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“Al di là del possibile, al di là del conosciuto”. Il “realismo sognante” di Baudelaire

4 Set 19

A cura di Sabino Nanni

Il terapeuta della mente (ed, in generale, ogni persona dotata di capacità introspettive e di empatia) è un po’ come il Poeta: le sue reverie, suscitate dai contatti umani, lo portano “al di là del possibile” (ossia oltre ciò che è oggettivamente plausibile) e “al di là del conosciuto” (ossia oltre ciò che è comunemente noto). Non si tratta di sogni che lo portano a fuggire dalla realtà: essi gli consentono di accedere a quel mondo interiore, non meno reale di quello esterno, rappresentato da ciò che gli scenari dell’esistenza evocano. È il mondo che conferisce alla nostra esistenza un significato propriamente umano. La poesia di Baudelaire “La voix” tocca questi temi. Come sono solito fare, dopo la lettura dei versi di questo grande Poeta, scrivo (fra parentesi quadre ed in corsivo) qualche riga di commento. Ho riportato tutto qui:

La voix 
Mon berceau s’adossait à la bibliothèque,
Babel sombre, où roman, science, fabliau,
Se mêlaient. J’étais haut comme un in-folio.
Deux voix me parlaient. L’une, insidieuse et ferme,
Disait : « La Terre est un gâteau plein de douceur ;
Je puis (et ton plaisir serait alors sans terme !)
Te faire un appétit d’une égale grosseur »
Et l’autre : « Viens ! oh ! viens voyager dans les rêves,
Au-delà du possible, au-delà du connu ! »
Et celle-là chantait comme le vent des grèves,
Fantôme vagissant, on ne sait d’où venu,
Qui caresse l’oreille et cependant l’effraie.
Je te répondis : « Oui ! douce voix ! » C’est d’alors
Que date ce qu’on peut, hélas ! nommer ma plaie
Et ma fatalité. Derrière les décors
De l’existence immense, au plus noir de l’abîme,
Je vois distinctement des mondes singuliers,
Et, de ma clairvoyance extatique victime,
Je traîne des serpents qui mordent mes souliers.
Et c’est depuis ce temps que, pareil aux prophètes,
J’aime si tendrement le désert et la mer ;
Que je ris dans les deuils et pleure dans les fêtes,
Et trouve un goût suave au vin le plus amer ;
Que je prends très souvent le faits pour des mensonges,
Et que, les yeux au ciel, je tombe dans les trous.
Mais la Voix me console et dit : « Garde tes songes ;
Les sages n’en ont pas d’aussi beaux que les fous ! »
 
(La mia culla stava appoggiata alla biblioteca, / cupa Babele in cui romanzo, scienza, favola, / tutto, cenere latina e polvere greca / si mischiava. Io ero alto come un in-folio. Due voci mi parlavano. L’una, insidiosa e ferma, / diceva: “La terra è una leccornia piena di dolcezza; / io posso (e allora il tuo piacere non avrebbe fine) darti un appetito altrettanto grande”. / E l’altra: “Vieni, oh vieni a viaggiare nei sogni, / al di là del possibile, al di là del conosciuto!” / E questa cantava come il vento dei greti, / fantasma che vagisce, chissà da dove venuto, / che accarezza l’orecchio e tuttavia lo terrorizza. / Ti risposi: “Oh, sì dolce voce!”. È da allora / che data, ahimè, quel che si può chiamare la mia piaga / e la mia fatalità. / Dietro gli scenari / dell’immensa esistenza, più scuro dell’abisso, / vedo distintamente dei mondi strani / e, vittima della mia estatica chiaroveggenza, / mi trascino dietro dei serpenti che mi mordono le scarpe. / È da allora che, come i profeti, / amo il deserto ed il mare; / che rido nei lutti e piango nelle feste, / trovando un gusto soave nel vino più amaro; / che spesso prendo i fatti per menzogne, / e, gli occhi al cielo, cado nelle buche. / Ma la voce mi consola e dice: “Conserva i tuoi sogni; / i saggi non ne hanno più belli dei pazzi!”)      
 
[Il Poeta fa risalire ai primordi della sua vita (quando era “alto come un in-folio”) la scelta che segnò il suo destino. Molteplici ma confusi stimoli al suo pensiero e alla sua sensibilità (dal romanzo, alla scienza, alla favola) gl’imposero tale scelta. Essa fu necessaria per far emergere, dal caos dell’ambiente culturale in cui era nato, la propria identità. Gli parlavano due “voci” interiori, espressioni di due possibilità che gli si offrivano. La prima lo invitava a cercare nella concreta realtà esterna la fonte tangibile di un “piacere senza fine”; un piacere che, di fatto, non può raggiungere mai un pieno appagamento: un “appetito grande come il mondo” non può essere che insaziabile. L’altra voce lo invitava a rivolgersi alla vita interiore, ed a viaggiare, coi sogni, “al di là del possibile e del conosciuto”. Non si tratta di sogni che lo portano a fuggire dalla realtà: essi gli consentono di accedere a quel mondo interiore, non meno reale di quello esterno, rappresentato da ciò che gli scenari dell’esistenza evocano. È il mondo che conferisce alla nostra esistenza un significato propriamente umano. Missione del Poeta è quella di descrivere e evocare le sensazioni primordiali, confuse ma autentiche, che popolano tale mondo; e farlo utilizzando un linguaggio poetico che le rende pensabili e, in quanto fonte di bellezza, accettabili. Si tratta, dicevo, di sensazioni primordiali: la voce che “canta” nel suo mondo interno, infatti, è quella di un fantasma “vagissant”,  che significa “lamentoso”, ma anche “che vagisce. Si tratta della voce del neonato al suo primo impatto con l’esistenza; una voce che esprime incanto (“accarezza l’orecchio”), ma anche terrore. Tutto preso dalla propria missione, il Poeta deve pagare il prezzo del suo ruolo privilegiato con la fatica che gli costa procedere nel mondo esterno con “i piedi per terra” (i “serpenti che mordono le sue scarpe”), e con il rischio che la sua attenzione polarizzata in modo esclusivo sulla vita interiore gl’impedisca di cogliere le insidie della realtà esterna (“gli occhi volti al cielo”, finisce per “cadere nelle buche” del suolo). La sua unica, grande consolazione è la Bellezza: i saggi, temprati dall’esperienza della vita reale, non hanno sogni così “belli” come quelli che sa creare quel tipo di “folle” che si chiama Poeta.]

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