IL SESSO NON ESISTE. Una parola balorda e vuota, perché anche negli incontri con le prostitute avviene qualcosa
di Umberto Silva, ilfoglio.it, 13 aprile 2016
Capita, capita di amare due persone contemporaneamente. Che fare? Struggersi e rinunciare al nuovo venuto? Abbandonare il vecchio e rifarsi una vita? Struggersi è meraviglioso, carico di eros e di gloria, lo sanno Shakespeare e Proust: niente è più ritrovato delle pene dell’amor perduto. Ma se il nuovo amore è irresistibile, che fare? Amare entrambi? Saggezza e giustizia: grazie a Dio c’è chi non sfascia la famiglia, non va su e giù a prendere i figli per il weekend e roba del genere. Ma nemmeno occorre rinunciare all’amore in contemporanea; se amiamo due donne, o due uomini, tocca impegnarci il doppio; se tre donne, o tre uomini, il triplo: intelligenza, generosità e un po’ di ginnastica. Questo il mio umile catechismo, non molto lontano, mi auguro, da quello ecclesiastico di recente formulazione. Tranne che per un dettaglio decisivo, il sesso. Sesso, che brutta parola, non la darei in pasto nemmeno alle tigri. Eppure la usa Papa Francesco quando, citando nell’Amoris Laetitia Giovanni Paolo II, “respinge l’idea che l’insegnamento della chiesa porti a una negazione del valore del sesso umano”. Che è un dono di Dio. Macché! Figurarsi se Dio va in giro a donare sesso. Che il Papa usi una parola così balorda mi stupisce, “fare sesso” è una squallida terminologia e il buon Dio me ne ha preservato: posso avere pensato che con le donne ho fatto questo e quello, ma sesso mai.
Segue qui:
http://www.ilfoglio.it/la-politica-sul-lettino/2016/04/13/il-sesso-non-esiste-prostituzione___1-vr-140627-rubriche_c126.htm
Capita, capita di amare due persone contemporaneamente. Che fare? Struggersi e rinunciare al nuovo venuto? Abbandonare il vecchio e rifarsi una vita? Struggersi è meraviglioso, carico di eros e di gloria, lo sanno Shakespeare e Proust: niente è più ritrovato delle pene dell’amor perduto. Ma se il nuovo amore è irresistibile, che fare? Amare entrambi? Saggezza e giustizia: grazie a Dio c’è chi non sfascia la famiglia, non va su e giù a prendere i figli per il weekend e roba del genere. Ma nemmeno occorre rinunciare all’amore in contemporanea; se amiamo due donne, o due uomini, tocca impegnarci il doppio; se tre donne, o tre uomini, il triplo: intelligenza, generosità e un po’ di ginnastica. Questo il mio umile catechismo, non molto lontano, mi auguro, da quello ecclesiastico di recente formulazione. Tranne che per un dettaglio decisivo, il sesso. Sesso, che brutta parola, non la darei in pasto nemmeno alle tigri. Eppure la usa Papa Francesco quando, citando nell’Amoris Laetitia Giovanni Paolo II, “respinge l’idea che l’insegnamento della chiesa porti a una negazione del valore del sesso umano”. Che è un dono di Dio. Macché! Figurarsi se Dio va in giro a donare sesso. Che il Papa usi una parola così balorda mi stupisce, “fare sesso” è una squallida terminologia e il buon Dio me ne ha preservato: posso avere pensato che con le donne ho fatto questo e quello, ma sesso mai.
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L’EREDITÀ PIÙ GRANDE È ESSERE FIGLI DESIDERATI. Lo psicoanalista Massimo Recalcati a Rovereto al Festival dell’Educazione parla di madri e padri e di come è cambiato il loro ruolo nell’educare alla libertà e al desiderio. L’esperienza del limite è necessaria perché nasca il desiderio. La libertà sta nella consapevolezza dei vincoli. La madre salva, si prende cura in modo particolare e unico, dona la libertà. Ma le donne oggi vivono anche la maternità come un attentato alla propria femminilità. I padri, oggi spesso in crisi di identità, devono custodire il senso del limite senza godere di questo potere. Ed educare i figli al desiderio
di Redazione, ladige.it, 16 aprile 2016
Padri e madri, ruoli antichi davanti alla sfida del nostro tempo: dare la libertà ed educare alla responsabilità. Ma come sono cambiate queste due funzioni e quando si può parlare di patologia? A parlarne oggi al Teatro Rosmini di Rovereto per Educa, il Festival dell’Educazione, è stato Massimo Recalcati, noto psicoanalista, docente e autore di numerosi saggi sul ruolo genitoriale, davanti a un pubblico numeroso e molto coinvolto di madri, padri, figlie e figli.
Segue qui:
https://www.ladige.it/popular/lifestyle/2016/04/16/leredit-pi-grande-essere-figli-desiderati
Padri e madri, ruoli antichi davanti alla sfida del nostro tempo: dare la libertà ed educare alla responsabilità. Ma come sono cambiate queste due funzioni e quando si può parlare di patologia? A parlarne oggi al Teatro Rosmini di Rovereto per Educa, il Festival dell’Educazione, è stato Massimo Recalcati, noto psicoanalista, docente e autore di numerosi saggi sul ruolo genitoriale, davanti a un pubblico numeroso e molto coinvolto di madri, padri, figlie e figli.
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https://www.ladige.it/popular/lifestyle/2016/04/16/leredit-pi-grande-essere-figli-desiderati
RISENTIMENTO
di Marco Belpoliti, doppiozero.com, 18 aprile 2016
Non c’è dubbio: il risentimento è il mood dominante della nostra epoca. Sempre più spesso gli individui provano un senso di animosità verso gli altri, verso il mondo in generale – livore, astio, ostilità, odio, inimicizia, invidia, malignità, acredine, malevolenza, accanimento, vendetta –, come risposta a offese, affronti o frustrazioni che ritengono di aver subito. Ritengono, ma non è detto che sia davvero così, o che sia accaduto nel modo in cui gli individui suppongono e manifestano agli altri. Sempre più spesso accade che le persone covino un’avversione. Si tratta di un sentimento lungamente coltivato che poi esplode all’improvviso, inatteso anche agli stessi protagonisti. In moltissimi casi il rancore ha origine dal senso di vergogna provato. Rancore e vergogna sono strettamente collegati. Col trascorrere del tempo, sostengono gli psicologi, l’interiorizzazione dell’emozione della vergogna, con la visione svalutativa di sé che provoca, con la lacerazione narcisistica che genera, può portare all’elaborazione di forme d’odio occulte nei confronti di coloro che vengono ritenuti, a torto o a ragione non importa, responsabili della frustrazione, o dell’offesa, subita. Risentimento e rancore sono sinonimi. Rancore viene dal latino, rancor, e significa: “lamento, desiderio, richiesta”; come ricorda lo psicoanalista argentino Luis Kancyper, che si è occupato in sede clinica e culturale del tema, rancore ha la medesima radice di rancidus, “astioso”, e anche “stantio” e “zoppo”. Quando si subisce un torto ciò che colpisce è il dolore, l’afflizione che ne scaturisce; la reazione immediata è la paura, accompagnata dall’ansia, ma frequentemente anche da uno stato depressivo. Se il torto, poi, riguarda la sfera morale, e implica un oltraggio o un’insolenza, scattano reazioni come la rabbia o l’ira. Sono queste due emozioni che nell’elaborazione successiva – il ruminare continuo della mente – si trasformano in rancore e in risentimento. Ruminare, o rimuginare, è l’attività di pensiero ripetitivo, coattivo, con cui gli individui covano il proprio rancore; ruminare viene dal latino muginari, ci ricordano gli psicologi: è il dondolare, movimento insistente del pensare e ripensare al medesimo evento. Il risentimento, inteso come “sentire ancora, sentire di nuovo”, è il ritornare incessante sul proprio stato emotivo senza possibilità di allontanare definitivamente l’offesa o il torto. Gli psicoanalisti ritengono che la radice profonda del risentimento si trovi prima di tutto nell’invidia. Perché lui sì e io no? Questa è la domanda principale, forse la sola, che gli invidiosi si pongono. Il filosofo sloveno Slavoj Žižek, ha sostenuto che l’invidia è qualcosa di più, o di meno, del desiderio di possedere quello che ha l’altro – ricchezza, amore, potere. Un sentimento decisamente rivolto al “negativo”: impedire all’altro quel possesso che si agogna. Žižek racconta in vari suoi libri una storiella emblematica. Una strega dice a un contadino: “Farò a te quello che vuoi, ma ti avverto, farò due volte la stessa cosa al tuo vicino!” E il contadino con un sorriso furbo le risponde: “Prendimi un occhio!”
Segue qui:
http://www.doppiozero.com/rubriche/4270/201604/risentimento-i-parte#sthash.CBvDc571.dpuf
Non c’è dubbio: il risentimento è il mood dominante della nostra epoca. Sempre più spesso gli individui provano un senso di animosità verso gli altri, verso il mondo in generale – livore, astio, ostilità, odio, inimicizia, invidia, malignità, acredine, malevolenza, accanimento, vendetta –, come risposta a offese, affronti o frustrazioni che ritengono di aver subito. Ritengono, ma non è detto che sia davvero così, o che sia accaduto nel modo in cui gli individui suppongono e manifestano agli altri. Sempre più spesso accade che le persone covino un’avversione. Si tratta di un sentimento lungamente coltivato che poi esplode all’improvviso, inatteso anche agli stessi protagonisti. In moltissimi casi il rancore ha origine dal senso di vergogna provato. Rancore e vergogna sono strettamente collegati. Col trascorrere del tempo, sostengono gli psicologi, l’interiorizzazione dell’emozione della vergogna, con la visione svalutativa di sé che provoca, con la lacerazione narcisistica che genera, può portare all’elaborazione di forme d’odio occulte nei confronti di coloro che vengono ritenuti, a torto o a ragione non importa, responsabili della frustrazione, o dell’offesa, subita. Risentimento e rancore sono sinonimi. Rancore viene dal latino, rancor, e significa: “lamento, desiderio, richiesta”; come ricorda lo psicoanalista argentino Luis Kancyper, che si è occupato in sede clinica e culturale del tema, rancore ha la medesima radice di rancidus, “astioso”, e anche “stantio” e “zoppo”. Quando si subisce un torto ciò che colpisce è il dolore, l’afflizione che ne scaturisce; la reazione immediata è la paura, accompagnata dall’ansia, ma frequentemente anche da uno stato depressivo. Se il torto, poi, riguarda la sfera morale, e implica un oltraggio o un’insolenza, scattano reazioni come la rabbia o l’ira. Sono queste due emozioni che nell’elaborazione successiva – il ruminare continuo della mente – si trasformano in rancore e in risentimento. Ruminare, o rimuginare, è l’attività di pensiero ripetitivo, coattivo, con cui gli individui covano il proprio rancore; ruminare viene dal latino muginari, ci ricordano gli psicologi: è il dondolare, movimento insistente del pensare e ripensare al medesimo evento. Il risentimento, inteso come “sentire ancora, sentire di nuovo”, è il ritornare incessante sul proprio stato emotivo senza possibilità di allontanare definitivamente l’offesa o il torto. Gli psicoanalisti ritengono che la radice profonda del risentimento si trovi prima di tutto nell’invidia. Perché lui sì e io no? Questa è la domanda principale, forse la sola, che gli invidiosi si pongono. Il filosofo sloveno Slavoj Žižek, ha sostenuto che l’invidia è qualcosa di più, o di meno, del desiderio di possedere quello che ha l’altro – ricchezza, amore, potere. Un sentimento decisamente rivolto al “negativo”: impedire all’altro quel possesso che si agogna. Žižek racconta in vari suoi libri una storiella emblematica. Una strega dice a un contadino: “Farò a te quello che vuoi, ma ti avverto, farò due volte la stessa cosa al tuo vicino!” E il contadino con un sorriso furbo le risponde: “Prendimi un occhio!”
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LA COMUNICAZIONE DEI NATIVI DIGITALI. Se la condivisione si è ridotta ad un click, la sfida è educativa: il rischio è che le nuove generazioni digitali finiscano in una specie di «autismo» ambientale
di Giuseppe Maiolo, ladigetto.it, 19 aprile 2016
Fino a 12 ore al giorno connessi in rete. Secondo alcune ricerche, sono i nuovi adolescenti di questo nostro tempo digitale. Le loro comunicazioni passano ormai in maniera quasi esclusiva attraverso i Social o WhatsApp e il fenomeno, al di là di ogni considerazione, si annuncia come un epocale cambiamento dei comportamenti e delle modalità di interazione. I nativi digitali, come li ha chiamati lo studioso americano Marc Prensky, benché abbiano la possibilità di sviluppare più ampie competenze mentali e capacità creative e di effettivo multitasking, rischiano d’altro canto più fragilità e vulnerabilità emotiva. La comunicazione digitale, ad esempio, non trasmette emozioni e invece assottiglia in maniera preoccupante l’empatia, che è la capacità di sentire dal di dentro quello che prova l’altro. Un giovane che sta su Facebook oggi è convinto non solo di avere degli amici «veri» che conosce, ma chattando ritiene anche di conversare con un’altra persona come accade nella vita reale.
Segue qui:
http://www.ladigetto.it/permalink/53367.html
Fino a 12 ore al giorno connessi in rete. Secondo alcune ricerche, sono i nuovi adolescenti di questo nostro tempo digitale. Le loro comunicazioni passano ormai in maniera quasi esclusiva attraverso i Social o WhatsApp e il fenomeno, al di là di ogni considerazione, si annuncia come un epocale cambiamento dei comportamenti e delle modalità di interazione. I nativi digitali, come li ha chiamati lo studioso americano Marc Prensky, benché abbiano la possibilità di sviluppare più ampie competenze mentali e capacità creative e di effettivo multitasking, rischiano d’altro canto più fragilità e vulnerabilità emotiva. La comunicazione digitale, ad esempio, non trasmette emozioni e invece assottiglia in maniera preoccupante l’empatia, che è la capacità di sentire dal di dentro quello che prova l’altro. Un giovane che sta su Facebook oggi è convinto non solo di avere degli amici «veri» che conosce, ma chattando ritiene anche di conversare con un’altra persona come accade nella vita reale.
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IDENTITÀ FEMMINILE? LUCE IRIGARAY
di Francesca Bolino, il-volo-della-mente-d.blogautore.repubblica.it, 20 aprile 2016
Luce Irigaray. Brano da Corpo a corpo con la madre (In sessi e genealogie, Baldini e Castoldi)
La riflessione di Luce Irigaray è molto importante poiché ha contribuito notevolmente a illuminare il processo di formazione dell’identità sessuale femminile. Freud vede nel rapporto madre e figlio/a una “fusionalità” che deve essere superata attraverso il distacco traumatico dalla madre. Come sappiamo, per Freud, se ciò non dovesse verificarsi, i figli non si evolverebbero. Le studiose femministe – in questo Irigaray ha dato non solo un colpo mortale alle teorie freudiane ma ha anche messo in luce una via diversa per accedere alla costruzione dell’identità – sostengono invece che nel rapporto con la madre non vi è fusionalità ma relazionalità. Con questo si intende dire che non c’è bisogno alcuno di operare un taglio netto con la madre poiché il rapporto duale madre-figlio/a ha luogo tra due esseri distinti, ma in connessione! Nel brano che vi propongo oggi Irigaray mette dunque in contrapposizione all’uccisione del padre (fondamento della civiltà) quello della madre. “La rimozione del materno ha come conseguenza la cancellazione della genealogia madre-figlia a favore della genealogia padre-figlio. Se questo corpo a corpo con la madre potesse aver luogo, allora potrebbe dispiegarsi il desiderio femminile, capace di scalzare la legge del padre” afferma Aida Ribero.
Corpo a corpo con la madre
“Quanto a noi, è urgente che ci rifiutiamo di sottometterci ad un ruolo sociale de/soggettivato, quello di madre, richiesto da un ordine sottoposto alla divisione del lavoro – produttore/riproduttrici – che ci chiude in una semplice funzione. E’ mai stato chiesto ai padri di rinunciare ad essere uomini? cittadini? Non dobbiamo rinunciare ad essere donne per essere madri. E’ necessario anche che noi scopriamo ed affermiamo che siamo sempre madri dal momento che siamo donne. Mettiamo al mondo qualcosa di diverso dai figli, generiamo qualcosa che non è il bambino: amore, desiderio, linguaggio, arte, società, politica, religione, ecc. Ma questa creazione da secoli ci è stata vietata e bisogna che noi ci riappropriamo questa dimensione materna che ci appartiene in quanto donne.
Segue qui:
http://il-volo-della-mente-d.blogautore.repubblica.it/2016/04/20/identita-femminile-luce-irigaray/
REGINE E PAPI. Dio salva Kate, e Kate salva Dio. Quanto a noi, ci conviene dare retta alle parole di Francesco
di Umberto Silva, ilfoglio.it, 20 aprile 2016
Abbiamo in questi giorni assistito alle trionfali giornate di Kate e Francesco, due figure di grande spicco sulla scena del mondo; anglicana l’una, cattolico l’altro, a loro modo governano le rispettive religioni, lei osannata, lui contrastato e spesso vilipeso. Kate, ma prima di lei Elizabeth. Anglofilo convinto dalla mia figliola che si diletta a dipingere i misteri di Londra, in questi giorni ho visto un film scombinato e delizioso, irresistibile almeno ai miei occhi, “Una notte con la regina”. Parla della notte del nove maggio del 1945, quando si festeggiò il Giorno della Vittoria che metteva fine alla lotta contro i nazisti. Tutti scesero in piazza e le due principesse Elizabeth e Margaret più di tutti, euforiche dopo la lunga segregazione sotto le bombe. Episodio vero che non potevo perdere, mi affascinavano i volti delle due ragazze, seria l’una assai meno l’altra, entrambe splendenti di giovinezza. Si confusero col popolo, ballarono, forse scappò un bacio o due o tre. Quando si sparse la notizia della loro impresa tutti i giovanotti inglesi fremettero all’idea di averle sfiorate, anch’io sogno di avere fatto qualcosa settant’anni fa con quelle due ragazze in uniforme.
Ma alla ribalta ora è Kate. Devota al Regno Unito e ad Alexander McQueen, Kate Middleton durante il Royal Tour indiano sfoggia gambe in vista sotto variopinte sottane; poi in Buthan, il paese più felice del mondo, pare, si dà al trekking in gilet di pelle, jeans attillati e stivaloni. I suoi fedeli vanno in visibilio. Lei resterà fedele al marito e alla corona, tradendo l’uno tradirebbe l’altra e viceversa, e soprattutto tradirebbe se stessa. La sua fragile suocera, Diana, elemosinava risarcimenti amorosi, Kate non ha bisogno di nessuno, si è assunta il compito di regnare e lo fa fin da ora. La religione inglese è tutta glamour e durezza, patti rispettosi e rispettati, Dio salva la Regina e la regina salva Dio.
Segue qui:
http://www.ilfoglio.it/la-politica-sul-lettino/2016/04/20/kate-middleton-papa-francesco___1-vr-140932-rubriche_c137.htm
Luce Irigaray. Brano da Corpo a corpo con la madre (In sessi e genealogie, Baldini e Castoldi)
La riflessione di Luce Irigaray è molto importante poiché ha contribuito notevolmente a illuminare il processo di formazione dell’identità sessuale femminile. Freud vede nel rapporto madre e figlio/a una “fusionalità” che deve essere superata attraverso il distacco traumatico dalla madre. Come sappiamo, per Freud, se ciò non dovesse verificarsi, i figli non si evolverebbero. Le studiose femministe – in questo Irigaray ha dato non solo un colpo mortale alle teorie freudiane ma ha anche messo in luce una via diversa per accedere alla costruzione dell’identità – sostengono invece che nel rapporto con la madre non vi è fusionalità ma relazionalità. Con questo si intende dire che non c’è bisogno alcuno di operare un taglio netto con la madre poiché il rapporto duale madre-figlio/a ha luogo tra due esseri distinti, ma in connessione! Nel brano che vi propongo oggi Irigaray mette dunque in contrapposizione all’uccisione del padre (fondamento della civiltà) quello della madre. “La rimozione del materno ha come conseguenza la cancellazione della genealogia madre-figlia a favore della genealogia padre-figlio. Se questo corpo a corpo con la madre potesse aver luogo, allora potrebbe dispiegarsi il desiderio femminile, capace di scalzare la legge del padre” afferma Aida Ribero.
Corpo a corpo con la madre
“Quanto a noi, è urgente che ci rifiutiamo di sottometterci ad un ruolo sociale de/soggettivato, quello di madre, richiesto da un ordine sottoposto alla divisione del lavoro – produttore/riproduttrici – che ci chiude in una semplice funzione. E’ mai stato chiesto ai padri di rinunciare ad essere uomini? cittadini? Non dobbiamo rinunciare ad essere donne per essere madri. E’ necessario anche che noi scopriamo ed affermiamo che siamo sempre madri dal momento che siamo donne. Mettiamo al mondo qualcosa di diverso dai figli, generiamo qualcosa che non è il bambino: amore, desiderio, linguaggio, arte, società, politica, religione, ecc. Ma questa creazione da secoli ci è stata vietata e bisogna che noi ci riappropriamo questa dimensione materna che ci appartiene in quanto donne.
Segue qui:
http://il-volo-della-mente-d.blogautore.repubblica.it/2016/04/20/identita-femminile-luce-irigaray/
REGINE E PAPI. Dio salva Kate, e Kate salva Dio. Quanto a noi, ci conviene dare retta alle parole di Francesco
di Umberto Silva, ilfoglio.it, 20 aprile 2016
Abbiamo in questi giorni assistito alle trionfali giornate di Kate e Francesco, due figure di grande spicco sulla scena del mondo; anglicana l’una, cattolico l’altro, a loro modo governano le rispettive religioni, lei osannata, lui contrastato e spesso vilipeso. Kate, ma prima di lei Elizabeth. Anglofilo convinto dalla mia figliola che si diletta a dipingere i misteri di Londra, in questi giorni ho visto un film scombinato e delizioso, irresistibile almeno ai miei occhi, “Una notte con la regina”. Parla della notte del nove maggio del 1945, quando si festeggiò il Giorno della Vittoria che metteva fine alla lotta contro i nazisti. Tutti scesero in piazza e le due principesse Elizabeth e Margaret più di tutti, euforiche dopo la lunga segregazione sotto le bombe. Episodio vero che non potevo perdere, mi affascinavano i volti delle due ragazze, seria l’una assai meno l’altra, entrambe splendenti di giovinezza. Si confusero col popolo, ballarono, forse scappò un bacio o due o tre. Quando si sparse la notizia della loro impresa tutti i giovanotti inglesi fremettero all’idea di averle sfiorate, anch’io sogno di avere fatto qualcosa settant’anni fa con quelle due ragazze in uniforme.
Ma alla ribalta ora è Kate. Devota al Regno Unito e ad Alexander McQueen, Kate Middleton durante il Royal Tour indiano sfoggia gambe in vista sotto variopinte sottane; poi in Buthan, il paese più felice del mondo, pare, si dà al trekking in gilet di pelle, jeans attillati e stivaloni. I suoi fedeli vanno in visibilio. Lei resterà fedele al marito e alla corona, tradendo l’uno tradirebbe l’altra e viceversa, e soprattutto tradirebbe se stessa. La sua fragile suocera, Diana, elemosinava risarcimenti amorosi, Kate non ha bisogno di nessuno, si è assunta il compito di regnare e lo fa fin da ora. La religione inglese è tutta glamour e durezza, patti rispettosi e rispettati, Dio salva la Regina e la regina salva Dio.
Segue qui:
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“IRIS”, SE LE FAVOLE SONO UNA BUSSOLA PER RITROVARE NOI STESSI
di Wanda Valli, repubblica.it, 22 aprile 2016
In fondo un libro di favole è una bussola. Che ci guida a ritrovar noi stessi, quell’io bambino che consente i sorrisi e la speranza. Così come le fiabe non sono soltanto una realtà magica e immaginata, non sono quello che Massimo Recalcati, psicoanalista e scrittore, definisce “la costruzione di un mondo parallelo” perché tutti i personaggi vengono dal reale. Così Francesco Bollorino, docente di Psichiatria all’Università di Genova, ha scelto di affidare alle fiabe un racconto del suo mondo immaginifico che, però, ha al centro l’amore. Che sia quello della fata “Iris” per il Sole, o il desiderio del Cerino di essere finalmente acceso dopo lustri di abbandono in una scatola buttata in una credenza. E’ forse il suo modo per staccare o meglio compensare la realtà che la psicoanalisi mette di fronte a chi l’ha scelta per capire la complessità di menti e animi. Da dove nasca la passione di Francesco Bollorino per le fiabe, non si sa, ma si intuisce. Può essere la voglia di usarla per ritemprare l’uomo, e lui stesso, può essere il desiderio di far specchiare nei racconti luci, cieli, immagini di una città, Genova e di una terra, la Liguria, che lui ama. Così nasce “Iris” (Alpes editore), manuale breve di fiabe introdotto da Massimo Recalcati e con la post fazione o meglio “la guida ragionata a una seconda lettura” di Roberto Maragliano e Santis Thanopulos
Segue qui:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2016/04/22/iris-se-le-favole-sono-una-bussola-per-ritrovare-noi-stessiGenova17.html?ref=search
Video
In fondo un libro di favole è una bussola. Che ci guida a ritrovar noi stessi, quell’io bambino che consente i sorrisi e la speranza. Così come le fiabe non sono soltanto una realtà magica e immaginata, non sono quello che Massimo Recalcati, psicoanalista e scrittore, definisce “la costruzione di un mondo parallelo” perché tutti i personaggi vengono dal reale. Così Francesco Bollorino, docente di Psichiatria all’Università di Genova, ha scelto di affidare alle fiabe un racconto del suo mondo immaginifico che, però, ha al centro l’amore. Che sia quello della fata “Iris” per il Sole, o il desiderio del Cerino di essere finalmente acceso dopo lustri di abbandono in una scatola buttata in una credenza. E’ forse il suo modo per staccare o meglio compensare la realtà che la psicoanalisi mette di fronte a chi l’ha scelta per capire la complessità di menti e animi. Da dove nasca la passione di Francesco Bollorino per le fiabe, non si sa, ma si intuisce. Può essere la voglia di usarla per ritemprare l’uomo, e lui stesso, può essere il desiderio di far specchiare nei racconti luci, cieli, immagini di una città, Genova e di una terra, la Liguria, che lui ama. Così nasce “Iris” (Alpes editore), manuale breve di fiabe introdotto da Massimo Recalcati e con la post fazione o meglio “la guida ragionata a una seconda lettura” di Roberto Maragliano e Santis Thanopulos
Segue qui:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2016/04/22/iris-se-le-favole-sono-una-bussola-per-ritrovare-noi-stessiGenova17.html?ref=search
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JACQUES LACAN, LO PSICOANALISTA CHE STRUTTURÒ L’INCONSCIO COME UN LINGUAGGIO
da teche.rai.it, 13 aprile 2016
Vai al link per il filmato:http://www.teche.rai.it/2016/04/jacques-lacan-lo-psicoanalista-che-strutturo-linconscio-come-un-linguaggio/
Vai al link per il filmato:http://www.teche.rai.it/2016/04/jacques-lacan-lo-psicoanalista-che-strutturo-linconscio-come-un-linguaggio/
MASSIMO RECALCATI OSPITE A #SOUL
da tv2000.it e youtube, 16 aprile 2016
Psicanalista, docente universitario in varie facoltà, attualmente di psicopatologia dei comportamenti alimentari a Pavia, Massimo Recalcati è un intellettuale e un uomo di scienza affascinante e con la rara capacità di uno sguardo ampio all’uomo, costituzionalmente proteso all’infinito, al mistero. La psicanalisi diventa con lui una strada per tutti, non una disciplina snob per eletti, grazie al progetto Jonas Onlus, un centro di clinica psicanalitica alla portata economica di tutti, dislocata anche nelle periferie delle nostre città.
Psicanalista, docente universitario in varie facoltà, attualmente di psicopatologia dei comportamenti alimentari a Pavia, Massimo Recalcati è un intellettuale e un uomo di scienza affascinante e con la rara capacità di uno sguardo ampio all’uomo, costituzionalmente proteso all’infinito, al mistero. La psicanalisi diventa con lui una strada per tutti, non una disciplina snob per eletti, grazie al progetto Jonas Onlus, un centro di clinica psicanalitica alla portata economica di tutti, dislocata anche nelle periferie delle nostre città.
I più recenti pezzi apparsi sui quotidiani di Massimo Recalcati e Sarantis Thanopulos sono disponibili su questo sito rispettivamente ai link:
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4545
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4788
Da segnalare anche la rubrica
"Mente ad arte, percorsi artistici di psicopatologia nel cinema ed oltre, di Matteo Balestrieri al link
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4682
(Fonte dei pezzi della rubrica: http://rassegnaflp.wordpress.com)
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