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“BISOGNA AVERE UN DONO PER SEGNARE”. Uno sguardo sul tema dei guaritori tra passato e presente

19 Dic 19

A cura di Lidia Dutto

Il presente articolo accenna al tema dei guaritori, così come presentato nel volume “Nelle corna del bue lunare” – Approcci verso la salute e la malattia, rimedi empirici, pratiche di cura e segnature nella tradizione popolare di una vallata alpina (Dutto L., 2016), sulla base di un’estesa ricerca etnografica ideata e condotta dall’autrice in una vallata alpina  del Piemonte meridionale, in provincia di Cuneo. La raccolta dei dati sul campo è stata resa possibile dall’utilizzo del dialetto locale con interviste ad anziani informatori.

In un contesto in cui la vita, in passato, era resa difficile dalle specificità di un territorio di montagna ove alle difficoltà logistiche si associavano periodi di isolamento dovuto alle transumanze estive o alle nevicate invernali, gli anziani informatori interpellati affermano che per ogni malanno le prime cure erano di tipo domestico, attraverso l’uso di erbe, radici, impacchi, le cui conoscenze di utilizzo erano trasmesse oralmente di generazione di generazione. In un secondo tempo si faceva ricorso a coloro che nella comunità erano deputati avere il “dono” di curare.  Così, volgendo lo sguardo ad un passato nemmeno troppo lontano, per il quale la voce dei numerosi anziani ascoltati ci offre preziose informazioni, si rileva che nelle comunità dislocate a monte e a valle di questo territorio vi erano soggetti specifici a cui ci si rivolgeva alla ricerca di una via per attivare la guarigione. Una pratica che, in modo altrettanto interessante, non è del tutto  scomparsa. Così, pur nel facile accesso alle cure di cui oggi disponiamo, il ricorso a questi soggetti  viene ancor oggi attestato con la finalità di cercare di lenire il dolore, più precisamente guarire, talvolta in un’alternanza di pratiche concomitanti tra medicina popolare e medicina ufficiale.   In modo non casuale, nel corso della ricerca abbiamo peraltro avuto modo di intervistare alcuni soggetti i quali, lungi dal definirsi  “guaritori”, operano con questa finalità motivati – dicono – dalla fede e dal desiderio di “fare del bene”. La loro opera si svolge attraverso le cosiddette <<segnature>> con gesti, rituali e formule linguistiche specifici al sintomo o malattia da curare e aventi come componente principale la preghiera; alle formule vengono associate  invocazioni e suppliche alla Santa Vergine o ai Santi con la finalità di intercedere al fine di attivare la guarigione.


 
          La  segnatura  viene attribuita a guaritori e praticanti in ambito popolare e consiste in alcuni segni di croce fatti con la mano o con alcuni oggetti specifici, quali la fede nuziale, una moneta o altro,  sulla parte del corpo interessata dal problema o dalla malattia, associati ad alcune preghiere cristiane specifiche, come detto, alle varie circostanze, sintomi e malattie che possono richiedere, unitamente a questi gesti specifici, l’utilizzo di altri materiali quali ramo d’ulivo benedetto, sale, spago, ecc. Non mancano esempi che  citano la richiesta di segnature anche per problemi di natura psichica.  La segnatura può essere riferita ad una parte malata di esseri umani ed animali, ma anche ad una stalla o ad una coltivazione che si cerca di liberare dai parassiti.   Per quanto riguarda gli  animali si segnano generalmente il malocchio, i colpi d’aria, le indigestioni  più o meno  attraverso le stesse pratiche utilizzate per l’individuo umano.
      La trasmissione da una persona all'altra delle pratiche, sia nella parte gestuale sia nelle formule, avviene non senza difficoltà in quanto chi segna dice di “dover trovare qualcuno disposto interiormente ad accettare questo dono”, situazione che non sempre si verifica.  In genere, coloro che segnano preferiscono tramandare la pratica a familiari o conoscenti, comunque a persone di cui si fidano e che reputano serie ed eticamente corrette. In alcuni casi la trasmettono ad una sola persona nel timore di perdere i poteri, oppure ad una donna di famiglia o a qualcuno che abbia le giuste caratteristiche per ricevere in dono questa eredità. Sovente, chi segna è un "settimino", individuo nato al settimo mese di gravidanza, oppure ancora ultimo di sette fratelli o nato nella notte di Natale. I testimoni da me interpellati nel corso della ricerca   sostengono di aver compreso di avere un dono in un particolare momento della loro vita, dono spesso giunto all’improvviso, e di aver iniziato ad operare da soli al solo scopo di “far del bene”.  Le formule non si possono tramandare a chiunque  e più volte durante la vita poiché il rischio è, appunto, quello  di perdere il dono.
          Generalmente chi segna  esegue una segnatura, talvolta in presenza del paziente, oppure pronunciando semplicemente il nome dello stesso.  A dipendenza dei casi, dopo una prima segnatura, chi fa il rito ne esegue altre a distanza di ore o giorni, in alcune occasioni la segnatura viene eseguita tre volte: al mattino, al pomeriggio e alla sera oppure in tre giorni diversi. La segnatura peraltro può avvenire anche a distanza. Una delle informatrici interpellate su svariate tematiche nel quadro delle mie ricerche e che opera anche come “guaritrice” o meglio, secondo le sue affermazioni, in qualità di “persona che fa del bene”, afferma di lavorare anche per telefono, necessitando semplicemente di conoscere il nome del paziente. Spesso il rito può semplicemente avvenire alla presenza di una fotografia o  indumento della persona malata. Chiaramente, la complessità e la durata del rito varia a seconda della gravità della patologia da trattare e il guaritore può operare per più tempo anche in solitaria. Nel caso di un semplice orzaiolo, invece, il rito viene eseguito  in presenza del paziente  utilizzando una fede o una moneta per "segnare".
 
        Le patologie più comuni  di cui si occupano i guaritori tradizionali attraverso le segnature sono le scottature e, conseguentemente, il fuoco di Sant’Antonio (Herpes zoster) ed i colpi di sole, come pure le verruche, i porri, i vermi, l’erisipela, l’orzaiolo, i colpi d’aria, i dolori di svariata natura, come il mal di denti, il mal di pancia, il dolore in genere. In breve, gli elementi naturali – quali l’aria, il sole, il fuoco – possono essere segnati. Così, si segnano i colpi d’aria e i colpi di sole, come le bruciature causate dall’acqua bollente, da un ferro arroventato, da una fiamma.  Un  testimone, in particolare, indica inoltre l’avvertenza da seguire in caso di bruciatura: “non bisogna parlare con nessuno della bruciatura, se no questa si espande ancora di più” (Testimone B3).  Ma non solo.   Una guaritrice intervistata qualche anno fa e tuttora attiva riporta  in modo del tutto interessante che, attraverso  la sua opera di intercessione, cerca di lenire anche ciò che la stessa definisce “male misterioso”. Alla richiesta di chiarire  che cosa intende con questa affermazione, l’intervistata risponde che “può essere di tutto, anche ciò che non è visibile, ed è un male piuttosto moderno, in passato non c’era”.  Lo sguardo squisitamente etnografico della nostra ricerca volutamente tralascia quanto potrebbe suggerire tale affermazione che sembra aprire piuttosto all’universo del malessere connesso alla sfera psichica.
          Esiste poi la categoria dei taumaturghi che “sentono” il male e “mettono a posto” distorsioni, lussazioni, dolori dovuti a traumi, ma anche dolori articolari, tendiniti, artrosi, ecc. L’abilità di questi guaritori risiede nel “sentire” il male toccando la parte dolorante e, quindi, di “sentire i nervi o i legamenti fuori posto”  provvedendo a rimetterli in sede attraverso massaggi e pratiche manuali la cui finalità è, appunto, quella di “rimetterli a posto”.  Diversamente dalle cosiddette “segnature”,  questa pratica  non passa attraverso rituali magico-religiosi, preghiere o altro, ma si avvale della sensibilità nelle mani del taumaturgo e quindi dell’azione meccanica svolta col massaggio. In virtù di una maggior sensibilità, anche in questo caso, chi pratica queste operazioni è considerato una persona “speciale”.
         Alla richiesta di fornirci ulteriori indicazioni sui modi specifici di prendersi  cura del paziente in questi casi, ed eventuali terapie prescritte a seguito della manipolazione, alcuni informatori riferiscono del metodo utilizzato in passato in vece dell’ingessatura. A questo proposito, un nostro anziano informatore così descrive brevemente l’operato del padre, residente nelle zone dell’alta vallata del territorio alpino oggetto di ricerca, e il metodo riferito: “mio padre li faceva entrare; se c’era qualcosa fuori posto, si metteva a lavorare per mettere a posto. Potevano essere ossa e nervi. Poi metteva una benda stretta, fasciava bene e li rispediva a casa. Se c’era una rottura, invece, cercava di mettere prima a posto, poi  prendeva un uovo, lo rompeva e ne sbatteva bene l’albume in un piatto. Vi immergeva del cotone, lo lasciava inzuppare ben bene e lo metteva attorno al punto dove vi era la rottura. Poi, stringeva e fasciava con una benda stretta. L’albume fungeva da gesso per il tempo necessario. Se, invece, c’era una brutta rottura, allora consigliava di andare all’ospedale, perché lui non poteva fare nulla.  Mio padre curava sia gli uomini, sia gli animali” (Testimone Z2).
            Nel quadro del maestoso progetto di ricerca sul campo  avviato verso la metà degli anni ’90  e che tuttora continua nel territorio alpino di riferimento,  abbiamo dunque conferma ancora oggi così come in passato della presenza di persone che sanno/sapevano “segnare” ognuna delle quali con la propria specialità, altre che sanno/sapevano “mettere a posto” le articolazioni, altre che operano/operavano in qualità di guaritori in virtù del fatto di essere settimini.  Non solo. Il percorso di ricerca qui presentato, svolto su più aspetti e dimensioni, dall’approccio verso la salute e la malattia, ai rimedi ed alle pratiche di cura disponibili a livello domestico,  ha avuto la capacità di entrare direttamente, seppur garbatamente secondo i metodi che più mi corrispondono,  nella vita delle persone interpellate a conferma del rapporto empatico che si è venuto a creare con i Testimoni della tradizione orale durante un lunghissimo arco temporale dedicato allo svolgimento della ricerca. Qui, alcune delle preziose testimonianze raccolte in questo lasso di tempo provengono anche da testimoni che operano/operavano in qualità di guaritori nel territorio d’indagine. Con ognuno di essi, l’incontro etnografico ha promosso poi quella dimensione autoriflessiva che Beneduce  (2010) pone in risalto nel suo volume dal titolo “Corpi e saperi indocili – Guarigione, stregoneria e potere in Camerun”  a proposito dell’esperienza di lavoro etnografico in questo paese.  “Il lavoro realizzato con guaritori, malati, pastori nel tentativo di delimitare il perimetro di concetti sfuggenti (…) mi ha posto di fronte a una caratteristica spesso lasciata sullo sfondo da non poche ricerche sulla medicina tradizionale: il potere che tali espressioni hanno di promuovere un’esperienza autoriflessiva. Detto altrimenti, esse incoraggiano nei nostri interlocutori, nel momento stesso in cui sono invitati a parlarne, una riflessione sul senso della propria esperienza, sul valore di una terapia  o sulla natura del male da cui sono affetti,  sui poteri a partire dai quali la cura si realizza, nonché sul grado di coerenza di teorie e modelli.  Nella ricerca svolta con alcuni guaritori  il metodo che ho seguito ha cercato di analizzare questa dimensione autoriflessiva, promossa dall’incontro etnografico stesso e, più in particolare, dall’analisi delle rappresentazioni del male e del potere. Da qui la necessità di adottare prospettive teoriche diverse  e intrecciare fenomenologia e semiotica, analisi dell’esperienza e studio delle rappresentazioni ogniqualvolta prendiamo in considerazione fatti come <<credenze>>, interpretazioni del male o esperienze di guarigione“ (pag. 24).
             L’esperienza della dimensione autoriflessiva unita alla necessità di considerare le rappresentazioni a fondamento delle asserzioni avanzate  sono i paletti sui quali da sempre poggiamo la nostra esperienza di ricerca etnografica. E’ così che abbiamo avuto modo di inserirci direttamente nelle pieghe della cultura che il nostro lavoro ha preso in esame, nelle visioni  e nel senso dell’esperienza di questi guaritori, come nel senso dell’esperienza dei testimoni che da molti anni raccontano il loro vissuto.   Nel volume citato, dal titolo “Nelle corna del bue lunare – Approcci verso la salute e la malattia, rimedi empirici, pratiche di cura e segnature nella tradizione popolare di una vallata alpina” (Dutto Lidia, 2016), vengono estesamente riportate le interviste svolte con coloro che operano, come da essi affermato, unicamente con la finalità di “far del bene”, col loro modo di operare nonchè il ruolo di ascolto che essi svolgono nella realtà. Sullo sfondo, gli effetti della dimensione suggestiva in questo universo di pratiche (dall’accesso alla casa del guaritore, all’attesa, al timore reverenziale delle sue gesta e dei rituali praticati in presenza del paziente o meno, sino alla speranza di guarigione dal/del proprio malessere), il tutto stabilito nel potere di intermediazione tra la dimensione reale e una dimensione “altra”, sia essa magico-spirituale o mistica, in cui il guaritore legittima il suo operato ed esplica la sua funzione.
 
 
 
Tratto e riassunto dal volume:  
“Nelle corna del bue lunare” – Approcci verso la salute e la malattia, rimedi empirici, pratiche di cura e segnature nella tradizione popolare di una vallata alpina (Dutto Lidia, 2016).
 
Le pubblicazioni di Lidia Dutto possono essere acquisite  inviando richiesta via mail a:   lelingue@gem.it  oppure telefonicamente ai numeri: cell. 335-6772553  –  0171-735130

 

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