattavano come una pazza, mi sarei comportata da pazza. Ammetto che il seguito è grottesco, ma l’ho fatto veramente come mi fossi trovata nel film, solo che là era con una lama di rasoio. Gli ho fatto capire che mi sarei tagliata i polsi se non mi avessero lasciata uscire – cosa che non avrei mai fatto come voi sapete bene, Dottor Greenson, sono un’attrice, e non mi procurerei mai volontariamente un segno, una ferita, sono troppo vanitosa per farlo. Vi ricordate, quando avevo provato a uccidermi, l’avevo fatto con molta attenzione con dieci compresse di seconal e dieci di tuonal che avevo inghiottito con sollievo (o almeno è quello che sentivo in quel momento).
Non ho voluto collaborare con loro perché non potevo approvare il loro modo di fare. Mi hanno chiesto gentilmente di avvicinarmi ma ho rifiutato di muovermi e sono rimasta sul letto. Allora si sono messi a quattro, due donne e due uomini molto robusti per trasportarmi al piano superiore. Devo ammettere che hanno avuto la decenza di portarmi con la testa rivolta verso il pavimento. Almeno, vede, non avevo il viso scoperto. Ho solo pianto silenziosamente lungo tutto il cammino e mi hanno chiusa nella cella di cui le ho parlato e la grassa vacca, una di quelle che mi avevano trasportata nella camera, mi ha ordinato di farmi un bagno. Le ho spiegato che ne avevo appena fatto uno e lei mi ha detto con un tono che non ammette repliche: “Ogni volta che cambiate piano, dovete farvi un bagno“.
Il direttore dello stabilimento, che sembrava un preside di liceo, anche se il Dottor Kris lo chiama “amministratore”, mi ha interrogato come fosse un analista. Mi ha detto che ero una ragazza molto molto malata e che la ero da anni. Quest’uomo disprezza i suoi pazienti e le dirò perché tra poco. Mi ha chiesto come riuscivo a lavorare in uno stato depressivo così profondo. Voleva sapere se questo aveva delle ripercussioni sulla mia recitazione e me l’ha chiesto con un tono sicuro e definitivo. In effetti lo presentava come un fatto più che come una possibilità, così io gli ho fatto notare che anche Greta Garbo, Charlie Chaplin e forse Ingrid Bergman avevano lavorato a volte in stato depressivo. Gli ho detto che era stupido quanto affermare che un giocatore del livello di Di Maggio non potesse colpire una palla quando era depresso. È semplicemente ridicolo.
A questo proposito ho delle belle novità, in qualche maniera, perché credo di essere stata utile a qualche cosa, così almeno dice. Joe dice che gli ho salvato la vita consigliandogli uno psicoterapeuta di cui mi aveva parlato bene il Dottor Kris. Joe dice che si è ripreso dopo il divorzio, ma dice anche che se fosse stato al mio posto, anche lui l’avrebbe richiesto. Per Natale, mi ha inviato un intero campo di stelle natalizie. Ho chiesto chi me le avesse inviate tanto ero sorpresa (il mio amico Pat Newcomb era presente quando me le hanno consegnate). Mi hanno detto: “Non lo so, il biglietto dice solo: “I MIGLIORI AUGURI JOE”“. Gli ho risposto: “Non c’è che un solo e unico Joe“. Dato che era la sera di Natale, l’ho chiamato e gli ho chiesto perché mi aveva mandato i fiori. Mi ha detto: “Per prima cosa, perché ho pensato che mi avresti telefonato per ringraziarmi, e poi perché chi altro potrebbe mandartene? Non hai che me al mondo“. Ha aggiunto poi: “So che quando ero sposato con te, non mi hai mai fatto arrabbiare“.
Per farla breve, mi ha proposto di prendere qualcosa da bere con lui uno di questi giorni. Gli ho fatto notare che non beveva mai. Mi ha detto che beveva qualche volta, allora gli ho detto che ero d’accordo a condizione di andare in un posto molto molto buio. Mi ha chiesto cosa avrei fatto per Natale; gli ho detto: “Nulla di speciale, sono sola con un’amica“. Mi ha domandato se poteva unirsi. Ero felice che venisse, anche se devo dire che ero depressa e che piangevo senza cessa, allo stesso tempo ero contenta del suo arrivo.
Penso che sia meglio che mi fermi qui, perché voi avrete sicuramente altro da fare. Grazie di avermi ascoltata per qualche momento.
Marilyn M.
 
ps: mentre pronunciavo il nome di una certa persona avevate l’abitudine di lisciarvi i baffi e di guardare il soffitto. Sapete di cosa parlo, non è vero? Per me è stato (in segreto) un tenero amico. So che non mi crederete, ma dovete fidarvi della mia intuizione. Era un genere di breve passata. Non ne avevo mai avute prima ma ormai è fatta. È molto attento a letto.
Non ho alcuna notizia di Yves, ma non m’importa perché ne custodisco un ricordo talmente forte, tenero e meraviglioso.
Sono quasi in lacrime…
http://www.huffingtonpost.it/nicolas-bersihand/oggi-moriva-marilyn-lettera-psichiatra_b_5650650.html
 

CONTRO IL LOGORIO DELLA VITA MODERNA? MEDITATE DA SDRAIATI

di Cesare Cavalleri, avvenire.it, 6 agosto 2014
Non ho dubbi. Il libro più appropriato per iniziare le vacanze è L’arte di stare sdraiati, di Bernd Brunner (Cortina, pp. 176, euro 13). È un «Manuale di vita orizzontale» che sfata molti luoghi comuni, compresi quelli messi in circolazione da Michele Serra nel suo romanzo-diario Gli sdraiati, che accusa i giovani di neghittosità, con poca autocritica dei genitori che hanno sommerso di ogni comodità gli adolescenti, senza insegnargli altro.
Per continuare:
http://www.avvenire.it/Rubriche/Pagine/Leggere,%20rileggere/Contro%20il%20logorio%20della%20vita%20moderna%20%20Meditate%20da%20sdraiati_20140806.aspx?rubrica=Leggere,%20rileggere
 

SIGNIFICATO DEI SOGNI: SERVONO PER PREPARARE IL FUTURO. I NEUROBIOLOGI ARCHIVIANO SIGMUND FREUD?

di Redazione, huffingtonpost.it, 7 agosto 2014
Secondo Mario Trevi, psicologo junghiano e filosofo, i sogni si prestano a diverse interpretazioni e piani di lettura come degli ologrammi. L’ultima interpretazione di questo fenomeno psichico, così affascinante e sconcertante, è stata formulata e condivisa quasi all’unanimità dall’intera comunità scientifica. Dopo decenni di studi e ricerche condotte in ogni parte del mondo, gli scienziati sono arrivati alla conclusione che i sogni servano per preparare il futuro e, dunque, siano una strategia messa in atto dal cervello per creare uno stato di benessere.
Grazie a una conoscenza sempre più approfondita del cervello e all’esperienza di migliaia di sognatori che hanno raccontato le loro esperienza oniriche sul web – esperienze raccolte dai neurobiologi in apposite banche dati -, gli studiosi hanno individuato due distinte funzioni svolte dai sogni. Innanzitutto servirebbero a simulare virtualmente delle situazioni future, in modo tale da aiutare l’individuo ad affrontarle nella vita reale; poi faciliterebbero l’accettazione e assimilazione del vissuto al fine di trasformare il passato in un’esperienza utile per il futuro.
E la teoria freudiana, secondo cui l’attività onirica rivangherebbe il passato raccontando le pulsioni represse, i desideri più profondi e i traumi del sognatore? Come scrive Pietro Del Re su La Repubblica: “Ora, sono proprio i neuro-scienziati, o molti di loro, i più feroci oppositori delle teorie freudiane. Ma è giusto opporre neuro-scienze a psicoanalisi? Secondo lo psichiatria e psicanalista Vittorio Lingiardi, oggi più che mai c’è la possibilità di dialogare tra le ricerche di neuro-scientifiche e le ipotesi della psicanalisi”.
Secondo Lingiardi è proprio in materia di sogno che la moderna psicanalisi ha abbandonato da tempo la teoria freudiana, condividendo l’idea che mente e cervello siano la stessa cosa. Dello stesso avviso è anche l’etno-psichiatra Tobie Nathan, come spiega La Repubblica: “I sogni non ci parlano del passato, ma sono invece futuro e previsione. Come se la notte il regista onirico che è in noi dovesse organizzare al meglio il domani. E, in sogno, anticipassimo ciò che potrebbe un giorno capitarci”.
http://www.huffingtonpost.it/2014/08/07/interpretazione-sogni-significato_n_5657460.html?utm_hp_ref=italy
 
LA REINTERPRETAZIONE DEI SOGNI
di Pietro del Re, repubblica.it, 7 agosto 2014
A che cosa servono i sogni? Semplice, a farci stare meglio da svegli. Prendete questo assunto per vero, o quanto meno per attendibile, perché a formularlo è la comunità scientifica nella sua quasi unanimità, anche se del sogno ancora non esiste una definizione biologica universalmente riconosciuta sono molti gli scienziati a pensarla così. Grazie alle recenti scoperte sul funzionamento del cervello, i neuro-scienziati pensano di disporre oggi, per la prima volta dopo l'Interpretazione dei sogni di Sigmund Freud, pubblicata più di cent'anni fa, di un modello coerente che consentirebbe di capire il perché della nostra vita onirica.
I sogni sono sempre sconcertanti, mischiano personaggi a noi familiari a perfetti sconosciuti, ci precipitano spesso in universi inverosimili raccontando storie per lo più stravaganti. Eppure, di questo fenomeno psichico, che incuriosisce l'uomo fin dai primordi della civiltà, poiché perfino il disegno del bisonte nella grotta di Lascaux è forse la rappresentazione di un sogno, i biologi del cervello avrebbero finalmente individuato le sue principali funzioni. Da un lato servirebbe a "digerire" il vissuto e a trasformarlo in esperienza utile per il futuro; dall'altro, ad anticipare le prove a cui saremo sottoposti preparandoci ad affrontarle al meglio.
Per continuare:

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/08/07/la-reinterpretazionedeisogni30.html?ref=search

MA IL PADRE DELLA PSICANALISI RESTA IL MAESTRO DELL'ONIRICO

di Massimo Ammaniti, repubblica.it, 7 agosto 2014
Ancora oggi il mondo dei sogni affascina non solo clinici e ricercatori ma anche il grande pubblico, probabilmente perché continua a rappresentare una sfida per la mente umana. Sicuramente il libro L'interpretazione dei sogni, pubblicato più di cento anni fa dal fondatore della psicoanalisi, Sigmund Freud, è stato letto da moltissimi lettori in cerca delle chiavi interpretative per chiarire i misteri del mondo onirico. Oggi ci si può chiedere se le teorie di Freud sul mondo dei sogni continuino ad avere una rilevanza, nonostante ricercatori e neurofisiologi con sempre maggior frequenza siano portati a criticare le teorie freudiane sulla base di evidenze neurobiologiche. Si può rispondere a queste critiche ricordando che Freud ha aperto la strada per studiare la vita mentale onirica, mettendo in luce che questa risponde a regole molto diverse rispetto al funzionamento mentale cosciente, in cui vige il principio di contraddizione.
Per continuare:

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/08/07/ma-il-padre-della-psicanalisi-resta-il-maestro-dellonirico30.html?ref=search
(Fonte: http://rassegnaflp.wordpress.com)

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