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Amici! Compagni! Seduti, prego.

17 Nov 13

A cura di luigidelia

In questa rubrica mi sono già occupato di quanto sia diventato sempre più facile oggi rinunciare e chiudersi nella rassegnazione.

Rinunciare a vivere una vita piena a 20-30 anni in una esistenza ferma, o rinunciare all’idea stessa di cambiamento riguardo i nostri stili di vita sempre più immutabili. Rinunciare a cambiare il mondo è diventata la cifra di questa epoca per moltissimi di noi. Mai come oggi, ad esempio, è diventato così ineffettuale esprimere preferenze politico-elettorali laddove le istituzioni diventano sempre meno sovrane e presenti a se stesse e laddove i luoghi decisionali non abitano più dove avvengono le plateali beghe di potere.

Risultato: uno strisciante e pervasivo nihilismo s’insinua nelle nostre vite minacciando e talora lesionando la nostra capacità di investire libidicamente la realtà.

La recente intercettazione diffusa dal Fatto Quotidiano della telefonata che il Presidente della Puglia nonché leader di Sinistra Ecologia e Libertà, Niki Vendola fa al capo delle relazioni pubbliche dell’Ilva Archinà, oggi agli arresti domiciliari in quanto scoperto a corrompere chiunque (ma proprio chiunque) a Taranto avesse influenza politica o sociale,  specie riguardo i dati reali dell’inquinamento dell’industria, è la prova finale che l’ultimo erede della vecchia sinistra italiana, l’ultimo portatore di un modello alternativo di società, più equa, più giusta, più solidale, ha mostrato senza molti dubbi quale effettiva gerarchia di potere esista tra la politica (tutta la politica) e la finanza. Non che non ce ne fossimo già accorti, ci mancherebbe, ma toccare con mano la realtà è sempre benefico.

Vendola in quella telefonata diversamente da quanto afferma il Fatto, non ride sui morti di tumore (questa appare piuttosto una precisa manipolazione giornalistica di basso profilo), piuttosto mostra un servilismo nei toni e nei contenuti che palesa un tentativo di captatio benevolentiae. In parole povere e crude: un conto è trattenere relazioni istituzionalmente e necessariamente amicali (non amichevoli) con un imprenditore, e il suo staff, che investe nella tua regione e dà migliaia di posti di lavoro, un’altra cosa è smignottare (mi si perdoni il termine, ma mi è parso quello più esplicativo) mostrandosi comprensivi verso lo scagnozzo che con un scatto toglie il microfono dalle mani del giornalista che stava domandando a Riva dei morti per tumore. Smignottamento che prosegue durante la telefonata mostrando disponibilità ad incontri programmatici e soprattutto suggerendo una bizzarra saldatura politica tra interessi dell’azienda e quelli del sindacato storicamente nemico (ma bacino elettorale del presidente).

Visionaria l’idea politica di fondo, piuttosto astratta, che sembra individuarsi tra le pieghe del “discorso” vendoliamo, e cioè che in nome del lavoro padroni convertiti e servi si uniscano in una marcia comune verso il progresso. Un’idea utopistico-messianica in fondo, tanto irrealistica quanto dannosa (in questo caso per la salute dei cittadini di Taranto).

Ma al di là delle congetture sulle supposte e visionarie intenzioni politiche di Vendola, quella telefonata svela ciò che già sappiamo: il potere politico non opera dialetticamente con il potere finanziario e industriale, ma si pone come fisiologicamente subordinato, accomodante.

Opposte come al solito le reazioni. I detrattori politici sono ben contenti di sparare ad un facile bersaglio venuto allo scoperto come un fagiano; gli ammiratori si scoprono all’improvviso pettinatori di lunghissimi peli sullo stomaco, mostrando vette di real politik che neanche Kissinger avrebbe potuto raggiungere. Ma si, dicono, si sa che le cose vanno così, di cosa ci si scandalizza, non sono mica questi gli scivoloni morali della politica, il compagno Vendola ha sbagliato i toni, non ha commesso reati e  si saprà emendare, del resto ha già dato prova di buon governo. E poi, qualcun altro aggiunge, signora mia, tutte queste intercettazioni, che schifo (le ombre lunghe del berlusconismo si infiltrano ovunque).

Occorrerebbe dire ai compagni in questione che tutto quel pelo sullo stomaco ne fa una parrucca piuttosto antiestetica.

I problemi etici che io pongo come riflessione al margine di questa telefonata e che in qualche modo svela neanche tanto indirettamente sono però altri, e sono almeno due:

Il primo: Vendola non solo ci propone una subordinazione in materia di potere, ma anche culturale. Quale cultura ha convinto la gran parte di noi a porre lavoro e salute in contrasto e opposizione sul piano etico? Quale cultura ha poi fatto scegliere il lavoro a spese della salute e della sicurezza? La cultura che ha vinto non è certo quella di sinistra, ma quella che ci ha fatto ingoiare senza digerirlo il boccone amaro del lavoro sopra tutto.

Il secondo, se possibile ancora più grave: quale responsabilità etica ha un leader che si propone come ultimo baluardo dei valori della cosiddetta sinistra rispetto all’idea di un cambiamento politico-sociale possibile? Cosa indicava il dito di Vendola nella campagna elettorale “Pugliamo L’Italia”,  la nostra sinistra o la sua destra? Un mondo migliore o l’asfissia nei fumi dell’Ilva?

Il programma di ciò che rimane della vecchia categoria di sinistra sembra essere diventato il seguente: compagni, state fermi e buoni, cerchiamo di morire il più tardi possibile.

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