di Francesca Spinozzi, psicologa psicoterapeuta, C.S.M. Sant’Egidio alla Vibrata (TE), Associazione Rete Italiana Noi e le Voci
Il gruppo Noi Due è approdato all’Expo della Salute Mentale, protagonista attraverso la mia presentazione, al gruppo di approfondimento del pomeriggio del 10 maggio scorso. I partecipanti, che mostravano interesse e qualche conoscenza già sul tema delle voci, hanno condiviso le proprie curiosità e domande (ad esempio, sulle possibilità di convivenza con le voci, e sui modi di trattarle come operatori o come familiari), a cui poi si è cercato di rispondere. È stato inoltre riscontrato che le difficoltà che incontriamo al Servizio di Salute Mentale, relative alle resistenze di utenti e operatori, sono comuni ad altre realtà italiane, perché si fa fatica a staccarsi dall’approccio psichiatrico clinico e a vedere le voci non esclusivamente come sintomi di malattia, ma come reazioni a problemi della vita del paziente. Occorre, infatti, un cambio di paradigma, non più focalizzato sulla disabilità verso la stabilizzazione, ma sulle risorse della persona verso il recovery.
La dottoressa Raffaella Pocobello, conduttrice con me del workshop pomeridiano, ha ricordato i principi chiave del movimento internazionale degli uditori di voci:
- Udire le voci è da considerarsi parte della naturale esperienza umana
- Sono accettate diverse spiegazioni sull'origine delle voci
- Gli uditori e le uditrici di voci vanno incoraggiati a sentirsi padroni della propria esperienza e a definirla
- L'udire le voci può essere interpretato e compreso in relazione al contesto, agli eventi di vita e alle narrative delle persone
- Un processo di accettazione e comprensione delle proprie voci può essere più utile per il recovery (ripresa) rispetto a un continuo tentativo di sopprimerle o evitarle
- Il supporto e la collaborazione tra pari favoriscono l'empowerment e favoriscono il recovery.
Attraverso il dibattito, è apparso chiaro che esistono ancora un certo stigma e barriere significative alla condivisione, e perfino alla discussione aperta, di questi principi nei servizi di salute mentale.
È auspicabile che l'incremento nella diffusione dei gruppi di uditori e di formazioni accreditate, e un crescente riconoscimento scientifico a livello internazionale alle tesi del movimento degli uditori di voci possa contribuire ad abbattere queste barriere e a rendere accessibili forme di supporto più umane ed efficaci per chi si rivolge ai servizi perché sente le voci.
La storia del movimento inizia negli anni Ottanta, quando cominciano a costituirsi i primi gruppi, in Olanda e in Gran Bretagna, in seguito alla ricerca del prof. Marius Romme e della dott.ssa Sandra Escher (nel 1987). In questa ricerca si proponeva una via da seguire per affrontare il fenomeno delle voci, che consisteva nel parlare con le voci, cercando di fare in modo che le persone che udivano le voci potessero ritrovarsi assieme per discutere delle proprie esperienze. Ciò fu una grande rivoluzione, perché a quei tempi udire le voci era solo sintomo di psicosi o schizofrenia. Parlare con l’uditore di voci voleva dire entrare nel suo delirio; la cura consisteva nell’ignorare le voci e prescrivere farmaci per eliminarle e, se questo metodo non funzionava, si aumentava il dosaggio.
Purtroppo ancora oggi, come dicevamo, sopravvivono questi metodi e alcuni uditori non riescono a ricevere l’aiuto di cui hanno bisogno. I gruppi di uditori di voci si propongono di colmare questo vuoto.
Dopo la formazione del primo gruppo, in Olanda, nel 1987, si costituì la fondazione “Resonance”, e ad una conferenza organizzata da Sandra Escher, Paul Baker (che formò il primo gruppo per uditori di voci in Gran Bretagna, nel 1988, in cui c’era, tra gli altri, Ron Coleman) sottolineò l’importanza attribuita alla collaborazione alla pari tra uditori di voci e operatori stessi. Ciò costituiva un cambiamento rispetto a tutti gli approcci al fenomeno conosciuti, che mai avevano dato rilievo a coloro che hanno vissuto e vivono in prima persona problemi di salute mentale.
Da Olanda e Gran Bretagna i gruppi per uditori di voci si sono estesi poi ad altri 20 Paesi.
Negli anni Novanta e Duemila sono stati svolti numerosi studi per valutare l’efficacia di quest’approccio e i risultati hanno evidenziato i benefici derivanti dalla partecipazione degli uditori di voci ai gruppi.
Si riceve un impulso al proprio processo di recovery, si è aiutati durante questo percorso, in certe fasi o per affrontare questioni specifiche. Al raggiungimento di una fase avanzata nel percorso di recupero, alcuni uditori possono essi stessi avviare un altro gruppo e sviluppare a loro volta nuovi modi di lavorare.
Oltre al prezioso aiuto che ricevono dal gruppo, per alcuni uditori di voci si rende necessaria anche la psicoterapia, utile per affrontare le esperienze traumatiche, la repressione delle emozioni e le emozioni correlate alle voci, in modo che le persone arrivino a riconoscere le emozioni come proprie e ad imparare ad affrontarle.
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