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Baudelaire e la delusione del viaggiatore: il “peccato immortale” della perversione
15 Feb 18
A cura di Sabino Nanni
Se non esistessero i pessimisti, la nostra Cultura sarebbe priva di realismo. Baudelaire fu, oltre che sommo Poeta, anche un grande pessimista: nella sua opera, compaiono di continuo gli aspetti più sordidi e sinistri dell’animo umano. Eppure, con la sua umana pietà e la sua Arte, egli ci aiuta a riconoscerli e ad integrarli in una visione dei nostri simili che, pur nel suo realismo, resta nel complesso positiva. Su ciò che, inevitabilmente, delude il viaggiatore, egli scrive:
Pour ne pas oublier la chose capitale,
Nous avons vu partout, et sans l’avoir cherché,
Du haut jusques en bas de l’échelle fatale,
Le spectacle ennuyeux de l’immortel péché :
La femme, esclave vile, orgueilleuse et stupide,
Sans rire s’adorant et s’aimant sans dégoût ;
L’homme, tyran goulu, paillard, dur et cupide,
Esclave de l’esclave et ruisseau dans l’égout ;
Le bourreau qui jouit, le martyr qui sanglote ;
La fête qu’assaisonne et parfume le sang ;
Le poison du pouvoir énervant le despote,
Et le peuple amoureux du fouet abrutissant ;
………………………………………………
L’Humanité bavarde, ivre de son génie,
Et, folle maintenant comme elle était jadis,
Criant à Dieu, dans sa furibonde agonie :
‘O mon semblable, ô mon maître, je te maudis !’
Et les moins sots, hardis amants de la Démence,
Fuyant le grand troupeau parqué par le Destin,
Et se réfugiant dans l’opium immense !
Tel est du globe entier l’éternel bulletin.
(Per non dimenticare la cosa capitale / abbiamo visto dovunque, e senza averlo cercato, / dall’alto sino al basso della scala fatale, / lo spettacolo tedioso dell’eterno peccato: // la donna, schiava vile, orgogliosa e stupida, / senza ridere e senza disgustarsi si adora e si ama; / l’uomo, tiranno ingordo, dissoluto, duro e licenzioso, / schiavo della schiava, e rigagnolo nella fogna; // il carnefice che gioisce, il martire che singhiozza; / la festa che condisce e profuma il sangue; / il tiranno snervato dal veleno del potere / ed il popolo amante dello scudiscio che l’abbrutisce //…// L’Umanità ciarliera, ebbra del proprio genio / e folle ora come era un tempo / grida a Dio nella sua delirante agonia: / “O mio simile, o mio signore, io ti maledico”. // E i meno sciocchi, arditi amanti della Demenza, / che fuggono il grande gregge ammassato dal Destino, / e si rifugiano nell’oppio senza fine! / Tale è, del mondo intero, l’eterno resoconto)
Il viaggiatore, pur volendo scoprire in luoghi lontani soltanto un appagamento dei suoi segreti desideri, non può fare a meno di trovarvi anche il “peccato”: il vizio comune a tutti gli uomini e a tutti i tempi. Si tratta del rapporto perverso tra uomo e donna, tra suddito e autorità, tra credente e Dio, tra drogato e droga. Come in tutte le perversioni, la meta è il recupero onnipotente di ciò che l’esame di realtà adulto ha decretato essere inaccessibile. Si tratta, tuttavia, di un recupero illusorio, e la condizione che viene a crearsi è degradata. Nel rapporto sado-masochistico tra uomo e donna, il primo cerca di recuperare un assoluto dominio sull’oggetto d’amore; tuttavia, essendo la sua volontà dominata dall’ingordigia e dalla lascivia, egli finisce per diventare “schiavo della sua schiava” e completamente abbrutito. Analogo è il rapporto tra il despota sanguinario ed il popolo avvilito dalla frusta: il potere, sul tiranno, ha un effetto “snervante”, ossia esso assorbe tutte le energie dell’uomo. Nel rapporto con Dio onnipotente, il popolo dei credenti s’illude di poter sconfiggere la morte, la maggiore nemica dell’orgoglio umano. Tuttavia l’essere umano, nell’ebbrezza della propria superiorità intellettuale, non si rende conto di cadere nella stupidità di chi crede di poter soddisfare, con Dio, istanze narcisistiche tra loro in contraddizione: la necessità di trovarvi un proprio simile in versione idealizzata e, nello stesso tempo, una guida ideale e qualcuno da maledire, attribuendogli la colpa delle proprie sconfitte. Tale stupidità è evitata dall’oppiomane, ma al prezzo di andare incontro al proprio annientamento.
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