Partirò dalla recente pubblicazione del libro poetico di MARCIA THEOPHILO, appena pubblicato dall'editore fiorentino Passigli in una collana di poesia fondata dal compianto Mario Luzi: Amazzonia. L'ultima Arca.
Scrive Walter Pedullà nella sua intensa ed empatica prefazione: — Nell'Ultima Arca di Marcia Theophilo c'è una barca che attraversa i fiumi dell'Amazzonia ma non è l'arca. Semmai è proprio quella barca piena di uomini a rendere necessario di nuovo il ricorso alla mitica imbarcazione di Noè da parte dei pochi "animali" che sono degni della salvezza. Trasporta gli "americani", chi sta in alto, gli invasori, coloro che sfruttano le risorse della natura fino al loro totale consumo in nome dello sviluppo… Il titolo minaccia con due parole molto eloquenti: sarà per l'ultima volta: non sarà offerta più un'altra occasione. Non so quasi nulla della letteratura brasiliana classica o moderna, immagino che sia ricca la letteratura locale o mondiale sull'Amazzonia, e allora mi limito a indagare nel poema di Marcia Theophilo. C'è sotto gli occhi la sua poesia, versi che dicono una cosa ma richiamano dieci interpretazioni. Sono tutte benvenute, tutti convengono da ogni vicenda individuale in questo luogo devastato per resuscitare una condizione che non è il passato, bensì il presente, se si sa vedere e udire.—
Un poema ricco di lirismo e di pathos, dunque. Un poema per molti versi tragico, che mette in primo piano l'ecocidio perpetrato – ai danni di quello che può essere considerato il polmone del nostro pianeta – da parte di un capitalismo selvaggio e miope: incapace di rispettare la vita; incapace di capire come le ragioni del profitto, della crescita e dello sviluppo capitalistico siano, sempre di più, ragioni suicidarie, destinate a desertificare la terra e la biodiversità che la caratterizza. La distruzione della foresta amazzonica rappresenta, tragicamente, il vertice di questa cieca furia distruttrice, foriera di morte e di devastazione. Marcia Theophilo riesce, con la sua poesia, a restituire la voce a questa foresta violata e devastata. Così conclude infatti il suo poema Amazzonia. L'ultima Arca: "I vincitori / rimangono in possesso / di un luogo devastato".
Ascoltare Marcia Theophilo significa allora ascoltare la voce di questa natura attaccata e offesa: un'alterità con la quale noi, uomini "civilizzati", abbiamo smesso da tempo di dialogare e di comunicare. Riusciamo, forse, a comprendere le ragioni e le necessità di un dialogo con l'alterità umana. Ma troppo spesso rimaniamo distanti dall'alterità naturale e animale: un territorio nel quale accedere all'altro significa, per forza di cose, uscire da noi stessi, con un movimento centrifugo che, per dirla con Viveiros De Castro, individua una costellazione psichica anti-narcisistica; privilegiando questa costellazione, potremo smetterla, una volta per tutte, di "vedere sempre il Medesimo nell'Altro" ("Methaphysiques cannibales", Puf, Paris 2011, p. 5), e quindi di concepire l'alterità come controfigura della nostra stessa identità. L'Anti-Narciso – un libro a venire, per Viveiros De Castro, cioè un libro non ancora scritto – dovrà diventare, dal nostro punto di vista, opera corale, lavoro collettivo, tensione sociale condivisa del nostro immaginario. Un lavoro collettivo che libri poetici, come quello di Marcia Theophilo, ci aiutano a prefigurare.
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