SALONE DELLA PAROLA, DECIMO INCONTRO: L’ISTINTO DI NARRARE, COME LE STORIE CI HANNO RESO UMANI
di Redazione, pu24.it, 8 agosto 2014
Martedì 19 agosto, alle 21.15, nella corte della Biblioteca Oliveriana di Pesaro, via Mazza 97 (nell’adiacente museo archeologico in caso di maltempo) Goffredo Pallucchini presenterà il libro di Jonathan Gottschall L’istinto di narrare. Come le storie ci hanno reso umani. Giudicato molto positivamente dalla critica e addirittura salutato come uno dei saggi più intelligenti e brillanti dell’anno, il libro di Gottschall pone la questione della centralità dell’ascoltare e raccontare storie nella vita dell’uomo, tanto da sveglio che nei sogni che abitano il sonno. Che le storie, – dice Pallucchini – i racconti di finzione siano per gli esseri umani qualcosa di più che un gioco, un passatempo, lo avevano compreso Propp nei suoi studi sulla fiaba e la psicoanalisi (Freud, Jung, B. Bettelheim, ecc.). Gottschall va oltre. La sua opera, “L’istinto di narrare”, come egli stesso afferma, riguarda l’uomo, la grande scimmia antropomorfa, dotata di una mente capace di creare storie e con un bisogno fortissimo della finzione narrativa. Si tratta di una creatura che trascorre molto tempo in un reame immaginario “nell’Isola che non c’è”. L’uomo infatti è immerso nelle storie, non solo quelle proposte dalle fiabe, dai romanzi, dai film, dalle canzoni, dalla pubblicità, ecc… ma anche in quelle che attraversano i nostri sogni o in quelle che, in vari momenti, raccontiamo a noi stessi, rivestendo e modificando i ricordi o plasmando sempre nuove immagini di noi stessi. Produciamo storie di finzione a ritmo continuo. A cosa servono le storie? Qual è la loro funzione dal punto di vista dell’evoluzione? Sono un elemento importante, necessario o sono solo un gioco, una fonte di intrattenimento, una sorta di effetto collaterale nel processo evolutivo, come le linee nel palmo della mano? Gottschall cerca di rispondere a queste e ad altre domande, convinto che ci sia una grammatica universale delle storie, che queste siano uno strumento fondamentale per la nostra sopravvivenza nei labirinti della vita e che il potere della finzione sia il tratto distintivo dell’uomo, ciò che lo ha reso un animale diverso dagli altri.
http://www.pu24.it/2014/08/08/salone-parola-decimo-incontro-listinto-narrare-come-storie-ci-reso-umani/128966/
Martedì 19 agosto, alle 21.15, nella corte della Biblioteca Oliveriana di Pesaro, via Mazza 97 (nell’adiacente museo archeologico in caso di maltempo) Goffredo Pallucchini presenterà il libro di Jonathan Gottschall L’istinto di narrare. Come le storie ci hanno reso umani. Giudicato molto positivamente dalla critica e addirittura salutato come uno dei saggi più intelligenti e brillanti dell’anno, il libro di Gottschall pone la questione della centralità dell’ascoltare e raccontare storie nella vita dell’uomo, tanto da sveglio che nei sogni che abitano il sonno. Che le storie, – dice Pallucchini – i racconti di finzione siano per gli esseri umani qualcosa di più che un gioco, un passatempo, lo avevano compreso Propp nei suoi studi sulla fiaba e la psicoanalisi (Freud, Jung, B. Bettelheim, ecc.). Gottschall va oltre. La sua opera, “L’istinto di narrare”, come egli stesso afferma, riguarda l’uomo, la grande scimmia antropomorfa, dotata di una mente capace di creare storie e con un bisogno fortissimo della finzione narrativa. Si tratta di una creatura che trascorre molto tempo in un reame immaginario “nell’Isola che non c’è”. L’uomo infatti è immerso nelle storie, non solo quelle proposte dalle fiabe, dai romanzi, dai film, dalle canzoni, dalla pubblicità, ecc… ma anche in quelle che attraversano i nostri sogni o in quelle che, in vari momenti, raccontiamo a noi stessi, rivestendo e modificando i ricordi o plasmando sempre nuove immagini di noi stessi. Produciamo storie di finzione a ritmo continuo. A cosa servono le storie? Qual è la loro funzione dal punto di vista dell’evoluzione? Sono un elemento importante, necessario o sono solo un gioco, una fonte di intrattenimento, una sorta di effetto collaterale nel processo evolutivo, come le linee nel palmo della mano? Gottschall cerca di rispondere a queste e ad altre domande, convinto che ci sia una grammatica universale delle storie, che queste siano uno strumento fondamentale per la nostra sopravvivenza nei labirinti della vita e che il potere della finzione sia il tratto distintivo dell’uomo, ciò che lo ha reso un animale diverso dagli altri.
http://www.pu24.it/2014/08/08/salone-parola-decimo-incontro-listinto-narrare-come-storie-ci-reso-umani/128966/
I PUZZLE DELLA SCHIZOFRENIA
di Redazione, ilsole24ore.com, 9 agosto 2014
Il Trattato di Eugen Bleuler, la cui prima edizione risale al 1916, è uno dei primi libri che, studente di psichiatria, i miei professori mi hanno messo in mano. Sono passati trent’anni e li ringrazio. «Quando il medico è posto di fronte al grande compito di aiutare una persona affetta da disturbi psichici – scrive Bleuler – si aprono davanti a lui due strade. In primo luogo, può registrare di cosa è malato. In base ai sintomi concluderà per uno dei tanti scenari di malattia che sono stati descritti. Saprà quindi quali metodi di trattamento sono disponibili e li selezionerà e applicherà in base alle esigenze del suo paziente. Può tuttavia intraprendere anche una strada diversa.
Per continuare:
http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2014-08-10/i-puzzle-schizofrenia-081328.shtml?uuid=ABwVa2iB
Il Trattato di Eugen Bleuler, la cui prima edizione risale al 1916, è uno dei primi libri che, studente di psichiatria, i miei professori mi hanno messo in mano. Sono passati trent’anni e li ringrazio. «Quando il medico è posto di fronte al grande compito di aiutare una persona affetta da disturbi psichici – scrive Bleuler – si aprono davanti a lui due strade. In primo luogo, può registrare di cosa è malato. In base ai sintomi concluderà per uno dei tanti scenari di malattia che sono stati descritti. Saprà quindi quali metodi di trattamento sono disponibili e li selezionerà e applicherà in base alle esigenze del suo paziente. Può tuttavia intraprendere anche una strada diversa.
Per continuare:
http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2014-08-10/i-puzzle-schizofrenia-081328.shtml?uuid=ABwVa2iB
PER HITLER & CO. ESAME PSICHIATRICO DI JUNG: ERANO PAZZI
di Francesco Lettieri, agoravox.it, 9 agosto 2014
Incendiare il ReichsTag – era il 27 febbraio 1933 -, adducendone pubblicamente la colpa ai propri nemici politici ed assumere così il potere assoluto in nome della “difesa del popolo tedesco” dai suoi “nemici”, arrestandoli in massa e rinchiudendoli insieme agli altri “nemici”, ovvero omosessuali, prostitute, invalidi, malati, zingari, minorati di mente, carcerati, insomma “impuri” ed infine agli altri “impuri” in quanto razza, ovvero ebrei e slavi, in campi di lavoro con cui ricostruire una disastratissima Germania fu atto di genio o follia criminale?
Il Mein Kampf e la sua sciagurata attuazione fu atto di uno solo ovvero di un manipolo di criminali, oppure una concrezione archetipica e dunque riconducibile ad un’intera società o addirittura all’umanità intera, la quale trovò sfogo nell’agire di quel manipolo, incarnazione hegeliana – come a suo tempo Napoleone – del “ZeitGeist”? Wotan o anche l’Irminsul – il mitico pilastro sacro che regge l’Universo e collega la Terra al Cielo che sorgeva (secondo la leggenda) ad Externsteine, il complesso megalitico cui è integrato il castello di Wewelsburg (centro del misticismo nazista) ed in particolare la sua torre Nord, punta della lancia di Longino, in cui si trova il “Sole nero” – sono solo semplici vestigia del passato oppure anche archetipi o magari addirittura realtà occulte connesse con fatti astrali ed astrologici quali appunto il Sole nero identificato da alcuni quale centro dell’universo intorno a cui – già secondo Filolao (V sec. a.C.) – anche il sistema solare ruotava, da altri con la compagna oscura di Sirio? Certo è che il luogo in cui sorgono i resti del complesso megalitico fu scenario di almeno due eventi storici di grande portata: campo di battaglia che vide la sconfitta delle legioni romane di Varo per il tradimento di Arminio, e quella dei sassoni ad opera di Carlomagno nel 772.
Freud, padre fondatore della psicanalisi, si era occupato tanto della psiche del singolo, quanto di quella collettiva, ma per quest’ultima ancora gli mancava quello strumento che sarà forgiato dal suo miglior allievo, Carl Gustav Jung, ma che egli non accetterà mai e per il quale anzi si distanziò da lui. Anziano e malato, dovette comunque fuggire a Londra per sottrarsi ai nazisti nel 1938 ed assistere al rogo pubblico delle proprie opere, insieme a quelle di tanti altri, prima di morire l’anno successivo. Jung invece ebbe proprio negli eventi storici di quegli anni la possibilità di studiare da vicino il nazifascismo, sia come fenomeno di massa – e lo fece rifacendosi agl’archetipi che ricavava implicitamente dai fatti contemporanei e dal confronto di questi con quelli della mitologia tedesca – sia dallo studio di singole individualità di personaggi nazisti. La stessa notorietà di Jung fece sì che i suoi studi giungessero all’attenzione nientemeno che di Joseph Goebbels il quale lo fece convocare a Berlino per assistere a diverse celebrazioni ufficiali cui erano presenti i tre massimi esponenti del regime: Adolf Hitler, Heinrich Himmler ed Hermann Goering. La finalità di Goebbels era quella di sottoporre i tre ad un’analisi psichiatrica onde eventualmente ordire un colpo di Stato nel caso in cui fosse appurata la loro pazzia. Tanto la realtà scenografica delle cerimonie, i loro rituali ed il loro svolgersi, tanto la partecipazione e l’agire delle masse, quanto quella dei tre, convinsero in breve il fondatore della psicologia archetipica della totale follia del tutto e specie di quella della triade.
L’intuizione immediata di Jung fu però anche – e del resto sarebbe stato evidente per chiunque – che ne sarebbe andato della propria vita, e così andò via immediatamente. Goebbels d’altronde non era l’unico ad interessarsi a queste vicende, così, tornato in Svizzera, Jung sarà contattato da Allen Dulles dell’OSS (la futura CIA) e diverrà “l’agente 488″… La follia di Hitler & co. è dunque accertata e pienamente, e per di più da chi non solo faceva riferimento anche agli archetipi ed all’occultismo (la sua tesi di laurea era sull’occultismo) ma ne era anche il fondatore moderno degli studi. Sul piano storico e razionale perciò è stata data una risposta definitiva, non così sugli altri piani, quello esoterico occultistico, quello astrologico, quello archetipico: insieme al sogno, agli stati allucinogeni e psicotici, infatti, non è forse proprio la follia quella in cui eminentemente trova estrinsecazione l’archetipo e l’occulto, già dai tempi più remoti dei megaliti di Externsteine, alle pitie dei tempi di Filolao, sino ai giorni di Freud e Jung, ovvero ai nostri?
http://www.agoravox.it/Per-Hitler-co-esame-psichiatrico.html
“TUTTE LE GRANDI BRUTTEZZE NASCONO NELLE FAMIGLIE”. Dario Argento, il maestro dell’horror, a colloquio con il pubblico del Festival del film: “È grazie a Freud se riesco a dialogare con i miei incubi”
Incendiare il ReichsTag – era il 27 febbraio 1933 -, adducendone pubblicamente la colpa ai propri nemici politici ed assumere così il potere assoluto in nome della “difesa del popolo tedesco” dai suoi “nemici”, arrestandoli in massa e rinchiudendoli insieme agli altri “nemici”, ovvero omosessuali, prostitute, invalidi, malati, zingari, minorati di mente, carcerati, insomma “impuri” ed infine agli altri “impuri” in quanto razza, ovvero ebrei e slavi, in campi di lavoro con cui ricostruire una disastratissima Germania fu atto di genio o follia criminale?
Il Mein Kampf e la sua sciagurata attuazione fu atto di uno solo ovvero di un manipolo di criminali, oppure una concrezione archetipica e dunque riconducibile ad un’intera società o addirittura all’umanità intera, la quale trovò sfogo nell’agire di quel manipolo, incarnazione hegeliana – come a suo tempo Napoleone – del “ZeitGeist”? Wotan o anche l’Irminsul – il mitico pilastro sacro che regge l’Universo e collega la Terra al Cielo che sorgeva (secondo la leggenda) ad Externsteine, il complesso megalitico cui è integrato il castello di Wewelsburg (centro del misticismo nazista) ed in particolare la sua torre Nord, punta della lancia di Longino, in cui si trova il “Sole nero” – sono solo semplici vestigia del passato oppure anche archetipi o magari addirittura realtà occulte connesse con fatti astrali ed astrologici quali appunto il Sole nero identificato da alcuni quale centro dell’universo intorno a cui – già secondo Filolao (V sec. a.C.) – anche il sistema solare ruotava, da altri con la compagna oscura di Sirio? Certo è che il luogo in cui sorgono i resti del complesso megalitico fu scenario di almeno due eventi storici di grande portata: campo di battaglia che vide la sconfitta delle legioni romane di Varo per il tradimento di Arminio, e quella dei sassoni ad opera di Carlomagno nel 772.
Freud, padre fondatore della psicanalisi, si era occupato tanto della psiche del singolo, quanto di quella collettiva, ma per quest’ultima ancora gli mancava quello strumento che sarà forgiato dal suo miglior allievo, Carl Gustav Jung, ma che egli non accetterà mai e per il quale anzi si distanziò da lui. Anziano e malato, dovette comunque fuggire a Londra per sottrarsi ai nazisti nel 1938 ed assistere al rogo pubblico delle proprie opere, insieme a quelle di tanti altri, prima di morire l’anno successivo. Jung invece ebbe proprio negli eventi storici di quegli anni la possibilità di studiare da vicino il nazifascismo, sia come fenomeno di massa – e lo fece rifacendosi agl’archetipi che ricavava implicitamente dai fatti contemporanei e dal confronto di questi con quelli della mitologia tedesca – sia dallo studio di singole individualità di personaggi nazisti. La stessa notorietà di Jung fece sì che i suoi studi giungessero all’attenzione nientemeno che di Joseph Goebbels il quale lo fece convocare a Berlino per assistere a diverse celebrazioni ufficiali cui erano presenti i tre massimi esponenti del regime: Adolf Hitler, Heinrich Himmler ed Hermann Goering. La finalità di Goebbels era quella di sottoporre i tre ad un’analisi psichiatrica onde eventualmente ordire un colpo di Stato nel caso in cui fosse appurata la loro pazzia. Tanto la realtà scenografica delle cerimonie, i loro rituali ed il loro svolgersi, tanto la partecipazione e l’agire delle masse, quanto quella dei tre, convinsero in breve il fondatore della psicologia archetipica della totale follia del tutto e specie di quella della triade.
L’intuizione immediata di Jung fu però anche – e del resto sarebbe stato evidente per chiunque – che ne sarebbe andato della propria vita, e così andò via immediatamente. Goebbels d’altronde non era l’unico ad interessarsi a queste vicende, così, tornato in Svizzera, Jung sarà contattato da Allen Dulles dell’OSS (la futura CIA) e diverrà “l’agente 488″… La follia di Hitler & co. è dunque accertata e pienamente, e per di più da chi non solo faceva riferimento anche agli archetipi ed all’occultismo (la sua tesi di laurea era sull’occultismo) ma ne era anche il fondatore moderno degli studi. Sul piano storico e razionale perciò è stata data una risposta definitiva, non così sugli altri piani, quello esoterico occultistico, quello astrologico, quello archetipico: insieme al sogno, agli stati allucinogeni e psicotici, infatti, non è forse proprio la follia quella in cui eminentemente trova estrinsecazione l’archetipo e l’occulto, già dai tempi più remoti dei megaliti di Externsteine, alle pitie dei tempi di Filolao, sino ai giorni di Freud e Jung, ovvero ai nostri?
http://www.agoravox.it/Per-Hitler-co-esame-psichiatrico.html
“TUTTE LE GRANDI BRUTTEZZE NASCONO NELLE FAMIGLIE”. Dario Argento, il maestro dell’horror, a colloquio con il pubblico del Festival del film: “È grazie a Freud se riesco a dialogare con i miei incubi”
di Patrick Mancini, tio.ch, 10 agosto 2014
La fronte alta e pallida che sbuca da dietro l’angolo. Maglioncino blu Lacoste e giacchetto grigio. Quel sorriso appena abbozzato. Dario Argento, il maestro dell’horror, uno degli ospiti più illustri della 67esima edizione del Festival del film di Locarno, si presenta all’incontro con il pubblico in Largo Zorzi con la calma di chi sa di essere stato un precursore, un pioniere. E davanti alla gente si racconta. A partire dal suo film d’esordio, ‘L’uccello dalle piume di cristallo’ (1970), in cartellone a Locarno nell’ambito della retrospettiva Titanus. “Un film che partì maluccio – ricorda il regista -, senza ottenere un immediato successo. Poi ci fu il boom improvviso. Soprattutto tra i giovani. Oggi le mie pellicole continuano a essere seguite da un pubblico molto giovane. Forse perché sono un tipo sincero”.
La parte oscura – Non cambia tono di voce nemmeno per un secondo, Argento. La parlata romana, le note di Profondo rosso in sottofondo. E un tuffo nel passato: “Ho imparato a fare il regista divorando migliaia di film. I banchi di scuola sono i sedili delle sale cinematografiche. Questo è l’unico modo per imparare a fare cinema. Poi ho ereditato la passione da mia madre, che era una grande fotografa. La mia ricetta per incutere paura? Non ne ho. Forse è una questione di predisposizione dell’animo nel raccontare certe cose. Ho il privilegio di avere un buon dialogo con la mia parte oscura, questo mi permette di raccontare storie terribili, senza che ciò turbi la mia coscienza. In ogni caso non è che io mi conosca troppo bene. Anzi, vorrei conoscermi veramente”.
Folgorato da Poe – La stregoneria, l’occulto, il soprannaturale. Una carriera costruita sul filo del brivido. E un’infanzia contraddistinta dalla curiosità. “Da ragazzino fui vittima di una febbre reumatica, rimasi a letto a lungo. In quelle settimane, pescando nella biblioteca di mio padre trovai i racconti di Edgar Allan Poe. Scoprii un mondo nuovo, incredibile. È nato lì il mio interesse per il torbido”. E aggiunge: “Oggi resto molto attratto anche da quello che capita nelle famiglie. Tutte le grandi bruttezze nascono quando ancora si è bambini, piccoli e fragili. È lì che spesso ha origine l’orrore”.
Il padre della psicoanalisi – Poi Argento loda Sigmund Freud. “Consiglio a tutti di leggerlo. Se non ci fosse stato lui, oggi non ci sarebbero tante cose. È stato Freud a insegnarmi a dialogare con i miei sogni e con i miei incubi. Lo devo solo ringraziare”.
http://www.tio.ch/News/Speciali/804319/Tutte-le-grandi-bruttezze-nascono-nelle-famiglie/
La fronte alta e pallida che sbuca da dietro l’angolo. Maglioncino blu Lacoste e giacchetto grigio. Quel sorriso appena abbozzato. Dario Argento, il maestro dell’horror, uno degli ospiti più illustri della 67esima edizione del Festival del film di Locarno, si presenta all’incontro con il pubblico in Largo Zorzi con la calma di chi sa di essere stato un precursore, un pioniere. E davanti alla gente si racconta. A partire dal suo film d’esordio, ‘L’uccello dalle piume di cristallo’ (1970), in cartellone a Locarno nell’ambito della retrospettiva Titanus. “Un film che partì maluccio – ricorda il regista -, senza ottenere un immediato successo. Poi ci fu il boom improvviso. Soprattutto tra i giovani. Oggi le mie pellicole continuano a essere seguite da un pubblico molto giovane. Forse perché sono un tipo sincero”.
La parte oscura – Non cambia tono di voce nemmeno per un secondo, Argento. La parlata romana, le note di Profondo rosso in sottofondo. E un tuffo nel passato: “Ho imparato a fare il regista divorando migliaia di film. I banchi di scuola sono i sedili delle sale cinematografiche. Questo è l’unico modo per imparare a fare cinema. Poi ho ereditato la passione da mia madre, che era una grande fotografa. La mia ricetta per incutere paura? Non ne ho. Forse è una questione di predisposizione dell’animo nel raccontare certe cose. Ho il privilegio di avere un buon dialogo con la mia parte oscura, questo mi permette di raccontare storie terribili, senza che ciò turbi la mia coscienza. In ogni caso non è che io mi conosca troppo bene. Anzi, vorrei conoscermi veramente”.
Folgorato da Poe – La stregoneria, l’occulto, il soprannaturale. Una carriera costruita sul filo del brivido. E un’infanzia contraddistinta dalla curiosità. “Da ragazzino fui vittima di una febbre reumatica, rimasi a letto a lungo. In quelle settimane, pescando nella biblioteca di mio padre trovai i racconti di Edgar Allan Poe. Scoprii un mondo nuovo, incredibile. È nato lì il mio interesse per il torbido”. E aggiunge: “Oggi resto molto attratto anche da quello che capita nelle famiglie. Tutte le grandi bruttezze nascono quando ancora si è bambini, piccoli e fragili. È lì che spesso ha origine l’orrore”.
Il padre della psicoanalisi – Poi Argento loda Sigmund Freud. “Consiglio a tutti di leggerlo. Se non ci fosse stato lui, oggi non ci sarebbero tante cose. È stato Freud a insegnarmi a dialogare con i miei sogni e con i miei incubi. Lo devo solo ringraziare”.
http://www.tio.ch/News/Speciali/804319/Tutte-le-grandi-bruttezze-nascono-nelle-famiglie/
EVA CANTARELLA: "HO SCELTO TRA DIRITTO E MITI GRECI, ORA SO CHE ANTIGONE AVEVA TORTO
di Antonio Gnoli, repubblica.it, 10 agosto 2014
NELLA visione mitologica il mare era considerato dai greci una necessità e un pericolo. Non potevano ignorarne l'esistenza, l'estensione, l'inaggirabile presenza. Andava affrontato, anche se le tecniche marinare non erano sofisticate e le insidie si rivelarono numerose. "Sono convinta che una delle ragioni per cui quella civiltà sviluppò un forte senso dell'ospitalità si legasse proprio alla pericolosità del mare", commenta Eva Cantarella, una delle nostre massime studiose del mondo antico: "Il mare greco era il Mediterraneo. Che le posso aggiungere? Per me un mondo di favole e di miti che mio padre quando ero piccola raccontava a me e a mia sorella prima di addormentarci".
Suo padre fu a sua volta un illustre studioso del mondo antico. Come ha vissuto questo rapporto: contrasto, complicità, riconoscenza?
"Mi trasmise l'amore per l'antico. Spesso la sera, prima di chiudere gli occhi, fantasticavo al suono della sua voce, intorno alle gesta di Odisseo contro il ciclope o delle sirene che appresi, in seguito, non erano animali marini ma in origine uccelli. Quando crebbi, e giunse il momento di scegliere la facoltà, sentii il bisogno di non confondermi con gli studi paterni".
Per continuare:
http://www.repubblica.it/cultura/2014/08/11/news/eva_cantarella_ho_scelto_tra_diritto_e_miti_greci_ora_so_che_antigone_aveva_torto-93565530/?ref=search
NELLA visione mitologica il mare era considerato dai greci una necessità e un pericolo. Non potevano ignorarne l'esistenza, l'estensione, l'inaggirabile presenza. Andava affrontato, anche se le tecniche marinare non erano sofisticate e le insidie si rivelarono numerose. "Sono convinta che una delle ragioni per cui quella civiltà sviluppò un forte senso dell'ospitalità si legasse proprio alla pericolosità del mare", commenta Eva Cantarella, una delle nostre massime studiose del mondo antico: "Il mare greco era il Mediterraneo. Che le posso aggiungere? Per me un mondo di favole e di miti che mio padre quando ero piccola raccontava a me e a mia sorella prima di addormentarci".
Suo padre fu a sua volta un illustre studioso del mondo antico. Come ha vissuto questo rapporto: contrasto, complicità, riconoscenza?
"Mi trasmise l'amore per l'antico. Spesso la sera, prima di chiudere gli occhi, fantasticavo al suono della sua voce, intorno alle gesta di Odisseo contro il ciclope o delle sirene che appresi, in seguito, non erano animali marini ma in origine uccelli. Quando crebbi, e giunse il momento di scegliere la facoltà, sentii il bisogno di non confondermi con gli studi paterni".
Per continuare:
http://www.repubblica.it/cultura/2014/08/11/news/eva_cantarella_ho_scelto_tra_diritto_e_miti_greci_ora_so_che_antigone_aveva_torto-93565530/?ref=search
CASO RIGNANO FLAMINIO: FALSE MEMORIE E SUGGESTIONI
di André Bellelli, ilfattoquotidiano.it, 11 agosto 2014
Il 16 maggio scorso i giudici della Corte d’Appello di Roma hanno assolto le tre maestre, la bidella e l’uomo accusati di atti di libidine sui bambini dell’asilo di Rignano Flaminio. Le motivazioni della sentenza dicono che il fatto non sussiste e che “i minori erano influenzati dai genitori”.
Io conosco il caso solo attraverso i giornali e non ho motivo di dubitare delle ragioni dei giudici, però so anche che fatti come quello che si presumeva avvenuto a Rignano esistono e che i giudici a volte sbagliano. Il punto che voglio svolgere in questo post è questo: è possibile suggestionare un bambino (o un adulto) fino a questo punto? Quali sono i dati della psicologia scientifica in merito? La risposta, in breve, è sì: la suggestionabilità dell’essere umano è molto grande, sia nell’adulto che, a maggior ragione, nel bambino. Solomon Asch, uno psicologo americano attivo negli anni ’50 – ’70 dimostrò in vari esperimenti su volontari che la pressione sociale può indurre un individuo ad affermazioni sorprendenti (non necessariamente sincere). Ad esempio in un classico esperimento una classe di presunti soggetti sperimentali (in realtà complici dello psicologo) sosteneva una affermazione palesemente falsa e veniva misurata la disponibilità dell’unico soggetto sperimentale “vero” a conformarsi all’opinione della maggioranza: era altissima.
Più o meno nello stesso periodo gli psicologi Festinger e Carslmith dimostrarono che soggetti ai quali vengono richiesti (in un esperimento) compiti sgradevoli hanno una certa tendenza a convincersi che questi sono invece gradevoli o interessanti: possiamo mentire per conformarci all’opinione degli altri, ma dopo un po’ finiamo per convincerci delle nostre bugie. Anche la memoria è in realtà costituita in parte da effettivi ricordi di eventi passati e in parte da ricostruzioni razionali più o meno consapevoli. La psicologa Elizabeth Loftus ha condotto e pubblicato molti studi sulla possibilità di manipolare il ricordo di eventi passati o addirittura di costruire memorie di eventi non accaduti. Uno studio pubblicato lo scorso 16 luglio da questa ricercatrice dimostra che un fattore predisponente alla creazione di false memorie è la deprivazione del sonno.
I dati empirici raccolti dalla psicologia scientifica sono tendenzialmente in contrasto con quelli della cosiddetta psicologia dinamica: la psicoanalisi freudiana e junghiana e loro varianti più moderne. Ad esempio Freud riteneva completamente attendibili le memorie infantili del paziente anche a distanza di decenni (come nel caso dell’Uomo dei Lupi) e riteneva impossibile ottenere un effettivo convincimento del paziente a seguito di una influenza esterna, a meno che questa non fosse in grado di mobilitare in qualche modo l’energia pulsionale interna della psiche (di fatto Freud riteneva che l’ambiente agisse sulla psiche solo attraverso la mobilitazione delle pulsioni intrapsichiche). Negli anni ’90 ebbe grande seguito, prima di collassare sotto il peso della sua stessa implausibilità, l’ipotesi (originariamente formulata da Freud) che un disturbo psichiatrico (secondo Freud l’isteria; negli anni ’90 la sindrome della dissociazione della personalità) fosse causato da traumi sessuali subiti in età infantile, dimenticati (rimossi), e infine ricostruiti nel corso della psicoterapia.
Studi successivi hanno dimostrato che la violenza sessuale subita in età infantile non viene facilmente rimossa e non causa la sindrome di dissociazione della personalità (semmai predispone alla malattia depressiva). Nel frattempo vi furono penosi processi a genitori ingiustamente accusati dell’orribile crimine di aver sottoposto a violenze sessuali i propri figli che portarono alla costituzione di fondazioni sulla “Sindrome da False Memorie” negli Usa e in Gran Bretagna.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/08/11/caso-rignano-flaminio-false-memorie-e-suggestioni/1088101/
Il 16 maggio scorso i giudici della Corte d’Appello di Roma hanno assolto le tre maestre, la bidella e l’uomo accusati di atti di libidine sui bambini dell’asilo di Rignano Flaminio. Le motivazioni della sentenza dicono che il fatto non sussiste e che “i minori erano influenzati dai genitori”.
Io conosco il caso solo attraverso i giornali e non ho motivo di dubitare delle ragioni dei giudici, però so anche che fatti come quello che si presumeva avvenuto a Rignano esistono e che i giudici a volte sbagliano. Il punto che voglio svolgere in questo post è questo: è possibile suggestionare un bambino (o un adulto) fino a questo punto? Quali sono i dati della psicologia scientifica in merito? La risposta, in breve, è sì: la suggestionabilità dell’essere umano è molto grande, sia nell’adulto che, a maggior ragione, nel bambino. Solomon Asch, uno psicologo americano attivo negli anni ’50 – ’70 dimostrò in vari esperimenti su volontari che la pressione sociale può indurre un individuo ad affermazioni sorprendenti (non necessariamente sincere). Ad esempio in un classico esperimento una classe di presunti soggetti sperimentali (in realtà complici dello psicologo) sosteneva una affermazione palesemente falsa e veniva misurata la disponibilità dell’unico soggetto sperimentale “vero” a conformarsi all’opinione della maggioranza: era altissima.
Più o meno nello stesso periodo gli psicologi Festinger e Carslmith dimostrarono che soggetti ai quali vengono richiesti (in un esperimento) compiti sgradevoli hanno una certa tendenza a convincersi che questi sono invece gradevoli o interessanti: possiamo mentire per conformarci all’opinione degli altri, ma dopo un po’ finiamo per convincerci delle nostre bugie. Anche la memoria è in realtà costituita in parte da effettivi ricordi di eventi passati e in parte da ricostruzioni razionali più o meno consapevoli. La psicologa Elizabeth Loftus ha condotto e pubblicato molti studi sulla possibilità di manipolare il ricordo di eventi passati o addirittura di costruire memorie di eventi non accaduti. Uno studio pubblicato lo scorso 16 luglio da questa ricercatrice dimostra che un fattore predisponente alla creazione di false memorie è la deprivazione del sonno.
I dati empirici raccolti dalla psicologia scientifica sono tendenzialmente in contrasto con quelli della cosiddetta psicologia dinamica: la psicoanalisi freudiana e junghiana e loro varianti più moderne. Ad esempio Freud riteneva completamente attendibili le memorie infantili del paziente anche a distanza di decenni (come nel caso dell’Uomo dei Lupi) e riteneva impossibile ottenere un effettivo convincimento del paziente a seguito di una influenza esterna, a meno che questa non fosse in grado di mobilitare in qualche modo l’energia pulsionale interna della psiche (di fatto Freud riteneva che l’ambiente agisse sulla psiche solo attraverso la mobilitazione delle pulsioni intrapsichiche). Negli anni ’90 ebbe grande seguito, prima di collassare sotto il peso della sua stessa implausibilità, l’ipotesi (originariamente formulata da Freud) che un disturbo psichiatrico (secondo Freud l’isteria; negli anni ’90 la sindrome della dissociazione della personalità) fosse causato da traumi sessuali subiti in età infantile, dimenticati (rimossi), e infine ricostruiti nel corso della psicoterapia.
Studi successivi hanno dimostrato che la violenza sessuale subita in età infantile non viene facilmente rimossa e non causa la sindrome di dissociazione della personalità (semmai predispone alla malattia depressiva). Nel frattempo vi furono penosi processi a genitori ingiustamente accusati dell’orribile crimine di aver sottoposto a violenze sessuali i propri figli che portarono alla costituzione di fondazioni sulla “Sindrome da False Memorie” negli Usa e in Gran Bretagna.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/08/11/caso-rignano-flaminio-false-memorie-e-suggestioni/1088101/
PSICOANALISI, FREUD LA PENSAVA COSÌ
di Antonio Cantelmo, italianews24.net, 12 agosto 2014
La regola fondamentale è quella di invitare il paziente ad esprimere i pensieri che in quel momento immaginano nella mente (metodo della libera associazione). Si pensa infatti che il paziente per il solo fatto di sapere di essere in trattamento è portato verso ciò che è significativo, specie se riesce a rilassarsi e a non concentrarsi.
La fluidità dell’espressione viene però ostacolata dalle resistenze che impediscono al materiale inconscio di transitare nel conscio. Il comportamento dell’analista dovrebbe essere di assoluta neutralità, ma in realtà egli interpreta e pertanto fornisce spunti ad associazioni che libere non sono più. Si deve inoltre tener conto del processo di identificazione che influenza a sua volta le associazioni. Anna Freud aggiunge che compito dell’analista è quello di scoprire il meccanismo di difesa adottato dall’Io.
L’analista deve poi procedere all’interpretazione dei sogni onde far emergere i contenuti latenti e studiare l’attività dell’Io a mezzo degli effetti da esso provocati sul pensiero onirico. La comprensione dei simboli onirici permette di giungere alla conoscenza dei contenuti dell’Es che diversamente rimarrebbero ignoti. Un’improvvisa illuminazione sulle irruzioni dell’Es è data dagli atti mal raccolti sotto forma di lapsus o amnesie che si verificano quando la vigilanza dell’Io è ridotta o sviata ad un impulso inconscio che si trova improvvisamente rafforzato.
Nel corso dell’analisi si stabilisce un rapporto particolare fra il paziente e l’analista: il transfert. Il paziente sposta sull’analista i suoi sentimenti che derivano da figure precedenti della sua vita, in effetti non sperimenta un sentimento creato ex novo ma si riallaccia ad antichi rapporti oggettuali che sono vissuti sotto l’influenza della coazione a ripetere. Attraverso lo studio del transfert si possono conoscere le esperienze passate del paziente (transfert paterno, materno, edipico, passivo oggettuale, narcisistico, positivo o negativo, ecc.).
Dopo la morte di Freud il pensiero psicoanalitico ha subito ulteriori sviluppi. Fra i più importanti sono da ricordare gli studi di Hartmann e Kris sull’autonomia dell’Io, il concetto di identità di Erikson, l’importanza delle osservazioni sull’infanzia di A. Freud e dei primi anni di vita li M. Klein, la revisione del concetto del fattore edipico di Fromm, il trattamento degli stati borderline, e cosi di seguito.
Per info sull’autore:
http://www.italianews24.net/psicanalisi-freud-la-pensava-cosi/
La regola fondamentale è quella di invitare il paziente ad esprimere i pensieri che in quel momento immaginano nella mente (metodo della libera associazione). Si pensa infatti che il paziente per il solo fatto di sapere di essere in trattamento è portato verso ciò che è significativo, specie se riesce a rilassarsi e a non concentrarsi.
La fluidità dell’espressione viene però ostacolata dalle resistenze che impediscono al materiale inconscio di transitare nel conscio. Il comportamento dell’analista dovrebbe essere di assoluta neutralità, ma in realtà egli interpreta e pertanto fornisce spunti ad associazioni che libere non sono più. Si deve inoltre tener conto del processo di identificazione che influenza a sua volta le associazioni. Anna Freud aggiunge che compito dell’analista è quello di scoprire il meccanismo di difesa adottato dall’Io.
L’analista deve poi procedere all’interpretazione dei sogni onde far emergere i contenuti latenti e studiare l’attività dell’Io a mezzo degli effetti da esso provocati sul pensiero onirico. La comprensione dei simboli onirici permette di giungere alla conoscenza dei contenuti dell’Es che diversamente rimarrebbero ignoti. Un’improvvisa illuminazione sulle irruzioni dell’Es è data dagli atti mal raccolti sotto forma di lapsus o amnesie che si verificano quando la vigilanza dell’Io è ridotta o sviata ad un impulso inconscio che si trova improvvisamente rafforzato.
Nel corso dell’analisi si stabilisce un rapporto particolare fra il paziente e l’analista: il transfert. Il paziente sposta sull’analista i suoi sentimenti che derivano da figure precedenti della sua vita, in effetti non sperimenta un sentimento creato ex novo ma si riallaccia ad antichi rapporti oggettuali che sono vissuti sotto l’influenza della coazione a ripetere. Attraverso lo studio del transfert si possono conoscere le esperienze passate del paziente (transfert paterno, materno, edipico, passivo oggettuale, narcisistico, positivo o negativo, ecc.).
Dopo la morte di Freud il pensiero psicoanalitico ha subito ulteriori sviluppi. Fra i più importanti sono da ricordare gli studi di Hartmann e Kris sull’autonomia dell’Io, il concetto di identità di Erikson, l’importanza delle osservazioni sull’infanzia di A. Freud e dei primi anni di vita li M. Klein, la revisione del concetto del fattore edipico di Fromm, il trattamento degli stati borderline, e cosi di seguito.
Per info sull’autore:
http://www.italianews24.net/psicanalisi-freud-la-pensava-cosi/
CARL JUNG COSÌ SCRIVEVA A JAMES JOYCE: “IL SUO ULISSE MI INSULTA. CHI L’HA SCRITTO HA PROBLEMI PSICHICI”
di Gian Paolo Serino, liberoqutidiano.it, 13 agosto 2014
Non troppo si è scritto in Italia sul controverso e annoso rapporto tra James Joyce, considerato con il suo Ulisse tra i pochi scrittori immortali di lingua inglese, e Carl Gustav Jung, il grande psichiatra, psicoanalista e antropologo svizzero. Un rapporto controverso perché Jung, dopo la lettura dell’Ulisse, nel 1932 scrisse un articolo per la rivista Europäische Revue proprio su quel libro che ha sempre diviso lettori e critici. Dal saggio di Jung, possiamo leggere: «Ho affrontato molte pagine con la disperazione nel cuore. L’incredibile versatilità dello stile di Joyce ha un effetto monotono e ipnotico. Nulla viene incontro al lettore, che anzi si allontana, lasciandolo a bocca aperta. Il libro è sempre scritto con uno stile molto alto e comunque lontano, insoddisfatto di sé, ironico, sardonico, virulento, sprezzante, triste, disperato, e amaro. Sì, lo ammetto mi sento preso in giro. Il libro non cerca di venirti incontro, non fa il minimo tentativo di essere gradevole e questo trasmette al lettore la fastidiosa sensazione di una strana inferiorità». In altri passaggi Jung non manca di essere più diretto scrivendo che «una tale opera può provenire solo da una persona con severe restrizioni cerebrali», da un uomo capace esclusivamente di «pensiero viscerale», e che lo ha scritto «col sistema nervoso simpatico per mancanza del cervello». Nel settembre dello stesso anno, Jung inviò una copia del suo articolo a James Joyce, che, dopo averlo letto, si sentì sia infastidito che inorgoglito. Tanto che due anni dopo Jung prese in cura la figlia di Joyce, Lucia, per problemi legati alla schizofrenia.
Anche questa una storia poco conosciuta in Italia: il rapporto di James Joyce con la figlia era molto complesso. Lucia Joyce era un’artista molto più conosciuta del padre come artista, una danzatrice che della libertà corporea fu tra le prime a rendere arte, e anche compagna anche del grandissimo scrittore e drammaturgo Samuel Beckett (dal quale aspettò anche un figlio, ma abortì). Per Joyce, Lucia era al contempo una Musa ispiratrice, ma anche un tormento. E’ proprio Joyce a scrivere: «Qualunque scintilla o dono io possieda è stato trasmesso a Lucia, e ha fatto divampare un incendio nel suo cervello padre». E’ lo stesso Joyce a decidere, dopo aver letto decine di libri di psicoanalisi e di psichiatri che la figlia soffre di «schizofrenia».
Dopo migliaia di sterline spese, ventiquattro dottori, dodici infermiere e tre istituti che l’hanno ricoverata, l’unica speranza resta un luminare, che ci lascerà spunti importanti su questo caso: Carl Gustav Jung. Joyce e Jung non si piacciono ancora prima di conoscersi. L’artista ha il dubbio che in passato, essendosi rifiutato di sottoporsi a un’analisi junghiana suggeritagli da una sua mecenate, Jung abbia convinto la stessa a non sovvenzionarlo più. Joyce decide, comunque, di affidarla alle cure di Jung che, dopo quattro mesi di trattamenti, decide di sospendere la terapia, come si legge in Lucia Joyce. To Dance in the Wake di C.L. Shloss, a pagina 282: «Lucia era totalmente la sua ispiratrice, il che spiega la di lui ostinata riluttanza a vederla dichiarata pazza. La sua propria Anima, psiche inconscia, era così solidamente identificata con lei, che il dichiararla pazza sarebbe stata come un’ammissione di avere in sé, anche lui, una latente psicosi». Jung scriverà quasi vent’anni dopo che Lucia in qualche modo era rimasta intrappolata nella psiche del padre James senza essere in grado di emergerne in maniera indipendente. In quel breve periodo di cure Joyce autografò la copia di Jung dell’ Ulisse con questa dedica: «Per Dr. CG Jung, con grato apprezzamento del suo aiuto e consiglio. James Joyce. Xmas 1934, Zurigo».
Quando Jung inviò la propria recensione a Joyce la accompagnò con questa lettera, mai pubblicata ad oggi in Italia e che proponiamo qui per la prima in Italia, nella traduzione di Michele Crescenzo. Una lettera che dimostra la grandiosità, anche ironica, di Jung nei confronti di un libro come l’Ulisse di Joyce che tutti citano, ma nessuno ha letto interamente. Anche Jung, come si legge nel finale, è crollato.
http://www.liberoquotidiano.it/news/esteri/11672619/Carl-Jung-cosi-scriveva-a-James.html
Non troppo si è scritto in Italia sul controverso e annoso rapporto tra James Joyce, considerato con il suo Ulisse tra i pochi scrittori immortali di lingua inglese, e Carl Gustav Jung, il grande psichiatra, psicoanalista e antropologo svizzero. Un rapporto controverso perché Jung, dopo la lettura dell’Ulisse, nel 1932 scrisse un articolo per la rivista Europäische Revue proprio su quel libro che ha sempre diviso lettori e critici. Dal saggio di Jung, possiamo leggere: «Ho affrontato molte pagine con la disperazione nel cuore. L’incredibile versatilità dello stile di Joyce ha un effetto monotono e ipnotico. Nulla viene incontro al lettore, che anzi si allontana, lasciandolo a bocca aperta. Il libro è sempre scritto con uno stile molto alto e comunque lontano, insoddisfatto di sé, ironico, sardonico, virulento, sprezzante, triste, disperato, e amaro. Sì, lo ammetto mi sento preso in giro. Il libro non cerca di venirti incontro, non fa il minimo tentativo di essere gradevole e questo trasmette al lettore la fastidiosa sensazione di una strana inferiorità». In altri passaggi Jung non manca di essere più diretto scrivendo che «una tale opera può provenire solo da una persona con severe restrizioni cerebrali», da un uomo capace esclusivamente di «pensiero viscerale», e che lo ha scritto «col sistema nervoso simpatico per mancanza del cervello». Nel settembre dello stesso anno, Jung inviò una copia del suo articolo a James Joyce, che, dopo averlo letto, si sentì sia infastidito che inorgoglito. Tanto che due anni dopo Jung prese in cura la figlia di Joyce, Lucia, per problemi legati alla schizofrenia.
Anche questa una storia poco conosciuta in Italia: il rapporto di James Joyce con la figlia era molto complesso. Lucia Joyce era un’artista molto più conosciuta del padre come artista, una danzatrice che della libertà corporea fu tra le prime a rendere arte, e anche compagna anche del grandissimo scrittore e drammaturgo Samuel Beckett (dal quale aspettò anche un figlio, ma abortì). Per Joyce, Lucia era al contempo una Musa ispiratrice, ma anche un tormento. E’ proprio Joyce a scrivere: «Qualunque scintilla o dono io possieda è stato trasmesso a Lucia, e ha fatto divampare un incendio nel suo cervello padre». E’ lo stesso Joyce a decidere, dopo aver letto decine di libri di psicoanalisi e di psichiatri che la figlia soffre di «schizofrenia».
Dopo migliaia di sterline spese, ventiquattro dottori, dodici infermiere e tre istituti che l’hanno ricoverata, l’unica speranza resta un luminare, che ci lascerà spunti importanti su questo caso: Carl Gustav Jung. Joyce e Jung non si piacciono ancora prima di conoscersi. L’artista ha il dubbio che in passato, essendosi rifiutato di sottoporsi a un’analisi junghiana suggeritagli da una sua mecenate, Jung abbia convinto la stessa a non sovvenzionarlo più. Joyce decide, comunque, di affidarla alle cure di Jung che, dopo quattro mesi di trattamenti, decide di sospendere la terapia, come si legge in Lucia Joyce. To Dance in the Wake di C.L. Shloss, a pagina 282: «Lucia era totalmente la sua ispiratrice, il che spiega la di lui ostinata riluttanza a vederla dichiarata pazza. La sua propria Anima, psiche inconscia, era così solidamente identificata con lei, che il dichiararla pazza sarebbe stata come un’ammissione di avere in sé, anche lui, una latente psicosi». Jung scriverà quasi vent’anni dopo che Lucia in qualche modo era rimasta intrappolata nella psiche del padre James senza essere in grado di emergerne in maniera indipendente. In quel breve periodo di cure Joyce autografò la copia di Jung dell’ Ulisse con questa dedica: «Per Dr. CG Jung, con grato apprezzamento del suo aiuto e consiglio. James Joyce. Xmas 1934, Zurigo».
Quando Jung inviò la propria recensione a Joyce la accompagnò con questa lettera, mai pubblicata ad oggi in Italia e che proponiamo qui per la prima in Italia, nella traduzione di Michele Crescenzo. Una lettera che dimostra la grandiosità, anche ironica, di Jung nei confronti di un libro come l’Ulisse di Joyce che tutti citano, ma nessuno ha letto interamente. Anche Jung, come si legge nel finale, è crollato.
http://www.liberoquotidiano.it/news/esteri/11672619/Carl-Jung-cosi-scriveva-a-James.html
L’INEDITO DI LIBERO: LA LETTERA CHE JUNG SCRISSE A JAMES JOYCE
liberoqutidiano.it, 13 agosto 2014
Pubblichiamo la lettera inedita, ritrovata da Gian Paolo Serino, scritta dallo psichiatra Carl Gustav Jung e indirizzata al grande scrittore irlandese James Joyce nel settembre 1932.
Pubblichiamo la lettera inedita, ritrovata da Gian Paolo Serino, scritta dallo psichiatra Carl Gustav Jung e indirizzata al grande scrittore irlandese James Joyce nel settembre 1932.
Küsnacht-Zürich
Seestrasse 228
September 27th 1932
James Joyce Esq.
Hotel Elite
Zurigo
Caro Signore,
Il vostro “Ulisse” ha presentato al mondo il profondo problema della psicologia e io più volte sono stato chiamato a discuterne in qualità di esperto.
L’“Ulisse” è un vero osso duro. Mi ha costretto a effettuare insoliti ragionamenti andando incontro anche a logiche stravaganti (dal punto di vista di uno scienziato).
Il suo libro mi ha dato guai a non finire e mi ha fatto rimuginare per circa tre anni sino a quando sono riuscito finalmente a capirlo. Ma devo dirvi che le sono profondamente grato, sia a Lei che alla Vostra grande opera, perché leggendolo ho imparato molto. Io probabilmente non sarò mai completamente sicuro da poter dire se mi piaccia o no, perché richiede un eccessivo uso di nervi e di materia grigia. Anche io non so se potrete essere soddisfatto di ciò che ho scritto sull’ Ulisse. Non potevo non raccontare al mondo quanto mi sono annoiato, quanto ho brontolato, come l’ho maledetto e quanto l’ho ammirato.
Le ultime quaranta pagine finali sono come un saggio di psicologia. Immagino che la madre del diavolo sappia cosa ci sia dentro la psicologia di una donna, sicuramente non io.
Beh, io Le consiglio questo mio piccolo saggio. Leggetelo come il tentativo divertente di un perfetto sconosciuto che si è smarrito nel labirinto del vostro Ulisse e ne è uscito per pura fortuna.
In ogni caso potrà capire dal mio articolo come il vostro Ulisse ha ridotto uno psicologo apparentemente equilibrato.
Con la mia più profonda stima, rimango, caro signore,
Cordiali saluti,
(traduzione di Michele Crescenzo)
Seestrasse 228
September 27th 1932
James Joyce Esq.
Hotel Elite
Zurigo
Caro Signore,
Il vostro “Ulisse” ha presentato al mondo il profondo problema della psicologia e io più volte sono stato chiamato a discuterne in qualità di esperto.
L’“Ulisse” è un vero osso duro. Mi ha costretto a effettuare insoliti ragionamenti andando incontro anche a logiche stravaganti (dal punto di vista di uno scienziato).
Il suo libro mi ha dato guai a non finire e mi ha fatto rimuginare per circa tre anni sino a quando sono riuscito finalmente a capirlo. Ma devo dirvi che le sono profondamente grato, sia a Lei che alla Vostra grande opera, perché leggendolo ho imparato molto. Io probabilmente non sarò mai completamente sicuro da poter dire se mi piaccia o no, perché richiede un eccessivo uso di nervi e di materia grigia. Anche io non so se potrete essere soddisfatto di ciò che ho scritto sull’ Ulisse. Non potevo non raccontare al mondo quanto mi sono annoiato, quanto ho brontolato, come l’ho maledetto e quanto l’ho ammirato.
Le ultime quaranta pagine finali sono come un saggio di psicologia. Immagino che la madre del diavolo sappia cosa ci sia dentro la psicologia di una donna, sicuramente non io.
Beh, io Le consiglio questo mio piccolo saggio. Leggetelo come il tentativo divertente di un perfetto sconosciuto che si è smarrito nel labirinto del vostro Ulisse e ne è uscito per pura fortuna.
In ogni caso potrà capire dal mio articolo come il vostro Ulisse ha ridotto uno psicologo apparentemente equilibrato.
Con la mia più profonda stima, rimango, caro signore,
Cordiali saluti,
(traduzione di Michele Crescenzo)
SINGOLARE IL MODO IN CUI GIANCARLO RICCI NE “LE CITTÀ DI FREUD” (EDIZIONI JACA BOOK) DOCUMENTA I VIAGGI DELLO PSICANALISTA
di Tiberio Crivellaro, altrogiornalemarche.it, 14 agosto 2014
Davvero singolare il modo in cui Giancarlo Ricci ne “Le città di Freud (Edizioni Jaca Book), documenti i viaggi dello psicanalista viennese. Freud viandante che percorre la mitteleuropa antecedente e successiva al primo conflitto mondiale. Da Freiberg (luogo di nascita – 1856) al Mediterraneo e all’Atlantico, fino a Londra (1938). Nei suoi continui itinerari dal sapore significante, il seme della curiosità lo porterà alla fioritura della psicanalisi. Una vera e propria avventura intellettuale e scientifica di una portata senza eguali. In questo libro, le città considerate dall’autore sono quaranta. Disposte in ordine cronologico per via di certe scelte o motivi che determinano pause temporali cui, si è certi, vi sono stati tentennamenti, timori, perfino fobie. Come, ad esempio, quella di viaggiare in treno, che causò ansia e panico per 15 lunghi anni.
Per continuare:
http://www.altrogiornalemarche.it/index.php?option=com_content&view=article&id=6991:davvero-singolare-il-modo-in-cui-giancarlo-ricci-ne-le-citta-di-freud-edizioni-jaca-book-documenti-i-viaggi-dello-psicanalista-viennese&catid=13:marche-cultura&Itemid=101
(Fonte: http://rassegnaflp.wordpress.com)
Davvero singolare il modo in cui Giancarlo Ricci ne “Le città di Freud (Edizioni Jaca Book), documenti i viaggi dello psicanalista viennese. Freud viandante che percorre la mitteleuropa antecedente e successiva al primo conflitto mondiale. Da Freiberg (luogo di nascita – 1856) al Mediterraneo e all’Atlantico, fino a Londra (1938). Nei suoi continui itinerari dal sapore significante, il seme della curiosità lo porterà alla fioritura della psicanalisi. Una vera e propria avventura intellettuale e scientifica di una portata senza eguali. In questo libro, le città considerate dall’autore sono quaranta. Disposte in ordine cronologico per via di certe scelte o motivi che determinano pause temporali cui, si è certi, vi sono stati tentennamenti, timori, perfino fobie. Come, ad esempio, quella di viaggiare in treno, che causò ansia e panico per 15 lunghi anni.
Per continuare:
http://www.altrogiornalemarche.it/index.php?option=com_content&view=article&id=6991:davvero-singolare-il-modo-in-cui-giancarlo-ricci-ne-le-citta-di-freud-edizioni-jaca-book-documenti-i-viaggi-dello-psicanalista-viennese&catid=13:marche-cultura&Itemid=101
(Fonte: http://rassegnaflp.wordpress.com)
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