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Augusto Romano, musica e psiche

7 Mar 21

A cura di Davide D'Alessandro

Un buon libro lo vedi dalla durata. “Musica e psiche” di Augusto Romano è un libro che dura, che resiste al tempo che tutto consuma. Se la prima edizione, edita da Bollati Boringhieri nel 1999, incontrò i favori di un pubblico vario, la nuova pubblicazione di Raffaello Cortina, con una introduzione rivista e aggiornata, promette di incontrare, a distanza di oltre vent’anni, un altro pubblico, non meno cólto di quello precedente, non meno entusiasta di approfondire, grazie ad alcuni testi letterari e musicali (Hoffmann, Berhard, Rilke, Offenbach), i rapporti tra musica, inconscio, fantasie cosmogoniche, mitologie del femminile e pratica analitica. Scrive Romano: «Sinceramente, non ho molta fiducia nella vocazione scientifica (in senso naturalistico) della psicologia, e soprattutto della psicologia clinica, che è quella che io pratico. Se c’è qualcosa che ammiro e invidio in Jung, al cui pensiero liberamente mi ispiro nel mio lavoro, è la grande flessibilità delle sue vedute e la convinzione che sempre, sia nei racconti dei nostri pazienti sia in quelli che, a livelli diversi di elaborazione, rappresentano il patrimonio spirituale dell’umanità, è possibile riconoscere, seppure velati, i segni di un mito vivente. In questo caso, ciò che ho cercato di evocare è il mito della musica in qualcuna delle sue incarnazioni. Di conseguenza, mai qui si cercherà di dire cosa la musica sia, ma sempre cosa si racconta intorno alla musica».
E intorno alla musica, dalle stanze del canto alle variazioni sul tema, si raccontano tante belle cose: la musica e ciò che vi è di indicibile, la musica e il linguaggio degli angeli, la musica e l’utopia, la musica e la prassi analitica, la musica con i suoi luoghi e i suoi tempi. Continua l’autore: «Un mondo senza musica, in cui – secondo la parabola kafkiana – le Sirene tacciono, è un mondo impensabile. La musica ci accompagna fin dalla preistoria e, per così dire, garantisce il collegamento con le sorgenti della vita corporea e con quelle della vita spirituale, che sono abissi sigillati alla diurna discorsività dell’Io e al suo canto analitico. A questo proposito, già Vico, e poi Rousseau, ritenevano che la musica avesse preceduto il discorso. E quanto all’Io, c’è una frase di George Steiner che a me sembra definitiva: “Il Saturno della spiegazione divora quelli che adotta”».




Se la musica resiste alle spiegazioni, se musica, amore e morte, sono le realtà umane che più resistono alle spiegazioni, la forza del libro di Romano risiede nell’accostare la musica, e i tragitti interiori che essa determina, con il rispetto di chi sa di non potersi e non doversi spingere oltre. Non è un caso se, nei mesi scorsi, facendogli visita nella sua casa torinese, ho trovato all’ingresso un violoncello in bella mostra. È lo strumento che egli suona da anni con estrema passione. Incontrare il violoncello del musicista prima del lettino dell’analista mi ha dato un notevole senso di benessere. La musica tutto precede. L’Armonia Mundi è essenzialmente musicale. Chiude Romano: «Né la musica né l’analisi annullano le contraddizioni. Esse ci permettono di viverle fino in fondo, di trascenderle senza uscirne, senza pretendere di sfuggire alla loro presa. Il male, il dolore si possono intrattenere. È per questo che paghiamo il biglietto del concerto e l’onorario dell’analista: per imparare a soffrire; o meglio, per imparare a parlare con la sofferenza. Una sofferenza che noi inseguiamo negli innumerevoli meandri in cui si nasconde, fino a quando – Deo concedente – ci accade, come scrive Hölderlin in Patmos, di riconoscere le cose come stanno, cioè di accettarle. Così fa Beethoven nelle sue ultime creazioni».
Sono contento che “Musica e psiche” sia rinato con Raffaello Cortina, l’editore della “psiche”, l’editore con cui Romano ha già pubblicato gli indimenticabili “Studi sull’ombra”, con Mario Trevi, e, con Gian Piero Quaglino, gli imperdibili “A spasso con Jung”, “Nel giardino di Jung”, “A colazione da Jung”.
 

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