Ricevo da un'amica e lettrice della rubrica, Giovanna Dellacasagrande, questo stimolante invito alla lettura di un testo raffinato e, crediamo, poco conociuto al grosso pubblico. Lo presento con molto piacere anche perche' tratta di un tema, la musica, che io frequento poco e che pertanto non e' oggetto dei miei divertissements letterari.
Si tratta dell' "Almanacco delle virtuose primedonne, compositrici e musiciste d'Italia", di Patricida Adkins Chiti, ed De Agostini, 1991.
Non e' un libro nuovo, come si vede, ma ne e' utile la sua riscoperta perche', prima che di parlare di musica, parla di donne, di quel segreto nascosto spesso alla cultura ufficiale che e' il genio delle donne.
Non sappiamo quante tra musiciste, pittrici, scultrici, pensatrici nei secoli passati siano passate occultate alla storia, o la loro opera sia trasmigrata ai compagni uomini, o semplicemente impedita dalle famiglie e percio' nascosta o distrutta.
L'Autrice, Patricida Adkins Chiti, e' nata ad Oxford ma vive in Italia dall'inizio della sua carriera. E' Presidente della Fondazione Adkins Chiti: Donne in Musica. E' riconosciuta in campo internazione come pioniera nella ricerca riguardante la donna nella musica, e ha scritto libri e saggi pubblicati in molti Paesi. Come mezzosoprano ha inciso dischi e lavorato in teatro e ha tenuto a battesimo molti nuovi lavori composti per la sua voce. Nel 1978 ha creato "Donne in musica", il primo festival del mondo dedicato alla musica fatta dalle donne (http://www.donneinmusica.org e http://www.allegroandante.it).
La Chiti attualmente collabora con il Vaticano, con la Comunita' Europea e con l'European Musica Concil (http://www.worldforumonmusic.com)
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di Giovanna Dellacasagrande
gdellacasagrande@yahoo.it
Mi soffermai un giorno ad osservare il bellissimo volume che si faceva notare su di una bancarella, attratta in un primo momento dall'illustrazione di copertina (scelta non a caso: „La musica" di Anonimo) e immediatamente dopo dal titolo; non ricordavo infatti donne compositrici, semmai interpreti della „creatività maschile".
Lo acquistai incuriosita e mi resi conto,
scorrendo le pagine, dell'immenso, minuzioso lavoro di ricerca dell'autrice, mezzosoprano di origine inglese e moglie del compositore Gian Paolo Chiti, che con passione ha voluto che si riconoscessero i meriti ad oltre 600 donne
italiane che si sono dedicate alla musica e che purtroppo non solo sono state dimenticate ma spesso se ne è voluta negare l'esistenza. In un'intervista del 1920 Sir Thomas Beecham diceva: „Non ci sono donne compositrici, non ci sono state e non ci saranno mai!"
Il volume che si presenta sotto forma di almanacco scandisce un tempo ricco di situazioni e avvenimenti pieni di significati che vedono artiste finalmente ritrovate; si percepisce l'amore per la musica che ha accompagnato le loro esistenze e ci si emoziona immaginandole nella pena costante della lotta che hanno dovuto sostenere per raggiungere un'affermazione personale spesso soltanto utopica.
Già nella prefazione Silvia Costa invita a riflettere; la storia delle donne – dice – spesso è la storia di un'assenza o meglio di una presenza negata.
Il genio femminile ha dovuto sottostare a veti e condizionamenti sociali in epoche nelle quali il ruolo della donna era (e forse è ancora) quello dell'accudimento, della cura e del sostegno all'uomo che poteva in tal modo facilmente emergere e dare prova delle sue qualità. In campo musicale furono soltanto gli uomini ad essere „maestri di cappella".
Si deve arrivare alle soglie del 1800 per vedere Maria Rosa Coccia fregiarsi di tale titolo senza tuttavia trovare un‚occupazione. Infatti, le leggi vigenti vietavano alle donne di esercitare la professione nelle chiese e nei teatri di Roma. Nella seconda metà del 1500 il musicista Nicolò Tagliaferro definisce così la virtuosissima cantante e liutista Maddalena Casulana: „in cantar legiadro, nella composizione ella si dilettò molto,anzi più di quello che a professione donnesca conviensi".
E‚ chiaro che se per l'uomo comporre musica era una professione, per una donna doveva rappresentare solo un modo di trascorrere il tempo trastullandosi, senza eccedere nel divertimento, naturalmente. Le primedonne erano tuttavia molto amate dagli appassionati di lirica ma il loro successo disturbava in qualche modo la morale: una donna indipendente, corteggiata, dal carattere forte si staccava troppo dall'ideale femminile e il termine è diventato sinonimo di persona amorale, dispotica, dissoluta e spesso odiata.
Non sorprende a questo punto un dato scontato: dai registri contabili di Enrico VI d'Inghilterra è evidenziato un compenso di 2 scellini per una cantante con violetta, un decimo dello stipendio di un primo violino della banda reale.
Le suore compositrici dovettero affrontare un destino ancor più difficile, irto di immense difficoltà e costellato di amarezze. Sappiamo che furono numerose nel '500 e nel '600 quando i conventi accolsero le ragazze appartenenti a famiglie benestanti per motivi economici e politici. Il matrimonio di rango era spesso riservato alle primogenite, mentre le secondogenite erano avviate alla vita monastica che richiedeva una dote minore e consentiva di proteggere il patrimonio. Si intuisce il gran
numero di suore compositrici, raffinate vocaliste e strumentiste che popolano questo periodo giacché fin dall'infanzia avevano ricevuto un'educazione alla musica. C'era una certa vivacità nei conventi e vi si organizzavano concerti molto seguiti ma disapprovati dalla Chiesa.
Il pontefice decise di arginare il fenomeno ed emanò regole severe sull'uso della musica all'interno dei conventi e vietò alle donne di lavorare nei teatri di Roma e negli Stati Pontifici, anche se i cardinali continuavano a ricevere privatamente musiciste e cantanti. Si ricorda una frase del papa a questo riguardo: "pensare che una donna nel teatro mantenga la sua virtù è come buttare una donna nel Tevere senza che si bagni gli abiti".
Le monache potevano suonare soltanto l'organo ed erano passibili di scomunica se sorprese a suonare al di fuori della liturgia affinché „le vergini consacrate al servizio di Dio non fossero distratte". Nessuno, nemmeno una donna poteva entrare in convento per insegnare musica o canto. La condizione delle musiciste tardò a migliorare se ancora nel 1910 il critico Ernest Newman fa uno spaccato poco rassicurante sulla donna e la musica. „ Nel XVIII secolo una ragazza di umili origini particolarmente dotata in composizione musicale difficilmente avrebbe avuto dal padre un incoraggiamento a seguire tale inclinazione . Nessun genitore avrebbe mai impiegato del denaro per tali studi. E se anche fosse accaduto quando la ragazza avrebbe potuto trovare il tempo per comporre? La necessità l'avrebbe portata al matrimonio o ad un lavoro più remunerativo. Ma anche alla fine del 1800 le speranze non erano maggiori. Carlotta Ferrara scoprì che nessuno voleva mettere in scena la sua opera „Ugo" perché scritta da una donna. Trovò il modo di finanziarla e fu rappresentata a Milano ottenendo un grande successo. Ma quante donne potevano permettersi di pagare la produzione di un'opera lirica?
E scorrono fra le pagine finemente illustrate da stampe ed incisioni, nomi di donne di grande sensibilità artistica:
Calpurnia, moglie di Plinio il Giovane, compagna amorevole dei suoi ozii. Regina Strinasacchi, regina di violino apprezzata da Mozart, che suonò in concerto con lui.
Elisa Cristiani, primadonna del violoncello
E tante altre appaiono e sembrano organizzarsi in concerto per riempire di note il silenzio di tutte le donne che amano la musica.
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