La mia città è stata scossa da un evento drammatico.
Un ragazza ha denunciato di essere stata violentata da un gruppo di coetanei. Il fermento seguito a questa denuncia è poi tracimato nel grande mare del dibattito sul mondo ‘giovanile’ intriso di bullismo,droga, alcol, pestaggi. Mai come negli ultimi tempi si parla degli adolescenti attraverso le loro problematicità, i loro eccessi. I loro reati. Le loro ‘malattie’.
Mi chiedo a cosa abbiano portato anni di tecnicismo e di tutoraggio della genitorialità. E’ giusto rimarcare che la funzione genitoriale, della quale tutti ormai piangono la scomparsa o l’evaporazione, è stata nel tempo diluita e messa in ombra dalla massiccia assunzione di nozionismo e generoso ricorso a figure di tipo ‘tecnico’? Le stesse figure che oggi la reclamano, quasi ad evocare un Lazzaro che non ne vuole sapere di alzarsi e riprendere il suo posto.
Si invoca da più parti la necessità di occuparsi dei giovani.
Non vi è associazione, ente, gruppo o congrega che non si rispecchi in questo assunto: riprendiamo il contatto con i figli.
Molteplici sono le iniziative che spronano a ricercare quel dialogo, quel filo interrotto con la prole, la cui scomparsa pare essere una delle concause del crescente disagio giovanile. Convegni a tema. Seminari. Incontri. Decine di padri e madri convengono soddisfatti a fine serata: ‘Perbacco! E’ vero quello che i relatori hanno detto: riprendiamo contatto con i nostri figli!’. L’esperto al tavolo ammonisce ‘ Siate genitori, e non amici!’, spronandoli a riappropriarsi del ruolo di genitore sempre più delegato o stemperato in amicizia. La platea plaude soddisfatta. Di fronte a episodi gravi, quali quello della presunta violenza di gruppo, o altri marcatamente eclatanti, le famiglie restano interdette. Senza parole. Solitamente parlano gli esperti. Cosi’ come appaiono incredule quando sentono snocciolare le cifre delle pluridipendenze che devastano gli adolescenti: sostanze stupefacenti, abuso di alcolici come trend di massa. Cocaina a fiumi. Pasticche. Botte ai compagni disabili. Tendenza diffusa a fare gruppo per macchiarsi di azioni che sconfinano nel reato senza che i protagonisti lo avvertano come tale, stupendosi dell’eventuale punizione.
Non vi è nulla di più ovvio che di fronte a queste constatazioni il monito che una società civile impartisce a se stessa è quello del ‘tornare a parlare ai figli’. In poche parole, metterci le mani. Dare parola laddove ci sono passaggi all’atto con esiti devastanti. Permettere che questi agiti non siano fisici, ma si incanalino nel linguaggio. Fino ad ora, dunque, dove eravamo?
E’ lecito svegliarsi di colpo, scoprendosi mancanti, quando un ‘esperto’ chiamato ad una conferenza richiama all’obbligo delle normali funzioni educative dopo che per tanto tempo le famiglie sono sempre state dissuase dal farlo? Bersagliate per anni dal fuoco di fila di ‘dotti’ che hanno invece alimentato l’idea corrente di una delega del sapere e dell’agire? Forse è proprio l’uso massiccio delle ‘soluzioni ’ ad aver allontanato il genitore dal figlio, riempiendo lo spazio dell’interazione con nozioni, precetti, indicazioni e, soprattutto, diagnosi ed etichette.
La funzione genitoriale è stata in questo tempo annacquata dal tempo dei ‘corsi di genitorialità’, tenuti da conoscitori della mente umana. Supportata da una pletora di offerte di ‘tecniche per educare’. Siamo il paese dove spopola la serie televisiva ‘ SOS tata’, quella dove una signora attempata redarguisce coppie umiliate e zittite con frasi del tipo ‘ se fate preferenze, uno dei due pargoli cresce male!’, oppure : ‘ a tavola si spegne la televisione!’.
Questi anni sono stati caratterizzati dallo sprone continuo non tanto ad ascoltare il disagio del figlio, quanto a classificarlo. Un tecnicismo esasperato che andava nella direzione del medico che , di fronte ad una crisi di angoscia del paziente, non si prende cura di appurarne le cause,ma lo etichetta come ‘attacco di panico’, ponendo in un luogo terzo, che non riguarda la persone, l’origine del malessere. Lezioni incentrate sulla necessità di osservare se il proprio figlio trascorra troppo tempo in rete, per dare al genitore la possibilità di individuare i germi del ‘disturbo da dipendenza da internet’. Corsi rivolti a ‘riconoscere’ le prime avvisaglie di atteggiamenti devianti che possano far pensare a perniciose ‘ludopatie’.
Un atteggiamento diagnostico barattato con la funzione del padre e della madre. In alcune classi vengono somministrati test tesi ad appurare se il ragazzo ( disattento, che parla troppo,che interrompe gli altri) è affetto da ‘disturbo da deficit d’attenzione ed iperattività’. Per poi segnanalarlo all’esperto. Un associazione che si occupa di dipendenza da internet uscì tempo fa sui quotidiani con un titolo : ‘ Studiamo gli adolescenti prima che si ammalino’. Non ci vuole un genio a comprendere che la chiave di lettura della maggioranza di questi tipi di ‘disagio giovanile,’sta nell’inceppo della parola, della comunicazione. La psicoanalisi insegna che il sintomo sorge laddove la parola annaspa. Ascoltare, accogliere, interpretare è sicuramente uno dei compiti più difficili che un genitore si trova davanti. E comoda è la scorciatoia di chiamarsi fuori da questa posizione incolpando della condotta del figlio la ‘malattia’ appena scorta, nuova epidemia sulla quale schiere di dotti scriba rassicurano con ricette e prescrizioni.
‘Suo figlio ha picchiato il compagno. E’ un episodio di bullismo. Se ne sono verificati tanti in questo anno…’
Questo padre, scomparso, evaporato per dirla con Lacan, avrà un bel da fare a percorrere il guado che lo separa dalla sua funzione originaria, intasato com’è di nozioni e indicazioni che hanno allontanato a dismisura le distanze tra le due sponde
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